Biblioteca Multimediale Marxista
La nostra presenza in questo processo, come militanti delle BR-pcc prigionieri,
si snoda essenzialmente su due elementi: la collocazione politica del "provvedimento
coattivo" disposto contro di noi dalla magistratura e attuato dai carabinieri
e guardie carcerarie nel maggio-giugno '89 e, in relazione, la responsabilità
che ci siamo assunti nel comportamento di resistenza attiva da noi opposto;
il sostegno alla linea politica e all'attività di combattimento della
nostra organizzazione.
Il provvedimento si inseriva in particolare nell'ambito della gestione, centralizzata
a livello politico, dell'istruttoria-processo per l'azione della nostra organizzazione
contro il senatore DC Roberto Ruffilli.
Una gestione politica tesa principalmente al ridimensionamento e spoliticizzazione
dell'attacco portato al cuore dello Stato, nel tentativo di presentarlo come
attività priva di progettualità politica e legittimità
storica, negando così anche la contraddizione rappresentata dal processo
stesso per lo Stato e in particolare per la DC; secondariamente come pressione
sui militanti ostaggi nei diversi carceri.
Come militanti comunisti il nostro rapporto con lo Stato è un rapporto
di guerra; siamo nemici politici e combattenti nemici. Di conseguenza ci opponiamo
a ogni tentativo di criminalizzazione dell'attività combattente della
nostra organizzazione, a ogni collaborazione e dunque anche all'"acquisizione
di prove".
Perciò, quando l'acquisizione di prove è stata disposta di forza,
con le aggressioni alla nostra integrità fisica, altrettanto conseguentemente
abbiamo organizzato e attuato la resistenza possibile nelle diverse situazioni.
Qui, abbiamo valutato possibile e necessario resistere attivamente nei diversi
momenti di conflitto che abbiamo attuato, e dei quali ci assumiamo tutta la
responsabilità politica.
La nostra condotta in questa occasione, e per quanto ci è possibile sempre,
non risponde a una logica "carceraria" di prigionieri, ma si riconduce
prima a una logica di militanti, consapevole dell'estrema parzialità
della condizione di prigionia e che implica una dimensione politica e strategica
d'organizzazione, di partito, una dimensione collettiva dell'attività
rivoluzionaria che perciò non parte dal carcere né ruota attorno
a esso.
I prigionieri come tali non possono realmente essere soggetto politico autonomo:
coltivare illusioni su ciò sarebbe l'opposto di uno sviluppo di soggettività
rivoluzionaria, sarebbe stare del tutto al di sotto delle necessità imposte
dal livello raggiunto dallo scontro. Impadronirsi politicamente e teoricamente
delle dinamiche oggettive e non-aggirabili di sviluppo del processo rivoluzionario,
che danno centralità alla guerriglia nel suo insieme - della quale i
prigionieri sono solo la parte caduta - e che pongono il baricentro sempre nella
guerriglia in attività è la condizione per sviluppare una condotta
il più possibile coerente nel quadro della guerriglia, stando in questa
situazione.
Partire dalla guerriglia come organismo, soggettività organizzata e strutturata
a livello collettivo secondo un programma, un progetto strategico, un piano
di conduzione dello scontro generale è dunque il solo modo non dispersivo
ma produttivo in termini rivoluzionari di collocare la propria militanza reale;
i prigionieri non sono niente se non conservano quel superamento che ogni proletario
opera nell'aderire alla guerriglia, dove egli non è più l'operaio,
il proletario, né tanto meno... il prigioniero, ma si ricompone come
uomo nel collettivo che combatte: diventa, da ribelle, rivoluzionario - un militante,
un comunista. In questa logica essere prigionieri indica solo il luogo fisico
e politico in cui i militanti si possono trovare, e che impone il ruolo disciplinato
che è loro proprio nel quadro della condizione generale dello scontro.
I militanti nelle mani del nemico non possono che essere sempre, nel conflitto
generale, il fianco materialmente più debole del movimento rivoluzionario:
lo sviluppo del processo rivoluzionario non può che decidersi sempre
fuori, nel centro dello scontro reale, al livello imposto dallo sviluppo storico.
Questa concezione che ha informato e informa la nostra condotta in questi anni
è stata per noi una conquista politica dell'esperienza nel confronto
generale con la controrivoluzione, secondariamente con l'attività antiguerriglia
rispetto al carcere.
