Biblioteca Multimediale Marxista
In quanto militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista
Combattente prigionieri, la nostra presenza in quest'aula è tesa in primo
luogo a ribadire in termini chiari il nostro rapporto con il nemico di classe
e, principalmente, a rivendicare in pieno il complesso del progetto e dell'attività
delle BR che, sviluppatosi in stretta unità con le espressioni più
mature dell'autonomia di classe, rappresenta l'elemento strategico necessario
per l'affermazione dell'interesse generale del proletariato. Da questa attività
e progettualità le BR sviluppano in Italia un processo rivoluzionario
basato sulla guerra di classe di lunga durata che rappresenta l'unica alternativa
possibile al dominio della borghesia.
Gli attuali sviluppi internazionali sono la materializzazione evidente delle
contraddizioni capitalistiche che, nel loro coagularsi critico, manifestano
il rapido evolversi della tendenza alla guerra come sbocco necessario alla borghesia
imperialista per superare la crisi generale che l'attanaglia; tendenza alla
guerra che si dispiega all'interno del quadro storico-politico dominato dalla
contraddizione Est/Ovest, che proprio nella modificazione dei rapporti di forza
a favore dell'imperialismo trova non già la sua risoluzione, bensì
il suo approfondimento in direzione dello sbocco bellico.
Non è quindi un caso che dalle macerie del muro di Berlino non sia sorta
"la collaborazione" tra i popoli, ma invece: affamamento per milioni
di operai e proletari, ingerenze e immediatamente guerra sulla direttrice Nord-Sud,
perché questo è l'ordine imperialista, il suo dispiegarsi alla
guerra, di cui l'annessione dell'ex DDR, come la frantumazione del patto di
Varsavia, ne sono parte integrante.
Con la propagandata "morte del comunismo" la borghesia imperialista
tenta di mistificare il carattere proprio della sua contrapposizione all'URSS
in quanto superpotenza, nonché, sul piano epocale, cancellare dalla storia
un secolo di lotta comunista internazionale, e quel disastro storico per i suoi
sonni tranquilli che è stata la Rivoluzione d'Ottobre!
Ma, a parte questa operazione di esorcismo della storia, patetica nella sua
sostanza, questa offensiva ideologica risponde in maniera molto pragmatica al
tentativo di legare il socialismo, ovvero l'emancipazione proletaria, ai rapporti
di forza nella contraddizione Est/Ovest. Cosciente, come la borghesia è,
che il proletariato in quanto classe per sé rappresenta, e in questo
secolo l'ha più volte dimostrato, il suo reale affossatore, nonché
la "variabile" incontrollabile all'interno di un conflitto bellico.
La contraddizione Est/Ovest, che caratterizza in termini dominanti le relazioni
tra gli Stati dai patti di Yalta, ha influito sullo sviluppo stesso dell'imperialismo
nei riflessi politico-militari che la costruzione del blocco occidentale è
venuta assumendo dentro al piano oggettivamente dato dal grado di integrazione
economica gerarchizzata a dominanza Usa. Dentro questo quadro storico di formazione
del blocco imperialista, sulla spinta dei piani Usa di ricostruzione e stabilizzazione
economico-politica dell'Europa Occidentale, si è data la costituzione
della Nato, quale massima espressione del grado di integrazione della catena
e dell'interesse generale imperialista sulla contrapposizione all'Est e nella
sua funzione controrivoluzionaria. Il prodotto della contraddizione Est/Ovest
è stato l'assetto bipolare del mondo che ha influito nelle crisi regionali
ed interagito con le numerose rotture rivoluzionarie della periferia. Percorsi
di liberazione nazionale che in alcuni casi hanno realizzato Stati di Nuova
Democrazia, che hanno portato sulla scena mondiale la lotta rivoluzionaria degli
operai e dei contadini del "Sud del mondo", un dato di unità
con la lotta del proletariato dei centri imperialisti che segna in maniera indelebile
il risvolto rivoluzionario di questa epoca storica.
Processi rivoluzionari che si sono certamente sviluppati nel quadro dominante
dato dall'assetto bipolare del mondo, che non sono il prodotto del bipolarismo,
ma che con esso hanno interagito e da esso sono stati influenzati, influenzando
a loro volta la contraddizione Est/Ovest complessificandola e globalizzandola.
