Biblioteca Multimediale Marxista
Dichiarazione letta in aula e allegata agli atti del processo
“esproprio-Hunt”
Seconda corte d’Assise del Tribunale di Roma, udienza del 24/09/2002.
Se la celebrazione di questo processo voleva avere la velleità di contrapporsi
al rilancio dell’attività rivoluzionaria delle BR per la costruzione
del PCC, intento peraltro sempre politicamente impraticabile, le iniziative di
attacco al cuore dello Stato contro M. D’Antona del 20 maggio ’99
e contro M. Biagi del 19 marzo 2002 hanno definitivamente lacerato la rappresentazione
che il rito giuridico voleva dare della realtà rivoluzionaria prodottasi
nel nostro paese e che noi stessi rappresentiamo, rimettendola con i piedi per
terra e facendo entrare a pieno diritto in quest’aula i nodi attuali dello
scontro tra classe e Stato e tra rivoluzione e controrivoluzione, chiarendo la
natura di classe di questi nodi, quali prodotto delle contraddizioni di un sistema
sociale basato sullo sfruttamento, da cui derivano le motivazioni sociali e politiche
che legittimano la proposta strategica della Lotta Armata come risoluzione proletaria
alla crisi della borghesia imperialista.
Proprio l’attacco al progetto centrale della borghesia imperialista del
19/3/2002 mette a nudo questi nodi entrando nel cuore dello scontro, e cioè
il tentativo della BI e del suo Stato di consolidare l’arretramento delle
posizioni del proletariato, prodottosi in venti anni di politiche antiproletarie
e controrivoluzionarie, all’interno di un disegno neocorporativo di riorganizzazione
delle relazioni sociali.
Uno scontro durissimo su cui si sta confrontando la vasta mobilitazione operaia
e proletaria con i suoi contenuti unificanti e gli strumenti organizzativi che
trova a disposizione, nella chiara coscienza della portata e delle implicazioni
dell’attacco che gli viene condotto. Scontro in cui il proletariato misura
le proprie forze e quelle che gli contrappone lo Stato, il quale non intende arretrare
dai suoi obiettivi e perciò innalza il livello dello scontro, dovendo garantire
alla BI in piena crisi l’attuazione del programma di governo, in piena continuità
con le linee antiproletarie e controrivoluzionarie assestate dagli esecutivi del
decennio scorso.
E’ dunque nel quadro dell’offensiva lanciata dall’esecutivo
Berlusconi che si inserisce l’attacco delle BR-PCC del 19 marzo, come solo
modo per far pesare in questo scontro le posizioni del proletariato e gli interessi
politici generali di classe, opponendovi la forza di un’iniziativa combattente
che ha indebolito l’azione dell’esecutivo. E questo perché
la nostra Organizzazione è intervenuto sul progetto di rimodellazione delle
regole dello sfruttamento, di cui M. Biagi con il “libro bianco” era
artefice, piano centrale su cui l’esecutivo Berlusconi intende articolare
i passaggi che investono sia l’accentramento dei poteri e la stabilizzazione
del sistema di alternanza, sia la stessa modifica in senso “federale”
della forma-Stato. Portare a compimento questa linea progettuale significa anche
dare soluzione alle contraddizioni che le riforme economico-sociali e quelle istituzionali
avviate nel decennio scorso hanno prodotto in termini di governabilità,
in primo luogo per l’opposizione del proletariato a quelle scelte, stante
la loro incidenza sulle sue condizioni politiche e materiali.
Due linee di “riforma” queste che, per essere portate a compimento
superando le contraddizioni, e ricevere l’adeguamento necessario alle urgenze
della BI, nell’aggravarsi della sua crisi, richiedono di essere affrontate
integrandole tra loro in un quadro organico, pena non riuscire a governare le
contraddizioni del conflitto e della crisi. Riforme che, se inizialmente erano
concepite per essere attuate nel corso della legislatura, non sono potute procedere
nella linearità programmata per le pressioni della BI e per le dinamiche
dello scontro, ricevendo un’accelerazione tramite le forzature operate dall’esecutivo
sulla classe per stringere in primo luogo nell’attuazione dei provvedimenti
legislativi sul lavoro, oggetto dello scontro e forzando anche sull’avvio
concreto dello stesso “dialogo sociale”.