Questo è valido a tutti i gradi del conflitto poiché sin dall'inizio
l'organizzazione combattente agisce in un rapporto di guerra, e solo secondo
queste leggi si può dare attività rivoluzionaria reale, produttiva,
efficace del partito combattente. Lo sviluppo della guerriglia si dà
nell'attacco pratico, nella capacità politica e pratica di costruirlo,
nei colpi - anche - che inevitabilmente si subiscono, nella ricostruzione di
nuova capacità d'attacco; così ancora si sbaglia, ma questa prassi,
come è stato in tutto il nostro percorso storico, via via si precisa,
cresce e in questa prassi si costruiscono i termini della guerra di classe.
Queste leggi valgono anche e particolarmente in carcere: qui, solo dentro questa
disciplina - che è un'arma: lo strumento che lega alla lotta generale
- è praticabile una condotta che sia organica allo sviluppo rivoluzionario
complessivo, ed è anche questo il significato, l'utilità pratica,
la continuità e il senso della militanza, anche nelle mani del nemico.
Solo così anche la oggettivamente limitatissima"prassi" dei
militanti prigionieri smette di essere un dimenarsi, un attivismo di settore,
di "categoria", e anche le parole smettono di essere lamenti, "parole
urlate" per diventare, nei loro limiti, cristallizzazioni più o
meno grezze di esperienza effettiva, la quale non è "dei prigionieri",
ma dell'insieme del partito, della guerriglia. Soltanto così si può
dare capacità di crescere, di imparare dallo sviluppo pratico di cui
si è parte.
Ecco perché per noi, identità, militanza, prassi rivoluzionaria
non è una "nostra prassi di prigionieri", ma la prassi autentica:
l'attività rivoluzionaria pratico-critica dell'organismo rivoluzionario
che è il partito in costruzione, organismo nel quale noi, ogni militante,
siamo soltanto un elemento, una parte - nostro ruolo è essere funzionali
al processo della guerra di classe.
Questa logica, di partito, sta alla base della nostra condotta anche in questa
particolare occasione.
Le Brigate Rosse per la costruzione del partito comunista combattente si sono
conquistate una legittimità storica, politica, teorica a prendere la
parola sul carattere attuale dello scontro di classe formandosi concretamente
come parte attiva di questo scontro e sua direzione rivoluzionaria.
Il contesto storico dello sviluppo della lotta armata per il comunismo nei paesi
del centro imperialista è caratterizzato dai mutamenti che lo sviluppo
dell'imperialismo ha determinato con il secondo conflitto mondiale sul piano
economico-sociale e storico-politico.
La divisione del mondo in "sfere di influenza", Est/Ovest, vede il
capitale, alla cui testa sono gli USA, nella necessità di assestare gli
equilibri a suo favore. La controrivoluzione imperialista nel secondo dopoguerra
è la risposta alla stabilizzazione della rottura rivoluzionaria dell'Unione
sovietica, ai processi rivoluzionari decisi in Est-Europa dal nuovo equilibrio
internazionale e alla necessità di stabilizzare la pacificazione dell'Europa
attraversata dai risvolti rivoluzionari formatisi durante il conflitto - ciò
anche a fronte dello sviluppo dei processi rivoluzionari nel mondo.
La crisi del 1929, con le politiche delle infrastrutture, del riarmo e lo sforzo
bellico avevano innestato sia nei paesi vinti che in quelli vincitori, in special
modo negli USA, un processo di sviluppo monopolistico. Per parte USA, l'enorme
capacità produttiva sviluppata nello sforzo bellico richiedeva partner
solvibili, pena la crisi economica immediata. Perciò, controrivoluzione
imperialista e "piano Marshall" furono due facce della stessa medaglia
con le quali fu normalizzata l'Europa, a partire dal punto critico costituito
dalla Repubblica Federale Tedesca.
Il piano di internazionalizzazione e interdipendenza delle economie che ne seguì
ha dato luogo ad un processo di polarizzazione tra le classi con la proletarizzazione
di vasti strati della società, al formarsi di una frazione di borghesia
imperialista aggregata al capitale finanziario USA - quest'ultimo si è
innervato nella composizione dei gruppi monopolistici dominanti all'interno
della catena imperialista -, e nel contempo al formarsi del proletariato metropolitano.