Per queste ragioni, con il modificarsi dei rapporti di forza nella contraddizione
Est/Ovest, la guerra imperialista contro i popoli e le nazioni della periferia
assume carattere di guerra controrivoluzionaria e, contemporaneamente, dispiegamento
della guerra imperialista sulla direttrice Est/Ovest.
È con la politica di riarmo adottata prevalentemente nel corso della
amministrazione Reagan e che tutt'oggi prosegue, che l'imperialismo fa dell'opzione
bellica la strada maestra per il superamento della sua crisi. La scelta da parte
degli Usa, non a caso per primi, di questo speciale stimolo economico, è
stata la cartina di tornasole più chiara della profondità della
crisi capitalistica in generale e del grado di recessione toccato dall'economia
Usa che, essendo il paese con il capitalismo maggiormente sviluppato, ne concentra
in massimo grado le contraddizioni e, in quanto tale, le sue risposte anticrisi
sono necessariamente di carattere generale e investono tutta la catena imperialista,
infatti la politica di riarmo in tappe successive è diventata patrimonio
di tutto il blocco occidentale. L'intraprendere da parte degli Usa di questa
via di "risoluzione della crisi economica" ha risposto anche ad obiettivi
congiunturali, primo tra tutti stabilizzare la propria leadership nei confronti
dell'Europa e del Giappone e, in quanto tale, la politica del riarmo ha significato
anche conservare la dominanza sul mercato della tecnologia avanzata, nonché
compattare l'Europa Occidentale intorno alla "stabilizzazione" imperialista
di aree geopolitiche vitali per gli interessi imperialisti, quale il Medio Oriente,
e il suo rigido compattamento nella contrapposizione Est/Ovest. Politiche queste
ultime che hanno necessariamente accompagnato la scelta economica di fondo operata
con il riarmo.
Da qui le innumerevoli forzature degli anni '80 adottate dalla politica statunitense:
dal ricorso al terrorismo di Stato, alla politica delle cannoniere, fino a vere
e proprie invasioni sulle quali l'Europa Occidentale si è di volta in
volta accodata e accorpata alla leadership statunitense.
Una scelta bellicistica proceduta per tappe e che ha avuto l'effetto non secondario
di imporre una competizione sul terreno dell'ammodernamento degli armamenti
all'Unione Sovietica, competizione che ha provocato un effetto disastroso sull'economia
della stessa. È ovvio che l'attuale crisi economica e politica in URSS
non dipende solamente dalle scelte operate nel campo occidentale con l'opzione
bellica, ma ciò non è stato irrilevante nel suo ridimensionamento
come superpotenza internazionale.
L'aggressione imperialista al popolo iracheno segna indubbiamente un punto di
svolta nel dispiegamento della guerra, due dati di sostanza che vi si leggono:
verifica e compattamento dell'Alleanza Atlantica e netta subordinazione dell'Unione
Sovietica sulla scena internazionale. Con la guerra del Golfo una fase nuova
della strategia politico-militare dei centri imperialisti, Stati Uniti in testa,
si delinea e la borghesia si affretta a dargli un pomposo nome: nuovo ordine
mondiale. Insomma, con parole meno apocalittiche e metafisiche si allude ad
un ordine dettato dai nuovi termini della concorrenza monopolistica internazionale
che premono per una nuova divisione internazionale del lavoro e dei mercati,
dove l'asservimento dei popoli e la rottura del quadro storico-politico evoluto
dalla Seconda Guerra Mondiale sono la condizione politica necessaria a tale
fine.
In questo insieme non si può leggere come controtendenza all'esplodere
ed allargarsi dei conflitti i passaggi politici avvenuti in URSS, anzi ciò
manifesta il precipitare della tendenza alla guerra: in generale perché
la crisi di sovrapproduzione di capitali non è risolvibile con la semplice
penetrazione economica.
In concreto non esistono i margini per l'espansione dei mercati capitalistici
perché non sono date le condizioni per la valorizzazione al grado richiesto
degli investimenti di capitali. Si tratta, nelle attuali condizioni, di vaghe
promesse di investimenti futuri in funzione prettamente politica, accanto al
dato più sostanziale di quel processo di "penetrazione economica"
che si caratterizza nell'acquisizione di strutture produttive. Due elementi
questi che premono sulla destrutturazione, divenendo strumento per indebolire
ulteriormente la superpotenza URSS al fine di un suo definitivo ridimensionamento
e subordinazione. Non esiste infatti alcun interesse economico, politico e tanto
meno militare teso a favorire un rafforzamento in un qualunque campo di questa
superpotenza.
