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ALLEGATO AGLI ATTI DEL PROCESSO "ESPROPRIO"
I CORTE D'ASSISE D'APPELLO DI ROMA



La questione centrale che caratterizza per parte proletaria l'attuale quadro politico del paese è costituita dal rilancio della strategia della Lotta Armata operato dalle BR-PCC, in quanto ha reintrodotto nei termini del conflitto di classe lo scontro di potere sia nel suo riflesso politico immediato che come prospettiva strategica. Fin da subito le iniziative offensive contro Massimo D'Antona nel 1999 e Marco Biagi nel 2002 hanno pesato concretamente nel porre la classe su posizioni più favorevoli sul piano dello scontro politico con lo Stato e la borghesia imperialista (BI), in quanto sono intervenute sul terreno atto a modificare i rapporti di forza sottraendo il proletariato all'unilaterale azione dello Stato. L'importanza di questo dato rivoluzionario nello scontro odierno è tangibile se si guarda a tutti gli anni '90, quando la BI ha potuto dare corso all'offensiva per imporre le linee di ristrutturazione economico-sociale e di complessiva riforma dello Stato imperniata sul progetto neocorporativo, offensiva che ha sospinto il proletariato sulla difensiva e posto le condizioni per il rafforzamento del dominio della BI, trovando contrasto solo nella resistenza che vi ha potuto opporre la classe.
Oggi sul piatto della bilancia è tornata a pesare la prassi combattente delle BR-PCC, qualitativamente connotata dall'essere il prodotto del salto compiuto dalla soggettività rivoluzionaria di classe che ha avviato e ricostruito, relazionandosi ai nodi dello scontro generale, le condizioni politiche, militari, organizzative per riportare l'attacco al cuore dello Stato, in grado di ostacolare il progetto neocorporativo e sostenere la classe nello scontro con lo Stato. Una connotazione qualitativa, quella del rilancio, data dal fatto che l'avanguardia rivoluzionaria, nell'avviare e ricostruire la capacità offensiva, ha ricollocato il patrimonio trentennale del processo rivoluzionario facendolo avanzare al livello attuale dello scontro, dando soluzione alla discontinuità dell'attacco allo Stato. In questo senso il rilancio possiede una valenza di carattere storica relativamente all'andamento del processo rivoluzionario e alla sua prosecuzione, un dato su cui vanno ad infrangersi le illusioni della BI e della sua soggettività politica che, a seguito delle operazioni antiguerriglia dell'88-89, pensavano di aver superato il pericolo della guerriglia. Allo stesso tempo l'affrontamento e la risoluzione della problematica della discontinuità di attacco chiarifica ed evidenzia che, anche a fronte di una stasi del processo rivoluzionario, la soggettività rivoluzionaria di classe è in grado di assumersi al punto più alto l'opzione rivoluzionaria, proposta dalle BR alla classe, perché questa si è attestata nelle relazioni generali tra le classi quale esito dei mutamenti sedimentati dalla trentennale attività delle BR nei rapporti di scontro, per la capacità propria alla strategia della Lotta Armata di influire su di essi e modificarli, un dato politico questo che pertanto è eliminabile dalla controrivoluzione, anche nel caso in cui la stessa OCC venga danneggiata.
Ciò che emerge con forza dal rilancio è la riproducibilità della strategia della Lotta Armata nello scontro di classe nel nostro paese, in quanto è su questa proposta che è andato a legarsi storicamente l'interesse politico e generale del proletariato italiano, a partire da come la prassi delle BR ha contrassegnato i caratteri dell'autonomia politica del proletariato, nel senso che le avanguardie di classe che si pongono sul terreno rivoluzionario operano le fratture soggettive in riferimento alla strategia della LA. Riproducibilià e praticabilità della strategia della LA riconducibili, in ultima analisi, alla sua validità come risoluzione proletaria alla crisi della borghesia, perché quella adeguata storicamente a confrontarsi con le forme di dominio contemporanee della BI, per realizzare la tappa storica della conquista del potere e l'instaurazione della dittatura del proletariato, e costruire la società comunista quale alternativa possibile e necessaria al quadro quadro di contraddizioni economiche, politiche e sociali della BI, altrimenti non risolvibili né riformabili e che anzi prospettano al proletariato solo impoverimento e guerra.
La prassi combattente delle BR-PCC è fattore attivo di mutamento delle posizioni politiche e di forza tra le classi perché svolge un ruolo di direzione rispetto agli interessi politici generali e storici del proletariato, che è esercitato a partire dall'attacco sui nodi centrali che oppongono la classe allo Stato, cioè rapportandosi allo scontro generale intervenendo sulla contraddizione dominante che lo caratterizza in una data congiuntura. Su questo terreno, che è il presupposto per l'esistenza stessa dell'avanguardia comunista, i NCC negli anni '90 hanno svolto il ruolo d'avanguardia rivoluzionaria assumendosi complessivamente a partire dall'essersi collocati ben dentro i caratteri della contraddizione rivoluzione/controrivoluzione, i termini dello scontro di classe, cioè rapportandosi, con l'iniziativa offensiva, alla contraddizione dominante tra classe e Stato, facendo vivere i contenuti dell'autonomia di classe nel quadro del rilancio della proposta strategica della LA. Le iniziative offensive alla Confindustria nel 1992 e alla Nato Defence College nel 1994 di NCC sono state il perno su cui hanno avviato l'aggregazione delle forze proletarie e rivoluzionarie. In questo senso il ruolo d'avanguardia svolto dai NCC attiene proprio all'essersi assunti il rapporto con lo scontro generale entro cui ricollocare, in termini di continuità-critica-sviluppo, il patrimonio d'Organizzazione a partire dai suoi contenuti più avanzati. Termini generali di scontro che evidenziavano come, per i profondi mutamenti in atto riferiti a tutti i fattori economici, politici e sociali, e di crisi della mediazione politica, l'aspetto dominante della contraddizione classe/Stato non era più riferito alla rifunzionalizzazione dei poteri dello Stato, quale era stata fino alla fine degli anni '80, bensì alla ristrutturazione economico-sociale e alla complessiva riforma dello Stato. Alla base di questi mutamenti vi è l'approfondimento dei termini della crisi/sviluppo del capitalismo che in Europa, tra la fine degli anni '80 e gli inizi dei '90, ha portato ad omologare i suoi aspetti e le sue manifestazioni, e conseguentemente le risposte controtendenziali. Un coagularsi di interessi della BI che le ha conferito un maggior peso sul piano politico in termini di centralità dei suoi interessi, potendo premere sulla sua soggettività politica sia per l'adozione delle politiche liberiste, che hanno al centro la ridefinizione dei termini dello sfruttamento della forza lavoro e del mercato del lavoro attraverso lo smantellamento dei diritti storici acquisiti dalla classe, codificati dalla legislazione del lavoro, che per le modifiche politico-istituzionali atte a governare queste politiche. Questi interessi ridefiniti della BI sono stati il piano su cui in Italia le forze politiche e sindacali si sono assunte di attuare le trasformazioni politiche necessarie alla ristrutturazione economico-sociale, in base a come si sono riposizionate sugli interessi della borghesia a partire dagli esiti della controrivoluzione e dal suo consolidamento nelle relazioni generali tra le classi. Un riposizionamento che ha significato, in primo luogo, sostenere l'offensiva antiproletaria dispiegata dagli esecutivi degli anni '90 e che è stato il piano delle trasformazioni di progettualità, strumenti e forme dei partiti ai cambiamenti in atto, da cui si è affermato il progetto neocorporativo come quello idoneo ad affrontare organicamente le modifiche politico-sociali contenute nelle linee di intervento macroeconomico e le contraddizioni che queste avrebbero aperto nei confronti della classe. Le caratteristiche del progetto neocorporativo, quale perno su cui la borghesia assesta le modifiche delle relazioni tra le classi a livello sociale, politico e istituzionale, cioè quale perno della mediazione politico storica in senso neocorporativo, da cui trae il rafforzamento del suo dominio, fanno dell'attacco a questo progetto il piano prioritario dell'attività combattente delle BR-PCC, in quanto è intorno all'assestamento o meno del terreno neocorporativo che vanno a rimodellarsi le relazioni politiche e di forza tra le classi.
E dunque l'avanguardia rivoluzionaria che ha avviato il rilancio ha messo al centro della sua iniziativa l'attacco a questo progetto, costruendo, su questa necessità politica, l'iniziativa offensiva, prima come NCC e, una volta raggiunta la capacità offensiva adeguata a portare l'attacco al cuore dello Stato, come BR-PCC, secondo una linea di combattimento mirata ad ostacolarlo fino alla sua disarticolazione. Iniziative offensive che si sono rapportate agli snodi dello scontro entro cui questa progettualità si è articolata nel '92-93 rispetto ai Patti sociali degli esecutivi Amato e Ciampi, nel '98 al Patto di Natale dell'esecutivo D'Alema, nel 2002 alla Riforma Biagi dell'esecutivo Berlusconi. Snodi che hanno segnato i rapporti classe/Stato introducendo il contenuto neocorporativo nelle relazioni sociali, fondato sulla composizione forzosa di interessi particolari e transitori sugli interessi generali della BI. Progetto neocorporativo che è marciato attraverso formule politiche riguardanti tanto la negoziazione tra l'esecutivo e le parti sociali, quanto le relazioni politiche tra le classi e che, con la concertazione prima e col dialogo sociale poi, hanno rispecchiato gli equilibri politici e di forza esistenti nello scontro di classe, nonché il livello dei processi di aggregazione delle forze politiche e sindacali sugli interessi della BI, formule finalizzate alle trasformazioni possibili della legislazione del lavoro, perno della ristrutturazione economico-sociale come pure delle modifiche politico-istituzionali e costituzionali. Tutti gli anni '90 hanno visto prevalere la formula concertativa basata sull'inglobamento di tutte le istanze rappresentative e rappresentabili sul piano negoziale, quale formula finalizzata ad espellere dal corpo di classe le sue istanze di resistenza ancora forti tramite l'accerchiamento dell'autonomia di classe per neutralizzare le spinte, ai fini di far passare la politica dei redditi agganciata ai tetti antinflazione quale requisito per rientrare nei parametri di Maastricht, e in seguito il "pacchetto Treu" di regolamentazione del mercato del lavoro e di sfruttamento della forza-lavoro, insieme alla riforma previdenziale Dini, che sono state le modifiche strutturali principali volte alla competitività del sistema nel quadro delle linee recessive di risanamento del bilancio per rispettare i Patti di convergenza della UE necessari al passaggio della moneta unica. Linee macroeconomiche che per il loro contenuto neocorporativo hanno agito direttamente nello scontro indebolendo le posizioni del proletariato, piano da cui lo Stato ha ricavato i margini per la costruzione di quegli equilibri politici e sociali sufficienti per operare la riduzione degli interessi rappresentabili e mediabili in sede parlamentare (legge elettorale maggioritaria), e il rafforzamento del ruolo politico-legslativo dell'esecutivo sostenuto dalle relazioni neocorporative e che, grazie ai rapporti di forza modificati dalla controrivoluzione, sono stati il quadro da cui si è avviata la trasformazione in senso neocorporativo della mediazione politica.
Un esito politico che costituisce la base politica interna per l'assunzione di ruolo dello Stato sul piano internazionale al fine di ricavare spazi per il capitale monopolistico della propria borghesia nel quadro internazionalizzato della concorrenza, e di sostenere gli impegni politici, militari, controrivoluzionari nelle politiche centrali dell'imperialismo. In sintesi, la formula politica concertativa ha segnato un passaggio centrale nell'affermazione delle relazioni neocorporative in Italia che, con l'esecutivo D'Alema, hanno acquisito valenza istituzionale quale piano da cui le parti sociali sostengono nell'ambito negoziale ruolo e scelte dell'esecutivo, legittimandone le prerogative legislative e dunque l'introduzione del contenuto neocorporativo nelle modifiche alla legislazione del lavoro; un passaggio centrale che ha costituito il terreno di praticabilità dell'alternanza. Una formula politica entro cui si è saldato un equilibrio politico-sindacale sull'asse DS-CGIL che ha consentito al sindacato di svolgere una funzione di sostegno al complesso delle scelte politiche di governo, fino all'aggressione alla Jugoslavia, per cui si è speso nel tentativo di legittimarla come "contingente necessità".
La crisi e il logoramento degli esecutivi di centro-sinistra, riconducibili alle contraddizioni indotte nei rapporti di classe da queste scelte antiproletarie e dagli squilibri che le stesse modifiche politico-istituzionali hanno determinato nelle relazioni tra i poteri, come pure dal permanere di un'insufficiente coesione e omogeneità nelle coalizioni, lasciano sul tappeto la necessità di dare organicità e ulteriore avanzamento alle trasformazioni operate, per dare superamento alla parzialità con cui erano potute procedere. La ricostruzione della capacità offensiva in grado di attaccare il cuore dello Stato, cioè il progetto centrale della borghesia, consente alle BR-PCC di intervenire dentro queste condizioni di scontro attaccando, in dialettica con i bisogni politici di classe, M. D'Antona, la figura garante del Patto di Natale, e con ciò ostacolando l'assestamento del progetto neocorporativo. Un danno che si ripercuote sulla tenuta della maggioranza, considerato come i suoi equilibri si fondassero sulla realizzazione di questo passaggio, a cui è riconducibile la crisi dell'esecutivo D'Alema.