Come riflesso sovrastrutturale a questa fase dell'imperialismo, la democrazia
parlamentare moderna assume il ruolo di rappresentare e portare avanti gli interessi
della frazione dominante di borghesia imperialista.
Dal punto di vista economico si affina, data la conoscenza acquisita, la capacità
di gestione e di governo dell'economia attraverso politiche economiche di supporto
che, nella fase della crisi generale di valorizzazione assumono carattere controtendenziale,
intervenendo per attutire gli effetti negativi della crisi dal momento che non
possono agire sulle cause, che sono strutturali.
Dal punto di vista politico ancora di più si esalta il ruolo che lo Stato
assume in riferimento all'antagonismo inconciliabile tra le classi. A partire
dai rapporti di forza generali tra le classi che caratterizzano il quadro di
scontro nel dopoguerra, la democrazia rappresentativa si organizza in modo tale
da farsi carico del controllo e del governo del conflitto di classe superando
il carattere essenzialmente repressivo che aveva informato la Stato fascista
anteguerra, per servirsi delle istituzioni democratiche come ambito politico
in cui convogliare e compatibilizzare le spinte e le tensioni antagonistiche
che si riproducono nel paese, le quali, incanalate dentro le gabbie istituzionali,
vengono svuotate di ogni contenuto destabilizzante per non farle collimare con
il piano rivoluzionario. Partiti, sindacati, organismi politici istituzionali
vengono delegati a "rappresentare" la classe e diventano l'unica "controparte"
legittima in quanto strutturalmente lealista alle istituzioni democratiche e
agli interessi della borghesia imperialista. La democrazia parlamentare ingloba
così la nuova qualità della controrivoluzione imperialista, cristallizzandosi
in quella che definiamo appunto "controrivoluzione preventiva".
Nel quadro di queste modificazioni la strategia insurrezionalista (politica
dei due tempi, doppio livello, ecc.) che aveva caratterizzato l'impostazione
dell'Internazionale comunista rivela la sua inadeguatezza.
Con l'insieme dei dati storici oggettivi si è misurata la soggettività
rivoluzionaria: a partire dalle esperienze delle rivoluzioni cinese, vietnamita,
algerina, cubana... si viene formando un quadro di elaborazione teorica delle
avanguardie rivoluzionarie sia del centro che della periferia che si coagulano
attorno ai nuovi termini che assume la politica rivoluzionaria e afferma la
lotta armata, la guerriglia, come l'unica strategia adeguata a questa fase dell'imperialismo
e alla corrispondenti forme di dominio della borghesia imperialista per il raggiungimento
dell'obiettivo di tappa (liberazione nazionale, rivoluzione socialista).
Le espressioni più mature di questa elaborazione sintetizzarono le prime
linee teoriche e politiche di quello che va considerato sul piano dell'esperienza
rivoluzionaria uno sviluppo vivo del marxismo: il concretizzarsi storico-pratico
della teoria del proletariato rivoluzionario. Un'elaborazione che si sintetizza
nell'attività rivoluzionaria nella periferia di forze rivoluzionarie
come i feddayn palestinesi, i Tupamaros in Uruguay, Erp e Montoneros in Argentina...,
nel centro imperialista con le organizzazioni rivoluzionarie nere-americane,
con i Weathermen, la Gauche Proletarienne, la Raf, le BR...
La soggettività rivoluzionaria dunque afferma la lotta armata come il
solo modo di operare in queste condizioni storiche, e specificamente per il
centro imperialista la necessità di operare nell'unità del politico
e del militare, e secondo i criteri offensivi di clandestinità e compartimentazione,
presupposti che si confermano come indispensabili per la guerriglia nelle metropoli,
unitamente al carattere di lunga durata della guerra di classe.
Questo quadro complessivo è dunque il contesto generale sul quale si
afferma la lotta armata, la guerriglia nei centri imperialisti: il particolare
contesto dello scontro di classe nei singoli paesi in cui si inserisce ne determina
poi le caratteristiche specifiche di sviluppo.
