Biblioteca Multimediale Marxista
Come militanti delle BR-pcc e militanti comunisti rivoluzionari prigionieri
la nostra presenza in questo processo è motivata solamente dalla volontà
di rivendicare per intero l'attività delle Brigate Rosse per la costruzione
del partito comunista combattente e in questo ribadire la validità della
linea politica, del programma e della impostazione strategica costituita dalla
proposta della lotta armata a tutta la classe, perché è a partire
dall'attività rivoluzionaria delle BR, sviluppatasi in stretta dialettica
con le espressioni più mature dell'autonomia politica di classe, che
si è potuto affermare in Italia un processo rivoluzionario basato sullo
sviluppo della guerra di classe di lunga durata, che pur nel suo andamento discontinuo
fatto di avanzate e ritirate, costituisce l'alternativa rivoluzionaria necessaria
e possibile per il proletariato del nostro paese.
La prassi rivoluzionaria delle BR è perciò la prospettiva strategica
di potere della classe, e nello stesso tempo la concreta direzione e organizzazione
sul terreno della lotta armata dell'autonomia di classe, al fine di sostenere
lo scontro prolungato contro lo Stato.
Detto questo, rivendichiamo ancora in questa sede la giustezza dell'azione fatta
dalle BR contro la rifunzionalizzazione dei poteri e degli istituti dello Stato,
colpendo uno dei suoi massimi artefici, il senatore Ruffilli, perché
dimostra ancora una volta come sia possibile contrapporsi con una strategia
offensiva ai progetti dello Stato, nello specifico quelli rivolti al rafforzamento
dei poteri.
La celebrazione del processo cade nel momento più acuto della crisi politico-istituzionale
che attraversa il paese, ma ciò che oggi si verifica altro non è
che l'evoluzione obbligata delle contraddizioni sollevate dallo stesso processo
di rifunzionalizzazione dei poteri e degli istituti dello Stato, dovendo esso
rispondere alla duplice esigenza di adeguare lo Stato ai livelli di crisi e
sviluppo dell'attuale stadio economico del capitalismo e al governo del conflitto
di classe. Lo Stato italiano risponde a questa crisi accelerando con forzature
politiche e costituzionali i suoi processi di rifunzionalizzazione per far fronte
anche ai crescenti impegni internazionali che la stessa crisi determina, nel
tentativo di garantire stabilità a fronte dello scontro di classe che
su queste scelte si produce. Il ritrovato bellicismo fa il paio con le rivendicazioni
stragiste fatte dai massimi vertici dello Stato e della DC, rivendicazioni che
non sono tese a chiudere un capitolo della storia passata ma sono fatte per
pesare oggi sullo scontro di classe per determinare intorno alla continuità
della centralità DC equilibri e schieramenti della nascente II Repubblica.
Questa si caratterizza già sia nell'accentramento dei poteri nell'esecutivo,
come dato costitutivo, e nella sostanziale funzionalizzazione al suo operato
delle sedi parlamentari e istituzionali, sia nella conflittuale ridefinizione
degli stessi apparati dello Stato, sia nel confronto senza esclusione di colpi
tra le forze politiche borghesi per raggiungere posizioni di forza negli assetti
istituzionali che si stanno prefigurando. Un processo di rifunzionalizzazione
che coinvolge tutti i partiti, che ne diventano soggetti attivi e promotori,
dentro a modalità politiche di governo che premono per subordinare tutte
le forze, politiche e sociali, a questa svolta profonda. Una svolta profonda
che dovrebbe ratificare a livello istituzionale e costituzionale i rapporti
di forza reali tra le classi così da agevolare rapidità e piena
autonomia alle decisioni dell'esecutivo. Un processo niente affatto lineare
e indolore perché è proceduto e procede all'interno di uno scontro
tanto aspro quanto dinamico con una classe non pacificata la cui resistenza
agli effetti politici e materiali di questo processo è ciò che
non consente allo Stato di sancire fino in fondo questa svolta nei rapporti
politici e di forza con la classe.
Un processo di rifunzionalizzazione dei poteri dello Stato che fa tesoro degli
strumenti della controrivoluzione preventiva maturati dalle democrazie rappresentative,
consolidato da una pseudopposizione in cui assisteremo a una serie di staffette
predeterminate alla guida del paese, ovviamente santificate dal voto popolare
(un'innovazione democratica che, è bene ricordare, è stata ideata
dal senatore Ruffilli), ma perché più sostanzialmente cercheranno
di operare un maggior ingabbiamento e subordinazione del proletariato e della
classe operaia agli interessi della borghesia imperialista attraverso "riforme"
e legislazioni sia sul piano politico generale che sul piano delle relazioni
industriali con la completa neocorporativizzazione dei sindacati, il tutto con
il ricorso ormai usuale alla politica delle emergenze.
Questo è bene evidenziato nella gestione interna della partecipazione
della borghesia imperialista italiana al massacro del popolo irakeno; basti
pensare al ruolo che ha svolto il sindacato nel far opera di contenimento alla
vasta e qualificata opposizione operaia alla guerra imperialista, e agli strappi
che esso ha compiuto nella compartecipazione alla dottrina della "qualità
totale" di Romiti e nella questione delle rappresentanze in fabbrica.
La cosiddetta guerra del Golfo, l'euforizzato ruolo internazionale dell'Italia
non è altro che il prodotto della grave crisi in cui si dibatte la catena
imperialista; non è certo segno di forza, ma di debolezza: in ultima
istanza è la necessità imperialista di una nuova divisione internazionale
del lavoro e dei mercati capitalistici che spinge l'imperialismo a politiche
guerrafondaie. L'aggressione al popolo irakeno, pianificata mesi e mesi prima
delle deliberazioni in sede Onu, attraverso l'embargo mascherato e lo strangolamento
finanziario, così da spingere l'Irak a trovare comunque uno sbocco, è
stato il pretesto per cercare la "normalizzazione" imperialista del
Medio Oriente, un'aggressione che, nelle intenzioni occidentali, dovrebbe produrre
l'integrazione dell'area mediorientale nel sistema di sicurezza Nato, con l'entità
sionista perno della strategia Usa, sulla quale far ruotare il sistema di sicurezza
e stabilizzazione economica, subordinando a questo dato soluzioni politiche
del conflitto sionista-palestinese ed arabo-sionista. Tutto ciò sotto
la cappa dei rapporti di forza scaturiti dalla guerra e dall'esempio irakeno.
Su queste direttrici politiche si è svolta l'operazione di "polizia
internazionale" alla quale ha partecipato lo Stato italiano.
I progetti guerrafondai dell'imperialismo hanno trovato sulla loro strada una
mobilitazione combattente che per quantità e qualità non ha precedenti;
iniziative in ogni parte del mondo, espressione di un rinnovato internazionalismo
proletario che hanno posto in primo piano e materialmente il terreno unitario
e unificante tra i processi rivoluzionari della periferia e la guerra di classe
diretta dalla guerriglia nelle metropoli imperialiste. Un terreno unitario posto
con forza dalle iniziative combattenti che hanno sintetizzato al livello più
alto l'opposizione di massa alla guerra imperialista.
In sintesi è anche da questo quadro politico interno e internazionale
che la strategia e la linea politica delle BR mantiene la sua piena attualità.
La guerriglia oggi più che mai è il terreno primario dell'organizzazione
di classe, un terreno politico-militare che qualifica lo scontro sedimentato
sul piano rivoluzionario, una condizione per esprimere adeguatamente gli interessi
proletari di contro alla borghesia imperialista.
L'aggressione imperialista nella regione mediorientale e gli equilibri politico-militari
che vi si vogliono instaurare, tesi a ristabilire più stretti rapporti
di dipendenza, sono obiettivi immediati, ma non esauriscono il fine della guerra.
Più sostanzialmente l'intervento dell'alleanza imperialista è
teso a stabilire posizioni di forza per i suoi interessi strategici politico-militari.
Obiettivi questi che fanno venire meno i termini per caratterizzare questo conflitto
solo dentro la contraddizione Nord/Sud; limitarlo a questo significherebbe sottovalutarne
la portata, non legarlo cioè al contesto più generale da cui è
maturato, non comprendere quali ordini di contraddizioni sottointendono alla
scelte guerrafondaie degli Usa in primo luogo e della catena imperialista nel
suo insieme.
