Biblioteca Multimediale Marxista
In quanto militanti delle BR-PCC e militanti rivoluzionari vogliamo ribadire
come, al di là delle formule e dei riti giuridici, questa istruttoria,
che si trascina da due anni, risponde unicamente agli interessi della classe
dominante e non ha nessuna legittimità dal punto di vista della legalità
proletaria, la sola che riconosciamo.
E per parte proletaria l'attività rivoluzionaria delle BR-PCC è
ampiamente legittimata nella misura in cui la nostra Organizzazione ne rappresenta
e ne porta avanti gli interessi generali al punto più alto dello scontro,
di contro agli interessi e al dominio borghese.
Nel contesto attuale, gravido di crisi e tendenza alla guerra, la strategia
e la linea politica delle BR mantiene la sua piena attualità. Emerge
infatti sempre più netta la collocazione degli interessi contrapposti
e la loro possibile alternativa di sviluppo. Allora mentre la borghesia pretenziosamente
fa l'apologia della sua onnipotenza ed eternità, vediamo dove si collocano
realmente i fatti dal punto di vista di classe.
L'annessione della RDT da parte della RFT, la guerra di aggressione in Medio
Oriente poi, sono stati due momenti culminanti, come tappe da assestare nel
contesto internazionale, di un unico processo che avanza a suon di forzature
e rotture negli equilibri internazionali, su piani diversi ma complementari
e convergenti: la tendenza alla guerra. E' l'accumularsi critico della crisi
generale di sovrapproduzione assoluta di capitali e mezzi di lavoro che non
possono operare come tali, a produrre oggettivamente la tendenza alla guerra.
Mano a mano che le controtendenze messe in campo, sia in termini spontanei dal
capitale stesso, sia come politiche economiche mirate, esauriscono i loro effetti
sulle conseguenze più laceranti della crisi e le contraddizioni si presentano
come sempre più profonde e generalizzate, la necessità di darvi
soluzione si sposta sul piano politico sul quale le contraddizioni accumulate
premono per portare a maturazione le premesse per uno sbocco bellico.
Solo una guerra devastante e mondiale che distrugga capitale, forza-lavoro e
mezzi di produzione, e che ridefinisca parallelamente gli equilibri internazionali
per una nuova divisione globale del lavoro e dei mercati e delle sfere di influenza,
può aprire la strada ad un nuovo ciclo espansivo dell'imperialismo.
Per il carattere stesso della crisi economica e per il grado di approfondimento
raggiunto, la parziale estensione dell'ambito di penetrazione dei capitali che
può essere perseguita attraverso annessioni e aggressioni - in generale
la semplice espansione del mercato dei capitali - non è sufficiente a
risolvere la questione della valorizzazione.
Le operazioni in atto di penetrazione del capitale finanziario e industriale
verso l'Est si rivelano inefficaci per il rilancio del ciclo economico capitalistico:
mentre prefigurano la direttrice su cui l'imperialismo cerca lo sbocco alla
sua crisi, non fanno altro che aggravare lo stato di crisi economica.
Per la ripresa dell'accumulazione capitalistica su scala adeguata al livello
di sviluppo dell'imperialismo, è necessaria una rottura ben più
drammatica e complessiva - che è la tendenza che informa gli attuali
passaggi - sintetizzabile nella dinamica distruzione/ridefinizione/espansione.
Una dinamica che matura sull'asse Est/Ovest, anche perché i paesi dell'Est
(a differenza ad esempio dei paesi della periferia) sono un campo economico
sufficientemente sviluppato a livello industriale e delle infrastrutture da
consentire un'adeguata ripresa del ciclo economico, una volta distrutto il sovrappiù
di capitale prodotto, ridefinite su nuove posizioni la divisione internazionale
del lavoro e dei mercati a scapito dei paesi dell'Est e ridisegnate le aree
di influenza mondiali.
Dunque la presenza e l'individuazione di questo terreno come adeguato e complementare
per l'impiego dei capitali sovraprodotti, è di fatto uno dei sintomi
dell'approfondimento della tendenza alla guerra. Allo stesso modo, altrettanti
segnali in questa direzione sono sia la politica di riarmo, che tende sempre
più ad allargarsi a tutta la catena come terreno privilegiato di politiche
economiche, sia il salto in avanti nel processo di concentrazione/accentramento
del capitale che ha il suo perno nel mercato europeo.