Un agire dell’esecutivo che si è saldato con le pressanti richieste
della Confindustria, in quanto il progetto di rimodellazione delle regole dello
sfruttamento è il presupposto affinché la condizione di riduzione
della base produttiva nazionale possa essere tradotta in vantaggi competitivi
e ciò si può dare solo se viene aumentato lo sfruttamento della
forza lavoro impiegata. Una scelta questa su cui il capitale monopolistico nostrano
ha puntato a seguito della sua perdita di posizioni nella competizione internazionale,
e su cui si gioca anche il rafforzamento del potere della BI, in quanto da una
tale rimodellazione delle regole sul lavoro ne dovrebbe derivare l’esclusione
a monte dell’antagonismo di classe e della sua possibile maturazione in
autonomia politica, antagonismo gioco forza alimentato dalla condizione di ipersfruttamento
e crisi.
Un attacco, quello delle BR-PCC che ha indebolito l’esecutivo, in quanto
M. Biagi era il perno di quel “dialogo sociale” che dovrebbe rappresentare
l’evoluzione ed il superamento del modello concertativo, tramite la ridefinizione
delle relazioni e della negoziazione neocorporativa, per istituire un modello
di relazioni funzionale all’esecutivo per dare l’affondo alla modifica
della legislazione sul lavoro ed approdare al cosiddetto “statuto dei lavori”
che, sull’azzeramento delle conquiste economiche, politiche e sociali raggiunte
dal proletariato in un secolo di lotte, dovrebbe sancire un sistema di regole
e normative tese ad istituire la massima differenziazione contrattuale, elevare
a norma le condizioni di precarietà del lavoro e la sua massima flessibilità,
agendo a partire dall’esercito industriale di riserva con le “politiche
attive” per il lavoro in funzione della competitività, passando per
la riforma del collocamento che vede le agenzie private fare da primo filtro all’occupazione,
e per le diverse forme di inquadramento contrattuale precarie e deregolamentate
che i proletari sono costretti ad accettare, per il loro stato di ricattabilità
che accompagna tutto il corso della loro vita lavorativa. Lo scopo è quello
di instaurare un percorso ad ostacoli che, selezionando e filtrando la capacità
di adattamento allo sfruttamento, vincola la forza lavoro ai bisogni del padrone,
un sistema di regolamentazione che ha al contempo lo scopo di drenare l’antagonismo
agendo a monte del formarsi del conflitto.
Questa sorta di bolgia dantesca che si prospetta alla classe operaia implica in
ogni passaggio legislativo, l’approfondimento del contenuto neocorporativo
e allo stesso tempo, sul piano negoziale, è la base del superamento della
stagione concertativa che la resistenza operaia aveva già messo in crisi,
poiché la relazione negoziale del “dialogo sociale” non richiede
di avvalersi di quella formale condivisione delle scelte dell’esecutivo
da parte del Sindacato Confederale, in quanto nel nuovo modello di relazioni è
presupposto il depotenziamento del conflitto di classe “alla fonte”,
superando quella funzione di assorbimento e depotenziamento del conflitto che
ha svolto la concertazione, tanto necessaria nel decennio scorso, all’avvio
della politica neocorporativa che ha accompagnato e sostenuto il trapasso tra
la prima e la seconda Repubblica.
Alla rimodellazione dello sfruttamento ispirata dal “libro bianco”,
l’esecutivo deve coniugare un complesso di modifiche tese a portare a compimento
l’azione riformatrice degli esecutivi precedenti in materia di mercato del
lavoro, previdenza, sanità, scuola ecc. in senso localistico e privatistico,
sulla base della compenetrazione tra pubblico e privato che introduce la logica
del profitto in questi campi, diminuendo le coperture sociali dei servizi che
prima erano diritto acquisito dei lavoratori.
