Biblioteca Multimediale Marxista
Noi militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente
e militanti rivoluzionari prigionieri intendiamo qualificare la nostra presenza
in questo processo non solo ribadendo la nostra identità politica nel
rapporto col nemico di classe, ma soprattutto nella rivendicazione della progettualità
rivoluzionaria delle BR, poiché essa rappresenta l’ELEMENTO STRATEGICO
nell’evoluzione dello scontro di classe, per l’affermazione degli
interessi generali del proletariato. Sono le stesse ineliminabili ragioni politiche
e sociali dello scontro che fanno dell’ipotesi rivoluzionaria, storicamente
basata sulla strategia della lotta armata come proposta a tutta la classe, il
risvolto proletario alla crisi della borghesia per la conquista del potere politico
e l’instaurazione della dittatura del proletariato, per una società
comunista.
Di contro alle politiche esplicitamente antiproletarie e controrivoluzionarie
e ai progetti guerrafondai che la borghesia imperialista sta attuando, oggi
più che mai si pongono in primo piano gli interessi generali del proletariato
e lo sviluppo della guerra di classe come il solo modo di perseguirli, come
il solo terreno che, sotto la direzione della sua avanguardia rivoluzionaria,
le Br, consente al movimento di classe di dare peso politico e rilevanza nel
conflitto contro la borghesia imperialista e il suo Stato. La valenza dell’alternativa
rivoluzionaria risalta maggiormente per l’acuirsi di tutte le contraddizioni
del mondo capitalista quali manifestazioni della putrescenza di un sistema sociale
che a questo stadio storico produce solo sfruttamento, miseria, guerra e distruzione.
Da questa premessa partiamo per leggere l’evoluzione dello scontro nel
nostro paese evidenziando la sua possibile e necessaria risoluzione sul terreno
rivoluzionario a partire dalle concrete condizioni che si maturano qui nel rapporto
classe/Stato.
L’opposizione di classe ha oggi di fronte una situazione politica che
pur riflettendo i caratteri del decennio ha subito un mutamento di sostanza
in questo breve arco di tempo, mutamento che non ha ancora manifestato tutte
le sue implicazioni, ma che ha fin da subito impresso allo scontro caratteristiche
apertamente antiproletarie e controrivoluzionarie a livello delle relazioni
politiche tra le classi. Le iniziative e le misure politiche prese dall’Esecutivo
oggi al potere sono parte integrante di una offensiva generalizzata che parte
dagli anni ’80 e che oggi si inserisce all’interno della crisi politica
istituzionale che attraversa lo Stato italiano.
La gestione di questa crisi da parte delle più alte cariche dello Stato
risponde alla necessità di operare mutamenti profondi nell’impianto
costituzionale, e per la direzione che questi prefigurano devono essere sostenuti
dagli organi che hanno il maggior peso politico e istituzionale (Esecutivo,
Presidenza del Consiglio, Presidenza della Repubblica) col fine di garantire
l’ultimazione dei passaggi di quella che abbiamo definito la svolta alla
II a Repubblica all’interno della quale dovrebbe vivere un nuovo modello
di relazioni tra le classi a partire dalle modifiche avvenute nel carattere
e nel modo di operare la mediazione politica tra classe e Stato.
Un’esigenza della borghesia imperialista quella della “rifunzionalizzazione
dello Stato” che ha avuto la sua base di forza nella controrivoluzione
degli anni ’80 e, in particolar modo, nella fase politica relativa ai
“patti sociali neocorporativi” che hanno segnato e sancito il punto
di svolta nelle relazioni politiche tra le classi e hanno così posto
le basi concrete per l’apertura ad una nuova fase costituente, ad una
IIa Repubblica. E’ bene ricordare che i passaggi politici che aprono l’attuale
fase politica di scontro tra le classi sono stati segnati da uno scontro sociale
e politico molto forte e lo Stato non ha certo disdegnato di mettere in campo
i suoi apparati di sicurezza e ricorrendo anche alla politica delle stragi per
assestare strappi istituzionali e sancire rapporti di forza nello scontro id
classe e rivoluzionario per dare stabilità alle linee di governo. Un
processo profondo di modifica nelle relazioni tra le classi al quale le stesse
opposizioni istituzionali (PCI e sindacati) si sono conformate avviando un percorso
finalizzato al decurtarsi, anche sul piano formale, della loro origine di classe
con una ristrutturazione del proprio apparato atto a svincolarsi dagli orpelli
di democrazia sindacale e dallo scomodo ruolo di oppositore istituzionale, per
quanto riguarda il PCI, col fine di omologarsi e svolgere un ruolo attivo e
compartecipe intorno agli interessi della frazione dominante di borghesia imperialista.
Un’omologazione ormai conclusa e ben evidente negli atti politici di quest’ultimo
periodo. Inoltre, i passaggi a questa fase politica si sono caratterizzati per
un accentramento dei poteri nell’Esecutivo attraverso il varo di modifiche
istituzionali nell’imperio della stabilità di governo, una marginalizzazione
delle sedi parlamentari con “corsie preferenziali” e decretazione
d’urgenza, le elezioni politiche usate per mascherare cambi di staffetta
alla guida dell’esecutivo. Il tutto condito con la salsa della politica
delle emergenze per mobilitare consenso coatto al nascente regime. Un processo
che oggi prefigura equilibri e schieramenti volti alla IIa Repubblica sia nell’accentramento
dei poteri nell’Esecutivo come dato costitutivo, sia nell’aspro
confronto fra le forze politiche borghesi, il partito di Occhetto incluso, per
raggiungere posizioni di forza all’interno dei nuovi assetti istituzionali
che si vanno determinando. Uno scontro fra i partiti che, è bene sottolineare,
si svolge al di fuori delle sedi istituzionali e parlamentari e si sviluppa
in forme e modi interni ai rapporti di forza del costituente regime, per questo
i partiti diventano, già nel confronto stesso, soggetti attivi e promotori
del regime stesso. E’ questo il vero rinnovamento dei partiti, un percorso
dove ogni partito colloca e si conquista la sua posizione intorno agli interessi
dominanti della frazione di borghesia imperialista.