Quello che possiamo affermare sulla base della nostra esperienza è che
i caratteri generali fondamentali della guerriglia validi in ogni Stato del
centro imperialista determinano un processo di maturazione del rapporto rivoluzione/controrivoluzione
che obbligatoriamente si generalizza in ogni contesto, in ogni Stato. Così,
lo sviluppo di nuove forze rivoluzionarie che si formano in paesi che non hanno
avuto precedenti deve misurarsi necessariamente con il livello dato nel contesto
generale del rapporto rivoluzione/controrivoluzione a livello internazionale,
e prendere atto di cosa è già determinato sul piano generale dall'attività
di altre forze rivoluzionarie. Relazionarsi a ciò non significa travalicare
il necessario calibramento politico che ogni forza è tenuta a misurare
nel radicare la sua proposta politica e strategica, né tantomeno non
tener conto del tipo di mediazione politica tra le classi entro cui si racchiudono
le specifiche forzature, ma significa relazionarsi anche al livello che si è
stabilito sul piano generale tra rivoluzione e controrivoluzione.
Condizione generale immanente che sovrasta lo sviluppo del processo rivoluzionario
è l'accerchiamento strategico, determinato dal fatto che il potere è
nelle mani del nemico completamente fino al suo rovesciamento: i rapporti di
forza, intesi in termini generali, sono dunque sempre favorevoli al nemico di
classe. La rottura dei rapporti di forza a favore del campo proletario che l'avanguardia
rivoluzionaria opera è quindi sempre relativa. Contemporaneamente vige
il principio che la guerra di classe è strategicamente vincente. Infatti,
la borghesia vi interviene per mantenere il potere ma non può 'distruggere'
il proletariato, chiave di volta del modo di produzione capitalistico in quanto
creatore di plusvalore; il proletariato rivoluzionario, al contrario, combatte
per il potere e in questo processo vive e si sviluppa come classe rivoluzionaria
nell'obiettivo di annientare la borghesia in quanto classe del capitale, liberando
così lo sviluppo delle forze produttive dai rapporti di produzione capitalistici.
L'accerchiamento strategico, nel contesto dello scontro che si sviluppa negli
Stati del centro imperialista, si carica di significati riconducibili al fattore
dell'aumentato peso della soggettività nello scontro di classe generale,
una questione da cui non si può prescindere se si vuole intervenire nelle
dinamiche dello scontro. Più specificamente vi influiscono i termini
del rapporto rivoluzione/controrivoluzione che si è prodotto storicamente.
Sul piano del funzionamento della guerriglia, l'esperienza delle Brigate Rosse
permette di precisare le importantissime implicazioni che vivono operando nell'unità
del politico e del militare, implicazioni che condizionano tutto il modo in
cui si sviluppa la guerra di classe.
In questo senso possiamo dire che l'unità del politico e del militare
agisce come una matrice nell'intero processo rivoluzionario, dai meccanismi
che consentono a una forza rivoluzionaria di essere tale, al suo modo di sviluppare
prassi, al processo nel suo complesso.
La guerriglia nelle metropoli non è sempre semplice e sola guerra surrogata,
essa agisce e può sviluppare una sua efficacia muovendosi ben dentro
i nodi centrali dello scontro politico tra le classi. L'attacco al nemico perciò,
per essere disarticolante, per incidere e avere spazio deve riferirsi strettamente
a questo patrimonio generale. La guerriglia, dunque, nel costruire i termini
della guerra di classe, esplicita la natura di guerra che vive nello scontro
di classe, natura fortemente dominata dalla politica e che influenza tutte le
dinamiche dello scontro, dal piano generale della lotta di classe al piano rivoluzionario.
Il processo rivoluzionario è processo di attacco politico-militare al
nemico - cuore dello Stato, politiche centrali dell'imperialismo - e nel contempo,
a partire da questo attacco è costruzione e organizzazione delle forze
sulla lotta armata al grado imposto dallo scontro e dai diversi livelli delle
forze che vi concorrono.
Il nodo della direzione rivoluzionaria nella guerra di classe è dunque
un vero e proprio processo di costruzione-fabbricazione del partito combattente
che si configura come tale nel percorso di costruzione delle condizioni stesse
della guerra di classe. La direzione rivoluzionaria dello scontro di classe
si realizza in ciò che abbiamo definito «agire da partito per costruire
il partito» e che è stata la condotta delle Brigate Rosse in tutta
la loro storia.