Le condizioni generali entro cui si colloca questa guerra vedono la maturazione
critica di fattori oggettivi e soggettivi relativi allo stadio di sviluppo dell'imperialismo
da un lato e all'evolvere del quadro storico-politico e militare uscito dalla
II guerra mondiale dall'altro. La dinamica fondamentale che vi sta alla base
e che muove necessariamente in direzione della guerra è determinata dal
grado di profondità della crisi economica che sta travagliando gli Usa
e in misura diversa tutti i paesi della catena; ma la possibilità di
iniziare questo conflitto si è posta concretamente all'interno di significative
modifiche negli equilibri Est/Ovest, ovvero nello sfruttamento del fattore generale
più favorevole all'imperialismo. È quindi dentro ai mutamenti
avvenuti su questa direttrice che è stato possibile iniziare la guerra
di aggressione all'Irak ed è sempre questa direttrice che influenzerà
le tappe dei possibili sviluppi. Un fatto questo ineluttabile perché
dato dal concreto quadro storico in cui sono collocate le forze in campo; per
questo motivo la contraddizione Est/Ovest dominante le relazioni internazionali
e condizionante ogni ordine di conflitto da Yalta in poi, è quella che
sovrasta anche questa guerra, a maggior ragione perché si è aperta
una fase in cui sono andati ad accumularsi tutti i fattori che rendono necessaria
all'imperialismo la rimessa in discussione complessiva di questo quadro storico,
una fase in sintesi in cui possa essere imposto il "nuovo ordine mondiale"
auspicato dall'imperialismo Usa in testa.
Che l'"epoca della pace" si sia inaugurata con uno dei più
grandi massacri della storia recente, e con l'occupazione di una vasta area
geografica chiarisce la sostanza e l'indirizzo di questo nuovo ordine mondiale
riportando tragicamente alla memoria l'analogia con quel nuovo ordine già
vagheggiato dalle armate naziste.
La guerra del Golfo, l'occupazione di questa area di importanza strategica sia
per il controllo delle rotte tra i continenti che per le risorse energetiche
e finanziarie mondiali non è che l'ultimo atto di una sempre più
aggressiva politica degli Usa e dell'Occidente imperialista nel suo complesso
tesa ad assestare e riordinare equilibri politici, aree di influenza in tutto
il mondo, così da modificare a proprio vantaggio i rapporti di forza
internazionali su tutte le direttrici delle contraddizioni economiche e politiche
proprie di questa epoca storica: dal bipolarismo, vale a dire il carattere che
devono assumere le relazioni Est/Ovest, ad una ricollocazione delle relazioni
economiche tra Nord e Sud (ciò a partire dal ridimensionamento/annientamento
delle legittime aspirazioni all'affrancamento dal giogo imperialista e a uno
sviluppo economico sociale più consono agli interessi delle masse proletarie
e contadine immiserite dalla relazione economica e dal modello di sviluppo negato,
imposto dall'imperialismo), fino ad intervenire nella contraddizione proletariato/borghesia
per legare il proletariato internazionale ai tassi di sfruttamento necessari
all'odierno ciclo di crisi-sviluppo del modo di produzione capitalistico nella
fase imperialista dominata dai monopoli multinazionali-multiproduttivi.
Per ragioni storiche, economiche, politiche e geografiche queste direttrici
di contraddizioni trovano convergenza e si intersecano nell'area europea-mediterranea-mediorientale:
le contraddizioni proprie del modo di produzione capitalistico relative all'Europa
occidentale, la contraddizione Est/Ovest che su quest'area preme nella linea
di confine tra i blocchi scaturita dalla II guerra mondiale, la contraddizione
Nord/Sud in quanto area dove vengono a contatto i paesi dell'occidente capitalistico
e i paesi dipendenti, nello specifico perché i conflitti che si producono
nella regione mediterranea-mediorientale riguardano direttamente l'Europa in
quanto questa è la sua naturale zona di influenza.
La regione mediorientale si presenta con confini altamente instabili tra i blocchi
perché non definiti nel dopoguerra, oltre che per i motivi economici
delle rotte e delle fonti energetiche, per i processi di decolonizzazione ed
emancipazione nazionale in corso. Con l'imposizione della entità sionista
che ha sancito l'espropriazione imperialista-sionista della terra palestinese,
il mondo arabo diventa teatro della strategia imperialista tesa a pacificare
anche "manu militari" l'area in questione, allo scopo di allargare
e stabilizzare la propria orbita di influenza. In questo senso questa regione,
di estremo interesse strategico, viene ad assumere tutte le condizioni perché
vi si attui lo scontro preliminare sia politico che militare atto a preparare
le migliori condizioni di partenza che possono preludere alla ridefinizione
delle zone di influenza. In questo può caratterizzarsi come un "detonatore"
di un conflitto di ben più vaste dimensioni. Per tutti questi fattori
e per le contraddizioni che vi convergono questa è l'area di massima
crisi nel mondo.
In sintesi, l'intervento militare nella regione mediorientale non si esaurisce
nei motivi storici, economici, politici e militari propri della regione, ma
si intreccia indissolubilmente con gli avvenimenti e i processi economici e
politici della catena imperialista che vedono l'Europa al centro della ridefinizione
degli equilibri politici scaturiti dagli accordi di Yalta, questo perché
l'intervento nel Golfo, oltre ad essere dettato da ragioni politiche di carattere
strategico, è il portato degli scompensi dell'economia capitalistica;
d'altronde un intervento sul rapporto Nord/Sud tale da svolgere la sua funzione
riequilibratrice sulla caduta tendenziale del saggio di profitto medio (agendo
sulle riserve di manodopera, sulle materie prime a basso costo e sull'allocazione
di produzioni a bassa composizione organica) a questo stadio della crisi può
avvenire solo all'interno di una più generale ridefinizione internazionale
del lavoro e dei mercati la quale ha il suo centro nei paesi industrializzati
e nella ridefinizione dei rapporti di forza tra Est e Ovest che dominano le
relazioni internazionali. Per questo la guerra imperialista nella regione mediorientale
è un ulteriore passaggio in avanti della tendenza alla guerra.
L'aggressione imperialista all'Irak per lo scenario in cui si è data
e per la sua possibile evoluzione fa risaltare l'antimperialismo come contraddizione
politicamente in primo piano, a partire dall'attività combattente delle
forze rivoluzionarie della regione e dalla vasta resistenza delle masse arabe
contro l'aggressione imperialista-sionista, rilanciando le legittime aspirazioni
all'autodeterminazione dei popoli. Ciò che qualifica l'antimperialismo
manifestato dalle masse arabe e in primo luogo dalle loro forze rivoluzionarie
combattenti è il livello qualitativo prodotto dai precedenti passaggi
effettuati dai processi di emancipazione popolare e nazionale ricchi di esperienze
proprie del contesto storico-politico arabo. La rivoluzione algerina, il movimento
nasseriano, fino al livello più avanzato espresso dalla resistenza dei
popoli palestinese e libanese, sono fra i punti fermi più qualificanti
di un percorso che ha maturato un elevato patrimonio di lotte, soprattutto a
livello di guerra popolare di liberazione nazionale, che è il risultato
del confronto costante con le complesse strategie imperialiste di carattere
prettamente controrivoluzionario dispiegate nella regione in funzione di una
sua normalizzazione e pacificazione, strategie che, attraverso continui tentativi
di destabilizzazione dei paesi arabi che di volta in volta si oppongono ai progetti
imperialisti, tendono anche ad ostacolare il coagularsi dell'unità araba.
Un patrimonio politico e rivoluzionario che nel contesto di quest'ultima aggressione
imperialista sta maturando un ulteriore salto di qualità che può
trarre forza anche dal legame tra un rinnovato nazionalismo arabo (espresso
anche da settori di borghesia progressista) e le spinte più radicali
e determinate delle masse popolari. Un legame in cui l'antimperialismo è
il collante e che caratterizza la vasta opposizione espressa in tutta l'area
mediorientale-nordafricana a partire dalla resistenza organizzata dalle forze
rivoluzionarie col dispiegamento dell'attività combattente anche all'interno
degli Stati arabi schierati con la coalizione occidentale, facendo così
anche di questi paesi un territorio nemico per le truppe di invasione e rendendo
perciò queste alleanze molto instabili.