In questo contesto l’attuale Esecutivo pone concretamente in essere il
suo indirizzo politico, un indirizzo che è portatore di pesanti sviluppi
oltre che sul piano interno, sul piano della partecipazione ai concreti processi
di guerra nel Golfo che implicano un impegno totale da parte dello Stato sia
per l’integrazione nella catena imperialista, che specificamente per il
ruolo dell’Italia nel fianco sud della Nato.
Per questo l’opposizione di classe si trova subito a misurarsi con la
sostanza e il tratto distintivo antiproletario e controrivoluzionario di questa
nascente IIa Repubblica. Perché un nuovo riassetto dello Stato non è
un problema di ingegneria costituzionale, semplicemente un diverso modo di sedersi
in Parlamento, ma le modifiche istituzionali e revisioni costituzionali sono
il prodotto sul piano giuridico-formale dei rapporti di forza tra le classi,
la codificazione e mediazione possibile di tali rapporti. In ultima istanza,
sono i modi e le forme che sono stati sperimentati e realizzati in questi anni
nel governo del conflitto di classe la base da “codificare” per
la svolta alla IIa Repubblica. I fattori scatenanti della congiuntura politica
odierna risiedono nell’attuale stadio della crisi economica, essa, riversando
il suo peso sulle preesistenti contraddizioni, le ha radicalizzate ed estese
generandone di nuove; l’impatto della crisi economica e le drastiche misure
che richiede, rendono la crisi della borghesia imperialista nostrana economica,
politica, sociale e istituzionale insieme, un urto che sta alla base della dinamica
politica attuale, quale sua spinta oggettiva.
In sintesi tra i caratteri del decennio passato e quest’ultimo periodo
c’è un salto e una rottura pur nella stretta continuità
della fase, un salto che è manifestazione dell’accumularsi critico
dei mutamenti avvenuti a livello politico-istituzionale ed economico-sociale
a partire dagli equilibri raggiunti nel rapporto classe/Stato, all’interno
del più generale rapporto rivoluzione/controrivoluzione. In altre parole,
i processi di rifunzionalizzazione dello Stato, e, dentro a ciò, la situazione
politica congiunturale, si collocano ben dentro agli equilibri di fase tra rivoluzione
controrivoluzione.
I cambiamenti che stanno avvenendo in questa legislatura investono in primo
luogo i principali organi dello Stato soggetti ed oggetti di questa ridefinizione,
la quale per gli sbocchi a cui tende e le modalità con cui vengono perseguiti
provoca una forte instabilità del quadro politico istituzionale. Questi
passaggi orientati principalmente dalla presidenza della Repubblica e dalla
Presidenza del Consiglio sono allo stesso tempo prodotto e leva per l’approfondimento
delle prerogative di questi due organi che sulla base di forzature sul piano
istituzionale e costituzionale vede attualmente il massimo accentramento del
potere nelle mani dell’Esecutivo e più in particolare nella figura
del Presidente del Consiglio.
I mutamenti in corso per la complessità dei piani che vanno ad investire
e per la “delicatezza” della materia richiedono una forte stabilità
politica che l’Esecutivo è costretto a garantirsi tramite strappi
nei rapporti di forza generali per delineare parziali momenti di stabilità
che, riflettendosi sull’equilibrio precario della coalizione che lo sostiene,
aprono spazi politici tali da porte consentire la costruzione di condizioni
idonee alla modifica dei poteri dello Stato. Si tratta di una stabilità
precaria che comprime la stessa dialettica politica tra le forze di maggioranza
rimessa continuamente in discussione dalla rapida trasformazione ed evoluzione
dei fattori in gioco, primo tra tutti l’approfondimento dello scontro
tra le classi che produce lo spostamento in avanti delle stesse contraddizioni
interborghesi. Il modo di operare dell’Esecutivo che prefigura con la
politica dei fatti compiuti ciò che poi dovrebbe essere formalmente ratificato,
riguarda principalmente gli equilibri che dovrebbero instaurarsi tra maggioranza
ed opposizione e nella stessa maggioranza. La bagarre sulla legge elettorale
getta fumo negli occhi sugli obiettivi reali di questa legge che ne fanno il
nodo centrale per l’assestamento politico istituzionale dei caratteri
di questa congiuntura, ovvero sancendo un processo di esecutivizzazione che
oggi passa nei fatti attraverso il rafforzamento dell’equilibrio in favore
delle forze politiche che se ne fanno carico (la DC in primo luogo). Una politica
dei fatti compiuti che a livello generale investe gli stessi organi dello Stato
dalla magistratura alla Corte Costituzionale, una costante politica delle emergenza
in materia di ordine pubblico; dalla modifica nel legiferare delle due camere,
alle procedure per l’approvazione delle leggi soprattutto in materia finanziaria
così da rigidamente centralizzare e indirizzare le politiche di bilancio,
e con la guerra è probabile che potranno essere rivisti gli investimenti
già previsti in opere pubbliche tesi a stimolare l’economia per
far fronte alla stagnazione economica a favore del bellico come possibile volano
dell’economia. Una politica dei fatti compiuti evidente anche nella gestione
della politica estera. Tra i primi regali non richiesti fatti da questo costituente
regime c’è l’entrata in guerra. Una guerra decisa dall’Esecutivo
solo per far fronte agli impegni derivanti dall’integrazione nella catena
imperialista, nella coscienza che l’interesse del singolo Stato può
essere realizzato nella misura in cui partecipa all’interesse generale
della catena imperialista, della sua leadership, e imposta alla ratifica parlamentare
con l’eufemismo di “operazione di polizia internazionale”,
di generico impegno militare.