Le elezioni legislative cadono in questo contesto politico contraddittorio nel quale si è consumata la perdita di consenso del centro-sinistra, contesto in cui si afferma la coalizione della CdL che si fa garante con la Confindustria dell'affrontamento contemporaneo e complessivo dei nodi irrisolti, con un programma di legislatura incentrato sull'ulteriore rafforzamento dell'esecutivo, sulle modifiche della forma-Stato in senso federale, sul consolidamento dell'alternanza e sulla ridefinizione delle relazioni neocorporative e della funzione della negoziazione neocorporativa. In questo contesto la riforma Biagi e la formula politica del "dialogo sociale", quale superamento della concertazione, espressione dell'ulteriore modifica dei rapporti politici e di forza tra le classi prodottasi negli anni '90, sono il traino del programma di governo: infatti i termini della ridefinizione della negoziazione propri al "dialogo sociale", riducendo il peso delle "parti sociali" (sindacato confederale), danno all'esecutivo un maggior ruolo sul piano decisionale, terreno questo da cui operare per la riduzione reale della rappresentanza sociale della classe, e più in generale queste riforme sono strettamente connesse alla praticabilità delle modifiche che introduce il federalismo, dove la riforma federale fornisce l'impalcatura istituzionale e costituzionale affinché i contenuti del "libro bianco" possano agire e dispiegarsi in tutto il loro portato antiproletario. In altri termini, le linee del libro bianco, in parte tradotte nei decreti attuativi, relativi alla flessibilità del mercato del lavoro e alle nuove regole di sfruttamento e di contrattazione, possono marciare perché si intende far valere il rapporto di forza locale e parziale rispetto a quella del proletariato sul piano nazionale, in base ai nuovi poteri regionali e delle amministrazioni locali, che hanno voce in capitolo sulla contrattazione, privatizzazione del welfare e delle risorse pubbliche. In sintesi, la praticabilità di queste riforme sta nel rapporto funzionale tra le linee del libro bianco e federalismo, in quanto esso ruota sulla frammentazione del potere contrattuale del proletariato nonché sulla massima competizione tra proletari, che favorisce la selezione della forza lavoro in base alla sua ricattabilità. Linee su cui la BI può ricavare i diversi saggi di sfruttamento locali funzionali alla competitività generale e, in ultima analisi, a premere per la demolizione del quadro dei diritti generali contenuti nel CCNL e nello Statuto dei Lavoratori. Un andamento a tappe forzate di questi piani di riforma in cui l'esecutivo si avvale delle maggiori prerogative decisionali date anche dall'aver fatto proprie ulteriori competenze parlamentari a partire dal piano legislativo, materia delle deleghe, per procedere nel disegno di quella complessiva riorganizzazione delle relazioni sociali basata sulla subordinazione strutturale della classe al capitale, che nelle intenzioni dovrebbe spegnere a monte il formarsi del conflitto. Se è vero che questa maggioranza ha usufruito della stabilità data dall'assestamento del modello dell'alternanza, si è anche dimostrato come ciò non sia garanzia dell'agibilità politica degli esecutivi, e dunque dei loro progetti e programmi. E questo perché la stabilità del modello di "democrazia governante" trova il suo limite nelle contraddizioni sollevate da un conflitto di classe in cui è tornata a pesare la sua rappresentanza rivoluzionaria, le BR-PCC, che con l'apertura del varco offensivo nella difensiva di classe, operato con l'iniziativa combattente del '99, ha pesato nella rideterminazione dei contenuti e della portata dell'opposizione di classe. In questo senso l'impermeabilizzazione del conflitto, che dovrebbe risultare dalla trasformazione della mediazione politica in senso neocorporativo dentro a quei passaggi che hanno ristretto sempre più la rappresentanza istituzionale di classe a livello sociale e politico, è tutt'altro che assoluta in rapporto allo scontro, e soprattutto non può celare tutta la vulnerabilità di questo modello a fronte dell'iniziativa offensiva che colpisce il cuore degli equilibri politici che garantiscono il progetto della BI. Una vulnerabilità rimarcata dall'attacco delle BR-PCC a Marco Biagi che, proprio perché ha colpito la figura perno intorno a cui la maggioranza di governo si saldava a sostegno del progetto del libro bianco, ha ostacolato sostanzialmente la sua praticabilità, piano da cui si è incrinata la funzionalità del dialogo sociale e dei soggetti coinvolti. Un attacco che, per la stretta dialettica con quanto maturato nella classe contro le linee riformatrici dell'esecutivo, ha dato rinnovato impulso alla sua resistenza rispetto ai contenuti del libro bianco, anche quando vengono surrettiziamente riproposti dentro la negoziazione di ogni rinnovo contrattuale, facendo di queste scadenze momenti di lotta generali.
Le ripercussioni politiche dell'attacco in termini di danneggiamento del progetto politico e per come questa iniziativa si è coniugata con i contenuti autonomi espressi dalla classe nello scontro, hanno investito non solo l'agibilità politica dell'esecutivo e la coesione della maggioranza, rallentandone le linee di programma, ma anche il ruolo dell'opposizione, attivizzata in prima persona rispetto al pericolo che l'opzione rivoluzionaria metta in risi il progetto neocorporativo e con esso la stabilizzazione dell'alternanza, quali pilastri della "democrazia governante" di cui queste forze per prime si sono fate carico nel loro posizionarsi sugli interessi ridefiniti della BI. Più in generale ne è investita l'intera soggettività politica della BI che vede indebolita la capacità di governo del conflitto e dell'economia, in quanto l'attacco allo Stato, nello spezzare la mediazione politica, interviene sull'asse di rafforzamento dello Stato e del potere della BI, aprendo il varco all'affermazione degli interessi politici e generali di classe, di contro al rapporto imposto dalla composizione corporativa delle contraddizioni, che ingabbia le istanze di classe quale modo per mantenere la subalternità politica del proletariato alla classe dominante. In ultima analisi, sono le implicazioni politiche che scaturiscono dalla direzione e dialettica che le BR-PCC costruiscono con la classe, a partire dall'attacco al cuore dello Stato, relativamente agli spazi che l'iniziativa offensiva apre alle istanze dell'autonomia di classe sul piano della costruzione di uno scontro di potere, a mettere a nudo i limiti propri a un "modello democratico" che poggia sulla riduzione degli interessi rappresentabili e mediabili avvenuta con il processo riformatore.
Proprio perché il neocorporativismo si è dimostrato fondamentale per rafforzare il dominio della BI consentendo il governo dell'economia e del conflitto a fronte dell'approfondimento della crisi economica, nonché per il ruolo che nelle relazioni neocorporative svolgono le parti sociali nell'affiancare lo Stato nella sua crisi di legittimazione, per l'erosione dei margini materiali di ricomposizione sociale delle contraddizioni, contrastarlo è l'unico modo per iniziare a modificare i rapporti di forza e sostenere la classe nello scontro con lo Stato e la BI, costruendo concretamente sul piano strategico della LA i termini politico-militari della prospettiva di potere: una linea di combattimento prioritaria che è il solo modo per affermare gli interessi generali di classe, collocandoli su un punto di forza di contro a relazioni neocorporative volte a frantumarli per selezionare quelli particolari e transitori da comporre sull'interesse generale della BI, quale piano che agisce materialmente sulle condizioni di classe, indebolendone le posizioni. Una linea di combattimento che sui criteri di centralità, selezione e calibramento ha danneggiato la prosecuzione lineare del progetto, in quanto ha colpito le figure perno degli equilibri politici che negli snodi salienti dello scontro hanno svolto un ruolo politico-operativo di garanti, ma anche di elaboratori delle linee legislative per la modifica del quadro normativo del lavoro. Proprio per il ruolo ricoperto da queste figure, le iniziative offensive del '99 e del 2002 hanno realizzato l'indebolimento dell'azione politica degli esecutivi, un risultato che qualifica il vantaggio politico ricavato dagli attacchi, che è stato tradotto sul terreno della costruzione delle forze sulla LA. Più precisamente, le BR-PCC, nell'esercizio di un movimento unitario e unico di direzione dello scontro e delle forze in campo, hanno tradotto questo vantaggio sulla linea di "costruzione delle forze per l'offensiva" propria dello Stadio Aggregativo, per estendere e dare continuità alla capacità offensiva al fine di stabilizzare l'organizzazione sul piano strategico. Linea di costruzione che nei termini di centralizzazione e decentralizzazione della disposizione delle forze nel combattimento ruota intorno alla selezione dei termini complessivi sul piano politico-programmatico idonei a strutturare il nucleo del soggetto organizzato che agisce da Partito per costruire il Partito, linea di costruzione connessa all'indirizzo della fase di Ricostruzione delle forze rivoluzionarie e proletarie per attrezzare politicamente, militarmente e organizzativamente la classe allo scontro prolungato con lo Stato e l'imperialismo. Più in generale, la qualificazione del vantaggio ricavato ha potuto irradiarsi fin da subito sulle relazioni classe/Stato, proletariato/borghesia, a partire dall'aver posto l'interesse generale di classe sul piano della guerra, dato politico che ha aperto lo spazio alle istanze dell'autonomia di classe, da lungo tempo latenti nell'ambito delle mobilitazioni proletarie, e reimmesso nello scontro il contenuto orientante inteso come punto di vista e prassi conseguente cui possono riferirsi le avanguardie di classe. Uno spazio politico che ha consentito il determinarsi di diversi livelli di dialettica nell'ambito proletario sia in generale, nelle manifestazioni possibili di consenso, sia nella disposizione delle avanguardie di classe, che hanno fatto proprio il terreno di scontro con lo Stato e l'imperialismo sulla discriminante della LA. Lo svilupparsi, a seguito dell'attacco a M. D'Antona, di iniziative offensive da parte di avanguardie rivoluzionarie che si sono dialettizzate esplicitamente con le indicazioni proposte dall'Organizzazione, e il più largo quadro delle avanguardie di classe che in vario modo si sono assunte il piano delle fratture soggettive per porsi sul terreno della LA, hanno determinato uno schieramento rivoluzionario da cui si sono realizzati percorsi di costruzione di un campo rivoluzionario reale che si confronta con lo Stato e l'imperialismo, questione rilevante per la rideterminazione delle posizioni di classe nello scontro, considerato come gli anni '90 siano stati segnati dalla svuotamento del movimento rivoluzionario e in special modo in relazione alla problematica della costruzione del Partito. Rispetto a questo nodo, le BR-PCC ribadiscono che se non c'è identificazione tra schieramento rivoluzionario e costruzione del Partito, perché quest'ultimo è un'organizzazione centralizzata e strutturata intorno a una Linea Politica e a un Programma politico-militare, e dunque non un'entità che si produce spontaneamente o risultante dalla mera condivisione di tesi politiche, allo stesso tempo dallo schieramento rivoluzionario si distingue il contributo possibile da parte di quelle avanguardie rivoluzionarie che, superando un generico allineamento, fanno proprio l'impianto teorico e strategico della LA per il Comunismo, nella coscienza di affrontare lo scontro di potere proprio a una guerra di classe di lunga durata, dando il proprio apporto all disarticolazione dei progetti della BI in un quadro di attività necessariamente centralizzato sull'indirizzo dato dall'Organizzazione. La dinamicizzazione dello scontro impressa dal rilancio dell'attività rivoluzionario delle BR-PCC, tangibile tanto a livello delle avanguardie di classe che si sono dialettizzate con il terreno della LA, che per il riflesso nel confronto politico tra le classi in rapporto all'offensiva della BI, fa testo della valenza politica della strategia della LA nello scontro di classe generale. Un contesto di scontro rispetto a cui per lo Stato si è riproposto il problema di non far coniugare la resistenza proletaria, che si è caratterizzata per il riemergere in più tratti delle sue istanze autonome, con la proposta delle BR. Sotto questa emergenza si è ridefinita la risposta controrivoluzionaria e antiproletaria dello Stato, finalizzata in primo luogo ad annientare la guerriglia e al contempo a far gravare sugli ambiti di classe una pressione politica tesa nelle sue varie forme a contenerne le spinte. Su questa emergenza si sono strette le forze politiche di entrambe le coalizioni e i sindacati confederali, uniti nell'intento di divaricare la classe dalla sua avanguardia comunista combattente. La linea comune è quella di criminalizzare qualunque espressione di classe che fuoriesca dal sempre più ristretto alveo di "compatibilità", perciò stigmatizzata come illegale e in quanto tale passibile di essere incriminata come "terroristica", e che ha toccato tanto il piano politico che i luoghi di lavoro, sostenuta in prima persona dai vertici della CGIL che hanno operato a tutto campo per diluire e spegnere la portata delle lotte.
Una linea comune, quella della criminalizzazione della resistenza proletaria, che è solo l'aspetto più evidente degli interventi necessari a divaricare le istanze di classe dalla proposta rivoluzionaria, in quanto questi nella sostanza devono ruotare sulla possibilità di ricondurre queste istanze sul piano istituzionale. Compito che in questo quadro politico è assunto in primo luogo dai sindacati, pur nella contraddittorietà di dover operare in relazione alla ridefinizione del loro ruolo nel "dialogo sociale", che vede la CGIL costretta a muoversi come una sorta di "sindacato di lotta" per contenere la resistenza proletaria in un alveo di compatibilità, la CISL oscillare rispetto alla linea propria al dialogo sociale di divisione del sindacato e riduzione della rappresentanza sociale in sede negoziale.