Questo piano riformatore ha nel federalismo l’adeguata impalcatura istituzionale
e statuale in grado di fornire, sull’assegnazione delle competenze e funzioni
in queste materie a livello localistico, il terreno di attuazione e di sanzione
della massima frammentazione del potere contrattuale della forza-lavoro in funzione
dello sfruttamento dei diversi margini competitivi offerti localmente. “Riforma
federale” che, proprio per il fine di maggiore competitività di sistema
a cui risponde, è richiesta dai processi di integrazione economica europea
a cui è organica, in un rapporto in cui alla ripartizione locale delle
competenze corrisponde una centralizzazione allo Stato del potere, e dunque delle
decisioni di bilancio, che ne dispone dentro ai vincoli stabiliti a livello europeo.
Il complesso dei mutamenti che, dalla rimodellazione dello sfruttamento, si articola
sui differenti piani economico, sociale, istituzionale, fino a raggiungere la
modifica della forma-Stato, prefigura una riorganizzazione delle relazioni sociali
innervata da un approfondimento neocorporativo di tali relazioni, in base alla
quale viene a rimodellarsi il ruolo della rappresentanza sociale nella contestuale
riduzione del suo peso rispetto alla centralità degli interessi della BI
sul piano politico. Un processo già riscontrabile nel modello che instaura
il “dialogo sociale” sul piano negoziale delle relazioni neocorporative,
nel quale in generale perde peso la rappresentanza sociale in corrispondenza del
maggior ruolo decisionale dell’esecutivo nel legiferare in materia di lavoro.
Questa ridefinizione della negoziazione neocorporativa rappresenta il modulo di
relazione negoziale corrispondente a quella democrazia governante che la stabilizzazione
dell’alternanza tra i due schieramenti alla guida dell’esecutivo vuole
consolidare, che nella sua affermazione, comporta anche la definizione delle componenti
di riferimento sindacali e sociali proprie a ciascun schieramento politico.
In questo senso la maggioranza al governo stringe equilibri politici con componenti
sindacali ed istituzionali che operano attività sociali politicamente affini,
a cui più in generale è demandata la funzione di operare quelle
saldature del piano economico-sociale con gli interessi della BI, funzione propria
al sindacato, affiancato oggi dalle varie associazioni no-profit, Fondazioni,
ecc. nel gestire socialmente i residui del welfare, quello che ne resta, cioè,
dopo la destrutturazione operata e che si opera tuttora con le “riforme”
in questi campi. Un quadro questo in cui il sindacato, abbandonando il precedente
ruolo di organizzatore ed incanalatore del conflitto, per non farlo tracimare
dall’alveo democratico-borghese, sarà sostanzialmente un erogatore
di servizi e “venditore” di contratti.
Il contenuto primario del neocorporativismo, di composizione forzosa di interessi
diversi e particolari sugli interessi generali della frazione dominante di BI,
trova nell’obiettivo di questa riorganizzazione delle relazioni sociali,
concepita ad hoc per assorbire il montare dello scontro, la sua più autentica
espressione, la forma più adeguata cioè per sostenere i termini
di quella democrazia governante affermatasi nei paesi a capitalismo maturo, che
prefigura il sogno di un modello di società pacificata e corporativizzata.
Colpire la progettualità della BI finalizzata a rimodellare in senso neocorporativo
i rapporti sociali per subordinare materialmente e politicamente il proletariato,
e su cui rifunzionalizzare i poteri dello Stato, è una specifica linea
politica delle BR per la costruzione del PCC che con le iniziative di attacco
al cuore dello Stato del 20/5/99 contro M. D’Antona e del 19/3/2002 contro
M. Biagi hanno messo un’ipoteca sulla realizzazione di questo disegno, perché
colpendo gli equilibri che ne hanno sorretto i passaggi politici, ne rende difficile
il percorso e su questo indebolimento opera per sostenere le posizioni del proletariato
di contro allo Stato e alla borghesia, costruendo nello scontro le condizioni
politiche e materiali per modificare i rapporti di forza e rafforzare le posizioni
di classe, organizzando le sue espressioni di autonomia politica sulla Lotta Armata.
Con queste iniziative di attacco al cuore dello Stato le BR per la costruzione
del PCC rilanciano nello scontro generale tra le classi la strategia della LA
come proposta a tutta la classe, la cui valenza politica e strategica si riversa
in positivo sull’intero campo proletario, rimettendo in gioco gli interessi
politici e generali della classe, ponendo all’ordine del giorno il nodo
del potere e reimmettendo la rappresentanza di classe all’interno della
polarizzazione degli antagonismi causata dalle politiche antiproletarie e controrivoluzionarie
indispensabili al governo della crisi per la BI ed il suo Stato.