Nello stesso tempo questa mobilitazione tende al superamento delle divisioni
artificiosamente immesse dalle politiche imperialiste nella regione. Una resistenza
e una contrapposizione che ha alla base profonde ragioni materiali relative
alla necessità di affermare i propri diritti di autodeterminazione nazionale
e emancipazione sociale soffocati dal colonialismo prima e dall'imperialismo
poi. Tale resistenza inoltre in questa fase storica si sostanzia a partire da
una accresciuta consapevolezza che rende insostenibile l'accettazione di un
nuovo ordine imperialista che può imporsi solo nella distruzione massificata
della regione e del popolo arabo.
Questo insieme di fattori politici è alla base della forte spinta e tensione
che sottolinea le attuali mobilitazioni popolari e la resistenza delle proprie
forze rivoluzionarie combattenti contro la presenza imperialista. In questo
senso la contrapposizione ad essa è destinata a giocare un ruolo nella
futura evoluzione dello scontro. Infatti l'imperialismo con la scelta di iniziare
il conflitto ha aperto uno scontro i cui fattori in gioco non sono pianificabili
nella pura logica militare poiché la guerra che si sta svolgendo nella
regione ha in sé la possibilità di sviluppare la dinamica di uno
scontro tra popoli che combattono per l'autodeterminazione e la logica di guerra
imperialista: un piano di scontro questo che per l'imperialismo è strategicamente
perdente. Per queste ragioni il conflitto è tutto da giocare nel lungo
termine, indipendentemente dall'esito militare di quella che può considerarsi
solo una prima battaglia.
La propaganda imperialista, in particolare del Pentagono e dell'amministrazione
statunitense, sul futuro "ordine mondiale" già in marcia non
nasconde, né può farlo, la natura economica che sta alla base
degli avvenimenti politici di questi ultimi anni, caratterizzati da un crescente
bellicismo. Infatti la grave crisi in cui si dibatte l'economia capitalistica
è in ultima istanza la base del manifesto bellicismo imperialista.
Questo dimostra quanto l'opzione bellica sia una tendenza naturale e necessaria
per dare ossigeno all'economia disastrata della catena, nonché come la
potenza militare dell'Alleanza, per quanto distruttrice sia minata proprio nel
cuore dell'imperialismo nel cuore dell'economia capitalistica.
La dinamica di sviluppo degli attuali termini di crisi-recessione ha implicazioni
che richiamano nella sostanza a quelle che precedettero la II guerra mondiale,
dinamiche di fondo che, presentandosi in un quadro storico mutato, seguono forme
e modi di attuazione relativi alle concrete relazioni politiche e militari esistenti
tra le forze in campo. Un contesto gravido di processi economici che tendono
a riprodurre i passaggi chiave del processo di crisi-sviluppo dell'economia
capitalistica nella sua fase monopolistica, con la differenza che in questa
fase storica avvengono in un ambito economico di integrazione-interdipendenza
dato dall'internazionalizzazione del capitale finanziario e industriale, a dominanza
Usa; di conseguenza vi è 1'immediata interrelazione e concatenazione
delle stesse contraddizioni prodotte dalla crisi, nonché delle controtendenze
e scelte di politica economica. Allo stesso tempo la gerarchizzazione della
catena fa sì che prevalgano le controtendenze e le scelte del paese dominante.
Oggi come allora, da ben oltre un decennio, l'intero ambito dei paesi capitalistici
è attraversato da una strisciante stasi produttiva che ha provocato un
progressivo avanzare della recessione e stagnazione economica.
Su questo sfondo, aggravatosi criticamente negli ultimi anni, si stagliano i
passaggi principali che, come nel precedente periodo storico, furono sintomo
di un approfondimento della tendenza alla guerra, passaggi che in termini generali
sono relativi a: il riarmo, il salto in avanti del capitale che matura oggettivamente
nel contesto della crisi; la presenza dell'ambito di penetrazione adeguato per
i capitali sovraprodotti. Oggi, in questa fase storica, queste dinamiche generali
si presentano così: A) Il riarmo, come principale controtendenza alla
crisi, adottato soprattutto da Usa e Gb, ma anche da altri paesi capitalistici,
soprattutto europei, seppure con intensità diverse e in ambito Nato;
B) Un ulteriore salto nel processo di internazionalizzazione dei capitali e
della produzione che ha il suo perno nel mercato europeo; C) L'individuazione
dell'ambito economico dei paesi dell'Est, per il grado di sviluppo della loro
struttura economica, come quello adeguato e complementare per l'impiego dei
capitali sovraprodotti e per il livello tecnologico raggiunto dalla produzione
capitalistica.
A) Il riarmo è una politica economica di sostegno a cui lo Stato storicamente
ricorre nel contesto della crisi generalizzata e di estesi processi recessivi
a fronte di mercati capitalistici saturi e di una condizione generale matura
per la ridefinizione della divisione internazionale del lavoro e dei mercati.
Elementi questi che sono tutti presenti nell'andamento dell'economia mondiale.
Politica economica che si basa sull'immobilizzo dei capitali eccedenti nella
produzione di armi storicamente legata alle tecnologie più avanzate ed
implica l'armamento del paese che l'adotta essendo altra cosa dalla produzione
bellica per il mercato. Infatti il riarmo non consente di rimettere in circolo
i capitali immobilizzati e la sua adozione è fattore economico di accelerazione
dello sbocco bellico racchiudendo in sé tutte le condizioni della bancarotta
finanziaria per gli Stati che ne fanno ricorso. Nel quadro economico attuale
il riarmo è diventato il terreno privilegiato di politica economica principalmente
per Usa e Gb e, tendenzialmente allargato a tutta la catena; un terreno privilegiato
anche perché la sua adozione comporta il controllo sull'alta tecnologia,
quindi la leadership degli Usa in questo campo, campo su cui ruotano i termini
della concorrenza monopolistica. Per altro verso Usa e Gb sono anche i paesi
maggiormente gravati dalle contraddizioni economiche conseguenti a questa scelta;
in questo senso per questi due paesi i fattori di crisi e la necessità
di una loro soluzione adeguata premono fortemente sulle scelte politiche e militari,
spingendo su questa direzione l'insieme della catena imperialista.
B) La crisi e la recessione generalizzata in cui versano i paesi della catena,
pur esprimendo il massimo di debolezza, è anche la condizione in cui
si matura il suo potenziale sviluppo, dentro alla dinamica di centralizzazione
e concentrazione del capitale. Questo ha dato luogo ai processi di fusione e
formazione di nuovi cartelli monopolistici che sono stati terreno privilegiato
di investimento del capitale sovraprodotto, processi che ruotano principalmente
nell'ambito del mercato capitalistico intereuropeo, con la Rft nella posizione
economicamente dominante. Questa dinamica, scaturendo dalla integrazione economica
già data, ha prodotto un ulteriore salto nell'internazionalizzazione
dei capitali. Formazioni monopolistiche quindi a forte concentrazione di capitali
che, a fronte del sostanziale restringimento della base produttiva, hanno approfondito
i fattori di crisi relativi alla valorizzazione, tenendo anche conto della saturazione
dei mercati capitalistici entro cui si dà la spartizione delle quote.
C) Il processo di penetrazione economica nei paesi dell'Est, relativo agli investimenti
finanziari e produttivi operati principalmente dai paesi europei, soprattutto
dalla Rft, si è reso possibile a partire dalle "aperture" economiche
che questi paesi hanno offerto (nel contesto della maturazione di contraddizioni
e problematiche proprie a questo campo) e nello stesso tempo per la spinta dei
capitali sovraprodotti alla ricerca di sbocchi appetibili. Con queste premesse
gli investimenti all'Est sono diventati un ambíto terreno per i trust
finanziari e industriali che muovono alla conquista delle migliori posizioni.
Uno sbocco che, al contrario delle aspettative, si è dimostrato un palliativo
a causa dei limiti che ha la semplice espansione dell'ambito di penetrazione
dei capitali in un contesto di sovrapproduzione dei capitali.