Non è un caso che, approfittando della condizione di estrema debolezza
in cui l'URSS versa, l'amministrazione Usa rilancia il suo programma di "disarmo"
- disarmo sovietico s'intende! - perché tale proposta non può
nascondere che essa risponde ai mutati scenari tattici di una guerra in Europa
aggiornandone il concreto teatro bellico; così come essa risponde alle
nuove teorie Nato e, in questo, si leva minacciosa contro l'autodifesa di popoli
e paesi. La sostanza della "proposta" statunitense sta nell'approfondimento
tecnologico degli armamenti convenzionali e nucleari, altro che disarmo! Esplicativo
di ciò è che il progetto di "guerre stellari" trova
rinnovato impulso. Una "proposta" che, al di là del ricatto
demagogico "distruzione di armi uguale aiuti", è una pressione
costante e destabilizzatrice sull'Unione Sovietica.
Si concretizza dunque la tendenza alla guerra che, se da un lato risponde ad
una nuova ripartizione dei mercati, dall'altro, ed è la sua ragione principale,
risponde sia alla distruzione dei capitali sovrapprodotti sia a quella delle
merci e della forza-lavoro. In questa chiave la contraddizione Est/Ovest entra
in una nuova fase di cruenta contrapposizione e gli attuali avvenimenti in Unione
Sovietica ne sono una evidente manifestazione.
Un processo che caratterizza anche le politiche di coesione dell'Europa Occidentale,
dove l'appartenenza alla Nato diventa condizione per svolgere ed acquisire un
peso internazionale, per ritagliarsi un proprio ruolo specifico sugli scenari
internazionali. Questo è il fulcro su cui ruotano le relazioni politiche
fra gli Stati dell'Europa Occidentale, che coinvolgono anche paesi fino a ieri
esterni all'Alleanza Atlantica, come ad esempio Svizzera ed Austria, vista l'ingerenza
diretta di quest'ultima nella crisi yugoslava, i quali, nel nuovo assetto internazionale
che va formandosi, "scoprono" che la loro storica "neutralità"
è una camicia di forza, un cappio per la loro economia necessariamente
integrata. Quanto all'Europa Occidentale, la sua coesione politica ha il suo
punto di forza nella "Difesa comune" e marcia oggettivamente e soggettivamente
verso lo sbocco bellico: l'Est europeo è il suo terreno privilegiato
d'intervento; in questo senso alimenta revanscismi e nazionalismi al cui interno
la neocostruita Grande Germania svolge un ruolo preminente per riportare sotto
la propria influenza i popoli slavi, e in questo si fa promotrice della costituzione
di nuovi Stati in sostanza fantocci.
La crisi yugoslava è il banco di prova per l'Europa Occidentale e chiamare
ingerenza la politica che sta attuando è solo un eufemismo, ma gli obiettivi
che l'Europa e più in generale il campo imperialista nel suo complesso
si prefiggono trovano l'ostacolo maggiore nel confronto concreto fra le forze
in campo, che è l'ineliminabile incognita che smorza le velleità
di invasione, date anche le risposte politiche del governo federale tese a non
farsi trascinare in uno scenario di guerra civile ai livelli prefigurati dall'imperialismo,
svuotando di ogni legittimità, che non sia quella "internazionale",
la proclamazione di "Stati" da parte di un manipolo di ustascia. Solo
secondariamente le ingerenze occidentali trovano freno dagli squilibri che una
possibile "Anshluss" (annessione) della terra slava da parte della
Germania provocherebbe all'interno dell'Europa Occidentale.
Le contraddizioni che manifesta al suo interno l'Europa Occidentale sono il
riflesso in ultima istanza del grado di approfondimento della crisi, che non
può che accentuare, pur dentro l'ambito fortemente integrato della economia,
la concorrenzialità fra le diverse frazioni della borghesia imperialista
nella necessità di acquisire le posizioni a sé più favorevoli,
influendo nell'andamento contraddittorio delle stesse politiche di coesione.
Da qui l'instabilità negli equilibri di forza all'interno del blocco
occidentale che si accompagna al maggior ruolo che vengono ad assumere, seppure
a diversi gradi, i paesi europei. Chiarificatrice in questo senso è la
dichiarazione congiunta anglo-italiana sul rafforzamento della UEO con ambito
di intervento extra Nato e sotto la direzione Nato, dichiarazione tesa all'adeguamento
dell'integrazione europea nella direzione della preparazione alla guerra, ma
nello stesso tempo a premere per limitare il peso politico dell'asse franco-tedesco
in Europa, asse che, sempre nella medesima direzione generale, ha rafforzato
le sue truppe integrate proponendole come forza europea.