Un susseguirsi di interventi che devono essere assestati contemporaneamente
e su più piani, che evidenzia la debolezza politica su cui si regge l’attuale
Esecutivo. Questo perché in mancanza di ulteriori modifiche istituzionali
atte a mantenere la stabilità politica necessaria, è il peso dello
scontro tra le classi a determinare in ultima istanza tipo e modalità
di costruzione degli equilibri politici possibili tra le forze del costituente
regime.
Un quadro politico, altamente instabile e contraddittorio che vede ancora oggi
nella DC la forza politica che più si fa carico di operare strappi nei
rapporti politici e di forza complessivi, in ciò avvalendosi di tutta
la sua esperienza antiproletaria e controrivoluzionaria in continuità
con il suo ruolo di rappresentante più fedele dell’interesse generale
della borghesia imperialista nel nostro paese. Vi è continuità
e avanzamento in questo suo modo con le fasi precedenti, ma la differenza è
sostanziale, a parte le similitudini e le analogie con l’uso riaggiornato
della strategia della tensione, poiché ciò avviene in un contesto
di crisi generalizzata e in più nel quadro di tendenza alla guerra approfondita
dalla maturazione di diversi ordini di contraddizioni. Nella smania di tirare
bilanci storici a conclusione di un “ciclo costituzionale”, rileggendo
lo sviluppo dello scontro di classe in Italia per potervi far gravare oggi maggiormente,
cioè per come esso si dà in questa fase, lo Stato e la DC arrivano
a rivendicare l’attività terroristica condotta nell’arco
di questi quarant’anni nei confronti del campo proletario, recuperando
la sostanza delle feroci politiche antiproletarie e controrivoluzionarie che
hanno caratterizzato i diversi momenti di transizione nella ricerca della stabilità
possibile nel modo di governare il paese.
Questa operazione politica, nel contesto di un insieme di pressioni, costituisce
il punto di più alta tensione messo in campo dall’Esecutivo. Un
peso immesso nello scontro non come mera legittimazione del passato, ma per
condizionare da un lato i futuri termini politici nel governo del conflitto
di classe, soprattutto rispetto all’espressione della sua autonomia politica,
dall’altro per determinare su questo lo schieramento istituzionale, uno
schieramento sulla natura controrivoluzionaria ed antiproletaria dello Stato
affinché le istituzioni politiche ne assumano pienamente l’impronta
e il portato. Ciò chiarisce quanto la natura della “crisi costituzionale”
e al suo interno l’operato dell’Esecutivo, non siano riferiti semplicemente
ad una ridefinizione degli assetti interni all’arco delle forze politiche
borghesi, a maggior ragione considerando i terreni su cui si stanno articolando
le iniziative dello Stato. A fianco di vere e proprie campagne di criminalizzazione
e di intimidazione delle istanze che scaturiscono dal montare del conflitto
di classe, vivono gli attacchi di carattere politico alla sostanza che ha informato
lo scontro di classe nel nostro paese, un piano questo che si riferisce alla
più generale attività dello Stato tesa a preparare le condizioni
che servono da premessa per la ridefinizione dell’impianto costituzionale,
che perciò richiede la rimessa in discussione totale dei rapporti di
forza tra proletariato e borghesia esistenti alle sue origini e per come si
sono successivamente mutati, una esigenza per “soluzioni forti”
che caratterizza l’atteggiamento della borghesia imperialista, che spinge
e in parte si fa carico affinché siano rimodellate ulteriormente in suo
favore le relazioni tra le classi. In questo senso è fautrice della “politica
delle mani libere” dell’Esecutivo affinché meglio risponda
con politiche di supporto anticrisi e di diretto appoggio ai processi di concentrazione
monopolistica, ottemperando nello stesso tempo al controllo del conflitto di
classe.
Il drastico impatto della crisi economica, il suo grado di approfondimento generalizzato
a tutti i paesi capitalistici, ha generato una recessione che non eguali dal
dopoguerra e in questa fase, che è solo quella iniziale, ha già
toccato tutti gli indici economici, sia relativi alla produzione dove tutti
i comparti ne sono interessati anche se a diversi livelli (e quelli ad alta
tecnologia sono i primi della lista), sia rispetto alla circolazione delle merci,
alla stessa capacità di assorbimento del mercato interno, ecc. In questo
contesto la riduzione della produzione è in gran parte chiusura di molte
fabbriche, espulsione massiccia di forza-lavoro, contestualmente al maggiore
sfruttamento degli occupati. Questi fattori, uniti alla riduzione di tutte le
“spese sociali” provocano il generale impoverimento e processi di
proletarizzazione (che toccano anche fasce sociali intermedie).