Questo rimanda al meccanismo della crisi capitalistica e al suo processo di
risoluzione. Secondo l'analisi marxista-leninista la crisi di sovrapproduzione
di capitali e mezzi di produzione che non possono operare come tali trova risoluzione
solo dentro al movimento di distruzione/ridefinizione/espansione; la semplice
espansione del mercato dei capitali ad uno stadio di approfondimento della crisi
non può risolvere nel lungo periodo la crisi stessa, e cioè la
questione della valorizzazione.
Per questa ragione nel contesto di recessione e di mercati capitalistici saturi
storicamente il capitale ricorre alla guerra come mezzo per distruggere il sovrappiù
di capitali prodotto, così da poter rilanciare su nuove basi l'accumulazione,
ridefinire e allargare su nuove posizioni di forza i mercati capitalistici e
l'assetto interno alla gerarchizzazione della catena, nonché le zone
di influenza mondiali. In questo senso, dall'evolvere della crisi si può
analizzare la tendenza alla guerra, come intrinseca alle caratteristiche del
capitalismo.
L'ultima guerra mondiale è stata l'inevitabile sbocco della grande crisi
del '29 e ha disegnato l'attuale quadro mondiale dominato dall'imperialismo
Usa e in cui la contraddizione dominante, prima interimperialistica, è
ora la contraddizione Est/Ovest quale terreno di realizzazione della tendenza
alla guerra. Per questo motivo, dato il grado raggiunto dalla crisi, un nuovo
ciclo economico con il rilancio dell'accumulazione capitalistica su scala adeguata
al livello di sviluppo dell'imperialismo può essere dato solo nel confronto
con il piano storicamente stabilito dalle sfere di influenza, la necessaria
divisione internazionale del lavoro e dei mercati può avvenire cioè
solo a scapito della sfera contrapposta, in primo luogo perché i paesi
dell'Est presentano un ambiente economico sufficientemente sviluppato per consentirlo,
e inoltre solo all'interno di questa ridefinizione l'imperialismo può
rimodellare i rapporti di dipendenza con i paesi periferici.
La radicalizzazione della crisi, col progressivo esaurirsi dell'effetto delle
controtendenze, ha provocato un salto nella tendenza alla guerra; ma il passaggio
dalla tendenza alla guerra alla guerra guerreggiata non ha niente di deterministico.
La guerra in quanto atto politico oggettivo è il risultato né
meccanico né predeterminato dell'intrecciarsi di più fattori:
quando le contraddizioni date dalla crisi, per il loro livello critico, non
trovano risoluzione sul terreno economico, esse premono sul piano politico portando
a maturazione, in un processo di rotture nei rapporti politici e di forza tra
i diversi soggetti in campo, le premesse dello sbocco bellico.
L'attuale situazione, in quanto si colloca dentro alle condizioni di crisi generalizzata
del capitalismo, a fronte della profonda recessione e dell'avvitarsi sull'utilizzo
del riarmo, nella impossibilità di valorizzare i capitali sovraprodotti,
ha visto un rapido montare di salti e rotture culminate, come primo momento,
nell'annessione della Ddr da parte della Rft, e nella guerra del Golfo Persico.
Due eventi solo apparentemente scollegati, ma invece strettamente complementari
l'uno all'altro, proprio perché prodotti dalla stessa dinamica, eventi
che richiamano subito alle annessioni e invasioni che precedettero e caratterizzarono
l'escalation verso lo scatenamento della II guerra mondiale.
Questo perché lo stadio raggiunto dalla crisi economica non può
risolversi con il parziale allargamento della sfera di penetrazione dei capitali
che avviene attraverso annessioni e aggressioni, perciò queste stesse
diventano da un lato fattori di instabilità economica per l'imperialismo
e dall'altro i primi fondamentali passaggi politici di rottura e accelerazione
di un processo che può evolvere verso un conflitto allargato. Allo stesso
modo i massicci interventi di finanziamento alla guerra del Golfo da parte di
paesi non immediatamente belligeranti come il Giappone e la Rft (pur essendo
quest'ultima parzialmente presente nel conflitto) rimandano, rispondendo alla
stessa logica, ai ben noti "prestiti di guerra" americani che finanziarono
il II conflitto mondiale, quale sbocco del surplus finanziario che proprio questi
paesi presentano al più alto livello.
La situazione innescata dall'imperialismo con l'aggressione all'Irak, per gli
equilibri politico-militari che ne risultano, è gravida di sviluppi che
oggi più che mai aprono, nelle intenzioni dell'imperialismo, la prospettiva
di un nuovo conflitto mondiale, le cui proporzioni non possono che superare,
e di gran lunga, i costi che l'imperialismo ha già imposto nella sua
storia. Una prospettiva che scaturisce prima ancora che dal potenziale distruttivo
delle armi, dalla funzione della guerra imperialista, per la risoluzione delle
contraddizioni accumulate e approfondite dalla crisi. In tale quadro, le modalità
con cui è avvenuta l'aggressione all'Irak presentano fin da subito sotto
molti aspetti i caratteri con cui può darsi questo sviluppo, e cioè:
una guerra enormemente distruttiva, che ha coalizzato l'intera catena imperialista
e che vede il coinvolgimento mondiale, per un verso o per l'altro, di tutti
i paesi. Primo obiettivo è la conquista di una posizione che, sotto l'aspetto
politico-militare, è di importanza strategica e che prelude all'escalation
nel confronto con l'Est. Un'escalation che non va intesa necessariamente come
un processo di allargamento a macchia d' olio di episodi bellici o come processo
lineare nel tempo, soprattutto in quanto si tratta di un confronto che già
da tempo si gioca su molteplici piani, che procedono l'uno accanto all'altro
interagendo sulla contraddizione Est/Ovest: da un lato il piano oggettivo dato
dalla spinta della crisi economica dell'imperialismo e il piano che riguarda
i passaggi concreti sul terreno politico e militare dell'alleanza imperialista;
dall'altro l'indebolimento che attraversa nel suo insieme i paesi dell'Est,
indebolimento da cui l'imperialismo cerca di trarre vantaggio anche attraverso
tentativi di destabilizzazione.
Un quadro complesso, nel quale l'aggressione militare imperialista condotta
in un'area di confine instabile quale il Medio Oriente costituisce l'aspetto
attualmente più rilevante. Su questo insieme di fattori si stanno oggi
stabilendo i reali rapporti di forza tra i due campi contrapposti nel senso
favorevole all'imperialismo. Ciò non significa rafforzamento del campo
imperialista in quanto tale, ma relativamente all'indebolimento del campo avverso.
La coalizione dell'intero campo imperialista nell'occupazione del Medio Oriente
è il risultato delle caratteristiche storiche della catena, che fanno
sí che nessun paese possa non essere investito e sottrarsi ai fattori
strutturali di crisi, pur permanendo ineliminabili contraddizioni e dislivelli
e pur essendo gli Usa il paese che allo stato attuale ha il maggior bisogno
di sbocco bellico. Uno schieramento attivo che risponde pienamente alle impellenze
della frazione dominante di borghesia imperialista e che vede gli Usa stringere
nei rapporti politici e militari intorno alle sue scelte tutti i paesi del campo
imperialista in quanto scelte di interesse generale. Da qui l'immediato coinvolgimento
di tutti i paesi della catena come non si era mai verificato nei precedenti
eventi bellici. In questo senso risalta il significato politico della larga
partecipazione, a prima vista oltre ogni logica militare, e, quale aspetto più
significativo, la effettiva qualificazione dell'intervento delle potenze occidentali
come Nato. A dimostrazione del fatto che i rapporti politico-militari istituzionalizzati
nella Nato e in generale le relazioni politico-militari della catena hanno mantenuto
costantemente nella loro sostanza la funzione per cui dopo la II guerra mondiale
furono istituite e nel tempo potenziate; ciò perché un quadro
storico, con le contraddizioni che lo caratterizzano, non può mutare
linearmente e pacificamente.
La messa in campo della Nato nella sua complessità è un salto
che non ha precedenti dalla sua fondazione. L'Alleanza atlantica, organismo
politico-militare fondato alla fine della II guerra mondiale per la difesa degli
interessi occidentali in funzione antisovietica all'esterno e di stabilizzazione
controrivoluzionaria all'interno, ha svolto il suo compito relazionandosi alle
necessità delle diverse congiunture internazionali, rafforzando nel contempo
le prerogative per cui è stata creata, che si sintetizzano nelle dottrine
politico-militari che, da difensive, si sono mutate in offensive, riflettendo
fedelmente i fini dell'alleanza nell'organizzazione militare, nelle sue strutture
operative e politiche.