Le tendenze che emergono dalla complessa situazione di questo quadro politico
internazionale, riflettendosi nello specifico contesto interno dei singoli paesi
europei occidentali, premono per una ulteriore accelerazione della ridefinizione
degli assetti politico-istituzionali degli Stati.
In sostanza vengono riadeguati, in termini generali e con soluzioni specifiche
alla natura storico-politica dei singoli Stati, le loro funzioni ed i loro organi
ai nuovi gradi di sviluppo dell'imperialismo ed i problemi posti dal tentativo
di contenimento della lotta di classe, ossia della controrivoluzione preventiva
come politica costante di ogni singolo Stato.
Nel nostro paese tutto questo assume una particolare importanza e centralità
in relazione alla forza e qualità della lotta di classe che si è
maturata negli anni ed alla prassi rivoluzionaria che le BR hanno assunto, dimostratasi
punto più alto nel dare risoluzione al problema del potere in dialettica
con i settori più avanzati dell'autonomia di classe. In questo il "caso
Italia" è un osso duro sulla strada delle varie politiche messe
in campo dai diversi esecutivi.
Tramite l'attuale processo di rifunzionalizzazione dei poteri e degli istituti
dello Stato si intende far funzionare al massimo la democrazia formale in linea
con i modelli delle democrazie mature europee per costruire, sempre e comunque,
di volta in volta maggioranze che siano in grado di garantire un esecutivo stabile
che sappia rispondere in modo adeguato e rapido ai movimenti dell'economia,
così come sul terreno degli impegni sempre più gravi ed esigenti
dettati dall'instabilità del quadro internazionale dovuta alle politiche
aggressive dell'imperialismo. Un processo che è riduttivo definire reazionario
perché si costruisce coniugando la più grande apparenza di democrazia
(democrazia formale) con un parallelo accentramento del potere reale. Questa
tendenza al rafforzamento delle forme politiche della dittatura borghese non
avanza in base ad esibizioni di abilità in ingegneria costituzionale,
ma, essendo riferita ad un preciso contesto materiale su cui mira ad incidere,
ne è condizionata dalla contraddittorietà del contesto stesso.
La stessa durezza con cui l'esecutivo punta ad imporre l'attivazione dei propri
programmi, forzando la risoluzione delle contraddizioni che si manifestano,
evidenzia l'impossibilità di ricucirle pacificamente, dato che esse si
generano nello scontro concreto, e a poco servono i richiami demagogici all'interesse
generale del paese.
All'opposto la funzione dello Stato sul terreno delle politiche economiche,
nel quadro dell'offensiva imperialista, si determina con maggior chiarezza,
in quanto lo Stato agisce come interprete e garante al massimo grado dell'interesse
della borghesia imperialista.
La stabilità politica è richiesta dalla complessità dei
mutamenti in corso e gli strappi nei rapporti di forza generali fra le classi
vengono condotti per delineare parziali momenti di stabilità, aprendo
spazi politici tali da poter consentire la costruzione di condizioni idonee
alla modifica dei poteri dello Stato, condizioni in ultima istanza determinate
dal peso dello scontro fra le classi. Ed è proprio mirando ad un ridimensionamento
complessivo del peso politico della classe, per poterla così piegare
alle più dure politiche economiche, che nel corso degli anni '80 si è
sviluppata un'offensiva che ha spaziato dal politico, all'economico, al militare,
con interventi controtendenziali alla crisi regolati secondo il modello del
neocorporativismo caratterizzato dagli accordi centralizzati tra governo, Confindustria
e sindacato. Lo Stato ha operato questa offensiva partendo dal presupposto che,
senza assestare un duro colpo alla guerriglia, non si sarebbe potuto procedere
alla ristrutturazione economica; una dinamica controrivoluzionaria che, a partire
dall'attacco alle BR ed ai settori più avanzati dell'autonomia di classe,
ha attraversato orizzontalmente tutto il corpo di classe.