Tutte dinamiche concrete che come marxisti analizziamo tenendo però sempre
presente che il passaggio dalla tendenza alla guerra alla "guerra di fatto"
non è né meccanico, né predeterminato, al contrario i suoi
tempi e modalità di realizzazione sono dati dalla interazione/scontro
tra i concreti elementi politici coinvolti. Quello a cui si assiste attualmente
è un processo di rotture nei rapporti politici e di forza tra i diversi
soggetti in campo, attraverso il quale l'imperialismo punta a costruirsi il
retroterra favorevole allo scatenamento della guerra "risolutrice".
Un processo che matura dentro il quadro internazionale storicamente definitosi
dopo la II guerra mondiale.
Il bipolarismo sancito a Yalta e, al suo interno, il livello di internazionalizzazione/interdipendenza
dell'economia capitalista nell'ambito integrato del blocco occidentale a dominanza
USA, sono fattori sostanziali che hanno informato i movimenti economici e politici
da 45 anni a questa parte e che attualmente prefigurano le direttrici di evoluzione
delle tendenze in corso. La profonda integrazione economica, politica e militare
della catena imperialista esclude che le contraddizioni che si manifestano al
suo interno come prodotto della concorrenza tra monopoli, possano tradursi sul
piano politico in un conflitto interimperialistico tra i paesi del blocco occidentale.
D'altra parte l'assetto bipolare, nel disegnare due aree di influenza nel mondo,
ha posto la contraddizione Est/Ovest come dominante la sfera delle relazioni
internazionali. Questa contraddizione, lungi dal dissolversi pacificamente,
catalizza come non mai i movimenti, le spinte e le rotture che riflettono e
accompagnano l'accumularsi delle contraddizioni nel campo imperialista, presentandosi
come il terreno di realizzazione della tendenza alla guerra: è su questo
piano che si concentrano le iniziative politiche e militari dell'imperialismo
per sfondare gli equilibri assestati e conquistare posizioni strategiche di
forza che preludono l'escalation nel confronto con l'Est.
Il profondo indebolimento e instabilità dei paesi dell'Est, e dell'URSS
in particolare, è uno dei termini su cui l'imperialismo cerca di fare
leva per trarne il massimo vantaggio, operando per una maggiore destabilizzazione.
Un processo che avanza da tempo a diversi livelli e che interagisce con le spinte
e le dinamiche oggettive e soggettive che attraversano il campo imperialista,
dando origine ad un quadro complesso e fluido in cui il rafforzamento dell'imperialismo
è relativo all'indebolimento del campo contrapposto. Ridefinire sulla
direttrice Est/Ovest l'assetto mondiale, non solo risulterebbe vantaggioso per
il capitale che potrebbe così espandersi in un contesto economico maturo
e ricettivo, ma comporterebbe anche per l'imperialismo la rimodellazione dei
rapporti di dipendenza con i paesi periferici.
Infatti il carattere dominante della contraddizione Est/Ovest implica che i
rapporti di forza che si instaurano e si modificano tra i due blocchi contrapposti
si riflettano sul piano di contraddizione Nord/Sud che ne è direttamente
condizionato, sia nei conflitti che vi si producono sia per il peso e l'estensione
del dominio economico e politico che l'imperialismo esercita sui paesi terzi.
I paesi della periferia che attraverso processi di emancipazione nazionale si
sono sottratti in questi ultimi 40 anni alle soffocanti leggi capitalistiche
dello sviluppo ineguale, si venivano a collocare oggettivamente nello schieramento
dell'Est, allo stesso modo, l'attivismo imperialista nel forzare e incrinare
i rapporti politici e di forza nei confronti dell'altro blocco, si ripercuote
anche sulla tendenza alla ricollocazione e recupero del controllo, economico
e politico, sui paesi terzi, tendenza che procede sia in termini di strangolamento
economico che di intervento militare diretto (e che comunque deve sempre fare
i conti con l'indisponibilità di questi popoli a sottomettersi al dettato
imperialista). Fermo restando che, a questo stadio della crisi economica, anche
per assestare un quadro di relazioni sviluppo/sottosviluppo funzionale alla
necessità della crisi/maturazione dell'imperialismo, è necessaria
una ridefinizione globale della divisione del lavoro e dei mercati che ha il
suo centro nei paesi industrializzati e nella ridefinizione dei rapporti di
forza tra Est e Ovest.