Da questo punto di vista l'aggressione all'Irak ha rivestito anche la funzione
di sperimentare sul campo il modello di operatività "interforce"
e dei sistemi d'arma accumulati col riarmo, la sperimentazione, in sintesi,
della conduzione della guerra, le cui modalità sono andate oltre al confronto
militare con l'Irak, perché ha consentito da un lato la verifica del
grado di coesione politica dei paesi imperialisti all'interno del ruolo loro
assegnato nella disposizione gerarchica dell'Alleanza atlantica, che ha confermato
l'allineamento sostanziale alla direzione Usa della guerra, dall'altro la verifica
relativa della praticabilità o meno di modalità operative definite
per un teatro di guerra ben più vasto. Una sperimentazione di queste
modalità che, va detto, in gran parte sganciata dal modo concreto con
cui è stata effettuata l'aggressione, la quale è proceduta attraverso
l'utilizzo dei mezzi di distruzione di massa, ovvero una guerra basata in principal
modo sul massacro della popolazione civile.
Nello stesso tempo ogni singolo Stato imperialista ha potuto verificare l'impatto
che l'iniziale attivizzazione dello "stato di belligeranza" ha al
proprio interno, a partire dai rapporti politici di classe in riferimento all'opposizione
proletaria e rivoluzionaria contro la guerra, soprattutto perché la partecipazione
alla guerra richiede interventi che, per caratteristiche e profondità,
non possono essere considerati transitori.
In questo contesto l'Italia svolge a pieno titolo il ruolo assegnatole nel fianco-sud
della Nato, al di là della sordina messa alla sua partecipazione nella
guerra di aggressione all'Irak. Un ruolo di massima importanza strategica date
le caratteristiche della regione mediorientale-mediterranea e soprattutto perché
questa regione è teatro di questo conflitto. Un ruolo fino a ieri teso
alla pacificazione-contenimento dei conflitti che si producevano nell'area attraverso
un attivismo prevalentemente espresso sul piano politico-diplomatico per riuscire
a ricucire e supportare gli strappi operati dalle precedenti forzature guerrafondaie
Usa e oggi invece indirizzato al rafforzamento delle posizioni imperialiste
da conseguire anche militarmente su tutti i piani di contraddizione che si intrecciano
nell'area.
Salto di qualità dato dall'adeguarsi complessivo al nuovo livello di
responsabilizzazione imposto da un quadro complessivamente mutato. Un ruolo
che implica un farsi carico della funzione controrivoluzionaria perseguita attivamente
dall'Italia contro i popoli della regione, e in primo luogo contro le loro forze
rivoluzionarie; a questo fine mira il potenziamento dell'unità politico-operativa
tra servizi segreti italiani e quelli degli altri Stati imperialisti, approfondendo
i livelli di cooperazione e operatività degli stessi. Un aspetto, quello
controrivoluzionario, del fianco sud della Nato, che, all'interno del conflitto
in atto, non può che riflettersi nell'approfondimento del rapporto che
si stabilisce tra imperialismo e antimperialismo, un rapporto su cui si misurano
non solo le forze rivoluzionarie dei movimenti di liberazione e le guerriglie
comuniste della regione, ma anche la guerriglia che agisce in Europa occidentale,
questo per le implicazioni che subentrano nello scontro dalla stessa partecipazione
dei paesi europei alla guerra, le quali si riflettono in primo luogo nel rapporto
rivoluzione/controrivoluzione.
Seconda parte
(La prima parte del documento è stata pubblicata su Il Bollettino N.
46, pagg. 6-10).
Lo scontro di classe, in un contesto che evolve alla guerra, tende a subire
un approfondimento inevitabile che rimanda alla dinamica propria della borghesia
imperialista, la quale storicamente cerca di garantirsi la "pacificazione
interna" per poter fare la guerra. Una costante che in questa fase storica
assume una precisa configurazione che si richiama alle più generali caratteristiche
assunte dalle forme di dominio della borghesia imperialista. Forma di dominio
che in sintesi si esprime nella tipica mediazione politica che lo Stato instaura
con la classe subalterna, che comporta l'uso di strumenti e degli organismi
della democrazia rappresentativa, i soli legittimati a rappresentare la classe,
dal piano capitale/lavoro al piano politico generale, al cui interno deve essere
convogliato l'antagonismo di classe; un complesso reticolo che nella sua sostanza
racchiude l'essenza della controrivoluzione preventiva, storicamente prodottasi
nel rapporto di scontro tra le classi, un affinamento della funzione politica
rispetto al governo del conflitto di classe che tutti gli Stati a capitalismo
avanzato hanno maturato.
In questa fase che evolve verso la guerra, in particolare per lo Stato si tratta
da un lato di potenziare al massimo i meccanismi di controrivoluzione preventiva,
dall'altro di assicurarsi condizioni, nei rapporti di forza, che gli consentano
il contenimento dello scontro approfondendo ulteriormente la funzione politica,
in senso antiproletario e controrivoluzionario di tutte le istituzioni statali.
Le scelte belliciste dello Stato nel nostro paese si riversano nello scontro
acutizzandone le contraddizioni e divaricando maggiormente gli interessi di
classe. Una dinamica di schieramento che attraversa tutti gli ambiti sociali,
determinata proprio dai chiari interessi che sono presenti con la guerra: gli
interessi della frazione dominante della borghesia imperialista, che in tal
modo cerca di risolvere la sua profonda crisi scaricandone i costi ancora una
volta sul proletariato che, oltre a subire un'ulteriore compressione delle condizioni
di vita politiche e materiali, ha davanti a sé anche la prospettiva di
fare da "carne da cannone" nei progetti di guerra della borghesia
imperialista.
Alle iniziative guerrafondaie dell'esecutivo si sono contrapposte le mobilitazioni
di tutte le componenti proletarie che hanno espresso subito e nettamente l'indisponibilità
a farsi coinvolgere nel massacro perpetrato dall'imperialismo, e che, a livello
dell'attività spontanea, hanno manifestato la chiarezza dovuta alla propria
posizione di classe sul significato della guerra e sul modo di opporvisi; tant'è
che gli scioperi spontanei contro di essa e la richiesta legittima dello sciopero
generale, con il forte significato politico che contengono, hanno avuto momenti
di organizzazione ovunque, malgrado siano state oggetto di un capillare controllo
e contenimento, a partire dalle concrete intimidazioni operate dall'esecutivo
e con il contributo effettivo dei sindacati mobilitati con tutto il loro peso
politico e organizzativo per assolvere al ruolo ormai collaudato di ammortizzamento
delle istanze di classe politicamente più avanzate.
Questo dentro a un clima politico in cui l'esecutivo tende ad imporre alla classe
la più profonda "normalizzazione" a partire dalla classe operaia,
nel tentativo di ridimensionare ulteriormente il peso politico espresso nel
rapporto di scontro, a cominciare dalle espressioni più avanzate rappresentate
dalla sua autonomia politica.
Un clima politico che riflette i mutamenti avvenuti nel contesto generale del
paese in cui sono maturati, soprattutto negli ultimi anni, i passaggi che evolvono
ad una seconda repubblica dentro a equilibri politici e nei rapporti di forza
tra le classi a favore della borghesia imperialista, e dentro a modifiche profonde
negli assetti del potere statale relativi in primo luogo ad un forte accentramento
dei poteri nell'esecutivo, e in particolare nella Presidenza del Consiglio.
Poteri ulteriormente accresciuti dalle particolari funzioni di cui è
investito l'esecutivo con la partecipazione alla guerra.