Sulle contraddizioni aperte dalla dinamicizzazione dello scontro prodotta dall'attività rivoluzionaria, si cala il modo di operare per forzature dell'esecutivo Berlusconi, nella necessità di rilanciare il suo programma riformatore secondo i tempi dettati dai bisogni della frazione dominante della BI, comuni a quella europea, ma che non coincidono con i tempi politici dettati dallo scontro rivoluzionario e di classe. In questa logica l'esecutivo ha creduto di poter sfruttare per un verso il conflitto a fuoco del 2 marzo amplificando la reale portata di questo episodio che rientra nelle perdite fisiologiche della guerriglia, e dunque poco significativo per lo stato del terreno rivoluzionario; per altro verso, sul piano delle dinamiche politiche di classe, di far leva sull'esito negativo del referendum sull'articolo 18. Un calcolo, questo, politicamente limitato in ragione del quadro generale di scontro che, seppure fortemente asimmetrico nei rapporti di forza e politici tra le classi a favore della BI, è segnato dal peso politico costituito dalla reimmissione del dato rivoluzionario, la cui portata è ciò che rende l'azione offensiva della politica riformatrice di questo esecutivo con i piedi d'argilla, mettendo a nudo la sua difficoltà a misurarsi con la necessità di mantenere separata l'istanza di classe dalla sua avanguardia rivoluzionaria. Il fatto che l'attività rivoluzionaria, condizionando l'agibilità degli esecutivi nella lineare concretizzazione dei programmi che incidono direttamente sulle condizioni di vita del proletariato, abbia un riflesso positivo nel costituire un punto di forza nella contrapposizione del proletariato allo Stato e alla BI, non significa che questo riflesso in positivo sia la finalità della LA, in quanto questa non ha per scopo il miglioramento delle condizioni materiali immediate del proletariato, ma persegue lo scopo di trasformare la lotta di classe in guerra di classe per abbattere lo Stato e conquistare il potere politico, operando concretamente per tradurre il vantaggio ottenuto dall'attacco allo Stato sul piano dello scontro per il potere. La LA cioè non può essere vista come una risposta difensiva agli attacchi della borghesia, a garanzia degli "spazi democratici", ma iniziativa di attacco per affermare gli interessi generali storici della classe; quello che in realtà si verifica nello scontro è un rapporto tra Stato e rivoluzione, cioè tra strategia politica e militare dello Stato per contrastare la guerriglia e sviluppo di uno scontro di potere che volge alla rideterminazione e approfondimento della contraddizione rivoluzione/controrivoluzione. Il vantaggio ricavato dall'iniziativa offensiva, nella dialettica che apre con il campo proletario, deve essere capitalizzato sul piano dell'organizzazione di classe sulla LA nel quadro della progettualità e degli obiettivi programmatici finalizzati a costruire le condizioni per lo sviluppo di un processo rivoluzionario impostato sull'unità del politico e del militare. Più precisamente, il vantaggio ricavato dall'attacco viene incanalato dall'Organizzazione sulla dinamica Attacco-Costruzione-Nuovo Attacco, sulla quale si articola l'attività rivoluzionaria in ogni fase e condizione dello scontro, dinamica le cui modalità di interrelazione tra i suoi termini rispondono ai caratteri e agli obiettivi della fase rivoluzionaria. E' proprio nella traduzione di quanto ricavato dall'attacco sul piano della costruzione e disposizione delle forze a livello politico-militare, organizzativo adeguato e necessario a rilanciare l'iniziativa offensiva a un nuovo livello, che il soggetto organizzato che agisce da Partito per costruire il Partito opera alla trasformazione delle condizioni dello scontro, costruendo in esso i termini politico-militari per volgerlo a favore del campo proletario in senso politico e strategico, quale terreno per far uscire la classe dalla difensiva. Una prospettiva che, tutt'altro dall'essere astratta o improponibile, poggia, qui ed ora, sul ruolo della soggettività rivoluzionaria per la centralità della sua azione nella trasformazione dello scontro in senso rivoluzionario. Un dato politico che emerge con forza dal rilancio della strategia della LA nell'attuale quadro di scontro, proprio in rapporto alla difensiva di classe e all'offensiva degli esecutivi. Un ruolo centrale, quello della soggettività rivoluzionaria, che da sempre appartiene alla concezione d'avanguardia dei comunisti, e tanto più vero con l'evoluzione del rapporto Stato/rivoluzione nell'attuale fase dell'imperialismo che ha posto condizioni nello scontro che hanno evidenziato l'aumentato peso della soggettività, sia per parte borghese che per parte proletaria. Per parte della BI, la sua soggettività politica ha evidenziato il suo maggior ruolo nell'aver sviluppato, a partire dal rapporto maturato tra Stato e rivoluzione, forme di dominio imperniate su una controrivoluzione preventiva che assorbe il conflitto e lo depura dall'istanza di autonomia suscettibile di coniugarsi al piano rivoluzionario, ciò all'interno di assetti politico-istituzionali entro cui il conflitto viene imbrigliato e depotenziato, togliendo peso e incisività a quelle istanze di classe che pur perseguendo obiettivi rivoluzionari si esprimono sul solo piano politico, perché in questo sistema politico o sono assorbite dal piano istituzionale, o sono destinate a essere marginali. Un'opera di neutralizzazione del pericolo rivoluzionario che si avvale dell'intervento costante dello Stato là dove si verifica la politicizzazione dello scontro, per riportarlo a un grado di compatibilità, accerchiando e reprimendo le sue espressioni autonome. In queste condizioni la crisi rivoluzionaria non può venire a maturazione come prodotto spontaneo della crisi della borghesia e dell'insufficienza delle condizioni e degli strumenti atti a ricomporre le contraddizioni antagoniste, tanto più che il dominio della BI è stabilizzato dalle relazioni integrate e gerarchiche della catena.
Per queste ragioni, per parte proletaria, la soggettività rivoluzionaria ha assunto maggior peso nello scontro per perseguire gli interessi di classe, in quanto spetta alla prassi rivoluzionaria agire e promuovere lo scontro rivoluzionario, non potendo ripresentarsi quelle condizioni oggettive che nella fase storica passata erano attese come precondizione per iniziare il processo rivoluzionario. E questo in base al fatto che l'avanguardia rivoluzionaria, nell'adeguare storicamente la strategia per la conquista del potere all'evoluzione delle forme di dominio, ha potuto portare il confronto sul piano adeguato a rendere irricomponibili le contraddizioni antagoniste, cioè assumendo nella sua impostazione strategica il piano della guerra, che già vive nello scontro di classe, quale solo modo di rompere il meccanismo paralizzante della mediazione politica proprio alle democrazie rappresentative contemporanee. In altri termini l'incisività della prassi combattente nei rapporti politici e di forza fra le classi fa sì che la soggettività rivoluzionaria sia il fattore primo in grado di innescare i termini di sviluppo dello scontro rivoluzionario, organizzando nell'unità del politico e del militare le avanguardie di classe che si dialettizzano col piano rivoluzionario, una prassi che essendo il motore della trasformazione dello scontro in senso rivoluzionario è ciò che stabilisce il terreno su cui si afferma l'autonomia politica di classe e possono svilupparsi i caratteri di un vero e proprio movimento rivoluzionario. E questo in quanto l'autonomia politica di classe non è un prodotto spontaneo dello scontro, ma si afferma essenzialmente come prodotto politico dell'attività rivoluzionaria, e ciò significa che sul piano storico lo sviluppo dell'autonomia politica di classe soggettivamente attrezzata per affrontare la guerra di classe, affermandosi come classe rivoluzionaria in grado di conquistare il potere politico, si dà solo sul terreno determinato dalla prassi rivoluzionaria d'avanguardia che, attaccando lo Stato, la dirige e la organizza nello scontro di potere.
L'esito del rapporto rivoluzione/controrivoluzione nel centro imperialista, che ha visto attestare la dinamica controrivoluzionaria nello scontro e ridimensionare il ruolo della strategia della LA, fa emergere il tutta evidenza le leggi che presiedono l'andamento dello scontro rivoluzionario in un paese capitalisticamente avanzato. L'insegnamento principale che se ne trae è che lo Stato, nell'impattare la guerriglia, ha sviluppato metodi e pratiche interni a una strategia politico-militare che investe tutti i soggetti dello scontro, verificati come quelli in grado di contrastare il processo rivoluzionario, in alcuni casi di bloccarlo o, come in Italia, di determinare una discontinuità del percorso. Un insegnamento che arricchisce il significato dell'andamento non lineare di un processo rivoluzionario di lunga durata che, se per sua stessa definizione è fatto di avanzate e ritirate, può anche comprendere la possibilità di un blocco o di una discontinuità, quale dato maturato nel rapporto rivoluzione/controrivoluzione, un dato che quindi va considerato come un fattore interno all'andamento dello scontro rivoluzionario con cui la soggettività rivoluzionaria può e deve misurarsi, e che di per sé non costituisce impedimento alla possibilità di continuare a sviluppare il processo rivoluzionario. Si è dimostrato cioè che l'avanguardia rivoluzionaria, assumendo il piano strategico della LA e i suoi termini politico-programmatici, può avviare il processo rivoluzionario anche a fronte di un blocco o di una discontinuità, costruendo l'iniziativa offensiva che opera nello scontro alla ricostruzione di tutti i fattori danneggiati e dispersi dalla controrivoluzione, mentre costruisce sé stessa come soggetto organizzato che si struttura come il nucleo di direzione che agisce da Partito per costruire il Partito. Un'assunzione di compiti sul piano soggettivo che, in base al principio offensivo della guerriglia, può avviare e rilanciare il processo rivoluzionario anche in una fase di difensiva di classe e di arretramento delle posizione rivoluzionarie. Questo per la maturità raggiunta dalla strategia della LA, che rende adeguata la prassi dell'avanguardia rivoluzionaria anche ben dentro le condizioni di scontro approfondite dalla controrivoluzione, comuni nei paesi imperialisti, specificatamente in Europa, in base a cui l'avvio e il rilancio dell'iniziativa rivoluzionaria, tutt'altro dall'essere un empirico procedere, o un inizio da zero, si colloca in rapporto al livello di scontro che si è definito tra rivoluzione e controrivoluzione, avendo come base di forza il patrimonio fatto avanzare dalla guerriglia nella sua prassi rivoluzionaria. Infatti in Italia la soggettività rivoluzionaria di classe ha rilanciato la strategia della LA negli anni '90 definendo la sua progettualità sulla valutazione della contraddizione rivoluzione/controrivoluzione, approfondita per parte rivoluzionaria nei termini di un avanzamento strategico conseguito con il riadeguamento operato nella Ritirata Strategica (RS), ma anche sulla valutazione dei rapporti di scontro entro cui il consolidamento della dinamica controrivoluzionaria ha determinato la difensiva di classe e la discontinuità del percorso rivoluzionario. In base a ciò ha impostato l'avvio della costruzione dell'iniziativa offensiva sulla linea della strategia della LA, avvalendosi del patrimonio comunista in generale e specificatamente delle BR nei suoi termini più avanzati, quale leva in un rapporto di continuità-critica-sviluppo per definire progettualità politico-organizzativa, compiti e modalità per far avanzare complessivamente la fase di Ricostruzione delle forze rivoluzionarie e proletarie. Questo ha connotato fin da subito l'agire dell'avanguardia rivoluzionaria che si è misurata già come NCC con i nodi centrali di scontro, e che perciò ha potuto innescare le condizioni per la trasformazione del piano di scontro a partire dalla costruzione della capacità offensiva in grado di ridare forza alla prospettiva strategica, portando l'attacco al cuore dello Stato. Quello che la prassi delle BR-PCC ha riportato all'ordine del giorno è il significato dell'aumentato peso della soggettività rivoluzionaria nello scontro, un nodo dirimente per le avanguardie di classe che vogliono porsi sul terreno rivoluzionario, considerato il contesto massimamente sfavorevole, cioè avendo presente che nella situazione dell'oggi il rilancio della strategia della LA non si avvale dell'esistenza di un movimento rivoluzionario, in quanto la classe non è disposta in termini di scontro per il potere. Questione che richiede la piena comprensione del rilievo storico che ha l'assunzione soggettiva dei compiti rivoluzionari propri allo svolgimento di una guerra di classe, data la centralità di questa assunzione nel modificare il terreno di scontro per volgerlo a favore del campo proletario. Una centralità che è tale per l'adeguatezza della strategia della LA ad incidere nei rapporti di forza tra le classi, in qualsiasi condizione si presenti lo scontro rivoluzionario, al di là dell'esistenza a meno di fattori favorevoli.