Stava solo nelle illusioni della borghesia l’idea che la controrivoluzione
degli anni ’80 ed il suo consolidamento negli anni ’90, avessero eliminato
dallo scontro il processo rivoluzionario, nell’idealismo proprio a questa
classe, impossibilitata perciò a tenere in conto e a valutare la realtà
secondo le leggi della guerra, leggi immanenti lo scontro rivoluzionario di classe,
una delle quali riguarda il fatto che quando una rivoluzione riesce a sopravvivere
e a resistere ad una controrivoluzione consegue una vittoria strategica. Questo
è quanto avvenuto con la scelta delle BR di aprire la Ritirata Strategica,
intraprendendo una manovra di ripiegamento che, mantenendo aperta la offensiva
contro lo Stato e l’imperialismo ha salvaguardato la prosecuzione del processo
rivoluzionario dando apertura alla fase di Ricostruzione delle forze rivoluzionarie
e proletarie e degli strumenti politico-organizzativi per attrezzare il campo
proletario allo scontro prolungato contro lo Stato.
L’approfondimento avvenuto nella crisi del MPC da un lato, e dall’altro
nello scontro tra rivoluzione e controrivoluzione in questi venti anni, è
stato il piano fondamentale da cui sono derivati mutamenti complessivi che hanno
investito i rapporti di classe e che hanno portato alla trasformazione in senso
neocorporativo della mediazione politica storica, in un contesto interno ed internazionale
che ha visto le BI avanzare un doppio processo controrivoluzionario e conseguire
posizioni di vantaggio nei rapporti di forza con il proletariato.
Processo controrivoluzionario che si è riversato in termini negativi sulle
espressioni di autonomia politica di classe del proletariato, nelle sue lotte,
schierato su un terreno di resistenza all’offensiva borghese, ma costantemente
ingabbiato dalle politiche neocorporative di composizione del conflitto, e sul
movimento rivoluzionario svuotato delle discriminanti per un approccio corretto
alla risoluzione della questione del potere. Condizioni oggettive e soggettive
presenti oggi nello scontro di classe e rivoluzionario, qualitativamente diverse
da quelle presenti nella fase in cui le Brigate Rosse hanno avviato trenta anni
fa la guerra di classe di lunga durata contro lo Stato e l’imperialismo,
nel senso che oggi lo scontro rivoluzionario non è caratterizzato dalla
disposizione generalizzata delle istanze proletarie sul terreno della lotta per
il potere, ma dall’approfondimento delle condizioni strutturali di crisi
del capitalismo, dalla controrivoluzione e dalla guerra imperialista come terreni
politici dominanti per dare appunto risoluzione alla crisi capitalista. Strategie
imperialiste che “assolutizzano” l’interesse della BI polarizzando
all’opposto gli interessi di classe e quelli “nazionali” e per
contro mettono in evidenza come le uniche alternative possibili siano la strategia
proletaria per la conquista del potere politico: la guerra di classe negli Stati
imperialisti, e la resistenza e la guerra di liberazione nazionale per l’autodeterminazione
dei popoli.
Una situazione che emblematizza le condizioni strutturali in cui si conduce il
processo rivoluzionario basato sulla strategia della Lotta Armata nello Stato
imperialista contemporaneo. Il processo rivoluzionario si fa strada suscitando
e confrontandosi con una serrata controrivoluzione che si riversa sulle dinamiche
di governo del conflitto di classe e investe il complesso dei rapporti politici
tra le classi. Condizioni oggettive e soggettive dello scontro rivoluzionario
in cui le BR per la costruzione del PCC hanno costruito i termini di direzione
e la capacità offensiva per rilanciare la Strategia della LA come proposta
a tutta la classe dando avanzamento al processo di guerra di classe, facendo fronte
alle necessità e priorità poste sul piano rivoluzionario dall’approfondimento
del rapporto rivoluzione/controrivoluzione.
Da molti anni ormai viene propagandata negli ambiti di classe la tesi della non
riproponibilità dell’esperienza delle BR, con lo scopo di convincere
che questa sia relegabile a un preciso momento della storia del nostro paese.