A partire dall'accumularsi di fattori economici che richiedono all'imperialismo
di rimettere in discussione complessivamente l'assetto post-bellico e stante
le modificazioni significative sopravvenute negli equilibri Est/Ovest, l'aggressività
imperialista si è dispiegata recentemente nella regione mediterranea-mediorientale
evidenziando come essa effettivamente sia, e non da oggi, la regione di massima
crisi nel mondo. Le contraddizioni Est/Ovest e Nord/Sud che l'attraversano assumono
qui una valenza e un'acutezza tutte particolari. Si tratta infatti di un'area
a carattere strategico, perché zona di confine già a suo tempo
non definita dagli accordi di Yalta, perché snodo centrale nelle rotte
e transiti fra tre continenti, perché fonte di risorse strategiche da
tenere sotto controllo. D'altra parte si tratta di un'area a contatto diretto
col mondo capitalista e in questo l'Europa occidentale, che ne ha fatto la sua
naturale zona d'influenza, è interessata direttamente dai conflitti che
vi si producono, la cui forte connotazione antimperialista dimostra l'alto grado
di instabilità politica della regione. Tutti elementi questi che fanno
di quest'area il possibile detonatore di un conflitto allargato, e che chiariscono
come questa guerra rispondesse a diversi ordini di contraddizione. Obiettivo
immediato dell'attacco occidentale al popolo irakeno è senz'altro la
ricerca di una "normalizzazione" imperialista dell'area in cui, attorno
all'attività sionista, perno della strategia USA, dovrebbe ruotare il
sistema di sicurezza e stabilizzazione economica integrato nell'Alleanza Atlantica.
A partire dai rapporti di forza scaturiti da questa guerra, gli Stati Uniti
in particolare e tutto il blocco occidentale puntano ad imporre più stretti
rapporti di dipendenza ai paesi della regione e dettare sotto questo ferreo
ordine la "soluzione politica" del conflitto sionista-palestinese
e arabo-sionista. Ma la valenza e il portato dell'aggressione in Medioriente
va oltre il semplice riordino delle relazioni di dipendenza nell'area, nel quadro
della tendenza alla guerra essa risponde all'obiettivo di stabilire posizioni
di forza per gli interessi strategici, politici e militari dell'imperialismo.
Le finalità di questa guerra, così come le implicazioni concrete
maturate, sono state perseguite attivamente soprattutto dagli Stati Uniti che,
nel dirigerla e gestirla senza sostanziali condizionamenti, hanno riaffermato
con forza la loro egemonia nella catena. Questa è la logica conseguenza
della posizione economica degli USA, paese capitalisticamente più avanzato,
quindi che subisce un livello più profondo di crisi; quindi che maggiormente
spinge verso lo sbocco bellico; d'altra parte si sono poste le premesse per
una maggiore responsabilizzazione e operatività politica e militare dell'Europa
occidentale, il cui allineamento sulle direttive statunitensi conferma come
i processi di coesione europea non possono essere letti in funzione della creazione
di un "terzo polo", ma sono tutti interni al rafforzamento dell'Alleanza
nel suo complesso.