A partire dai nuovi rapporti di forza si sono sviluppati i vari passaggi del
progetto di rifunzionalizzazione complessiva, come ratifica e assestamento sul
piano politico-istituzionale, in un ulteriore rafforzamento dello Stato, modificando
profondamente il carattere della mediazione politica rispetto al proletariato,
ed anche la funzione degli stessi soggetti istituzionali. Per questo nelle nuove
condizioni dello scontro tra classe e Stato è incorporato il salto di
qualità operato nel corso degli anni '80, dato che l'insieme delle politiche
antiproletarie ha assunto il carattere di una vera controrivoluzione complessiva.
Oggi, sul fronte degli ulteriori passaggi verso la II Repubblica, manifesta
è la volontà delle più alte cariche dello Stato di svolgere
un ruolo di testa di ariete che ben illumina le reiterate sortite di Cossiga,
dettate come sono dalla necessità di operare mutamenti profondi nell'impianto
costituzionale. Tali cambiamenti che si sono andati accelerando nel corso dell'odierna
legislatura non possono dipanarsi nel vuoto asettico o con il meccanico rispetto
di un ruolino di marcia, ciò per le contraddizioni che un tale processo
scatena anche all'interno dello stesso ambito istituzionale borghese, dato che
questo nei suoi organi principali ne è direttamente investito, essendone
soggetto e oggetto e, quindi, tali forzature si muovono nel solco della politica
del fatto compiuto, provocando così una instabilità nel quadro
politico istituzionale. L'attacco antiproletario si fa tanto più feroce
quanto più è stretta la strada imposta dalla crisi del modo di
produzione capitalistico, quanto più sono impellenti le scadenze dettate
dalle tappe verso la maggiore coesione politico-economico-militare in Europa
Occidentale, lasciando margini residuali ai tipici strumenti di ammortizzamento
sociale sempre più compressi, data la necessità di indirizzare
le risorse finanziarie disponibili al sostegno dei grandi gruppi industriali
che incamerano fiscalizzazioni e facilitazioni di ogni genere in misura crescente.
In questo contesto anche la rappresentanza formale a livello istituzionale degli
interessi di classe si riduce fino ad azzerarsi. È la crisi che toglie
ogni possibilità e spazio alle politiche socialdemocratiche perché
ne demolisce la base strutturale, economica, materiale sulla quale si sono alimentate
e sviluppate nella fase dell'espansione economica che l'imperialismo ha conosciuto
dopo il secondo conflitto mondiale. Vedendo erosi i propri margini di manovra
sul piano del controllo della lotta di classe, i revisionisti perseguono come
loro massimo obiettivo politico l'appiattirsi sulle posizioni dominanti del
campo borghese, tesi nella corsa a superare ogni supposta "diversità"
mirando ad essere accettati, partito borghese tra partiti borghesi.
Nel rispondere ai crescenti impegni sul terreno istituzionale, la potenza Italia
ha compiuto dei passi enormi nella direzione di un intervento sempre più
a carattere militare verso l'estero, in concerto con gli altri paesi imperialisti,
Usa in particolare. A tale fine marcia la riforma delle Forze Armate, privilegiando
il rafforzamento delle unità di rapido impiego con l'adozione di nuovo
armamento adatto allo scopo, come portaerei ed aerei cisterna per il rifornimento
in volo e con un crescente peso nella presenza di militari professionisti; il
tutto pianificato nel "nuovo modello di difesa" che prevede l'investimento
di 57.000 miliardi, dando così anche impulso all'industria bellica. Un
salto qualitativo tutto in funzione dell'affidamento all'Italia del comando
della divisione mediterranea Nato di pronto intervento.
Sul fronte interno quanto sta avvenendo nel contesto dello scontro di classe
mette in evidenza i repentini passaggi che si stanno consumando a lato della
più generale ridefinizione dei poteri dello Stato. Attraverso laceranti
contraddizioni e strappi nei rapporti di forza generali tra le classi, nonché
nell'acuirsi dei conflitti dentro gli stessi apparati dello Stato e delle compagini
borghesi, un sempre più ristretto ambito dell'esecutivo ha formalizzato
l'affrontamento di organismi e figure istituzionali in grado di veicolare lo
stesso accentramento dei poteri, la cui portata politica non ha precedenti perché
consente di concentrare poteri esecutivi e legislativi in poche mani disponendo
nel contempo di tutte le forze coercitive dello Stato.