Una tesi che, oltre ad essere orpello ideologizzante delle dinamiche controrivoluzionarie,
vuole spacciare i processi controrivoluzionari, il loro portato nello scontro
di classe e rivoluzionario, come superamento delle condizioni per l’esistenza
della Strategia della LA per il Comunismo, esulando da una verità storicamente
verificata: un processo rivoluzionario reale solleva sempre una forte controrivoluzione.
Controrivoluzione che è dinamica politica tesa a comprimere tutti gli ambiti
politici e rivoluzionari di classe, e non relegabile o trasfigurata in un semplice
momento “emergenziale”, come echeggiato anche in questa aula. Controrivoluzione
che, al tempo stesso, oltre che manifestazione della concretezza e presenza del
processo rivoluzionario, lo è anche della sua maturità politica
e necessità storica, che nell’affrontare il complesso dei termini
politici-militari e rivoluzionari da essa rideterminati fa avanzare il processo
rivoluzionario.
Riguardo al periodo di esordio della proposta rivoluzionaria delle BR, va detto
innanzitutto che nelle condizioni di scontro di allora si rifletteva il contesto
generalizzato di avanzamento dei processi rivoluzionari, sia relativamente alle
prime esperienze della Guerriglia Metropolitana che alle guerre di popolo e di
liberazione nazionale della periferia, come pure incideva l’esistenza del
campo dei paesi socialisti alternativo all’imperialismo. Circostanze storiche
che vedevano il blocco imperialista subire le iniziative di classe e di liberazione
dei popoli dal dominio coloniale e imperialista. Inoltre lo Stato e la borghesia
italiana accusavano tutta la loro debolezza storica e strutturale, e lo scontro
era caratterizzato da una forte opposizione di classe con rilevanti contenuti
di autonomia politica che si esprimevano anche su un terreno armato, quale espressione
di un aperto conflitto che, dagli esiti della guerra partigiana contro il nazi-fascismo,
non era stato pacificato nonostante la restaurazione borghese degli anni ’50,
conflitto che ha costituito il retroterra delle spinte dell’autonomia di
classe alla fine degli anni ’60. Queste condizioni di scontro, nelle quali
le BR hanno convogliato le istanze di potere proletario sulla proposta della LA
per il Comunismo a tutta la classe, hanno certamente favorito la diffusione e
il radicamento della proposta rivoluzionaria, ma non costituiscono il dato su
cui si fonda la valenza e la praticabilità della LA, sia perché
la diffusione e il radicamento sono stati il prodotto di precisi indirizzi politici
e strategici per dare risposta alle istanze di potere presenti nello scontro di
classe e rivoluzionario di allora, e che hanno trovato nella proposta e nella
prassi delle BR il referente e il terreno per il loro sviluppo, sia perché,
ed è questo l’elemento fondamentale che ha reso possibile lo stesso
radicamento in quella fase, la proposta della LA, cioè la costruzione del
processo rivoluzionario in guerra di classe di lunga durata, risiede nell’essere
adeguamento della politica rivoluzionaria alle attuali forme di dominio della
borghesia e dell’imperialismo.
E’ proprio in ragione dell’essere espressione di questo adeguamento
che la prassi d’Organizzazione, indirizzando in termini strategici lo scontro
rivoluzionario, lo ha modificato nel senso del suo approfondimento sui termini
della guerra di classe di lunga durata, andando a connotare lo sviluppo sul terreno
rivoluzionario dei caratteri dell’autonomia politica di classe, della soggettività
rivoluzionaria e le condizioni di maturazione del contesto rivoluzionario, rispetto
a cui si è instaurato un preciso rapporto tra rivoluzione e controrivoluzione.
Un rapporto su cui lo Stato ha affinato quel complesso di risposte politiche–-militari
e controrivoluzionarie volte a separare l’opzione rivoluzionaria dalle istanze
antagoniste e di classe, per operare il ridimensionamento delle forze rivoluzionarie
intervenendo in termini offensivi sullo sviluppo del processo rivoluzionario al
fine di bloccarne l’avanzamento.