E se è vero che negli anni '70 l'apertura del processo rivoluzionario da parte delle BR si è avvalsa di condizioni di scontro peculiari connotate da un ciclo di lotte offensive che alludeva alla richiesta di potere, come pure di una forma di dominio della BI ancora non completamente evoluta, queste condizioni peculiari non vanno intese come la precondizione alla praticabilità del processo rivoluzionario. Semmai va precisato che, proprio perché la progettualità proposta alla classe è adeguata ad impattare lo scontro nella metropoli, in quanto prodotto soggettivo dell'avanguardia rivoluzionaria in termini di risoluzione pratico-teorica del nodo del potere, ha potuto dare sbocco politico e strategico alle istanze di classe degli anni '70. Ed è la prassi sviluppata dalle BR ad aver connotato in quegli anni lo scontro sul piano del potere, in base a cui si è affermato lo stesso movimento rivoluzionario sulla discriminante della LA. Questo il processo storico reale entro cui si è radicata la proposta strategica della LA alla classe, le cui peculiarità iniziali sono peraltro irripetibili per il modificarsi e l'approfondirsi della contraddizione rivoluzione/controrivoluzione. In ultima analisi la presa di coscienza del maggiore ruolo che occupa l'avanguardia rivoluzionaria nello scontro, richiede di sgomberare il campo dalla mitizzazione degli anni '70, che relega a quel periodo la praticabilità dello scontro rivoluzionario, anche perché trasforma la strategia della LA, e il ruolo di direzione della soggettività rivoluzionaria che la conduce, a mero prolungamento dei cicli di lotta, dunque a braccio armato delle mobilitazioni di classe. Il ruolo di direzione svolto dalle BR ha espresso i suoi caratteri di adeguatezza in stretta relazione all'affrontamento dei nodi problematici che di volta in volta si sono presentati nell'andamento dello scontro, connessi alla contraddizione rivoluzione/controrivoluzione. In questo senso i passaggi salienti che hanno segnato e segnano l'evolvere del processo rivoluzionario concretizzano i salti politici di qualificazione dell'agire da Partito delle BR. L'esperienza tra il '79 e l'80 resta un passaggio fondamentale circa gli insegnamenti che le BR hanno tratto sul piano della direzione rivoluzionaria relativa a una guerra di classe. Si reputava che, allora, erano giunte a maturazione le condizioni politico-militari e di organizzazione delle forze sulla LA per il salto al Partito, come prodotto dell'assolvimento dei compiti della fase di Propaganda Armata. Questo a partire dallo sviluppo della capacità offensiva verso l'attacco al cuore dello Stato, quale presupposto per sostanziare al livello adeguato l'agire da Partito per costruire il Partito, in rapporto cioè allo sviluppo delle campagne di disarticolazione su cui le BR avevano potuto organizzare le istanze di autonomia di classe e del movimento rivoluzionario disposte sulla LA, sul piano di uno scontro di potere rispetto a cui si era effettivamente determinata la difensiva dello Stato e della BI. Sull'obiettivo del salto al Partito le BR avevano posto all'ordine del giorno la questione dell'unità dei comunisti, precisando come questa non poteva essere intesa come processo federativo delle formazioni comuniste combattenti, ma come assunzione dell'impianto strategico, politico, programmatico e organizzativo su cui impostare la direzione dello scontro nel passaggio dalla Propaganda Armata verso la guerra civile dispiegata. A questo passaggio si oppone il prepararsi della controffensiva dello Stato contro le OCC, in particolare le BR, e il movimento rivoluzionario e di classe, nella necessità di rompere l'accerchiamento rivoluzionario, ma anche per far fronte a cambiamenti generali determinati dalla crisi economica, rispetto a cui premeva la BI. Una crisi di accumulazione che investiva tutto il mondo capitalistico e che per la BI in Italia significava dar luogo a ristrutturazioni produttive impraticabili senza una drastica "pacificazione". Al salto al Partito si oppone anche, sul piano propriamente rivoluzionario, l'impostazione verso la transizione alla guerra civile dispiegata che, essendo informata dalla concezione lineare dello sviluppo, del processo rivoluzionario e dello scontro, impediva di cogliere la portata dei cambiamenti generali di fase che si profilavano. Da qui l'inadeguatezza a confrontarsi con il mutamento in atto nella contraddizione rivoluzione/controrivoluzione ad opera dell'iniziativa controrivoluzionaria dello Stato. A questo quadro di contraddizioni si aggiungono le spinte economiciste e soggettiviste, nonché di diluizione della concezione della direzione dello scontro, quale portato della visione di sviluppo del contropotere in termini di estensione progressiva dell'organizzazione rivoluzionaria di classe, corollario della visione linearista. Limiti di giovinezza politica che nel rapporto con la controrivoluzione sboccheranno nel frazionismo. In questo contesto quella parte dell'Organizzazione che affronta queste problematiche tenendo ferma l'impostazione strategica, grazie a cui ridà centralità al ruolo del Partito, dello Stato e della classe operaia, si seleziona come la direzione adeguata. a far avanzare il processo rivoluzionario, un passaggio contrassegnato dal mutamento della denominazione in Brigate Rosse per la Costruzione del Partito Comunista Combattente.
Sono proprio i termini che la controffensiva imprime alla contraddizione rivoluzione/controrivoluzione il terreno da cui le BR-PCC, in base ai primi elementi di ricentramento, sono in grado di aprire la fase di Ritirata Strategica come ristabilimento dell'aderenza del piano della fase rivoluzionaria al piano dello scontro, quale presupposto per svolgere il ruolo di direzione che esso necessitava. Una scelta che ha consentito di precisare la condotta adeguata per la manovra di ripiegamento generale atta a preservare le forze, rilanciare l'offensiva contro lo Stato e l'imperialismo e operare il riadeguamento necessario; in questo modo le BR-PCC hanno mantenuto aperto lo scontro rivoluzionario ed operato il riadeguamento atto a superare le contraddizioni emerse nel rapporto rivoluzione/controrivoluzione. Riadeguamento complessivo che occupa il periodo iniziale della RS fino all'apertura della fase di Ricostruzione che ne concretizza gli sviluppi, e che si dà a partire dall'iniziativa offensiva per misurarsi con i progetti dello Stato e le politiche dell'imperialismo, in un quadro che richiedeva di sapersi relazionare ai processi che investivano lo Stato, imperniati sull'esecutivizzazione e miranti alla rifunzionalizzazione dei poteri. Una riforma dello Stato che in linea generale doveva rispondere alle esigenze del governo della crisi e del conflitto nel delinearsi di linee economiche tese a restituire competitività al capitale monopolistico a seguito del rideterminarsi della concorrenza e dell'accumulazione a livello internazionale, e a stare dentro ai passaggi dell'integrazione europea allora in corso, volti all'armonizzazione dei parametri economici degli Stati quale presupposto dell'unificazione dell'area europea; ma principalmente questa riforma è stata la risposta complessiva della soggettività politica della BI allo scontro rivoluzionario e di classe, sulla base dell'attestazione dei termini del rapporto tra Stato e rivoluzione in quel momento. In questo senso il piano relativo al rafforzamento dello Stato investe per intero la soggettività politica della BI, che affronta questo nodo facendo leva sugli esiti della controffensiva alla guerriglia entro cui si dà il primo riposizionamento delle forze politiche e sindacali intorno all'interesse della BI che, sulla base del ridimensionamento delle posizioni di classe, sono relativamente più svincolate nel sostenere i processi di esecutivizzazione degli anni '80, nel cui quadro possono essere praticati i Patti sociali dell'83 e dell'84 che introducono l'avocazione al vertice delle relazioni negoziali riferite alla gestione delle relazioni industriali e ai primi ridimensionamenti del welfare. In sintesi questo passaggio, che ha il suo punto di arrivo nel progetto demitiano di rifunzionalizzazione dei poteri è la risposta complessiva dello Stato al governo delle contraddizioni dello scontro rivoluzionario e di classe per come l'attività delle BR l'aveva connotato, come pure al quadro di problematiche poste dall'acutizzarsi della crisi della BI, problematiche che per essere affrontate prospettavano la trasformazione delle relazioni complessive tra le classi in un contesto che già evidenziava i segnali di crisi della mediazione politica. Crisi originata dalla messa in discussione dell'insieme dei fattori su cui essa si fonda, in un processo concreto che è partito dalla progressiva crisi del ruolo economico dello Stato, per come si era definito dal dopoguerra nella fase economica espansiva. L'esaurirsi di questa fase erodeva i margini economici su cui i partiti potevano svolgere il loro ruolo nel quadro di un sistema parlamentarista a massima rappresentatività, sistema che proprio per questa peculiarità ha potuto assolvere al suo ruolo controrivoluzionario rispetto ad uno scontro di classe segnato dalla LA. Le modifiche volte alla rifunzionalizzazione dei poteri dello Stato, proprio perché rispondenti prioritariamente alle necessità di governare il conflitto e la crisi economica, sono l'aspetto dominante della contraddizione classe/Stato in quegli anni e dunque i progetti che concretizzano questo indirizzo sono l'asse di intervento delle BR-PCC, in base a cui svolgono il loro ruolo d'avanguardia nel rapporto con lo scontro generale. Le iniziative offensive contro Giugni, Tarantelli e Ruffilli hanno costituito, anche dentro l'arretramento delle posizioni rivoluzionarie e proletarie, l'ostacolo sostanziale a questa linea controrivoluzionaria e antiproletaria, baluardo della resistenza proletaria in quegli anni. Un confronto in cui le BR-PCC hanno potuto meglio precisare l'analisi dello Stato in rapporto alla crisi della borghesia e all'evolvere del conflitto, cogliendo più in profondità i caratteri della democrazia matura per come andavano a evolversi anche in Italia, e rispetto a cui si precisano i criteri dell'attacco al cuore dello Stato, vale a dire di centralità, relativo all'individuazione del progetto centrale della BI e agli equilibri politici che lo sostengono e, all'interno di questi, di selezione che ne individua la figura perno in grado di saldare le forze politiche sul progetto, e questo sul criterio di calibramento dell'attacco, rispetto allo stato dei rapporti di forza interni e internazionali, nonché allo stato delle forze rivoluzionarie e proletarie e alla loro disposizione sulla LA. Criteri che consentono il massimo della incisività dell'attacco a partire dal quale l'Organizzazione esplica il suo ruolo di direzione sul principio di centralizzazione e decentralizzazione rispetto a cui dispone e mobilita le forme come un cuneo sul combattimento, e ottimizza l'efficacia politica dell'iniziativa offensiva nei confronti dello Stato. Questo complesso quadro di scontro, in cui la ridefinizione dei rapporti tra le classi è perseguita con i progetti di riforma delle istituzioni e poteri dello Stato, entro cui la soggettività politica della BI incorpora il portato della controrivoluzione degli anni '80, è il piano di confronto su cui le BR-PCC definiscono la progettualità adeguata ad affrontarlo e da cui poter assolvere al ruolo di direzione richiesto dal livello dello scontro rivoluzionario e di classe, tenendo conto del grado di dispersione delle forze e degli strumenti rivoluzionari provocato dalla controrivoluzione, che ha investito anche gli ambiti delle avanguardie di classe, come pure tenendo conto di quanto imparato in merito alle dinamiche che si riversano sulle forze rivoluzionarie a seguito di una controffensiva e di un rovescio. Dinamiche immanenti alle leggi della guerra che si manifestano nella demoralizzazione delle forze e nella tendenza a sottrarsi alle condizioni di scontro rideterminate dalla controrivoluzione e che politicamente sfociano in quegli atteggiamenti difensivistici che ostacolano la riqualificazione dell'azione rivoluzionaria, inficiando il potenziale offensivo della guerriglia. In concreto gli effetti in negativo propriamente militari che si producono quando si subisce un rovescio, per la guerriglia si riversano immediatamente sulla capacità politica di essere propositivi per dare risoluzione alla condizione conseguente al rovescio stesso, comportando uno sbandamento politico che tende a sopravvalutare la forza e pervasività del nemico, mentre porta a sminuire il potenziale della capacità offensiva che può essere messa in campo. In sintesi il difensivismo porta ad inquadrare il lavoro rivoluzionario nella dimensione del possibile e non a ciò che è politicamente necessario rispetto al livello dello scontro, riducendo a organizzativismo i problemi politici da affrontare, e di conseguenza svilendo il ruolo di direzione dell'OCC. Dinamiche che in generale sono proprie alle fasi di arretramento e che perciò sono emerse nella RS quale elemento di contraddizione con cui l'Organizzazione si è misurata nella prassi, imparando a individuarle e a padroneggiarne gli effetti, come dimostra l'impostazione data alla fase di Ricostruzione delle forze rivoluzionarie e proletarie, sintesi di tutti gli insegnamenti del riadeguamento, da cui scaturiscono i termini della stessa riqualificazione del ruolo di direzione, dentro al compito centrale di ricostruire e ristrutturare le istanze dirigenti dell'Organizzazione, per arrivare alla ricostituzione della Direzione Strategica, esigendo lo scontro la formazione di quadri d'Organizzazione come militanti complessivi in grado, anche nelle condizioni più difficili, di agire da Organizzazione. Un piano di lavoro, quello della formazione, che non può darsi separatamente dalla più generale attività nella fase; da qui il connotarsi della contraddizione costruzione/formazione che presiede lo sviluppo stesso della fase di Ricostruzione e che, per l'approfondirsi della contraddizione rivoluzione/controrivoluzione, viene ad assumere carattere storico.