Di fatto, con la guerra, si è reso quanto mai evidente il divario tra
scontro reale nel paese e suo governo formale nelle sedi politico-istituzionali,
nella necessità di svincolare il governo delle contraddizioni che si
attua in quelle sedi dal reale portato dello scontro. Nell'ambito parlamentare
e istituzionale, in sintesi, si esprime l'unanimismo delle forze politiche alle
scelte guerrafondaie dell'esecutivo, un allineamento sostanziale espressione
degli interessi della borghesia imperialista, che sta alla base della possibilità
di soprassedere senza eccessive scosse sul piano istituzionale e parlamentare
alle norme che regolano la partecipazione alla guerra per poi procedere su tutto
l'arco delle necessità che riguardano il governo del paese e le urgenti
misure programmatiche per far fronte alla crisi economica. Questo terreno è
anche l'unico spazio politico possibile su cui sono chiamate a dialettizzarsi
le rappresentanze istituzionali della classe e su cui il neonato Pds non ha
esitato a relazionarsi, anche in vista di una verifica per la futura collocazione
che potrebbe avere nel quadro della "Riforma istituzionale" in gestazione.
L'impossibilità per il proletariato di contare politicamente e di pesare
sui rapporti di forza con gli strumenti consentiti dalla democrazia rappresentativa
borghese, con questa operazione bellica è ancor più in evidenza,
nell'impossibilità di far valere i suoi interessi di classe e, in questi,
la sua irriducibile opposizione alla guerra voluta dalla borghesia imperialista
e dal suo Stato.
Una condizione di scontro che ripropone tutte intere le ragioni per cui si è
affermata la strategia della lotta armata nel nostro paese e in generale la
lotta armata nel centro imperialista, riconferma la giustezza della attività
svolta sul piano rivoluzionario dalle Brigate Rosse e rilancia con la forza
dei fatti la propositività della sua linea politica e degli obiettivi
programmatici.
Ciò che lo scontro chiama in causa è in primo luogo l'azione e
il ruolo dell'avanguardia rivoluzionaria, l'azione e il ruolo della guerriglia
nel nostro paese, come del resto negli Stati imperialisti, proprio a partire
dalla forza di rottura data dalla sua impostazione offensiva verso il sistema
di potere della borghesia imperialista.
L'esperienza accumulata dalla guerriglia, nello specifico europeo, ha in sé
tutte le possibilità di confrontarsi con il piano controrivoluzionario
che lo Stato e l'imperialismo nel suo insieme rovesciano nello scontro, perché
la guerriglia ha fatto proprie, dentro alla prassi messa in campo, le leggi
fondamentali dello sviluppo della guerra di classe di lunga durata, nonché
le modalità politiche e militari basilari entro cui si sviluppa. Ciò
che la realtà storica pone in evidenza è che nei centri imperialisti
lo sviluppo della guerra di classe, e in essa dell'esercito proletario in formazione,
diretto dalla sua avanguardia politico-militare, rappresenta storicamente per
il campo proletario il livello più avanzato della scienza rivoluzionaria
di trasformazione della società in senso socialista, ovvero un avanzamento
del marxismo-leninismo sul terreno rivoluzionario. Per questo la sua potenzialità
di rottura è un fattore di dimensioni storiche che dà alla guerriglia
un ruolo di assoluta preminenza in senso strategico nel confronto con lo Stato
e l'imperialismo.
Soprattutto dalla fine del secondo conflitto mondiale, nello specifico del centro
imperialista, il processo rivoluzionario si dà come costruzione della
guerra di classe necessariamente di lunga durata. La guerriglia, avanguardia
e motore di questo processo, si è posta alla testa dello scontro di classe
rompendo con l'inadeguatezza dell'impostazione terzinternazionalista, incapace
di conseguire la conquista del potere politico nei paesi a capitalismo maturo.
E questo per i mutamenti avvenuti sul piano storico-politico ed economico-sociale
con lo sviluppo dell'imperialismo, mutamenti entro cui si è definito
l'affinamento delle forme di dominio della borghesia imperialista; un affinamento
che contiene la controrivoluzione preventiva quale politica costante verso le
istanze antagoniste del proletariato. Ciò non consente di accumulare
forza politica nel tempo da riversare sul piano militare nel momento finale
dello scontro, anche per il venir meno della cosiddetta "situazione eccezionale".
Per questo la guerriglia si esprime nell'unità del politico e del militare
come il dato nuovo e più avanzato della guerra di classe nelle metropoli
imperialiste. Un principio che unifica nell'azione della guerriglia il piano
politico dello scontro con il piano della guerra, un piano quest'ultimo che
pure vive nello scontro di classe, ma che deve essere affrontato contemporaneamente
all'aspetto politico che resta comunque dominante.
Uno scontro i cui caratteri eminentemente politici derivano dalle modalità
di governo del conflitto di classe sviluppato dalla borghesia imperialista dentro
al tipo di mediazione politica tra le classi propria delle democrazie rappresentative
contemporanee. Queste peculiarità si riflettono dentro alle leggi generali
dello scontro rivoluzione/controrivoluzione caratterizzando la guerra di classe
come una guerra senza fronti che vive nel cuore stesso del nemico di classe
e nella impossibilità di usufruire di basi rosse liberate. Uno scontro
che, per i caratteri politici detti, vive un andamento fortemente discontinuo,
caratteri che pure influiscono sulla condizione immanente dell'accerchiamento
strategico. L'accerchiamento strategico è determinato dal fatto che il
potere è nelle mani del nemico completamente fino al suo rovesciamento;
i rapporti di forza, intesi in termini generali, sono dunque sempre favorevoli
al nemico di classe; la rottura nei rapporti di forza a favore del campo proletario
che l'avanguardia rivoluzionaria opera è quindi sempre relativa. Contemporaneamente
vige il principio che la guerra di classe è strategicamente vincente,
infatti la borghesia vi interviene per mantenere il potere, ma non può
"distruggere" il proletariato, chiave di volta del modo di produzione
capitalistico, in quanto creatore di plusvalore. Il proletariato rivoluzionario
al contrario combatte per il potere, e in questo processo vive e si sviluppa
come classe rivoluzionaria.
Dentro a questi dati generali sui quali si è affermata la lotta armata
in Europa, vive l'apporto qualitativo delle BR, acquisito in venti anni di prassi
rivoluzionaria, con la maturazione del patrimonio teorico, politico e organizzativo
che costituisce fondamento dello sviluppo rivoluzionario nel nostro paese.
Le BR si qualificano fin dalla loro nascita per la proposta della strategia
della lotta armata fatta a tutta la classe, un'impostazione strategica su cui
si organizzano e si dispongono fin da subito le avanguardie più coscienti
sul terreno della lotta armata, calibrandone la disposizione alla fase di scontro
e ai rapporti di forza generali, e su cui è indirizzato dall'inizio alla
fine lo sviluppo della guerra di classe di lunga durata. Una strategia che è
tale in riferimento alle specificità dello scontro di classe determinatosi
storicamente in Italia per le caratteristiche qualitative dell'autonomia di
classe sostanzialmente antiistituzionale, antistatuale e antirevisionista. Il
proletariato metropolitano a dominanza operaia è perciò la base
sociale di riferimento della lotta armata, la base sociale da cui sono nate
le BR e in cui costantemente si riproducono, la base sociale di cui rappresentano
gli interessi generali di contro al potere della borghesia imperialista sul
terreno rivoluzionario; per questo uno dei principi fondamentali della nostra
organizzazione è quello di sviluppare la lotta armata a partire dai poli
industriali del nostro paese.
Le BR hanno potuto verificare le importantissime implicazioni che vivono operando
nell'unità del politico e del militare che agendo come una matrice condiziona
tutto il modo in cui si sviluppa la guerra di classe: dai meccanismi che consentono
a una forza rivoluzionaria di essere tale, al suo modo di sviluppare prassi
rivoluzionaria, al processo rivoluzionario nel suo complesso. In altre parole,
per le BR nella guerriglia urbana non ci sono contraddizioni tra pensare e agire
militarmente e dare il primo posto alla politica, esse svolgono la loro iniziativa
rivoluzionaria secondo una linea di massa politico-militare. All'interno di
questo principio condizionante, la questione del partito nella guerra di classe
non è risolvibile con un atto di fondazione, ma si dà come processo
di costruzione-fabbricazione in relazione alla costruzione delle condizioni
politico-militari della guerra di classe. Nella sua più precisa definizione
e progettualità si maturano le condizioni per il salto al partito, per
il salto da organizzatori di ristrette avanguardie alla direzione di interi
settori di classe organizzati nella guerra di classe. Le BR in questo processo
si pongono come nucleo fondante il partito operando la funzione di avanguardia,
"agendo da partito per costruire il partito", per questo le BR rappresentano
fin dalla loro nascita l'organizzazione del reparto più avanzato della
classe operaia, nucleo strategico di direzione dell'esercito proletario in formazione
nella prospettiva di sviluppo della guerra di classe di lunga durata. In questo
senso le BR sono una formazione di guerriglia modellata sul principio di funzionamento
di un esercito rivoluzionario il cui modello politico e organizzativo si fonda
sui principi della clandestinità e compartimentazione, principi che consentono
di esplicitare il carattere offensivo della guerriglia. Un'organizzazione di
quadri politico-militari strutturata in istanze superiori e inferiori regolate
dal centralismo democratico.