La lettura “mitica” della rapida ascesa della Lotta Armata negli anni
’70 confonde dunque le ragioni della valenza della strategia della LA per
il Comunismo con una condizione particolare dello scontro facendo derivare la
possibilità di sviluppare il processo rivoluzionario dal costituirsi di
un ampio movimento rivoluzionario. O come naturale prolungamento della lotta di
classe in ascesa.
E’ proprio in riferimento al contesto odierno del rapporto rivoluzione/controrivoluzione
che è di fondamentale importanza per l’avanguardia che si dispone
sul piano rivoluzionario, la comprensione ed assunzione nella sua pratica dei
nodi relativi ad una teoria-prassi della rivoluzione proletaria fondata sulla
Strategia della Lotta Armata e dell’agire rivoluzionario confacente a dirigere
lo scontro contro il nemico di classe in un contesto senza dubbio problematico
per la conduzione del processo rivoluzionario, ma che appartiene appieno al tipo
di scontro rivoluzionario in uno Stato imperialista. E’ dato teorico rivoluzionario
assodato che un movimento rivoluzionario, e soprattutto l’affermazione dei
caratteri di autonomia politica di classe, derivano in generale dall’esistenza
del processo rivoluzionario e non ne sono il presupposto. Dato verificato sul
piano storico generale, nonché nella prassi e direzione rivoluzionaria
dello scontro condotta dalle BR, questo, sia nel corso degli anni ’70, quando
gli indirizzi programmatici delle BR hanno prodotto un vasto movimento proletario
di resistenza offensiva, caratterizzando e facendo crescere il movimento rivoluzionario,
sia quando con l’apertura della fase di Ritirata Strategica e il ripiegamento
da posizioni politiche niente affatto avanzate, le BR hanno permesso la tenuta
e riqualificazione delle avanguardie di classe e rivoluzionarie a fronte della
controrivoluzione scatenata, sia ancora nella fase politica attuale nella quale,
pur in presenza della difensiva di classe e un considerevole svuotamento politico
del movimento rivoluzionario, l’iniziativa, ovvero la direzione rivoluzionaria
dello scontro da parte delle BR-PCC, ha prodotto uno schieramento rivoluzionario
e di classe. In sintesi la presenza di una direzione rivoluzionaria nello scontro
è condizione del processo rivoluzionario, la cui presenza non solo qualifica
un movimento rivoluzionario, ma ne è condizione per la sua stessa estensione,
insegnamento che si può trarre dal nostro stesso processo rivoluzionario.
I caratteri odierni dello scontro di classe in Italia dominati dai termini corporativi
e controrivoluzionari, tesi a strutturare le relazioni classe/Stato e fra le classi
in modo da inibire la politicizzazione del conflitto e subordinare materialmente
e politicamente il proletariato al potere della borghesia, carattere storico che
assume la mediazione politica fra le classi negli Stati imperialisti, evidenziano
concretamente come l’aumentato peso della soggettività sia per parte
borghese che rivoluzionaria connoti le relazioni e lo scontro di classe. Per parte
proletaria e rivoluzionaria ciò comporta lo sviluppo di una prassi da parte
dell’avanguardia combattente che abbia come obiettivo quello di favorire
le rotture soggettive nelle avanguardie di classe al fine di una assunzione del
terreno di lotta generale per il potere. Rotture soggettive nelle avanguardie
di classe necessarie affinché esse siano in grado di sviluppare la prassi
adeguata per affermare gli interessi di classe, così da incidere nello
scontro, rompendo il meccanismo paralizzante che vincola le espressioni di classe
in un ambito compatibile alla democrazia borghese, necessarie per favorire la
loro disposizione sulla strategia della LA per il Comunismo ovvero sul terreno
capace di assumere il piano della guerra di classe, costituendo, questo, la sostanza
dei rapporti di scontro tra le classi, indipendentemente dai livelli di sviluppo
odierni della fase rivoluzionaria. Nodo politico quest’ultimo che rimanda
all’impostazione generale e ai criteri di fondo che guidano la prassi d’avanguardia,
l’agire da Partito per costruire il Partito, nel trasformare lo scontro
di classe in guerra di classe in ottemperanza ai caratteri della fase rivoluzionaria
di Ricostruzione, misurandosi con il quadro di contraddizioni prodotte sul piano
di classe e d’avanguardia dalla discontinuità d’attacco e di
converso dall’assestamento della controrivoluzione, nella coscienza della
problematicità dell’attuale fase rivoluzionaria, in cui le necessità
politiche dello scontro definiscono il piano di adeguamento obbligato alla formazione
delle forze rivoluzionarie e in cui l’approfondimento dello scontro è
oggettivamente vincolo all’attestazione ed estensione della ricostruzione
delle forze stesse.