Questi termini economici che condizionano le scelte dello Stato, determinano
l’indirizzo programmatico sul piano economico, politico e sociale all’interno
del paese, nonché rispetto ai processi di coesione politica nell’Europa
occidentale. La concretizzazione di questi programmi fa emergere immediatamente
l’oggettiva riduzione degli ammortizzatori economici che in generale tendono
a ridurre l’impatto della crisi in termini di costi sociali. Un fattore
che interagendo con le contraddizioni proprie dello scontro di classe nel nostro
paese rende assai critico l’ammortizzamento politico, elemento questo
su cui si gioca la risoluzione del problema della governabilità, nell’impossibilità
sempre più esplicita di dare rappresentanza, anche solo formalmente,
agli interessi di classe nella democrazia rappresentativa. Su questo piano materiale
si colloca il mutamento di ruolo dei partiti revisionisti: a partire dal restringimento
oggettivo, legato alla crisi economica, degli spazi per la politica riformista
unitariamente al ridimensionamento politico avvenuto di riflesso ai rapporti
di forza mutati a sfavore della classe, nel ruolo che i revisionisti vanno ad
assumere, pur condizionato da equilibri politici saldamente in mano alle forze
di maggioranza, è nello stesso tempo prodotto di scelte politiche tutte
interne al mantenimento di questo Stato e del sistema capitalistico. E’
dentro questa dinamica che il partito di Occhetto tenta di rincorrere la borghesia
imperialista sui suoi stessi terreni di intervento privilegiato. Per l’ormai
ex-PCI si tratta di guadagnare gli spazi politici che gli consentano di partecipare
alla definizione dei nuovi caratteri delle relazioni tra le classi, e questo
può avvenire solo inserendosi a pieno titolo nel clima lealista verso
la borghesia imperialista date le mutate condizioni del modo di effettuare la
mediazione politica tra classe e Stato, condizioni che lo hanno schiacciato
entro un ruolo di demagogico garante democratico del regime. E più la
borghesia sfodera la sua arroganza nella gestione offensiva delle contraddizioni
di classe, più si riducono gli spazi di agibilità per le “rappresentanze
istituzionali” della classe, spostando la risoluzione dei contrasti ad
un livello più alto e funzionale ai disegni del grande capitale e della
sua classe dirigente insediata nell’Esecutivo. Ovvero: quanto più
forte si fa il peso dell’iniziativa dello Stato nello scontro di classe,
tanto più si riduce lo spazio del revisionismo, costringendolo ad appiattirsi
sulle posizioni borghesi e a favorire attivamente (pur nella sua contraddittorietà)
l’avvicinamento della svolta alla IIa Repubblica.
E’ nel contesto di questa dinamica più generale e principalmente
in rapporto ad uno scontro di classe mai pacificato che si innesta l’ulteriore
approfondimento del piano controrivoluzionario inteso nei suoi termini politici
generali quale contrappeso obbligato per la governabilità del conflitto
di classe. Quello che si tenta di affermare nel paese con la rifunzionalizzazione
dello Stato è uno sviluppo della democrazia rappresentativa nell’unico
modo possibile in questa fase di crisi dell’imperialismo che obbligatoriamente
deve procedere con esecutivi fortemente centralizzati, con una natura e un carattere
antiproletario e controrivoluzionario. Non si tratta di una gestione forzosa
a fronte di una situazione eccezionale e congiunturale. L’irrigidimento
degli apparati ed istituti preposti alla mediazione politica è funzionale
alla borghesia imperialista e al suo Stato. Nella realtà la dinamica
innestatasi fa riferimento all’approfondimento delle forme di dominio
borghese nella misura in cui tende a svincolare il governo della società
dalle spinte antagonistiche che si producono, come prodotto e sanzione sul piano
giuridico-formale delle forzature che vengono operate nelle relazioni politiche
tra classe e Stato, incorporando nella controrivoluzione preventiva (dato qualificante
le moderne democrazie) i livelli di controrivoluzione maturati nello scontro
di classe rivoluzionario interno e internazionale. I caratteri reazionari pur
presenti, sono la forma di metodi di governo che non sono tesi a riproporre
il passato, semmai portano all’estremo i termini della democrazia formale
(esplicativa in questo senso è l’espressione “democrazia
governante” usata dalle forze borghesi), pur implicando sostanziali modifiche
degli organi propri dell’apparato statale. Un processo di evoluzione dei
caratteri dello Stato che in Italia assume questa particolare natura alla cui
problematicità concorre il fatto che il modello della democrazia rappresentativa
che si è storicamente sviluppata non ha effettuato il salto qualitativo
alla “democrazia compiuta” di stampo europeo, cioè all’espressione
più matura della forma di dominio della borghesia imperialista relativa
ad un paese a capitalismo avanzato. I tentativi di realizzare nel nostro paese
questo modello si sono dimostrati inapplicabili non solo per le peculiarità
storiche della borghesia nostrana e dello Stato, ma soprattutto per il contesto
degli equilibri politici e di forza tra le classi. Progetti che intendevano
garantire la governabilità e funzionalità della dittatura borghese
a fronte del forte scontro politico e sociale e all’esistenza del processo
rivoluzionario organizzato e diretto dalle BR, il loro ripiegamento è
dovuto proprio all’attacco portatogli dall’avanguardia combattente
e dall’autonomia di classe che non ha permesso il consolidarsi delle condizioni
politiche favorevoli a queste soluzioni, questo malgrado la spinta controrivoluzionaria
dello Stato che, tuttavia, non ha potuto fornirgli una base di forza sufficiente
per imporli. Il sopravanzare delle necessità oggettive che la crisi mette
in primo piano ha portato ad accantonare la velleità di realizzare in
modo lineare e indolore i processi di rifunzionalizzazione dello Stato più
lungimiranti, più consapevoli dei caratteri contraddittori insiti nel
governo del conflitto di classe e nella svolta che si è determinata in
questi ultimi anni; che procede attraverso ampie lacerazioni nel quadro politico
istituzionale quale riflesso delle più profonde contraddizioni che si
sono aperte nello scontro di classe. Le modalità di affrontamento delle
contraddizioni da parte dell’Esecutivo, se da un lato mostrano la durezza
dei mezzi per imporre l’attuazione dei programmi adottati, nello stesso
tempo sono espressione dei limiti politici, limiti che evidenziano l’impossibilità
di ricucire politicamente ogni ordine di contraddizioni che scaturiscono dallo
scontro concreto e che, per i caratteri della fase, attraversano ogni aspetto
della società, per questo la crisi politica produce e condiziona il nascente
regime ed è appunto l’altra faccia della medaglia dei processi
che materialmente sono già dentro alla seconda Repubblica.