A questo mira l'insieme delle nuove funzioni politiche affidate a prefetti,
procure e all'integrazione operativa delle tre armi, a partire dal loro agire
coordinato sotto la direzione dell'esecutivo. Dai caratteri di questi nuovi
organismi scaturisce la natura prettamente controrivoluzionaria ed antiproletaria
dei cambiamenti in atto e si comprende immediatamente la funzione principale
per cui sono stati creati, l'essere volti cioè contro l'opposizione operaia
e proletaria che in questo paese non riesce ad essere ridimensionata dentro
ai vincoli auspicati dalla borghesia imperialista e dal suo Stato. L'istituzione
di questi organismi, oltre a caratterizzare la strada obbligata della configurazione
che va assumendo il potere in Italia dentro all'irrigidimento delle forme politiche
di governo del conflitto, ha lo scopo di attivizzare su più livelli tutti
gli strumenti della controrivoluzione preventiva, come mezzo principale per
ostacolare il processo di organizzazione di lotta del proletariato, sebbene
quest'ultimo presenti un movimento discontinuo in questa fase segnata dai rapporti
di forza relativamente a favore dello Stato.
Più propriamente ha la velleità di inibire nel medio periodo il
prodursi di condizioni politiche e materiali nel campo proletario favorevoli
allo sviluppo della lotta armata per il comunismo, ma al di là dei disegni
dello Stato, questo non è un problema contenibile oltre un certo tempo,
tanto meno tramite la messa in campo di politiche repressive. Ciò perché
indipendentemente da fasi di relativa difensiva della situazione di classe e
rivoluzionaria, si sono consolidate nei caratteri dello scontro di classe condizioni
politiche ineliminabili, le quali fanno sì che le dinamiche più
avanzate della lotta non possano prescindere da quanto si è maturato
in oltre un ventennio di scontro rivoluzionario. Termini politici che quindi
condizionano l'andamento dello scontro al di là della situazione congiunturale
perché determinati dallo sviluppo storico e dal livello raggiunto dallo
scontro di classe e rivoluzionario.
Nel concreto questo dato politico è riconducibile alla qualità
del processo rivoluzionario sviluppato e diretto dalle BR in stretta dialettica
con l'autonomia di classe e intervenendo sempre nei nodi centrali dello scontro
tra le classi. Un agire rivoluzionario che, a partire dall'attacco ai progetti
centrali che contrappongono la borghesia al proletariato, incide nei rapporti
di forza acquisendo un vantaggio momentaneo che viene tradotto nella costruzione
di organizzazione di classe sulla lotta armata. È in questa complessa
dialettica di costruzione delle condizioni politiche e militari di sviluppo
della guerra di classe che le BR, collocandosi al punto più alto dello
scontro, ne sono da sempre parte attiva e direzione rivoluzionaria.
Uno scontro rivoluzionario che per la sua profondità ha impresso specifici
caratteri al complesso delle relazioni tra classe e Stato, ai suoi termini di
rapporto generale. È questo il processo reale che ha fatto acquisire
alla dinamica dello scontro di classe un peso politico che ha valenza strategica
ai fini della prospettiva di potere del proletariato metropolitano di questo
paese, tenuto conto di quanto si è maturato per gli interessi generali
del proletariato nello sviluppo della guerra di classe in termini di esperienza
e conoscenza del suo andamento e della sua conduzione. In altre parole, dai
rapporti generali classe/Stato, fino alle modalità e dinamiche di sviluppo
e organizzazione dell'antagonismo proletario, vivono i termini politici maturatisi
con lo sviluppo della lotta armata per quanto su questo terreno ha prodotto
e conquistato l'attività complessiva della guerriglia.
In sintesi, all'approfondimento del carattere controrivoluzionario che lo Stato
vuole imprimere nel rapporto di scontro, fa da contraltare la resistenza che
un proletariato niente affatto pacificato oppone ai pesanti attacchi sul piano
delle conquiste politiche e materiali, nonché l'ipoteca costante rappresentata
dal piano del risvolto rivoluzionario. Una condizione politica nello scontro
che è la ragione prima degli ostacoli e dei ripiegamenti nell'attuazione
dei progetti della borghesia imperialista e dell'instabilità del quadro
politico con cui lo Stato si trova ad affrontare le scadenze poste all'ordine
del giorno dalla profondità della crisi.