Un riadeguamento complessivo al quadro di scontro da cui le BR-PCC precisano la linea politico-programmatica si cui indirizzare il combattimento, sia in riferimento all'attacco allo Stato, relativamente alla rifunzionalizzazione dei suoi poteri, che all'attacco alle politiche centrali dell'imperialismo, entro cui è affrontato il nodo della costruzione del FCA, linea politico-programmatica che sintetizza l'agire da Partito per costruire il Partito adeguato a quelle condizioni. L'avanzamento strategico conseguito dal riadeguamento nella RS costituisce il tratto distintivo dello scontro rivoluzionario, nonostante che le operazioni antiguerriglia '88-'89 abbiano inciso sul lineare avanzamento della fase di Ricostruzione, sia nei termini della costruzione derivabile dall'attacco a Ruffilli, sia nei termini di continuità dell'attacco allo Stato. Al contempo, tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90, si verifica il precipitare critico dei mutamenti generali che avevano investito la fase economica, con conseguente crisi del ruolo economico dello Stato e difficoltà della sua ridefinizione per le implicazioni dirette nei rapporti tra le classi, in primo luogo per la necessità di mantenere separato il piano del conflitto dalla proposta rivoluzionaria, rilanciata dall'Organizzazione con l'iniziativa Ruffilli, elementi che avevano fortemente condizionato la possibilità di praticare le ristrutturazioni economico-sociali, pur urgenti. Al contempo si verifica il mutamento storico degli equilibri internazionali per la caduta del Patto di Varsavia, a causa della controrivoluzione imperialista, col suo riflesso immediato nel rafforzamento delle posizioni della Nato. Crollo che se da un lato apre all'inglobamento dei paesi dell'Est al modo di produzione capitalistico, dall'altro acutizza e accelera le tendenze capitalistiche proprie all'internazionalizzazione e alla formazione monopolistica. Dinamica che dandosi nel quadro non espansivo dell'economia capitalistica, approfondisce tutti i fattori di crisi, la cui risposta in termini di sviluppo del capitale ruota principalmente sull'innalzamento dell'estrazione di plusvalore relativo, dato dall'aumento di capitale costante (che genera disoccupazione e precarizzazione del lavoro in termini strutturali), contestualmente alla delocalizzazione dei segmenti produttivi che si basano sull'alto impiego di forza-lavoro là dove questa è a basso costo; controtendenze da cui scaturiscono gli ulteriori processi di centralizzazione e concentrazione monopolistica sul piano internazionale. L'esito della controrivoluzione verso Est, coniugandosi a quello attestato contro la strategia della LA nel centro imperialista, inizia a riversarsi sulle relazioni complessive tra le classi consentendo alla BI e alla sua soggettività politica di assumere una posizione offensiva contro il proletariato, quale prerequisito per dispiegare le ristrutturazioni economico-sociali. Se dunque il riversarsi del duplice processo controrivoluzionario nello scontro fa sì che delle normali operazioni antiguerriglia si traducano in discontinuità del percorso rivoluzionario, e la classe sia spinta sulla difensiva, al contempo queste nuove condizioni costituiscono il terreno di confronto per la soggettività rivoluzionaria di classe che si assume il rilancio del processo rivoluzionario dando continuità alla fase di Ricostruzione, misurandosi cioè con uno scontro dominato dalla crisi e trasformazione della mediazione politica storica in senso neocorporativo, che va ad incorporare quanto assestato nelle relazioni tra le classi a partire dalla controrivoluzione, e dalle necessità poste dalla crisi economica, processo da cui dipende il rafforzamento del potere della BI nel senso della "democrazia governante". La soggettività rivoluzionaria ha potuto esercitare il suo ruolo d'avanguardia forte dell'indirizzo strategico sulla LA nell'approccio complessivo ai compiti rivoluzionari: compiti che prima di tutto hanno richiesto di valutare lo stato della fase di Ricostruzione delle forze rivoluzionarie e proletarie e di integrarne il corso con cui lo Stadio Aggregativo, tratto di fase che specifica la necessità di costruire l'OCC nel quadro più generale della fase rivoluzionaria. Un dato centrale questo che caratterizza l'agire dell'avanguardia rivoluzionaria come NCC che, nell'affrontare il nodo classe/Stato e quello imperialismo/antimperialismo, ha operato il processo di avvio dell'attività rivoluzionaria, e che ha un preciso significato contestualizzato storicamente per essere avvio della costruzione della capacità offensiva atta a dare ogni volta risoluzione alla discontinuità di attacco allo Stato, fintantoché non si stabilizzano nello scontro le condizioni della sua continuazione, mentre il soggetto organizzato che la pratica costruisce e forma sé stesso come nucleo che si struttura come OCC.
Stanti questi caratteri del terreno rivoluzionario, la contraddizione costruzione/formazione va a risoluzione affrontando contemporaneamente i livelli di costruzione presenti sul terreno rivoluzionario, intorno alla formazione dei ruoli militanti complessivi in modo che questi sappiano operare i diversi piani di costruzione che derivano dall'attacco, relativi ad organizzare la classe sulla LA. Questa progettualità complessiva sta alla base del rilancio della capacità offensiva al livello dell'attacco al cuore dello Stato, cioè quella necessaria ad impattare il suo progetto centrale e, sul vantaggio acquisito, articolare i diversi piani di costruzione implicati nello Stadio Aggregativo. In questo modo l'avanguardia rivoluzionaria ha potuto esercitare come BR-PCC un livello di direzione, in un movimento unitario e unico, altamente funzionale ad incidere in termini di indirizzo, orientamento e piani di costruzione, riverberato sull'intero campo proletario, in specifico sull'ambito delle avanguardie di classe che si dialettizzano con la proposta della LA. La progettualità insita nelle iniziative offensive del '99 e 2002 è il terreno da cui ristrette avanguardie hanno potuto svolgere un ruolo di direzione massimamente efficace in un contesto rivoluzionario segnato dalla discontinuità, affrontando e risolvendo le contraddizioni dello scontro rivoluzionario e in particolare dando risposta al bisogno politico delle avanguardie di classe di aprire una breccia nell'ingabbiamento della mediazione politica neocorporativa sulle istanze dell'autonomia di classe. In sintesi, le ristrette avanguardie che in continuità-critica-sviluppo col patrimonio hanno potuto incidere nello scontro come BR-PCC, hanno dato proseguimento su termini più avanzati alla fase di Ricostruzione, operando sull'indirizzo proprio dello Stadio Aggregativo di costruzione delle forze per l'offensiva, della loro stabilizzazione ed estensione, indirizzo che continua ad essere il terreno su cui operano le BR-PCC con la finalità di produrre un punto di equilibrio più avanzato rispetto al piano di attacco e costruzione realizzato con le iniziative offensive del 1999 e del 2002.
Il raggiungimento di questo punto di equilibrio si misura con la contraddizione tra l'operare sui termini dettati dallo Stadio Aggregativo e la condizione generale dello scontro rivoluzionario e di classe segnata da quelle pratiche di controrivoluzione verificate e affermate dallo Stato come quelle idonee a contrastare la guerriglia e a bloccare il processo rivoluzionario, e da uno stato della classe gravato dai termini di una mediazione politica neocorporativa che circoscrive il conflitto premendo offensivamente sull'espressione dell'autonomia di classe, per sospingerne indietro le posizioni. Nell'ottica di spostare in avanti il punto di equilibrio dello scontro rivoluzionario, le BR-PCC tengono conto dello stato politico del campo proletario e delle sue avanguardie, in rapporto all'impoverimento politico determinatosi nella difensiva in cui la classe è stata spinta dalle politiche offensive della BI negli anni '90, in cui hanno riguadagnato spazio le posizioni riformiste e neorevisioniste, come pure si sono ripresentate opzioni politiche di classe di stampo insurrezionalista. In concreto ciò significa che la prassi combattente delle BR-PCC oggi si svolge in un contesto in cui il conflitto di classe non domina lo scontro per il potere, questo come esito indotto dalla controrivoluzione e per altro verso dalla discontinuità del percorso rivoluzionario, con il venir meno dell'iniziativa combattente capace di disporre e orientare le avanguardie di classe sul terreno della LA. Di conseguenza, se il riferimento alla strategia della LA resta saldo nella classe per la centralità conquistata dalle BR nella storia del proletariato italiano, ne risultano impoverite le motivazioni, come pure le cognizioni generali di conduzione e sviluppo del processo rivoluzionario. In tale contesto le avanguardie di classe e il proletariato portano avanti una lotta di resistenza in una situazione in cui tutto nega la praticabilità dell'ipotesi rivoluzionaria, e cioè la possibilità di disporsi nello scontro in termini offensivi, che in concreto significa assumere il piano della guerra, piano che è l'essenza della strategia della LA, elemento di rottura storica in quanto adeguamento della pratica proletaria alle forme di dominio contemporanee della BI. Il punto è che la sostanza di guerra del conflitto è celata alla classe dalle forme politiche in cui lo Stato mantiene strutturalmente subalterno il proletariato: una sostanza che lo Stato, possedendo il monopolio della violenza, assume esplicitamente ogni volta che il conflitto fuoriesce dai canoni di compatibilità, e che nella fase attuale è fatta vivere dentro l'offensiva della BI sulla classe, alimentata come non mai dalla crisi di dominio dell'imperialismo, come dimostrano le misure dispiegate dopo l'11 settembre, in termini di una controrivoluzione intrinsecamente legata ai processi in atto della "guerra infinita" lanciata dall'imperialismo USA contro i paesi politicamente indipendenti e le Forze Rivoluzionarie di classe e di popolo. Misure che attraversano e unificano gli interventi controrivoluzionari di ogni Stato imperialista, e si dispiegano anche contro il proletariato e le sue avanguardie, come fa testo la legislazione USA ed Europea sul "terrorismo", ecc. In ultima analisi, essendo la forma politica di governo del conflitto, che permea la vita politica e sociale del proletariato, il terreno elettivo per la sua sottomissione, l'assunzione soggettiva del terreno della guerra è ciò che consente di sottrarsi a questa subalternità, portando lo scontro con lo Stato e la BI sul terreno offensiva adeguato a condurlo e a vincerlo. In relazione a questa situazione di scontro le BR-PCC, nel creare con l'attacco le condizioni politiche su cui si concretizza la costruzione adeguata a trasformare le avanguardie di classe in avanguardie rivoluzionarie, operano per fornire gli strumenti teorici, politici, organizzativi, militari e di cognizione della strategia della LA atti a favorire le fratture soggettive, individuando questo come uno specifico terreno di lavoro nel quadro della delimitazione dei compiti propri a questa fase in cui non domina la guerra di classe. D'altra parte l'assunzione del terreno della LA implica per le avanguardie di classe una frattura soggettiva ben più profonda e complessa di quella che investe una militanza in difesa delle proprie condizioni, nonché la pur complessa militanza politica. E questo perché la LA implica un mutamento globale dal punto di vista politico di cui è investita totalmente la soggettività d'avanguardia, in quanto si tratta di assumere il piano del rapporto di guerra con lo Stato e la BI nel quadro di un processo rivoluzionario teso a tradurre lo scontro di classe in guerra di classe, in cui l'avanguardia rivoluzionaria fa vivere fenomenicamente e sostanzialmente la natura di guerra del conflitto. A questo fine è fondamentale appropriarsi nella prassi dei termini dell'impianto strategico, nonché degli insegnamenti ricavati dall'esperienza sul piano della conduzione della guerra di classe, come pure della collocazione storica dello sviluppo della politica proletaria per la conquista del potere politico, quale cognizione che consolida sul piano storico la fondatezza della strategia della LA, la cui adeguatezza alle forme di dominio dell'imperialismo si situa come sbocco ai passaggi storici del rapporto tra Stato e rivoluzione, che hanno visto da un lato il proletariato, tramite la sua avanguardia rivoluzionaria, mettere in campo i tentativi e le strategie per la conquista del potere, e dall'altro la borghesia, tramite la sua soggettività politica, fronteggiare questo pericolo con livelli di controrivoluzione che hanno rispecchiato lo sviluppo politico ed economico del capitalismo. Un rapporto, quello tra classe e Stato, proletariato e borghesia, che è fin dalle sue origini, nella sua sostanza, un rapporto di guerra, il cui corso ha seguito le leggi che la governano, secondo il principio che la guerra è la continuazione della politica. Chiave di lettura rivoluzionaria che rimette con i piedi per terra la dinamica reale di un conflitto che vede dominare l'aspetto politico in quanto funzionale per la borghesia a condurre nel modo più opportuno la guerra di classe, al fine di impedire al proletariato di organizzarsi nel modo più adeguato per conquistare il potere. La peculiarità della guerra di classe, caratterizzata per il proletariato dall'obiettivo della conquista del potere, e per la borghesia da quello del suo mantenimento, risiede nel fatto che la dinamica tendente al reciproco annientamento per la borghesia non può essere portata alle sue estreme conseguenze, in quanto l'esistenza del capitalismo presuppone il proletariato (creatore del plusvalore), mentre il proletariato può e deve abbattere il potere della borghesia per dare corso al superamento della società divisa in classi e costruire la società comunista: in ciò sta la debolezza strategica della borghesia, che in questa guerra è costretta a difendere il suo potere. Il rapporto di guerra quindi abbraccia la dinamica storica che ha segnato dalla Comune di Parigi le tappe di una guerra rivoluzionaria che sviluppa i suoi caratteri nel rapporto tra Stato e rivoluzione. L'affermazione del potere della borghesia che si estende in Europa con le guerre napoleoniche ha già in sé la necessità di marginalizzare le spinte rivoluzionarie del proletariato, di cui pure la borghesia si era servita per disfarsi della monarchia assoluta, avendone compreso tutta la pericolosità. Le monarchie costituzionali sono infatti la configurazione politica di una prima risposta atta a contrastare i moti insurrezionali della prima metà dell'800, riuscendo a metabolizzare gli obiettivi democratico-borghesi attraverso l'elisione della spinta rivoluzionaria repressa militarmente e la trasformazione dell'istanza democratica in termini di assestamento del potere. E' all'interno di questo passaggio storico che nella formazione economico-sociale capitalistica le due classi principali, proletariato e borghesia, vanno a configurarsi nettamente con i primi tentativi della classe subalterna di affrancarsi sul piano dei diritti sindacali e politici, un passaggio che in concomitanza con il massimo sviluppo della libera concorrenza e le avvisaglie della prima grande crisi capitalistica (fine '800), vede il primo tentativo rivoluzionario vittorioso del proletariato sulla scena mondiale, con la Comune di Parigi, perché per la prima volta si concretizza l'esercizio del potere politico proletario.