La pratica combattente della guerriglia urbana, con la sua impostazione offensiva,
ha permesso e permette alle BR di incidere nello scontro, individuando con chiarezza
il nodo politico centrale che oppone la classe proletaria allo Stato nelle politiche
dominanti della congiuntura; ovvero il fatto di colpire con precisione il cuore
dello Stato ha permesso e permette alle BR di spostare volta per volta sia pure
in termini relativi i rapporti di forza a favore della classe, trasformando
il momentaneo vantaggio raggiunto in organizzazione di classe sul terreno della
lotta armata. Questa dialettica che dall'attacco, attraverso la costruzione
di nuove forze e la loro disposizione sul terreno rivoluzionario, permette di
ritornare all'attacco sempre al più alto livello qualitativo, calibrato
alle condizioni dello scontro, è la direttrice nella quale si sviluppa
la guerra di classe di lunga durata per la conquista del potere politico.
Nello sviluppo dell'attività rivoluzionaria dentro ai nodi centrali di
scontro tra classe e Stato che si sono succeduti nel nostro paese, le BR hanno
costituito e costituiscono l'alternativa rivoluzionaria in grado di contrapporsi
al dominio della borghesia imperialista e del suo Stato, di concretizzare nell'azione
offensiva della guerriglia la sola possibilità di far inceppare e arretrare
i progetti centrali dello Stato, in particolar modo quelli tesi al suo rafforzamento,
un processo di scontro che ha innescato necessariamente la risposta controrivoluzionaria
dello Stato al radicamento della prospettiva rivoluzionaria. Molto concretamente
è questa la dinamica complessiva in cui è inserito l'attacco al
progetto demitiano di riformulazione dei poteri e delle funzioni dello Stato.
Un'iniziativa politico-militare che, intervenendo al punto più alto dello
scontro tra le classi, ha contribuito a far arretrare sostanzialmente il progetto
più organico della borghesia imperialista per affrontare i gravi problemi
posti dall'approfondimento capitalistico e dall'acutizzazione della sua crisi
e nel contempo per fornirsi degli strumenti di governo adeguati a svincolarsi
dal conflitto di classe e dal suo portato rivoluzionario. Un attacco che ha
dimostrato ancora una volta come la disarticolazione del progetto dominante
che oppone classe e Stato nella congiuntura, a partire dall'indebolimento relativo
che si determina per il nemico di classe, consente di acquisire i termini più
favorevoli sul terreno della costruzione-organizzazione. La portata offensiva
dell'attacco portato dalle BR è il punto più alto dell'attività
rivoluzionaria complessiva che esprime la qualità del riadeguamento intrapreso
dalle BR dall'apertura della Ritirata strategica, nel contesto di un forte scontro
caratterizzato dal relativo ripiegamento del campo proletario, dall'approfondimento
dei termini controrivoluzionari dello Stato, mentre per parte rivoluzionaria
vive la fase di Ricostruzione, che è nello stesso tempo un obiettivo
programmatico a livello dell'organizzazione di classe sulla lotta armata. Un'attività
complessiva che si relaziona alla condotta della guerra informata dalla fase
generale di Ritirata strategica, ovvero una condotta tesa "a un ripiegamento
delle forze mantenendo e rilanciando nel contempo la capacità offensiva
della guerriglia".
Fase di Ricostruzione che si presenta problematica e difficile nel contesto
controrivoluzionario che si è imposto nel paese e si svolge dentro a
un movimento avanzate-ritirate. Per questo l'agire rivoluzionario deve operare
sul duplice piano di lavoro costruzione-formazione, teso a ricostruire nel tessuto
di classe i livelli di organizzazione politico-militare delle forze rivoluzionarie
e proletarie in modo da attrezzarle, strutturarle e disporle adeguatamente nello
scontro contro lo Stato, e teso alla formazione dei rivoluzionari stessi perché
acquisiscano la dimensione dello scontro rivoluzionario oggi a partire dalla
ricca esperienza accumulata dalle BR in questi venti anni. La fase di Ricostruzione
è quindi un termine prioritario per il mutamento dei rapporti di forza
tra campo proletario e Stato, costituendo altresì un elemento fondamentale
di avanzamento della guerra di classe di lunga durata.
In unità programmatica con l'attacco al cuore dello Stato per le BR è
prioritario condurre l'attacco all'imperialismo, un piano di combattimento questo
da sempre patrimonio storico della nostra organizzazione. Infatti il processo
rivoluzionario condotto in Italia dalle BR è sin da subito caratterizzato
come processo rivoluzionario internazionalista e antimperialista; le BR conducono
il processo di guerra di classe di lunga durata facendo vivere nella dialettica
tra guerriglia e autonomia di classe i contenuti dell'internazionalismo e dell'antimperialismo
per tutto il corso del processo rivoluzionario, consapevolmente fin dall'inizio.
Un'impostazione che poggia sulle stesse ragioni oggettive e soggettive per cui
si è sviluppata la guerriglia e che ha comportato l'attualizzazione dell'internazionalismo
proletario alle concrete condizioni storiche. Un'impostazione che, attraverso
la pratica politico-militare, ha raggiunto un nuovo livello di qualità
nella promozione e nel contributo al rafforzamento del Fronte Combattente Antimperialista,
come il passaggio politico più avanzato per collocare l'antimperialismo
al livello dello scontro imperialismo/antimperialismo in questa condizione storica.
In altre parole la necessità di praticare una politica di Fronte si misura
con i livelli di integrazione economica, politica e militare maturati storicamente
dalla catena, che rendono necessario l'indebolimento e la destabilizzazione
dell'imperialismo affinché sia possibile la rottura rivoluzionaria in
un singolo paese. Una condizione che nella nostra area geopolitica è
resa più complessa dalle politiche imperialiste che si riversano, seppure
in modo diverso, sia contro le condizioni del proletariato metropolitano e l'attività
della sua avanguardia rivoluzionaria, la guerriglia, sia contro i popoli della
regione che combattono per 1'autodeterminazione. Un contesto che fa dell'imperialismo
il nemico comune tracciando l'unità oggettiva tra questi due differenti
piani di scontro rivoluzionario. Da qui la necessità di unificare soggettivamente
nell'attacco all'imperialismo, alle sue politiche centrali, non solo la guerriglia
che opera nel cuore dell'Europa occidentale, ma anche le forze rivoluzionarie
di liberazione nazionale che operano nell'area, a maggior ragione tenendo conto
dei processi di coesione politica dell'Europa occidentale interni al rafforzamento
della catena e al materializzarsi della tendenza alla guerra proprio in quest'area,
nonché dell'attività controrivoluzionaria dell'imperialismo.
Fattori che pongono il Fronte come l'organismo politico-militare adeguato per
impattare l'attività imperialista nell'area così da provocarne
il relativo indebolimento. Attività di Fronte che per le BR si concretizza
in una politica di alleanze tra le forze rivoluzionarie presenti nell'area geopolitica
per raggiungere l'unità di attacco contro il nemico comune in riferimento
alle politiche di coesione sul piano economico-politico-militare-controrivoluzionario
dell'Europa occidentale e del suo intervento sul piano politico-diplomatico-militare
inserito nelle più generali iniziative dell'imperialismo per "normalizzare"
la regione mediorientale-mediterranea.