Queste sono schematicamente le dinamiche in evoluzione nel mondo, portato degli
scompensi dell'economia capitalistica che vedono l'Europa al centro della ridefinizione
degli equilibri internazionali. Andare oltre l'apparenza per cogliere le diverse
prospettive e potenzialità di evoluzione dei termini dello scontro rivoluzione/controrivoluzione,
imperialismo/antimperialismo, significa da un lato registrare un approfondimento
di questi termini, dall'altro cogliere come l'attivismo guerrafondaio dell'imperialismo
sia un'estrema manifestazione di debolezza, debolezza strategica di un sistema
economico e di dominio che deve ricorrere alla forza militare, alla distruzione
e all'annientamento su scala mondiale per mantenersi e sopravvivere, e che per
questo vede insorgere contro di essi movimenti di liberazione di popoli oppressi
mentre, al suo stesso interno, la guerriglia si dimostra sempre più come
la prassi storicamente adeguata al suo superamento. Anche la contraddizione
principale proletariato/borghesia, infatti, è direttamente attraversata
dagli attuali processi economici, politici e militari. Il livello di crisi/sviluppo
dell'imperialismo nella fase dominata dai monopoli multinazionali-multiproduttivi,
richiede altissimi tassi di sfruttamento che sono altrettante catene per il
proletariato internazionale; nel contempo si evidenzia come la guerra verso
cui l'imperialismo sta trascinando il mondo intero, risponde, così come
tutte le guerre imperialiste che hanno insanguinato questo secolo, unicamente
agli interessi della borghesia, alle problematiche e insanabili contraddizioni
che sono parte integrante di questo modo di produzione. Opporsi irriducibilmente
e fattivamente alla guerra della borghesia imperialista è interesse generale
del proletariato che deve e può vivere concretamente all'interno di una
strategia adeguata in grado di trasformare la guerra imperialista in guerra
rivoluzionaria: la Lotta Armata per il Comunismo. Interesse di classe che si
afferma dunque nell'attività politico-militare della guerriglia, di direzione
dello scontro nel centro imperialista, e che d'altra parte coincide con gli
interessi dei popoli oppressi della periferia e in particolare nell'area mediterranea-mediorientale.
Le iniziative combattenti che in ogni parte del mondo hanno sintetizzato al
livello più alto l'opposizione di massa alla guerra imperialista, hanno
posto con forza questo terreno unitario, esprimendo un rinnovato internazionalismo
proletario. Il patrimonio politico e rivoluzionario maturato dalle masse arabe
in anni di lotta, resistenza e combattimento contro le progettualità
mortifere dell'imperialismo per la liberazione nazionale e l'emancipazione politica
e sociale, ha espresso a fronte dell'oppressione imperialista tutta la sua potenzialità.
Attraverso il rifiuto radicale del nuovo ordine imperialista, della sua logica
di guerra e asservimento, si sono coagulate forze e settori non omogenei ma
consapevoli delle necessità di opporsi all'arroganza imperialista, che
hanno manifestato nel dispiegamento dell'attività combattente il loro
punto più alto, rendendo tra l'altro poco sicure le alleanze con i paesi
arabi della coalizione anti-irakena e tendendo ad annullare la suddivisione
artificiale della regione imposta dal colonialismo prima e dall'imperialismo
poi.
Un'attività antimperialista destinata a pesare sugli sviluppi di uno
scontro che coinvolge interi popoli che combattono per l'autodeterminazione:
un piano di scontro che per l'imperialismo è strategicamente perdente.
E questa, alimentata dalle contraddizioni proprie del rapporto Nord/Sud, non
è che una delle direttrici di scontro antimperialista su cui si manifesta
in termini offensivi la totale contrapposizione al "nuovo ordine mondiale".
Nei paesi del centro imperialista quello che l'ultima operazione bellica ha
reso ancor più evidente è che non si può lottare contro
la guerra della borghesia imperialista con gli strumenti consentiti dalla democrazia
borghese che serve, in definitiva, gli stessi interessi che portano alla guerra.
Tale condizione di scontro riafferma con più forza la validità
della guerriglia come unica alternativa concreta e praticabile per il proletariato
alla crisi della borghesia e alla sua (relativa) risoluzione nella logica del
capitale, la guerra imperialista. Questo perché la lotta armata, l'unità
del politico e del militare, è l'adeguamento della politica rivoluzionaria
alle condizioni generali del conflitto di classe per come si sono delineate
in questa fase dell'imperialismo. In particolare, per quanto riguarda l'Italia,
è la giustezza dell'impostazione strategica, della linea politica e degli
obiettivi di programma delle BR, maturati e praticati nello scontro in 20 anni
di attività rivoluzionaria, che costituisce la grande forza strategica
per il proletariato del nostro paese, risposta concreta e prospettica alla questione
del potere.