L'esperienza della Comune e della feroce controrivoluzione che l'ha soffocata, mettono in evidenza le leggi di questa peculiare guerra: per parte della borghesia, si comprende che l'affrontamento sul solo piano militare delle istanze insurrezionali del proletariato può avere esisti non scontati, e contiene il rischio della messa in discussione del suo potere. La necessità di evitare un'evoluzione dello scontro di questo tipo è l'elemento motore che, sulla sanguinosa repressione del proletariato parigino, apre ad un'evoluzione dello Stato nel rapporto con lo scontro di classe tesa a strutturare forme politiche del dominio borghese volte all'inclusione sul piano politico delle istanze del proletariato. Processo in divenire connesso al grado di sviluppo economico del capitalismo che inizia con parziali inclusioni nelle forme e nella misura da non tralasciare l'equilibrio su cui si manteneva il potere della borghesia. Verso la fine dell'800 l'estensione ovunque della grande industria ha costituito il terreno materiale che ha offerto un relativo margine nel rapporto capitale/lavoro, Stato/classe, affinché i partiti che rappresentavano il proletariato (socialisti) assumessero un ruolo di assorbimento delle istanze di classe su un indirizzo riformista, cioè deviando le spinte all'emancipazione politica e sociale intese in senso rivoluzionario dal proletariato, verso l'affermazione dei diritti politici e sindacali e il miglioramento delle condizioni economiche, in termini che comunque non metteranno in discussione il potere dello Stato. Un processo di inclusione delle espressioni politiche del proletariato che in quel quadro storico si traduce sul piano delle forme politico-istituzionali statuali in una parziale e ristretta rappresentanza politica che quasi mai include i partiti riformisti, quali sono state le democrazie liberali per censo; queste sono l'espressione della precaria transizione di questa evoluzione del governo del conflitto ancora lontana dallo stabilizzarsi, stante il fatto che l'equilibrio tra inclusione delle istanze di classe sul piano politico e annientamento delle spinte all'emancipazione rivoluzionaria era ancora suscettibile di essere rotto fino a travolgere le istituzioni e lo Stato stesso. Da qui la labilità delle libertà politiche del proletariato e dell'esistenza degli stessi partiti riformisti, in un equilibrio specifico in ogni Stato, relativamente all'andamento dello scontro tra Stato e rivoluzione, classe/Stato. Per parte del proletariato, l'esperienza della Comune di Parigi fa emergere le problematiche politiche che investono lo scontro di potere, da cui si traggono le prime indispensabili lezioni nella teoria scientifica dello Stato, portata a più precisa definizione da Lenin, e cioè della necessità del suo abbattimento e dell'instaurazione dello Stato proletario per esercitare la sua dittatura nella transizione al comunismo. Teoria dello Stato da cui emerge il ruolo delle istituzioni della democrazia borghese come involucro più affinato del dominio della borghesia, motivo per cui solo in determinate circostanze storiche il parlamento ha potuto essere usato dai partiti del proletariato ai fini rivoluzionari, essendo in generale una pratica riformista.
Sui cardini di teoria rivoluzionaria tratti dalla Comune, le avanguardie rivoluzionarie del proletariato hanno indirizzato lo scontro per l'abbattimento dello Stato dentro una strategia tesa a tradurre le ondate di mobilitazione in uno scontro che progressivamente portava all'indebolimento dello Stato fino a realizzare lo sbocco insurrezionale. La Rivoluzione d'Ottobre, nell'avviare l'epoca della rivoluzione proletaria, costituisce il piano fondamentale di esperienza per le dinamiche che da allora in poi si svilupperanno nel rapporto tra Stato e rivoluzione, e questo perché, se la vittoria del Partito Bolscevico va collocata nelle condizioni particolari della Russia zarista, il suo esito ha un impatto mondiale sui rapporti tra proletariato e borghesia. Più precisamente la Russia presentava condizioni di sviluppo e contraddizioni differenti dall'Europa, in quanto la borghesia non dominava politicamente e il potere era in mano all'autocrazia zarista. Contesto in cui le spinte democratiche assumevano carattere rivoluzionario e potevano essere convogliate dai bolscevichi sulla strategia rivoluzionaria che, attraverso le crescenti agitazioni politiche di massa, accumulava forza politica mettendo sempre più in crisi lo Stato: un potenziale rivoluzionario alimentato dall'alleanza tra operai e contadini, fin quando con lo schieramento dell'esercito si determina l'inversione dei rapporti di forza e il crearsi di quelle condizioni per tradurre questo potenziale rivoluzionario in insurrezione, con l'abbattimento dello Stato. L'onda d'urto della prima rivoluzione proletaria vittoriosa ha il suo principale impatto nella fondazione dei partiti comunisti che si separano dalle componenti riformiste mettendosi alla testa delle istanze rivoluzionarie di classe e che, in particolare in quei paesi usciti sconfitti dalla I guerra mondiale, e con maggiori contraddizioni politiche e sociali perché più forte era il movimento operaio, e dunque con una relativa instabilità e debolezza dello Stato, operano il tentativo di concretizzare la conquista del potere politico sulla base della strategia insurrezionale. Gli anni '20 segnano sotto questo profilo il massimo delle spinte del proletariato in tutto il mondo, un pericolo rivoluzionario a cui la borghesia e lo Stato, in specie negli USA e in Europa, rispondono con repressioni sanguinose. In particolare in Italia e Germania vi è un vero e proprio scontro di potere, rispetto a cui lo Stato non va a "disgregarsi" sotto l'azione rivoluzionaria, e questo grazie a quel processo di relativa "stabilizzazione" innescato dalle forme politiche del liberalismo, stabilizzazione da cui la borghesia e lo Stato possono organizzare lo scatenamento della controrivoluzione, che sfocerà, bruciando la forma liberale, nei regimi nazista e fascista, che condurranno in Germania all'annientamento del PC spartachista e in Italia alla stasi del PCI. Questa risposta controrivoluzionaria è la base di forza per la borghesia su cui evolve il governo del conflitto a partire dal ruolo economico che lo Stato viene ad assumere con l'affermazione del monopolio a base nazionale nei paesi capitalistici. Le forme politiche che ne scaturiscono si differenziano tra Europa e USA: in Europa, nelle dittature nazista e fascista, il proletariato viene irreggimentato in termini di corporativizzazione sociale, negli USA, per la maggior forza raggiunta dal monopolio, e anche in relazione alle peculiarità storiche del proletariato americano, lo Stato può sviluppare il neocorporativismo dentro un quadro di democrazia rappresentativa ampia, quale forma più evoluta per convogliare il conflitto nell'ambito del rapporto Stato/sindacati, frammentandolo e contenendolo. Un piano questo da cui origina la controrivoluzione preventiva intimamente legata al modello di democrazia rappresentativa, che sorge col New Deal proprio per il ruolo economico sostenuto dallo Stato nella crisi del '29. Le differenti forme politiche assunte dagli Stati capitalistici in quel periodo, riflettono il tipo di conflitto cui la borghesia si è trovata a contrastare a seguito della rivoluzione russa: in questo senso la dittatura nazista e fascista che si estesero in quasi tutta Europa, rappresentano la risposta della soggettività politica della borghesia a fronte della impossibilità di mantenere il controllo dello scontro rivoluzionario entro il quadro delle forme politiche del liberalismo, proprio perché il proletariato, guidato dalla sua direzione rivoluzionaria nella strategia insurrezionale, aveva rotto quell'equilibrio su cui il liberalismo si fondava, forzando sui rapporti di potere.
Il quadro che va dall'inizio della II guerra mondiale alla sua conclusione vede la rimessa in discussione dello schiacciamento delle posizioni del proletariato avvenuto in 20 anni di dittature e controrivoluzioni nel mondo capitalistico, dimostrando come nell'ambito del rapporto Stato/rivoluzione non c'è linearità nel movimento avanzamenti/arretramenti, nel senso che l'avanzamento ottenuto in precedenza dalla borghesia è stato minato dalla crisi economica che è sfociata nel conflitto interimperialistico, espressione del punto critico raggiunto dalle contraddizioni del MPC, mentre per parte proletaria l'arretramento diviene relativo nella misura in cui l'URSS ha retto l'impatto della controrivoluzione portata dagli Stati imperialisti per soffocarla già all'indomani del '17, e il potere sovietico si è consolidato; inoltre nei paesi europei nel corso della guerra si sviluppa una lotta armata contro il nazifascismo nella quale il proletariato e i Partiti Comunisti hanno avuto il ruolo fondamentale. Nel complesso delle relazioni Proletariato Internazionale/Borghesia Imperialista (PI/BI), quello che viene a determinarsi è un "fronte" che ha nella Russia sovietica che resiste all'invasione nazista il piano di forza principale, al quale si coniuga la resistenza nei paesi europei, pure nel suo differente svolgimento. Un "fronte" che va a costituire un campo di forza che, connettendosi politicamente, può rovesciarsi in termini di vittoria sul nazifascismo. Per contro, il conflitto interimperialistico che ha visto prevalere gli USA e la GB, volge nella sua fase finale nella direzione di un fronte imperialista teso ad erodere al massimo le posizioni acquisite dal campo socialista, una linea controrivoluzionaria che gli USA dirigono facendo ricorso a tutto l'armamentario bellico, fino all'atomica, che incorpora il potenziale produttivo sviluppato dalla loro economia. In ultima analisi la guerra interimperialistica, oltre a rappresentare la risposta generale alla crisi di accumulazione, è stata connotata dalla spinta controrivoluzionaria dei paesi imperialisti finalizzata ad annientare la Russia sovietica. In questo senso lo svolgimento e la conclusione della guerra divengono allo stesso tempo il quadro in cui si vanno a rideterminare le posizioni tra BI e PI, in relazione agli equilibri che si stabiliscono tra campo imperialista e campo socialista, che vede il posizionamento controrivoluzionario dei paesi imperialisti guidato dalle potenze vincitrici contro l'URSS, che passa attraverso l'attivazione dei paesi europei, in specie quelli di confine, sulla guerra fredda, che ha come punto di forza politico-militare la formazione della Nato nel quadro dell'Alleanza Atlantica.
Al contempo la riorganizzazione della borghesia nei paesi europei con l'attivo sostegno delle potenze vincitrici, ha come suo primo atto il disarmo della resistenza, allo scopo di stabilizzare il piano interno e spegnere i focolai insurrezionali post-resistenziali e le istanze di emancipazione proletaria che in essi vivevano. Una stabilizzazione diretta dagli USA al fine di imporre l'esportazione del loro modello politico-istituzionale di democrazia borghese nella configurazione statuale che va a ricostruirsi sulle macerie della guerra. Una ricostruzione che in Italia vede gli USA premere per equilibri politici di governo basati sulle forze politiche moderate (anche curate ad hoc) e per una riformulazione del quadro sindacale che, per essere funzionale al modello neocorporativo, richiede la frantumazione dell'unitarietà sindacale nonché per la marginalizzazione del peso politico del PCI, al quale viene posta la discriminante del "gioco democratico", la cui accettazione sancisce la sua parabola in senso riformista. Una ricostruzione politico-istituzionale come la più funzionale al governo dell'economia e del conflitto dovendo sostenere la penetrazione in Europa del capitale sovrapprodotto con l'enorme potenziale produttivo, proprio al modello fordista, accumulato negli USA durante la guerra, da cui la crescita di un monopolio che per concentrazione e centralizzazione è "superiore" a quello europeo, la cui espansione ha richiesto la sua innervazione nella composizione dei capitali europei. E' il piano Marshall a fare da veicolo alla ricostruzione politica ed economica dei paesi europei imponendo una stabilizzazione politica interna di tipo controrivoluzionario, quale requisito per accedere agli "aiuti" al fine di creare un'infrastruttura adeguata all'investimento dei monopoli USA. L'innervazione del capitale finanziario USA nella composizione dei capitali europei e l'affermarsi in Europa del corrispettivo modello fordista per le produzioni su vasta scala dei beni di consumo, costituisce il terreno di sviluppo del capitale monopolistico multinazionale che introduce modifiche nelle forme economiche dell'imperialismo perché l'integrazione economica a cui dà luogo relativizza la concorrenza intermonopolistica alla interdipendenza, mentre dal punto di vista della FES si struttura una frazione dominante di BI aggregata al capitale finanziario USA contestualmente al formarsi di un proletariato metropolitano. A questi caratteri di evoluzione economica e politica ha corrisposto una democrazia rappresentativa che organizza le istanze di classe sul piano politico-istituzionale saldando al contempo equilibri sociali sugli interessi della BI, a partire dal ruolo economico che lo Stato svolge come capitalista reale ed elargitore di welfare, in base a cui partiti e sindacati possono ricavare quel "consenso sociale" da convogliare sugli equilibri politici. Un filo nero che attraversa la ricostruzione capitalistica degli Stati in Europa, in quanto questa si è data sulla stabilizzazione controrivoluzionaria del dopoguerra, che è il piano di forza che innerva l'edificazione dello Stato, innervazione che recupera anche elementi della controrivoluzione propri al fascismo e al nazismo: su questo poggia l'instaurazione di una democrazia rappresentativa che ha nell'adozione dei termini di controrivoluzione preventiva sviluppati dal new deal americano i suoi caratteri contemporanei. Forme di dominio che rappresentano l'evoluzione dell'involucro formale più affinato della sostanza controrivoluzionaria dello Stato di contro al proletariato. Ed è in riferimento a queste condizioni storiche emerse nel dopoguerra che il proletariato dovrà sciogliere il nodo della definizione della strategia adatta a perseguire la tappa storica della conquista del potere politico, nodo che dal '17 è rimasto irrisolto in quanto le avanguardie rivoluzionarie del proletariato, anche a fronte dei tentativi di mettere in discussione il potere, non sono riuscite a praticare nelle democrazie borghesi dei paesi capitalistici la sostanza perseguita dalla rivoluzione russa. Nel dopoguerra il nodo della strategia proletaria deve misurarsi con problematiche complesse e nuove, relative all'approfondimento dei caratteri controrivoluzionari dello Stato propri al quadro delle forme di dominio che comprendono il piano dell'integrazione economica e coesione politica del blocco imperialista, dotato del suo organismo politico-militare Nato che, nella sua essenza di guerra esterna-guerra interna, ha lo scopo di impedire una rottura rivoluzionaria laddove questa si presentasse. In sintesi le forme di dominio contemporanee della BI, se sono espressione della struttura multinazionale dell'imperialismo in questa fase storica, lo sono soprattutto dello sviluppo per parte dello Stato del governo del conflitto di classe come capitalizzazione e sistematizzazione consapevole della soggettività politica della BI che scaturisce dalla necessità di impedire un'altra rottura rivoluzionaria, stante il confronto con un proletariato, quello del centro imperialista, che si è emancipato nella sua storia politica, istruito dalle lunga esperienza di lotta con lo Stato e la borghesia.