Criteri di alleanza che non devono essere condizionati dalle differenze che
caratterizzano ogni forza rivoluzionaria e che non significano fusione in una
unica organizzazione né fanno dell'attività di Fronte la sola
attività praticata, ma sulla base dell'attacco al nemico comune si costruiscono
di volta in volta i diversi momenti di unità e i livelli di cooperazione
raggiungibili. Un'unità possibile e necessaria pur tenendo conto del
diverso portato dei processi rivoluzionari che si sviluppano nel centro imperialista
dai processi di liberazione nazionale della periferia; differenze oggettive
che possono condurre a un arricchimento qualitativo nella politica di alleanza
e di conseguenza nella incisività dell'attacco all'imperialismo.
L'analisi delle BR sugli specifici caratteri dell'area geopolitica europea-mediorientale-mediterranea
consente di comprendere appieno la portata dei processi di guerra innescati
dall'imperialismo nel Golfo Persico e di collocare altresì la portata
politica dell'antimperialismo che da questo contesto si sviluppa. Le azioni
delle forze rivoluzionarie nella regione, la vasta mobilitazione delle masse
arabe, le iniziative di combattimento della guerriglia nel centro imperialista
e le mobilitazioni spontanee dell'autonomia di classe hanno affermato l'unità
di intenti che esiste tra proletariato del centro e popoli della periferia contro
la crisi del'imperialismo e i suoi risvolti guerrafondai.
Nel quadro dell'attività antimperialista rivendichiamo il contributo
fattivo alla promozione e costruzione del Fronte Combattente Antimperialista
da parte delle BR con le azioni Dozier, Hunt, Conti e l'approdo al testo comune
RAF-BR dell'88 concretizzatosi con l'azione Tietmeyer. Una prassi antimperialista
che segna un percorso pratico in dialettica con le altre forze rivoluzionarie
nella proposta-contributo del Fronte Combattente Antimperialista. Sosteniamo
infine le iniziative politico militari della RAF, fino alle più recenti
contro l'ambasciata Usa a Bonn e contro Rohwedder.
Il lungo percorso pratico di assunzione soggettiva della convergenza di interessi
della lotta contro l'imperialismo, e dunque della costruzione e consolidamento
del Fronte, non è un processo lineare, ma ha i suoi passaggi di qualità,
poiché si è svolto e si svolge nel confronto continuo con la controrivoluzione,
e con lo sviluppo delle lotte rivoluzionarie nel fuoco concreto della storia.
Dentro ai principali assi programmatici dell'attacco allo Stato e all'imperialismo
la nostra Organizzazione, nella dialettica con le istanze più mature
dell'autonomia politica di classe, ha costruito e costruisce i termini dello
sviluppo della guerra di classe di lunga durata. Obiettivi programmatici e impostazione
strategica su cui molto concretamente ruota l'unità dei comunisti e su
cui si dà avanzamento alla costruzione del partito comunista combattente.
Il portato e la dimensione dell'attività delle BR risalta chiaramente
non solo per il fallimento dei progetti politici più antiproletari e
controrivoluzionari dello Stato e nel contributo dato alla tenuta e riorganizzazione
del campo proletario anche di fronte agli attacchi più duri portati dalla
borghesia e dal padronato, ma risalta in quei significativi passaggi politici
che le BR hanno effettuato nel riadeguamento dell'attività di direzione-organizzazione
nel combattimento contro lo Stato, avvenuto nel vivo dello scontro, nelle difficili
condizioni degli anni ottanta. Passaggi politici tali da dare oggi una maggiore
maturità alla stessa proposta rivoluzionaria, alle modalità di
sviluppo, organizzazione e movimento della guerra di classe di lunga durata
in un paese del centro imperialista. Ed è proprio questo dato politico
qualitativo, il rapporto tra l'attività di avanguardia delle BR e il
contesto dello scontro di classe in Italia, che ha contribuito a determinare
uno spessore politico a questo stesso scontro non facilmente riconducibile agli
obiettivi di "pacificazione" pianificati dalla borghesia imperialista
e perseguiti con rinnovata impellenza soprattutto in questa fase di scontro.
In altre parole, seppure lo scontro rivoluzionario procede tra avanzate e ritirate
dentro al suo andamento discontinuo, la stessa esperienza delle BR ha verificato
come gli avanzamenti che di volta in volta si producono e le conoscenze acquisite
sulla conduzione stessa della guerra di classe determinano un peso politico
che permane nei caratteri dello scontro rivoluzionario, da cui non è
possibile prescindere. All'interno di questa dinamica anche il prevedibile approfondimento
del piano controrivoluzionario nello scontro per parte dello Stato e dell'imperialismo,
soprattutto come portato dell'accelerazione della tendenza alla guerra, non
cade su una condizione di classe priva di strumenti per contrapporvisi e misurarsi
adeguatamente, a partire proprio dall'esistenza della guerriglia e della sua
valenza strategica.
Come militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del partito comunista
combattente e militanti rivoluzionari prigionieri non riconosciamo alcuna legittimità
a questo tribunale e allo Stato che rappresenta. Dei nostri atti politici rispondiamo
solo alla nostra organizzazione, e con essa al proletariato di cui è
l'avanguardia rivoluzionaria. Ribadiamo che il processo qui celebrato non è
che un momento del rapporto tra guerriglia e Stato. Lo scontro nella sua complessità
politica e rivoluzionaria si gioca fuori da queste aule; per questo per noi
e meglio di noi parla la guerriglia in attività.
- Attaccare e disarticolare i progetti controrivoluzionari e antiproletari di
rifunzionalizzazione dello Stato.
- Costruire e organizzare i termini attuali della guerra di classe.
- Attaccare i progetti imperialisti della coesione politica europea e di "normalizzazione"
della regione mediorientale.
- Lavorare alle alleanze necessarie per la costruzione-consolidamento del Fronte
Combattente Antimperialista per indebolire e ridimensionare l'imperialismo nell'area.
- Trasformare la guerra imperialista in guerra di classe rivoluzionaria.
- Onore ai compagni e combattenti antimperialisti caduti.
I militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del partito comunista combattente:
Maria Cappello, Tiziana Cherubini, Antonio De Luca, Franco Galloni, Franco Grilli,
Rossella Lupo, Fulvia Matarazzo, Stefano Minguzzi, Fabio Ravalli. I militanti
rivoluzionari: Daniele Bencini, Vincenza Vaccaro, Marco Venturini
Bologna, aprile 1991
Tribunale di Bologna:
DICHIARAZIONE
(allegata agli atti)
Noi militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del partito comunista combattente
e militanti rivoluzionari prigionieri esprimiamo la piena adesione e il pieno
sostegno politico all'attacco che la RAF ha portato contro la politica della
Repubblica federale tedesca verso l'ex-Ddr colpendo il presidente dell'ente
fiduciario incaricato di amministrare l'industria della ex-Ddr, Detler Rohwedder,
uomo del governo federale in questa politica di asservimento e disoccupazione
del proletariato tedesco.
Questa iniziativa politico-militare è centrale per lo sviluppo del movimento
rivoluzionario in Europa occidentale; ciò dipende dal ruolo economico
e politico che le grandi banche e il capitale industriale tedesco rivestono
nel processo di coesione politica dell'Europa occidentale, nonché dal
ruolo che la grande Germania svolge verso l'Europa dell'Est in un quadro integrato
negli interessi imperialisti.
Per questo è una questione europea chiara e netta che va al di là
dei terreni prioritari in cui ogni forza rivoluzionaria si misura relativamente
alle caratteristiche dello scontro di classe nel proprio paese.
Questa iniziativa è oggettivamente un terreno unificante nella costruzione
di un forte movimento rivoluzionario in Europa occidentale e del Fronte combattente
antimperialista nell'area geopolitica (Europa-Mediterraneo-Medio Oriente).
Sosteniamo l'iniziativa politico-militare della RAF del 14 febbraio '91 contro
l'ambasciata Usa a Bonn.
- Attaccare le politiche di coesione in Europa occidentale!
- Organizzare la lotta armata in Europa occidentale!
- Organizzare il Fronte combattente antimperialista!
- Combattere insieme!
I militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del partito comunista combattente:
Maria Cappello, Tiziana Cherubini, Antonio De Luca, Franco Galloni, Franco Grilli.,
Rossella Lupo, Fulvia Matarazzo, Stefano Minguzzi, Fabio Ravalli. I militanti
rivoluzionari: Daniele Bencini, Vincenza Vaccaro, Marco Venturini
Bologna, 4 aprile 1991