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Il 17 gennaio si è scatenata l’aggressione imperialista al popolo irakeno, a tutte le masse arabe. Una guerra che avrà pesanti ripercussioni negli stessi processi di rifunzionalizzazione dello Stato e nello scontro di classe e rivoluzionario, non solo per la partecipazione diretta dello Stato italiano a questo conflitto, ma soprattutto per la caratterizzazione di questa guerra che, per quanto oggi sia delimitata territorialmente, sul piano politico si irradia su tutti i piani delle contraddizioni divaricandoli: da quello Est-Ovest, a quello Nord-Sud ed anche a quello proletariato-borghesia. Se non si possono prevedere le contraddizioni di ritorno provocate da questo conflitto, si possono invece vederne fin da subito le direttrici a partire dall’individuazione dei caratteri generali di questa guerra. In questo senso meritano due parole anche i vecchi e nuovi guerrieri dela propaganda apologetica borghese, paladini del ristabilimento del “diritto internazionale violato” a garanzia di una prima applicazione del “nuovo ordine mondiale” scaturito dalle “ceneri del comunismo” dal post guerra fredda. Se questo vociare può essere liquidato come mera propaganda bellica, non lo sono invece gli effetti dei turbinosi avvenimenti (che apparentemente danno anche sostegno a questa propaganda) di questi ultimi due anni, perché è da una loro lettura fenomenica che si basano valutazioni riduzioniste di questo conflitto.
Ciò che viene ripetuto e presentato in tutte le salse
e da fonti apparentemente opposte è, da un lato, la malcelata soddisfazione
di aver vinto la guerra fredda e, dall’altro, l’esaurirsi pacifico
della divisione del mondo in blocchi contrapposti. Un’era di pace, di
consenso mondiale che permetterà di “superare i divari economici”
e “regimi dittatoriali che affliggono l’umanità” e
tanti altri “buoni intendimenti” del genere. Perciò, nell’interesse
della borghesia imperialista, la guerra del Golfo viene presentata come una
legittima e sacrosanta iniziativa per preservare la pace, le conquiste e la
superiorità morale della democrazia occidentale.
Ma, vediamoli da vicino questi molto presunti “vincitori della terza guerra
mondiale senza sparare un colpo”, perché proprio nella crisi economica
che li rode sta il motore che muove in ultima istanza la catena imperialista
alla ridefinizione degli equilibri internazionali per una nuova divisione del
lavoro, dei mercati e delle sfere di influenza, in sintesi: la necessità
di distruggere capitali, forza lavoro e mezzi di produzione in eccedenza. Indubbiamente
la spinta e la guida delle necessarie forzature sono venute dagli USA proprio
in quanto paese con un capitalismo maggiormente sviluppato e, quindi, con una
concentrazione superiore di contraddizioni e squilibri che hanno indotto politiche
aggressive, così ben rappresentate dall’amministrazione Reagan,
miranti non solo a ridimensionare l’altro blocco, ma anche a rimarcare
la propria supremazia sull’intero mondo capitalistico. La guida degli
USA si è riproposta in modo chiaro con la scelta di avere nella produzione
bellica il volano dell’economia con il rastrellamento di capitali attratti
dagli alti tassi di interesse, finanziando così anche le nuove acquisizioni
nel campo delle alte tecnologie da sempre intrecciate al bellico, il controllo
delle quali è veicolo e garanzia della propria centralità.
La recessione che oggi investe tutto il mondo capitalistico è derivata
anche da queste scelte USA, e ha avuto proprio negli Stati Uniti il suo inizio
e la maggiore virulenza e conferma del fatto che la crisi del modo di produzione
capitalistico è talmente acuta per cui: oltre a restringersi il campo
delle varie possibili risposte di politica economica, la loro applicazione,
al di là di risultati immediati nella congiuntura specifica, non portano
ad un suo risolversi, ma al contrario ad un suo approfondimento e dimostra come
il rafforzarsi della tendenza alla guerra imperialista che ne consegue, non
sia marginale o accidentale (anche se il casus belli può essere frutto
di circostanze), ma conseguenza inevitabile dato che l’imperialismo ha
nella guerra il modo storicamente ricorrente di rispondere alle sue crisi più
gravi. E’ questo il motore principale che spinge l’imperialismo
a sfondare e a ridefinire gli equilibri usciti da Yalta; passaggi recenti nelle
relazioni internazionali che solo ad uno sguardo superficiale possono far pensare
ad un pacifico dissolversi della contraddizione Est-Ovest e, quindi, anche alla
caduta della sua dominanza a livello mondiale. Ciò che sta avvenendo
nelle relazioni Est/Ovest è una situazione ben diversa da quello che
immagina chi parla molto a sproposito di un dissolversi della contraddizione
Est-Ovest che invece risalta e si acutizza sempre di più. Pensare che
le economie dell’Est possano essere linearmente inglobate con relativa
facilità dall’occidente capitalistico, è saltare a piè
pari la realtà di quei paesi, URSS in particolare. In realtà tutto
mostra che il penetrare del capitale occidentale, i maggiori rapporti col mercato
mondiale determinano l’esplodere e l’approfondirsi delle contraddizioni
(anche tra borghesia e proletariato). L’imperialismo non mira tanto a
migliorare i rapporti economici, gli interscambi, il grado di compartecipazione
nelle imprese dell’Est, ma a rovesciarle come un guanto per costruire
le condizioni più idonee al grande capitale monopolistico multinazionale.