A fronte del restringimento dei margini di manovra, esecutivo e Confindustria
spingono sulle leve del neocorporativismo nei suoi attuali termini di approfondimento
come politica concreta che si pone l'obiettivo di frammentare entro micro interessi
conflittuali il corpo di classe e depotenziarne le lotte in riferimento alla
rigidità operaia ed alle conquiste unitarie del movimento operaio. Se
da una parte lo Stato mette in campo tutti gli strumenti di governo consentiti
dalla più generale modifica, soprattutto nell'ultimo decennio, della
mediazione politica, è proprio la gravità della crisi, che è
economica, politica e istituzionale insieme, che progressivamente riduce gli
strumenti di governo del conflitto mentre contemporaneamente lo inasprisce e
lo precipita. In questo quadro lo stesso ricorso da parte delle più alte
cariche dello Stato alla rivendicazione dello stragismo in funzione apertamente
terroristica nei confronti della classe, mentre è la manifestazione più
evidente dei limiti politici al contenimento del conflitto, nello stesso tempo
smaschera la reale natura di classe della "democrazia formale", la
sua sostanza controrivoluzionaria ed antiproletaria.
Un modo di governare il conflitto di classe che in pratica fa leva sull'"ordine
pubblico" il cui senso reale è la criminalizzazione di ogni manifestazione
di lotta e antagonismo proletario; uso dell'"ordine pubblico" che
se è una costante di questo sistema di potere, lo è a maggior
ragione nel contesto attuale di crisi economica come anche di avvicinamento
di concrete prospettive belliche. Da qui il corollario di campagne ideologiche
di stampo lealista, sciovinista e razzista di cui la borghesia imperialista
e lo Stato si fanno promotori, col fine di creare un clima politico adeguato
all'attuazione delle politiche anticrisi e guerrafondaie. Campagne ideologiche
perciò del tutto rispondenti alle posizioni ed esigenze della borghesia
imperialista i cui contenuti sono estranei al movimento proletario e quindi
per questo fomentate anche con l'auspicio terroristico delle bande di Stato.
Nei fatti la pacificazione che dovrebbe scaturire da questi anni di controrivoluzione
dispiegata ha trovato un argine invalicabile proprio nell'impossibilità
di annichilimento della lotta armata per la sua portata politica, frutto questa
in particolare della direzione, dell'agire politico-militare della nostra Organizzazione.
Lo Stato ha imparato a sue spese di avere nella guerriglia, nel suo rapporto
con il movimento di classe, l'unico nemico davvero mortale e punta, sulla base
degli attuali rapporti di forza, a realizzare il disegno della "soluzione
politica" che ha un suo spazio nella presente fase costituente, volendo
con essa rappresentare, nel proprio teatrino della politica, la chiusura dei
conti con le BR come miglior varo possibile delle nuove regole del gioco.
Quello che nella realtà si determina è un ulteriore approfondimento
del rapporto rivoluzione/controrivoluzione, un nodo in questa fase dello scontro
la cui comprensione ed assunzione è fattore ineludibile sul terreno della
guerra di classe per disporsi adeguatamente nello scontro.
Nel fare i conti con questo dato e con gli altri mutamenti intervenuti sul piano
storico politico prodotti dallo sviluppo dell'imperialismo, a fronte del tentativo
dello Stato di approfondire ulteriormente i caratteri della mediazione politica,
incorporando nella controrivoluzione preventiva i passaggi operati con la controrivoluzione
degli anni '80, le BR riaffermano la validità e necessità della
strategia della lotta armata, la sola in grado di impattare lo Stato e capace
di rompere il reticolo della mediazione politica che caratterizza il rapporto
politico fra le classi nei paesi a capitalismo maturo, la sola in grado di potenziare
le spinte antagoniste che emergono dalla classe e ricomporle nella prospettiva
della conquista del potere politico, una strategia che informa tutto il processo
rivoluzionario sino all'instaurazione della dittatura del proletariato. Di fronte
alla crisi generale del capitalismo, se per parte imperialista quest'epoca storica
si prefigura come epoca di distruzione, miseria e guerra, per parte proletaria
si configura necessariamente come epoca di nuove e più avanzate rivoluzioni
a carattere proletario ed antimperialista; per il proletariato metropolitano
l'alternativa che si prospetta è quella tra guerra imperialista e guerra
di classe, per i popoli della periferia il risvolto alla guerra e al sottosviluppo
è dato dentro ai processi di liberazione nazionale nelle guerre popolari:
due piani, quindi, tra cui c'è unità ma non identità, su
cui si dà lo sviluppo dei processi rivoluzionari nel mondo.