Il rilancio della Strategia della LA operato dalle BR per la costruzione del PCC
con le iniziative offensive del 20/5/’99 e del 19/3 scorso ha determinato,
nei fatti, un salto dialettico sul piano di contraddizione sopra espresso, sulla
base di una pratica e progettualità rivoluzionaria che ha ribadito la possibilità/necessità
di contrapporsi al potere della Bi e fare avanzare il processo rivoluzionario.
In concreto le iniziative delle BR-PCC hanno misurato l’incidenza dell’agire
da Partito quale fattore che, da un lato riafferma la prospettiva strategica della
alternativa di potere, dall’altro è elemento agente, nel rappresentare
gli interessi generali di classe, che investe e pesa sul complesso dei rapporti
politici e di forza tra le classi, sulle condizioni soggettive del campo proletario
e d’avanguardia.
Incidenza dell’agire da Partito che si realizza attraverso la costruzione
della guerra di classe nello scontro a partire dalla iniziativa offensiva nell’attacco
al cuore dello Stato che calibra e regola l’attività combattente
e rispetto a cui le BR-PCC si propongono di dirigere e sviluppare lo scontro rivoluzionario
e i suoi diversi fattori, non da un punto qualsiasi, ma sui nodi principali tra
classe e Stato.
Le iniziative offensive del ’99 e di quest’anno dimostrano come ristrette
avanguardie, pur confrontandosi con rapporti di forza sfavorevoli, facendo leva
sull’avanzamento teorico e strategico conseguito dalle BR nel rapporto con
la controrivoluzione degli anni ’80 nel condurre la guerra di classe e ricollocandolo
dialetticamente nello scontro odierno, abbiano avviato quei processi aggregativi
qualitativamente idonei ad assumere la funzione di direzione rivoluzionaria dello
scontro, attraverso la costruzione degli strumenti politici, programmatici, organizzativi
e militari per organizzare la costruzione dell’iniziativa offensiva in grado
di rapportarsi allo scontro generale e stabilizzare i livelli di ricostruzione
necessari ad incidere e potenzialmente invertire gli attuali rapporti di forza
tra le classi, avendo a guida l’essenza della Strategia della LA e della
conduzione della guerra di classe che informa l’agire da Partito per costruire
il Partito in rapporto alle necessità della fase di Ricostruzione delle
forze rivoluzionarie e proletarie. In riferimento a questa base di qualità
che investe i processi di ricostruzione, nella chiarezza dell’impostazione,
dei compiti della fase rivoluzionaria e del quadro di scontro, è a partire
dal combattimento ed attorno a questo, che si esplica il ruolo di direzione rivoluzionaria
sul piano della guerra di classe. Le BR per la costruzione del PCC si assumono
questo piano di direzione rivoluzionaria, affrontando i nodi centrali dello scontro
e facendo avanzare la Fase di Ricostruzione, strutturandosi come nucleo fondante
il Partito Comunista Combattente che agendo da Partito per costruire il Partito
opera, a partire dall’iniziativa offensiva quale condizione necessaria per
favorire il processo di rotture soggettive dell’avanguardia per quella costruzione/formazione
della soggettività rivoluzionaria che deve selezionare i termini complessivi
della direzione rivoluzionaria in grado di sviluppare la guerra di classe per
portare a superamento la Ritirata Strategica e in ciò avanzare verso quel
processo che da “organizzatori” di ristrette avanguardie porta alla
costruzione del Partito Comunista Combattente.
I militanti delle BR-PCC:
Maria Cappello, Tiziana Cherubini, Franco Grilli, Flavio Lori, Fabio Ravalli.
La militante rivoluzionaria:
Vincenza Vaccaro
Roma, 24/9/2002