Le modalità del governo del conflitto imperniate sull'istituzionalizzazione delle istanze politiche di classe rappresentano la forma più sviluppata di contenimento di un conflitto la cui natura di guerra non solo non è venuta meno, ma è assunta consapevolmente dallo Stato nella controrivoluzione preventiva. Questo nel quadro di una vera e propria strategia politico-militare in cui gli aspetti politici del governo del conflitto possono dominare in quanto poggiano sull'accerchiamento delle istanze autonome di classe nel tentativo costante di tenere separata la lotta di classe dalla proposta rivoluzionaria, e sull'annientamento delle avanguardie rivoluzionarie. L'assunto che la guerra è la continuazione della politica vive ben dentro ai termini del rapporto tra classe e Stato, e in particolare tra Stato e rivoluzione, cioè ben dentro l'involucro formale della democrazia borghese, in cui lo Stato appare "neutrale" rispetto alle due classi antagoniste, o verso la democrazia rappresentativa, con i suoi organi e istituti legislativi e giuridici, formalmente appare come la sede della mediazione e conciliazione dei differenti interessi sociali. Un involucro formale che nella sua sostanza attiene proprio al duplice ruolo che svolge lo Stato nell'essere organo della dittatura della borghesia e garante della riproduzione della società capitalistica, e cioè di organo politico-istituzionale del dominio della borghesia, dove si definiscono le relazioni politiche tra le classi, e di ordinamento giuridico-formale dei rapporti politici e sociali. Una funzione soggettiva e oggettiva quale prodotto storico dello scontro tra le classi proprio all'essere lo Stato manifestazione degli antagonismi inconciliabili tra le classi e rappresentante della classe dominante. La democrazia rappresentativa contemporanea è il modo storico con cui lo Stato è attrezzato soggettivamente per condurre una guerra al proletariato di tipo preventivo, prevalentemente nella forma della politica, ma che non può rinunciare all'aspetto militare sebbene non possa prolungarlo ed estenderlo oltre un certo grado, come fanno testo le stesse torture contro i militanti della guerriglia, e prima ancora le violente repressioni e gli eccidi di piazza degli anni '50 e '60, ma soprattutto la politica stragista dello Stato mirata ad intervenire nei momenti di scontro in cui il proletariato ha messo in campo forti spinte di emancipazione politica e sociale, per gravarvi con tutto il peso deterrente delle uccisioni indiscriminate di massa, assumendo cioè il terrorismo quale pratica propria allo Stato e all'imperialismo per annichilire le spinte di classe; una politica stragista inaugurata con Portella della Ginestra, continuata con le bombe di P.zza Fontana, P.zza della Loggia, l'Italicus, la stazione di Bologna, ecc. E' tra la fine degli anni '60 e l'inizio degli anni '70 che le avanguardie rivoluzionarie del proletariato hanno sviluppato la prassi e l'elaborazione politico-teorica che ha dato risoluzione al nodo irrisolto nel patrimonio comunista del come realizzare la tappa storica, definendo la strategia della LA come quella adeguata a condurre lo scontro rivoluzionario in queste condizioni storiche, che ha il suo perno nell'assunzione del piano di guerra contenuto nello scontro, cioè nella concezione dell'unità del politico e del militare. Unità che costituisce una rottura storica rispetto al modello insurrezionale e che ha riaperto i processi rivoluzionari in più paesi del centro imperialista, superando l'impraticabilità di quelle attività rivoluzionarie perseguite a partire dal solo piano politico i cui tentativi si armavano nell'impigliamento della spinta rivoluzionaria nei meccanismi della democrazia borghese, che la incanalava sul terreno riformista e revisionista. L'unità del politico e del militare che guida la strategia e la progettualità rivoluzionaria nella guerra di classe di lunga durata consente di impattare il piano di guerra insito nell'involucro politico proprio alla forma del governo del conflitto di classe ponendo in essere il principio offensivo proprio della guerriglia contenuto in ogni iniziativa di combattimento, che consente di costruire il vantaggio strategico sullo Stato e la borghesia. L'agire nell'unità del politico e del militare fa sì che l'avanguardia combattente possa indebolire lo Stato attaccando militarmente i suoi progetti politici centrali che concretizzano la sua azione politica nel conflitto che lo oppone al proletariato. Da qui la possibilità di incidere sui rapporti di forza per modificarli a favore del proletariato. Nel rapporto Stato/rivoluzione, per come si è evoluto nell'epoca contemporanea si è trattato per l'avanguardia del proletariato di assumere coscientemente il dato storico che solo la sua azione soggettiva può introdurre nello scontro, con l'iniziativa offensiva, le condizioni politiche per organizzare la classe sulla LA e trasformare la lotta di classe in guerra di classe. Un'azione trasformatrice che attesta l'aumentato peso della soggettività rivoluzionaria, a cui spetta aprire, promuovere, organizzare il processo rivoluzionario in qualsiasi condizione si trovi lo scontro. La strategia della LA definisce le peculiarità di conduzione del processo rivoluzionario nonché le modalità della sua direzione nel quadro di una guerra di classe necessariamente di lunga durata che procede per fasi non definibili a priori, in quanto ogni fase è prodotto degli esiti di quella precedente, per avanzare sulla linea della rivoluzione in un andamento non lineare, fatto di avanzate e ritirate, successi e sconfitte, attraverso salti e rotture nei rapporti di forza generali. Una guerra di classe che per sua essenza è una guerra senza fronti, che non può conquistare né conservare zone liberate, né avere retroterra strategici, e che si sviluppa dall'inizio alla fine in condizioni di accerchiamento strategico e che, non potendo accumulare forza politica da riversare poi sul piano militare, non possiede spazi politici diversi da quelli che la guerriglia si conquista per esistere e avanzare e per attestare le forze organizzate. L'unità del politico e del militare è come una matrice che informa tutti gli aspetti del processo rivoluzionario, a partire dal nodo del Partito Comunista Combattente che nella guerra di classe non può essere fondato ma va costruito e fabbricato nel corso stesso dello sviluppo del processo rivoluzionario. In questa quadro la direzione dello scontro è esercitata fin dall'inizio dall'OCC che agisce da Partito per costruire il Partito, fintanto che non siano costruiti e maturati i termini di precisazione programmatica relativi alla disposizione delle strutture politico-militari in cui sono organizzati gli strati di classe sulla lotta armata. In altri termini, "... il processo di costruzione politico-programmatica e di fabbricazione organizzativa del Partito Combattente non è affatto lineare, evoluzionistico, affidato al tempo, ma al contrario un processo discontinuo, dialettico, prodotto cosciente di un'avanguardia politico-militare che, nel complesso fenomeno della guerra di classe, afferma la validità della prospettiva strategica e del programma comunista e che sostiene l'adeguatezza dello strumento organizzativo necessario per realizzarlo." (D.S.2) In questo senso le BR-PCC sono un'Organizzazione Comunista Combattente che opera come un esercito rivoluzionario, reparto avanzato del proletariato che si dispone sulla LA, una OCC strutturata secondo moduli politico-organizzativi che regolano le istanze inferiori e superiori secondo il centralismo democratico, la cui militanza regolare e irregolare assume i principi di clandestinità e compartimentazione quali principi offensivi della guerriglia.
La strategia della LA ha configurato il rapporto Stato/rivoluzione in termini di distruzione dello Stato/costruzione del Partito Comunista Combattente; all'interno di questo rapporto e a partire dalla prassi rivoluzionaria si afferma ed evolve l'autonomia politica del proletariato che, diretto dal PCC, si organizza come classe per sé e costruisce la forza per conquistare il potere. Le forme di dominio dell'imperialismo a cui la strategia della LA si riferisce per condurre un processo rivoluzionario vincente finalizzato ad abbattere lo Stato e conquistare il potere politico, sono anche il piano da cui è derivata l'innovazione della tappa storica nel senso che questa può essere perseguita solo all'interno di un'attività antimperialista che indebolisca fino alla crisi il sistema imperialista. La guerra di classe è cioè fin dal suo inizio antimperialista e questa linea di combattimento è propria della pratica delle BR, che perseguono la concretizzazione della proposta del FCA come organismo politico-militare che realizzi l'alleanza tra le forze rivoluzionarie dell'area geopolitica per costruire offensive comuni contro le politiche centrali dell'imperialismo. Politica di alleanze che non può avere preclusioni verso le differenti impostazioni e finalità delle forze rivoluzionarie, per perseguano l'obiettivo di classe o di popolo, per saldare soggettivamente nella pratica del Fronte l'unità oggettiva che esiste tra il proletariato metropolitano e i popoli della regione suoi naturali alleati contro il comune nemico: l'imperialismo. Obiettivo, quello del Fronte, che non sostituisce la necessità storica dell'unità internazionale dei comunisti basata sulla discriminante della strategia della LA.

Il rilancio della strategia della LA nel quadro della discontinuità del precorso rivoluzionario verificatosi negli anni '90 ha come tratto distintivo la riproposizione su un piano più avanzato di tutti gli aspetti del processo rivoluzionario, che fornisce alle avanguardie di classe e al proletariato i termini complessi e complessivi di come questo si è sviluppato e deve essere condotto oggi nelle attuali condizioni di scontro, in cui è centrale la problematica delle fratture soggettive che investe le avanguardie di classe per assumere il terreno rivoluzionario.
Un quadro di scontro rivoluzionario, quello degli anni '90, in cui un contributo politico è stato dato dai militanti d'Organizzazione e rivoluzionari prigionieri che, misurandosi con l'assenza di attività rivoluzionaria d'Organizzazione, hanno ritenuto di adeguare il profilo della militanza per esprimere in termini propositivi e non difensivi le attestazioni maturate dalle BR-PCC nella fase di Ricostruzione delle forze, per essere all'altezza cioè di rappresentarle per come queste attestazioni hanno caratterizzato il terreno rivoluzionario. Fuori da ogni logica di "supplenza" all'assenza di attività di Organizzazione, si è trattato di calibrare la condotta politica ai caratteri assunti dallo scontro rivoluzionario dentro l'approfondimento della contraddizione rivoluzione/controrivoluzione per far vivere confacentemente la propria identità di Partito. Proprio perché la militanza rivoluzionaria in prigione svolge sempre una sua funzione dentro il terreno rivoluzionario, diviene in questo momento storico politicamente importante esplicitare quali dinamiche, contraddizioni, problematiche investono il profilo della militanza in relazione alle diverse circostanze nello scontro, considerato come nella discontinuità sia venuta meno quella trasmissione di esperienza tra la prigionia e il terreno rivoluzionario, che viveva in precedenza. E ciò affinché il patrimonio di esperienze maturato su questo piano durante il processo rivoluzionario torni a far parte del più generale patrimonio sviluppato oggi in termini di continuità-critica-sviluppo dall'Organizzazione in attività, quale strumento rivoluzionario fruibile per le avanguardie che si dispongono sulla LA, perché la prigionia politica è parte dello scontro rivoluzionario e in quanto tale aspetto integrante del terreno della guerra di classe, motivo per cui nella prigionia il ruolo politico del militante non cessa, né si staticizza ma si conforma alla "nuova situazione". Ed è precisa responsabilità politica del militante far vivere in questa situazione il suo essere espressione della soggettività rivoluzionaria per come questa si attesta in attività. Una volta prigioniero, il militante rivoluzionario diviene una figura pubblica della rivoluzione, un dato politico che ha una duplice implicazione: da una lato lo Stato, avendo nelle sue mani il militante in condizione di ostaggio, utilizza sul piano controrivoluzionario questa figura; per contro il militane la fa vivere rappresentando e propagandando le posizioni rivoluzionarie, e in ciò contrappone allo Stato la sua identità rivoluzionaria. Se questa è la costante politica della prigionia, il modo in cui il militante svolge il suo ruolo politico rispecchia l'andamento dello scontro rivoluzionario, ragione per cui il profilo della militanza si è andato storicamente a definire intorno agli snodi della contraddizione rivoluzione/controrivoluzione e ai caratteri delle fasi rivoluzionarie.
A grandi linee si può dire che alla fase della PA, caratterizzata dal movimento offensivo del processo rivoluzionario nel suo complesso, ha corrisposto un profilo politico della militanza in prigione che, ricevendo lo slancio e la forza propulsiva dalla guerriglia in attività, la restituiva amplificata sul piano della condotta pubblica e nella vita politica carceraria. Una dinamica politica che in quella fase ha fatto dei prigionieri anziché un punto di debolezza in quanto ostaggi, un punto di forza della LA tanto che, per come i prigionieri si sono dialettizzati al terreno di scontro, hanno trasformato "il carcere imperialista in un fronte della guerra di classe". Alla fase di RS che segna l'arretramento delle posizioni rivoluzionarie e di classe a seguito della controffensiva dello Stato, è corrisposto un profilo politico della militanza che ha avuto nella tenuta delle posizioni rivoluzionarie dell'Organizzazione e nella battaglia per la loro difesa le sue caratteristiche principali.