Lo sfondamento di una superpotenza a danno dell’altra in questo contesto
di crisi-recessione è un passo concreto nel cammino della tendenza alla
guerra.
E’ in questo quadro di recessione economica e di modifica dei rapporti
di forza tra Est e Ovest che si inserisce la “crisi del Golfo” non
come variabile a sé, un incidente di percorso sulla strada aperta dall’
“idilliaco 1989”, ma come momento di rottura di equilibri politici
preesistenti nell’area perseguito dall’imperialismo in questa congiuntura
politica a lui favorevole. Che la “liberazione del Kuwait” sia mera
foglia di fico a copertura delle reali mire imperialiste, è solo una
constatazione dimostrata anche dal rapido dispiegamento militare di dimensioni
mai viste dalla fine della IIa Guerra Mondiale, così come dall’acquiescenza
agli USA degli Stati europei dove l’intervento operato da Washington contro
l’Irak ha avuto una pronta risposta in sede Nato e Cee rimarcando, tra
l’altro, quanto siano velleitarie e demagogiche le ipotesi terzaforziste
della coesione politica europea, come essa non sia affatto un controbilanciamento
all’egemonia statunitense, ma invece un processo tutto interno alla maggiore
integrazione della catena imperialista. Gli obiettivi nemmeno tanto celati dell’aggressione
al popolo irakeno sono la “normalizzazione” imperialista e sionista
di tutta l’area mediorientale, un’area che sostanzialmente è
rimasta fuori dalla definizione delle aree di influenza dei blocchi fatta a
Yalta, con le sue risorse energetiche, la sua posizione geografica che consente
il controllo di importanti rotte tra i continenti, le lotte di liberazione contro
la presenza dell’imperialismo anglo-francese, l’innesto di un corpo
estraneo, lo Stato sionista, causa scatenante delle successive guerre con i
paesi arabi e della pluridecennale lotta dei palestinesi per la riconquista
della tessa invasa dai sionisti. Per questo l’aggressione imperialista-sionista
è rivolta contro tutte le masse arabe e non certo il solo regime irakeno,
e influenza gli equilibri politici fra e negli Stati di una vasta area geografica
che arriva fino all’Atlantico, per questo la questione del controllo nella
produzione del petrolio, pur nella sua importanza, risulta essere poco più
di un pretesto e a ciò basti una semplice constatazione: non sono certo
i produttori di materie prime che fissano prezzi e quote di produzione!
I rapporti capitalistici hanno da tempo penetrato la regione determinando un
rapporto di dipendenza che è quello caratteristico Nord-Sud con la subordinazione
alle sue tecnologie e con lo scambio ineguale delle materie prime. Una condizione
economica di dipendenza che negli ultimi quarant’anni ha influenzato vasti
e marcati sommovimenti politici e sociali con importanti rotture rivoluzionarie
dal giogo imperialista, attraverso movimenti politici che si richiamano al panarabismo,
ad uno sviluppo economico-sociale più consono alle tradizioni e alla
realtà araba e al coagulo delle masse arabe contro l’imperialismo.
Per questo l’aggressione imperialista, pur non essendo una guerra del
“Nord” contro il “Sud”, fa emergere tale contraddizione
con tutta la sua potenzialità di emancipazione rivoluzionaria per i popoli
della periferia.
Una guerra imperialista, quindi che è sia il prodotto dello sviluppo-crisi
dell’imperialismo, e che perciò attraversa la contraddizione proletariato-borghesia,
sia l’effetto dei mutati rapporti di forza fra Est e Ovest e che agisce
avendo sullo sfondo la contraddizione Nord-Sud. Un insieme di fattori economico-politico-sociali
che fanno di questa guerra il possibile detonatore di una IIIa Guerra Mondiale,
al di là dell’esito militare di questa battaglia, anche se non
in una sua meccanica evoluzione ad un conflitto mondiale. Ciò non tanto
per la reale possibilità che vengano usate dai criminali imperialisti-sionisti
bombe atomiche più o meno tattiche, ma proprio per le ragioni di fondo
che hanno reso possibile questa guerra, per lo scenario geopolitico e sociale
su cui essa si svolge. Non si tratta perciò genericamente di essere contro
la guerra, di dolersi per gli efferati crimini che sta commettendo la borghesia
imperialista, d’altronde dove vige il credo statunitense delle “guerre
di bassa intensità” esse sono comunque ad alta intensità
di cadaveri senza ricorrere a sofisticati mezzi bellici, ma di attrezzarsi e
combattere fin da subito questa aggressione imperialista col fine di trasformare
la guerra imperialista in rivoluzione proletaria, l’unica che garantisce
progresso e pace. L’enorme schieramento militare, la potenza distruttrice
che oggi si abbatte sul popolo irakeno, se per un verso dimostra la grande potenza
tattica dell’imperialismo, dall’altro fa risaltare il suo essere
obbligato dal procedere della crisi del modo di produzione capitalistico ad
intervenire nel modo più pesante in ogni angolo della terra, dimostrando
quindi la sua debolezza strategica. In quei deserti, in quei mari, di fronte
al popolo arabo corre il serio pericolo e concreto rischio di dimostrare giustezza
e materialità della parola d’ordine: l’imperialismo è
una tigre di carta…..
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I limiti politici che costituiscono un aspetto dell’attuale
rapporto tra lo Stato e la resistenza proletaria e che fanno del governo dello
scontro il nodo che determina la praticabilità o meno di ogni misura
si inquadrano: dal più generale riassetto delle istituzioni, agli interventi
controtendenziali alla crisi, alla regolamentazione del rapporto capitale-lavoro.