Dentro ai principali assi programmatici dell'attacco al cuore dello Stato e
alle politiche centrali dell'imperialismo, in dialettica con le istanze più
mature dell'autonomia di classe, le BR-PCC costruiscono i termini dello sviluppo
della guerra di classe di lunga durata dirigendo e organizzando lo scontro rivoluzionario:
un percorso concreto che fa avanzare il processo di costruzione del PCC.
In particolare per quanto riguarda l'antimperialismo, esso si materializza nel
contributo alla costruzione/consolidamento del Fronte Combattente Antimperialista,
quale termine politico-militare adeguato ad impattare le politiche centrali
dell'imperialismo che, in questa fase, vanno individuate nei progetti imperialisti
della coesione politica europea e di "normalizzazione" dell'area mediterranea-mediorientale.
Perseguire attivamente una politica di alleanze che unifichi nell'attacco alle
politiche dominanti dell'imperialismo non solo la guerriglia che opera nel cuore
dell'Europa occidentale ma anche le forze rivoluzionarie che perseguono la liberazione
nazionale che operano nell'area, è necessario e possibile. La necessità
del Fronte Combattente Antimperialista sta dunque nel grado di integrazione,
di coesione politico-militare, che caratterizza la catena imperialista in questa
fase storica e che richiede un indebolimento e un ridimensionamento complessivi
dell'imperialismo nell'area geopolitica europea-mediterraneo-mediorientale per
realizzare il processo rivoluzionario, sia esso "classista" o "nazionalista".
La possibilità del Fronte Combattente Antimperialista sta nell'esistenza
di un fronte oggettivo tra le forze rivoluzionarie che in questa regione combattono
l'imperialismo, il quale, assunto come termine soggettivo, consente di costruire
offensive comuni contro il nemico comune, indipendentemente dalle finalità
strategiche delle forze rivoluzionarie che vi concorrono; consente di costruire,
attraverso momenti successivi di unità e cooperazione tra le forze combattenti,
la forza politica e pratica necessaria a destabilizzare la potenza dell'imperialismo.
Un processo concreto che avanza nel vivo dello scontro e che a tutt'oggi si
qualifica nelle tappe concrete che ne hanno marcato lo sviluppo, dall'esordio
del Fronte Rivoluzionario Combattente in Europa occidentale, promosso nell'85
da Action Directe e Rote Armee Fraktion e sostanziato dalle azioni contro Zimmermann,
Audran e la base USA di Francoforte-Rein-Mein, all'accordo politico RAF-BR dell'88,
sintetizzato nel testo comune e concretizzato dall'attacco contro Tietmayer,
che pone le premesse politiche per lo sviluppo del Fronte Combattente Antimperialista
con tutte le forze rivoluzionarie che combattono nell'area geopolitica.
Vogliamo infine sottolineare che per le BR-PCC l'attacco alle politiche imperialiste
non esaurisce i compiti della guerriglia relativamente alla sua funzione di
direzione del processo rivoluzionario, ma si deve coniugare con l'attacco al
cuore dello Stato, alla politica dominante nella congiuntura che oppone proletariato
e borghesia, al fine di rompere gli equilibri politici che fanno marciare i
progetti della borghesia imperialista; questo proprio perché la funzione
degli Stati non si annulla ma al contrario si esalta nel quadro dato di integrazione
e coesione economica, politica e militare.
- Attaccare e disarticolare il progetto antiproletario e controrivoluzionario
di "riforma" dello Stato.
- Costruire e organizzare i termini attuali della guerra di classe per attrezzare
il campo proletario allo scontro prolungato contro lo Stato.
- Attaccare le politiche centrali dell'imperialismo e in particolare i progetti
di coesione politica e militare dell'Europa occidentale e di normalizzazione
della regione mediterranea-mediorientale che passano principalmente sulla pelle
dei popoli palestinese e libanese.
- Lavorare alle alleanze necessarie per costruire/consolidare il Fronte Combattente
Antimperialista, per indebolire e ridimensionare l'imperialismo nell'area geopolitica
Europa-Mediterraneo-Medioriente.
- Combattere insieme.
- Onore a tutti i compagni e rivoluzionari antimperialisti caduti combattendo.
Le militanti delle BR-PCC: Simonetta Giorgieri, Carla Vendetti, I militanti
rivoluzionari: Nicola Bortone, Gino Giunti
Parigi, 23/9/91