Fasi rivoluzionarie queste i cui caratteri in sintesi tratteggiano il profilo storico della militanza in prigione, profilo che si è affermato non in modo lineare e automatico ma come risoluzione di problematiche e contraddizioni che non sono altro da quelle che si sono presentate sul terreno dello scontro rivoluzionario e di classe nella fasi di avanzamento e di ritirata del processo rivoluzionario, filtrate dalla condizione peculiare del prigioniero. Condizione che scaturisce dalla sua duplice essenza: sia di parte caduta che di fianco debole della guerriglia, cioè concretizzazione dell'azione dello Stato sulla guerriglia, che neutralizza il combattente comunista, e insieme sua trasformazione in ostaggio. Una condizione di intrinseca debolezza data dal fatto che il militante prigioniero deve fronteggiare l'azione dello Stato privo della dimensione organizzata come quando è in attività, di contro allo Stato che gli si rapporta come individuo, facendogliene pesare la limitatezza. Condizioni immanenti, oggettivamente portatrici di lento logoramento, a prescindere dal segno della fase rivoluzionaria, che fanno filtrare in modo peculiare le contraddizioni che provengono dallo scontro rivoluzionario. E' dentro questa materialità che si calano le scelte soggettive del militane prigioniero, perciò stesso suscettibile di esprimere limiti e contraddizioni, ma anche risoluzioni politiche in avanti per far vivere adeguatamente la funzione rivoluzionaria richiesta dallo scontro. La prima lezione che impara l'Organizzazione, e per primi i suoi militanti in prigione, è che essi non possono mantenere le medesime prerogative che avevano in attività, relative a contribuire alla definizione delle linee politico-programmatiche all'interno di una strutturazione gerarchica ricalcante quella dell'Organizzazione in attività, e questo perché nella condizione di prigionia la mancanza della prassi favorisce la teorizzazione soggettivistica, che porta a linearizzare tendenze e contraddizioni. Un dato valido in generale ma soprattutto per la guerriglia che agisce nell'unità del politico e del militare, le cui linee politico-programmatiche sono il prodotto della prassi-teoria-prassi, la sola che consente di verificarne giustezza e adeguatezza. L'influenza negativa sull'attività rivoluzionaria delle tesi elaborate in prigione, esemplificata nell'80 con "L'ape e il comunista", ha comportato la drastica misura di esonerare i prigionieri da queste prerogative e conseguentemente farne decadere il livello organizzato. Una misura necessaria per sanare il problema della ricaduta dell'elaborazione dei prigionieri sulla Linea Politica d'Organizzazione, ma che non va a fondo delle ragioni della tendenza alla teorizzazione soggettiva, in quanto la separatezza del prigioniero dalla prassi, se è all'origine della sua parzialità politica, si è dimostrata essere solo un aspetto fenomenico della contraddizione. Infatti il vincolo ai militanti prigionieri di attenersi a quanto espresso dall'Organizzazione non ha evitato il riproporsi della contraddizione, che si ripresenta nel quadro della RS con ben altro portato dirompente, a fronte del mutamento della contraddizione rivoluzione/controrivoluzione a sfavore del campo rivoluzionario, per come questo mutamento ha investito in termini di contraddizioni l'Organizzazione in attività e i prigionieri. Contraddizioni riconducibili alle ripercussioni dell'arretramento delle forze rivoluzionarie scaturito dalla controffensiva dello Stato che genera defezioni, demoralizzazione e difensivismo e che si è tradotto sul piano politico dell'Organizzazione in una battaglia politica per espellere le tesi liquidazioniste, contraddizioni che al contempo hanno attraversato la prigionia con una dinamica accelerata e amplificata dalla sfiducia e dal senso della sconfitta. Un contesto che ha visto una parte di militanti prigionieri consumare dentro una dinamica di gruppo passaggi politici che porteranno alle tesi liquidazioniste, fuori ancora latenti, fina a darne forma politica compiuta che riversandosi sull'Organizzazione in attività, costituirà la piattaforma politica della posizione che sarà espulsa.
In quanto prodotto dello scontro la dinamica difensivistica ha investito in generale la condizione politica della prigionia, ma le sue conseguenze in negativo non erano e non sono ineluttabili come è dimostrato dalla condotta di quei militanti prigionieri che vi si sono contrapposti dandone una risoluzione in positivo. Militanti che hanno fronteggiato con una dura battaglia politica le posizioni liquidazioniste, a partire dal tenere fermi i contenuti d'Organizzazione nel riferimento all'impianto strategico e ai primi elementi di ricentramento impliciti nell'atto di apertura della RS, assumendosi la responsabilità di fare emergere pubblicamente questo nodo. Questi militanti hanno così dato un contributo fondamentale alla tenuta rivoluzionaria delle posizioni delle BR-PCC in un passaggio critico della vita d'Organizzazione, assumendo scelte e decisioni proprie all'essere espressione della soggettività rivoluzionaria anche da prigionieri, con l'unico criterio di riferirsi alle necessità di difendere, in quel momento del processo rivoluzionario, l'impianto strategico e il passaggio compiuto con la RS. Un contributo che non fu subito capito dall'Organizzazione, attraversata com'era dalla medesima contraddizione, ma che in seguito è stato per essa oggetto di riflessione e insegnamento circa le dinamiche politiche della prigionia e di come queste sono legate in modo peculiare alla realtà del terreno rivoluzionario, comprendendo come l'allentamento e sganciamento dai riferimenti politici sviluppati dalla prassi d'Organizzazione sono originati da come grava la contraddizione rivoluzione/controrivoluzione nella condizione d'ostaggio, da cui si apre lo spazio perché questi riferimenti si indeboliscono e siano sostituiti dal pensiero soggettivistico. Da questa esperienza si è affermato il dato generale che il prigioniero rivoluzionario vincola le scelte politiche al principio discriminante di essere funzionale e subordinato alle esigenze e priorità del processo rivoluzionario per come vengono definite dall'Organizzazione in attività. I compagni che condussero questa battaglia e che capirono per primi l'immanenza di queste dinamiche sintetizzarono in un documento quanto se ne traeva circa il senso da dare all'identità di Partito in prigione, riallacciandosi alle premesse generali individuate dall'Organizzazione nella Risoluzione della Direzione Strategica del '78. Identità di Partito che vive appunto ricomponendo la propria parzialità alle risoluzioni complessive che opera l'Organizzazione in attività. Identità di Partito che è altresì la negazione delle logiche di gruppo che tendono a prodursi nelle relazioni politiche tra prigionieri, col risultato che va a prevalere il riferimento a ciò che elabora il gruppo a scapito delle Tesi d'Organizzazione. Più in generale questi militanti hanno stabilito un punto fermo circa la risoluzione del problema della parzialità del prigioniero, e tuttavia l'esperienza ha dimostrato che il mero problema della parzialità non è la causa della teorizzazione soggettivistica, in quanto questa è espressione dell'introiezione del distacco politico del prigioniero dalla realtà dello scontro rivoluzionario, come esito in generale della sfiducia alimentata dal logoramento strisciante proprio alla condizione di ostaggio, in particolare delle condizioni sfavorevoli dello scontro rivoluzionario e di classe.
Il prolungarsi nella RS, di uno stato politico del terreno rivoluzionario segnato dalle conseguenze della controrivoluzione sul piano del ridimensionamento delle forze rivoluzionarie e del più generale arretramento delle posizioni proletarie, ha corroborato le dinamiche difensivistiche sui militanti d'Organizzazione e rivoluzionari prigionieri, incidendo in termini di uno strisciante logoramento che ha avuto una generale manifestazione nelle condotte politiche "passive", espressione obiettiva di una lenta erosione dell'aderenza della propria collocazione agli effettivi caratteri del processo rivoluzionario relativamente al riadeguamento e alla Ricostruzione operati dalle BR-PCC dei cui effettivi termini sfuggiva la percezione materiale. Una condotta passiva che pur nel mantenimento elle posizioni rivoluzionarie, ha portato a ridurre ai minimi termini il profilo della militanza d'Organizzazione e rivoluzionaria, un basso profilo espressione in ultima analisi del divaricarsi del pensiero dei prigionieri dalle concezioni sviluppate dall'Organizzazione nella prassi, entro cui il riferimento "ortodosso" alle posizioni d'Organizzazione è andato a "svuotarsi" sostanzialmente e di conseguenza sono rispuntate le letture soggettivistiche come metro di misura della realtà politica, sociale e rivoluzionaria. La riduzione ai minimi termini della condotta politica è dunque indice di una tenuta a carattere resistenziale che si è dimostrata essere intrinsecamente limitata ad affrontare le contraddizioni che lo scontro riversa sulla prigionia, ma soprattutto ad assumere quello che la prassi rivoluzionaria pone nello scontro; perciò stesso è una contraddizione politica che va a menomare la capacità di rappresentanza rivoluzionaria nonché la piena identità politica di Partito. Con gli arresti dell'88-89 il panorama politico della prigionia entra in una fase di mutamento del quadro delle contraddizioni esistenti: da un lato le operazioni antiguerriglia inducono nei compagni già prigionieri la convinzione che fosse giunto al termine un ciclo del processo rivoluzionario con conseguente accentuazione del difensivismo e della estraniazione dalla realtà dello scontro base di contraddizioni idealistiche e soggettivistiche. Dall'altro i militanti arrestati, forti dall'aver affrontato nello scontro le problematiche difensivistiche grazie al riadeguamento e agli avanzamenti complessivi prodotti dall'Organizzazione, e dunque forniti di una visione più concreta e prospettica dell'andamento del processo rivoluzionario, assumono fin dall'inizio una condotta che si demarca da quella resistenziale e minimale. Una scelta che ridà forza al profilo politico della militanza in prigione, ripristinando il significato sostanziale della rappresentanza dei contenuti rivoluzionari, rimarcando la loro propositività e complessità soprattutto assunti come riferimento per valutare e decidere la condotta adeguata alle necessità dello scontro, relativamente alle contraddizioni e problematiche del terreno rivoluzionario a seguito degli arresti. Ciò ha consentito di misurarsi con l'inevitabile contraccolpo difensivistico intrinseco alla portata delle catture, dando la risoluzione soggettiva adeguata a proiettare la continuità e validità del processo rivoluzionario e le sue attestazioni più avanzate. Gli atti e le scelte dei prigionieri che negli anni '90 hanno dato al profilo della militanza un connotato più aderente alla realtà del piano rivoluzionario attestato vanno considerati come risoluzioni parziali di contro alle spinte a una tenuta resistenziale a cui tutti sono soggetti, come fanno testo le contraddizioni che abbiamo espresso nel misurarci con le problematiche del terreno rivoluzionario, che hanno avuto il loro apice nel rivendicare un'iniziativa rivoluzionaria, quella alla base USA di Aviano, estranea alla prassi e concezioni d'Organizzazione. Ciò per le caratteristiche della prigionia politica, soggetta alle dinamiche difensivistiche e di logoramento intrinseche alla condizione di ostaggio di lunga durata, problematica su cui grava il consolidamento del dato controrivoluzionario nelle relazioni generali tra le classi. Ragioni di fondo per cui il mantenimento di un profilo politico della militanza adeguato al reale evolvere del rapporto rivoluzione/controrivoluzione non è un dato lineare né scontato, nemmeno in un contesto dello scontro rivoluzionario come quello attuale caratterizzato favorevolmente dalle iniziative offensive interne al rilancio della strategia della LA. In particolare il rilancio ha posto ai militanti d'Organizzazione la necessità di riqualificare il proprio ruolo politico come terreno per ristabilire un rapporto sostanziale con i contenuti posti dall'Organizzazione nello scontro che, nel quadro della prigionia che abbiamo analizzato, è tutt'altro che risolvibile come una acquisizione dei termini aggiornati della linea politico-programmatica d'Organizzazione, fuori cioè dal rapportare questo obbiettivo alla materialità della condizione dei prigionieri, investita com'è dalle spinte difensivistiche che tendono inevitabilmente a ripresentarsi e ad alimentare la "tenuta resistenziale" la cui intrinseca limitatezza si oppone a questa riqualificazione portandola su un terreno idealistico di mera assunzione teorica.
La presa di coscienza di questa problematica e delle sue implicazioni, nonché della necessità e possibilità di darne di volta in volta una risoluzione in positivo, è il piano di disposizione da cui partire per dare in generale il proprio contributo al processo rivoluzionario, in particolare per affrontare la riqualificazione dell'identità di Partito che ha il suo perno nella messa al centro nella propria condotta del saldo riferimento al punto di vista più avanzato prodotto dall'Organizzazione nel processo rivoluzionario quale leva della tenuta sostanziale e chiave di lettura per collocare gli avvenimenti e valutare le scelte più appropriate ad essi. Un saldo legame questo che è risultato essere il punto di forza per orientare la propria condotta, anche nel periodo di assenza dell'iniziativa rivoluzionaria dell'Organizzazione. Pertanto il profilo politico da dare alla condotta militante non può che scaturire dalla dialettica con gli indirizzi e le discriminanti che le BR-PCC hanno introdotto nello scontro, in quanto questi costituiscono il dato operante in termini politici e strategici sul piano rivoluzionario e nei rapporti di classe, e perciò un dato che deve vivere e caratterizzare la funzione politica nello scontro del militante prigioniero; motivo per cui è sua precisa responsabilità saper essere espressione della soggettività rivoluzionaria per com'è attestata nello scontro per rappresentare e sostenere adeguatamente le posizioni d'Organizzazione, nonché per stabilire una disposizione cosciente sugli effettivi termini della contraddizione rivoluzione/controrivoluzione in cui obiettivamente siano inseriti, per far fronte alle sue problematiche che inevitabilmente investono anche i prigionieri, un posizionamento presupposto per la riqualificazione sostanziale sui contenuti d'Organizzazione.
- Attaccare e disarticolare il progetto antiproletario e controrivoluzionario di rimodellazione economico-sociale neocorportativa e di riforma dello Stato.
- Organizzare i termini politico-militari per ricostruire i livelli necessari allo sviluppo della guerra di classe di lunga durata.
- Attaccare le politiche centrali dell'imperialismo, dalla linea di coesione europea, ai progetti e alle strategie di guerra e controrivoluzionari diretti dagli USA e dalla Nato.
- Promuovere la costruzione del Fronte Combattente Antimperialista.
- Trasformare la guerra antimperialista in avanzamento della guerra di classe.
- Onore al militante delle BR-PCC Mario Galesi, caduto in combattimento.
- Onore a tutti i compagni e combattenti antimperialisti caduti.
- Proletari di tutto il mondo uniamoci.
Roma, 9 ottobre 2003
I militanti delle BR-PCC:
Maria Cappello
Tiziana Cherubini
Franco Grilli
Flavio Lori
Fabio Ravalli
La militante rivoluzionaria
Vincenza Vaccaro