Lo scontro che si sviluppa su questo piano si gioca su molteplici aspetti, sia
in fabbrica con l’intimidazione e criminalizzazione a livello giuridico,
padronale e delle gerarchie sindacali, dell’avanguardia operaia, sia sul
piano politico attraverso le relazioni tra confindustria, sindacato e Stato,
ratificando il neocorporativismo instaurato nell’84 a partire dal ruolo
dei sindacati compartecipi dei programmi governativi e padronali e del ruolo
che va ad assumere l’Esecutivo nella trattativa, venendo a cadere anche
formalmente la sua parte di mediatore.
L’obiettivo della pacificazione con la controrivoluzione degli anni ’80
si è rivelato irrealizzabile perché non ha potuto sradicare la
portata politica e rivoluzionaria sedimentata dalle BR nello scontro, né
per questo ridimensionare drasticamente il peso dell’autonomia politica
di classe. Per questo il ripiegamento avvenuto non ha potuto significare l’azzeramento
delle condizioni dello scontro, né sul piano politico generale, né
sul piano rivoluzionario, ma ha significato l’approfondimento del rapporto
rivoluzione/controrivoluzione. E’ QUESTO IL DATO POLITICO CENTRALE CHE
INFORMA LO SCONTRO DI CLASSE E LA GESTIONE DEL CONFLITTO PER PARTE DELLO STATO.
In questo senso si comprende quanto la natura controrivoluzionaria della sua
offensiva in questa fase sia relativa alla necessità di inibire il portato
strategico della prospettiva rivoluzionaria nel movimento di resistenza proletario.
Lo scontro che si è delineato nel paese per queste ragioni ha caratteristiche
di dinamicità e complessità che non permettono di definire i rapporti
di forza che consentano allo Stato di ratificare globalmente una situazione
di svolta nelle relazioni tra le classi. In questo senso si comprende perché
le modalità di governo dello scontro assumono anche termini di “ordine
pubblico” nell’affrontare la resistenza opposta dal movimento di
classe all’imposizione dei programmi della borghesia imperialista. Il
carattere della lotta che si sviluppa tra la resistenza proletaria e lo Stato,
nonostante il portato di maturità che si esprime nelle forme di mobilitazione,
ripropone una questione ineludibile, oggi come ieri, sui suoi possibili sviluppi,
perché è un dato indiscutibile che il movimento di lotta in sé
non può risolvere il problema più generale dell’avanzamento
dello scontro verso l’affermazione degli interessi generali del proletariato
poiché per sua natura, pur pesando sui termini dello scontro, non è
in grado di incidere laddove si rideterminano gli equilibri politici e di forza
fra campo proletario e Stato. Un piano che solamente il terreno d’organizzazione
posto dalla guerriglia alle espressioni di autonomia di classe del movimento
proletario può portare a risoluzione come solo modo storicamente possibile
per incidere al punto più alto dello scontro. In questa dimensione, oggi
più di ieri, il solo sbocco che consente di influire e pesare sui termini
dello scontro si riconferma essere con forza il terreno della lotta armata,
l’unico in grado di ricondurre sul piano del potere la dinamica di lotta
e resistenza che si matura tra classe e Stato, e quindi di rompere le gabbie
istituzionali, padronali e revisioniste che la controrivoluzione preventiva
ha reso termine costante di incanalamento e di controllo delle tensioni e bisogni
politici per tutte le espressioni del movimento di classe.
A dimostrarlo sono venti anni di prassi rivoluzionaria, ma sono soprattutto
gli anni difficilissimi dall’80 ad oggi, in cui l’attività
delle BR ha costituito il fattore fondamentale nella tenuta-consolidamento del
campo proletario contro lo Stato. Al lato del proletariato si è sviluppata
una dinamica che tende al superamento dei momenti difensivi e di resistenza
relativi agli anni ’80 pur dentro ad un’evoluzione frammentata e
discontinua, ma che ha assunto in quest’ultimo periodo caratteri di estesa
resistenza richiamandosi ai tratti più maturi del movimento di lotta
operaio e proletario, nello specifico a quelli della sua autonomia politica.
In altri termini l’opposizione di classe si è trovata di fronte
alla necessità di riadeguare e ricostruire forme di lotta e di organizzazione
autonoma che superino gli steccati e le gabbie politico-istituzionali entro
cui si vorrebbe relegare il movimento di resistenza.
Al lato della sua avanguardia combattente, le BR, il processo di riadeguamento
complessivo ai problemi posti dallo scontro, è stato affrontato nello
stesso scontro con i nodi principali di contraddizione tra classe e Stato, riadeguamento
che ha consentito di misurarvisi con maggiore coscienza seppur dentro un percorso
non lineare. Le BR nella disarticolazione portata con l’attacco ai progetti
dello Stato che si contrapponevano alla classe in termini dominanti ne hanno
determinato il relativo ripiegamento e, nello stesso tempo, hanno dato avanzamento
alla progettualità rivoluzionaria, tendendo a consolidare il grado di
maturità raggiunto dallo scontro dentro al necessario termine politico-militare
di organizzazione delle forze sul terreno della lotta armata nelle forme e nei
modi calibrati alla fase. In questo processo le BR hanno rilanciato la prospettiva
della guerra di classe di lunga durata, nello stesso tempo e di riflesso hanno
contribuito ad immettere nel movimento di classe i contenuti più avanzati
che vivono nello scontro, da un lato relativi alla contraddizione principale
in questa fase tra classe e Stato, ossia il piano politico-istituzionale che
informa le relazioni tra le classi nei processi evolventi alla IIa Repubblica,
dall’altro, relativi al rilancio dell’antimperialismo con la proposta
di una politica di alleanze con altre forze rivoluzionarie nel Fronte Combattente
Antimperialista. Un processo che ha maturato le condizioni di fondo affinché
sia possibile sostenere lo scontro prolungato con lo Stato, e in prospettiva,
rovesciare i rapporti di forza attualmente in favore della borghesia imperialista.