Con il processo di riadeguamento intrapreso in seguito all'offensiva controrivoluzionaria
degli anni '80, le BR hanno rimesso al centro della loro prassi i due assi strategici
sui quali si esplica l'attività pratica della guerriglia, nella dialettica
attacco-costruzione-organizzazione-attacco ed utilizzando i criteri politici
di centralità dell'obiettivo, selezione del personale che costituisce
il perno e l'equilibrio dello stesso, e calibramento al livello necessario dello
scontro ed ai rapporti di forza tra le classi e tra antimperialismo ed imperialismo;
assi strategici sintetizzabili ne:
- l'attacco al cuore dello Stato, inteso come attacco alle politiche dominanti
che oppongono classe e Stato nella congiuntura e che, nella fase attuale, si
precisa nell'attacco alle politiche di ristrutturazione-rifunzionalizzazione
degli apparati e degli istituti e funzioni dello Stato;
- l'attacco all'imperialismo inteso come attacco alle sue politiche centrali,
oggi di integrazione e coesione; attacco portato all'interno di una politica
di promozione, sviluppo e consolidamento del Fronte Combattente Antimperialista,
inteso come politica di alleanze tra le Forze Rivoluzionarie dell'area europeo-mediorientale-mediterranea,
tesa a perseguire soggettivamente l'oggettiva unità antimperialista dei
processi rivoluzionari tanto della periferia che del centro imperialista, tesa
ad indebolire l'imperialismo nell'area per favorire i processi rivoluzionari;
da qui la stretta unità programmatica con l'attacco allo Stato.
Sui necessari passaggi politici, nella dialettica dello scontro, fatta com'è,
in questa particolare fase di Ritirata Strategica, di attacchi e ripiegamenti
nella capacità di mantenere l'offensiva rivoluzionaria al livello richiesto
dallo scontro, nella ricostruzione-formazione delle forze al livello necessario,
si pongono le basi indispensabili per poter rispondere meglio alle esigenze
della sempre vigente fase di Ritirata Strategica; le BR promuovono l'unità
dei comunisti sulla base del Programma, della Strategia, che le sono proprie
e che hanno maturato nello scontro. Operano la necessaria centralizzazione delle
forze, per disporle ed attrezzarle come un cuneo sul piano di lavoro funzionale
agli obiettivi di fase. Una disposizione delle forze adeguata a sostenere lo
scontro rispondendo alle sue esigenze, nonché a formare le forze stesse;
più precisamente, con ciò, si intende centralizzazione delle direttive
politiche su l'intero movimento delle forze e nel contempo decentralizzazione
delle responsabilità politiche alle diverse sedi e istanze organizzate.
Solo così è possibile trarre il massimo utilizzo politico dalla
disposizione delle forze, relazionate al piano di lavoro, alle sue necessità,
e non mera raccolta di disponibilità e spontanei apporti; in sostanza
è lo sviluppo e il salto qualitativo nella capacità di direzione
delle avanguardie e delle forze proletarie, che in dialettica con l'approfondimento
delle condizioni politiche e materiali dello scontro rivoluzionario stesso,
fa sì che le BR, agendo da partito, avanzino nel processo di costruzione-fabbricazione
del Partito Comunista Combattente.
In sintesi ribadiamo che l'intera attività politico-militare delle BR,
in particolare i passaggi politici compiuti in questi ultimi anni, dimostra
la valida applicazione della strategia della lotta armata alla realtà
concreta del nostro paese, sancendo il ruolo di direzione delle BR nello scontro
rivoluzionario in Italia.
Un dato, questo, da cui nessuno può prescindere e che costituisce l'unica
strada perché si dia avanzamento alla prospettiva rivoluzionaria nel
nostro paese.
- Attaccare e disarticolare il progetto antiproletario e controrivoluzionario
di riforma dello Stato!
- Costruire ed organizzare i termini attuali della guerra di classe per attrezzare
il campo proletario allo scontro prolungato contro lo Stato!
- Attaccare le politiche centrali dell'imperialismo e in particolare i progetti
di coesione politica e militare dell'Europa Occidentale e di "normalizzazione"
della regione mediterraneo-mediorientale che passano principalmente sulla pelle
dei popoli palestinese e libanese!
- Lavorare alle alleanze necessarie per costruire-consolidare il Fronte Combattente
Antimperialista, per indebolire e ridimensionare l'imperialismo nell'area geopolitica
europeo-mediterraneo-mediorientale!
- Combattere insieme!
- Onore a tutti i compagni e rivoluzionari antimperialisti caduti combattendo!
I militanti delle BR per il PCC: Giuseppe Armante, Franco La Maestra
Roma, novembre 1991