La questione fondamentale che si è evidenziata all’interno di questo
processo di maturazione è la forza determinante della strategia della
lotta armata come asse portante e propulsivo del processo rivoluzionario, come
fattore strategico guida per lo stesso processo di riadeguamento della guerriglia;
per questo le BR nel mantenimento e riferimento costante alle discriminanti
dell’impianto di base hanno potuto ridefinire i compiti attuali inerenti
alla conduzione della guerra di classe dentro alla fase generale di Ritirata
Strategica.
All’interno di questo dato più generale la questione dell’organizzazione
stessa della guerriglia nelle condizioni odierne dello scontro è il perno
su cui necessariamente ruota il processo di aggregazione delle avanguardie di
classe che vogliono misurarsi con lo scontro rivoluzionario. In altre parole
l’organizzazione delle avanguardie e delle forze proletarie sul terreno
della lotta armata, in queste condizioni dello scontro, è una delle questioni
principali a cui intende dare soluzione la parola d’ordine della ricostruzione,
che è nello stesso tempo caratteristica di questa fase rivoluzionaria
la quale mira a ricostruire le condizioni politiche e militari relative a sostenere
e far avanzare la guerra di classe all’interno dei presupposti generali
che impone la Ritirata Strategica, vale a dire dentro ad una attività
prevalentemente tesa al ripiegamento delle forze, mantenendo e rilanciando nel
contempo la capacità offensiva della guerriglia. Il lavoro di ricostruzione
deve relazionarsi col principio politico della centralizzazione nella disposizione-organizzazione
delle forze in campo, quale salto di qualità a livello della direzione
rivoluzionaria imposto dall’approfondimento dello scontro: la centralizzazione
delle direttive politiche sull’intero movimento delle forze e la decentralizzazione
delle responsabilità politiche alle diverse sedi e istanze organizzate
è il principio che consente di muovere le forze dentro un piano di lavoro
definito intorno all’iniziativa d’avanguardia per incidere adeguatamente
nello scontro. La ricostruzione è un termine di linea politica che può
vivere solamente all’interno dell’indirizzo programmatico più
complessivo così articolato: attacco allo Stato, che in questa fase è
sempre relativo ai processi di rifunzionalizzazione dello Stato tesi a modificare
profondamente le relazioni politiche tra le classi; attacco alle politiche centrali
dell’imperialismo, lavorando allo stesso tempo alla costruzione-consolidamento
del Fronte Combattente Antimperialista all’interno di una polotica di
alleanze delle forze rivoluzionarie che agiscono nella nostra area geopolitica,
al fine di indebolire e ridimensionare il nemico comune.
Ai processi di guerra cui lo Stato italiano concorre pienamente, a quelli antiproletari
e controrivoluzionari, oggi come ieri si contrappone lo sviluppo della guerra
di classe, l’attualità politico-strategica della lotta armata come
solo terreno concreto e praticabile per dare soluzione agli interessi generali
del proletariato in alternativa alla crisi della borghesia imperialista.
Come militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista
Combattente e militanti rivoluzionari prigionieri non riconosciamo alcuna legittimità
a questo tribunale e allo Stato che qui rappresenta. Dei nostri atti politici
rispondiamo solo alle Brigate Rosse e, attraverso esse, al proletariato di cui
sono l’avanguardia comunista combattente. Di conseguenza il solo rapporto
che esiste tra noi e questo tribunale è quello che si instaura tra la
guerriglia e lo Stato: un rapporto di guerra. Altro non ci riguarda.
- ATTACCARE E DISARTICOLARE I PROGETTI CONTRORIVOLUZIONARI
E ANTIPROLETARI DI RIFUNZIONALIZZAZIONE DELLO STATO
- COSTRUIRE E ORGANIZZARE I TERMINI ATTUALI DELLA GUERRA DI CLASSE
- ATTACCARE I PROGETTI IMPERIALISTI DELLA COESIONE POLITICA EUROPEA E DI “NORMALIZZAZIONE”
DELL’AREA MEDIORIENTALE
- LAVORARE ALLE ALLEANZE NECESSARIE PER LA COSTRUZIONE-CONSOLIDAMENTO DEL FRONTE
COMBATTENTE ANTIMPERIALISTA PER INDEBOLIRE E RIDIMENSIONARE L’IMPERIALISMO
NELL’AREA
- TRASFORMARE LA GUERRA IMPERIALISTA IN RIVOLUZIONE PROLETARIA
- ONORE AI COMPAGNI E COMBATTENTI ANTIMPERIALISTI CADUTI!
I militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito
Comunista Combattente:
G. Armante, M. Cappello, T. Cherubini, A. De Luca, A. Fosso, F. Galloni, E.
Grilli, F. Grilli, F. La Maestra, F. Lori, R. Lupo, F. Marini, F. Matarazzo,
S. Minguzzi, F. Ravalli.
I militanti rivoluzionari organizzati intorno alle Brigate Rosse D. Bencini,
C. Pulcini, V. Vaccaro, M. Venturini.
Roma, gennaio 1991
Documento allegato agli atti dei seguenti processi tenuti contemporaneamente
in tre sezioni della Corte di Assise di Roma:
- processo di appello per “banda armata” (IIa Sezione)
- processo di primo grado per “banda armata” (IIa Sezione)