Questa concezione fondamentale, così come il modulo politico-organizzativo
secondo cui sono strutturate le BR, i criteri di clandestinità e compartimentazione,
costituiscono elementi validi sempre, strategici, affinché la guerriglia
possa agire con il suo portato rivoluzionario in queste condizioni storiche
dello scontro tra le classi e che permettono il carattere offensivo della guerriglia.
Sul piano internazionale, il movimento economico che si è affermato in
quest'ultimo decennio nel mondo capitalistico, a seguito delle ristrutturazioni
e delle introduzioni di nuova tecnologia nella produzione, ha fatto da acceleratore
nei processi di accentramento e centralizzazione monopolistica mettendo in movimento
enormi quote di capitale finanziario.
Questa dinamica ha determinato un salto qualitativo in avanti nel livello di
internazionalizzazione ed integrazione economica tra gli Stati della catena
imperialista.
Sul piano politico questo ha portato alla esigenza di una maggiore coesione
e di concertazione delle politiche economiche.
Gli Stati della catena imperialista, muovendosi all'interno di necessità
comuni che in ultima istanza ne condizionano l'azione verso un comune obiettivo,
devono però fare i conti con gli interessi dei propri singoli capitali
(che sono in concorrenza tra loro e con i capitali degli altri paesi) e con
la lotta di classe e rivoluzionaria interna che ha connotazioni specifiche dovute
alla storia economica, politica, sociale di ogni singolo Stato. Quindi, il processo
di integrazione e coesione economica, politica, militare invece di dissolvere
i singoli Stati della catena imperialista in un unico "super-imperialismo"
esalta le funzioni degli Stati di questo processo. Sono gli Usa, quale paese
capitalista più sviluppato della catena imperialista, che hanno espresso
le tendenze e le contraddizioni economiche affermatesi nel mondo capitalistico,
e proprio per questa ragione hanno consumato per primi le tappe che conducono
alla crisi. Le controtendenze messe in atto negli anni Ottanta (Reaganomics)
hanno esaurito il loro effetto controtendenziale finendo con il produrre gravi
scompensi nell'economia mondiale, aprendo le porte alla recessione produttiva.
Sono quindi le contraddizioni prodotte dalla crisi economica che caratterizzano
il capitalismo nella fase imperialista dei monopoli che premono, nel loro interconnettersi,
sul piano delle relazioni politiche e militari.
Quello che va maturando è un complesso processo che muove verso la tendenza
alla guerra, manifestandosi con caratteristiche specifiche in questa fase imperialista.
Il riflesso di questi passaggi muove, sui piani economico-politico-diplomatico-militare,
nella tendenziale ridefinizione dei rapporti di forza relativi al quadro storico
post-conflitto della divisione del mondo in sfere d'influenza. Le differenze
che si sono prodotte in questo processo decennale nella catena imperialista
hanno spostato relativamente il peso economico verso l'Europa Occidentale, senza
che questo significhi perdita della leadership USA, che nonostante la recessione
economica, rimane il paese capitalisticamente più sviluppato, sia perché
i monopoli Usa sono capillarmente presenti nell'intera Europa Occidentale, che
per il ruolo politico-diplomatico-militare che a tutt'oggi vede gli Usa in grado
di forzare e pilotare verso le sue scelte i partner della catena imperialista
(pur tra relative contraddizioni). L'Europa Occidentale, in questo contesto
generale, per i processi di coesione politico-militare che ha promosso, acquista
un peso più rilevante, e questo proprio a partire dalle modificazioni
delle aree periferiche.
All'interno di questa dinamica la Repubblica Federale Tedesca, "grande
Germania", ha assunto un peso e un ruolo centrali; infatti essa ha fatto
pesare a suo favore le modificazioni degli equilibri dell'Est europeo.
L'arretramento ad Est e la risultante modificazione dei rapporti di forza in
favore dell'imperialismo ha rideterminato il rapporto Est/Ovest, influenzando
e riflettendosi sulla direttrice Nord/Sud e proletariato/borghesia sul piano
internazionale.
Una dinamica che mette in evidenza come la pressione economica, politica, diplomatica
e militare dell'imperialismo in questa fase muove tendenzialmente nella ridefinizione
di tutte le aree geopolitiche per come si erano definite con Yalta. Un processo
che apre lo spazio all'imperialismo per normalizzare-ridefinire le aree strategiche
ratificando i rapporti di forza a suo favore a livello mondiale.
Una tendenza attraverso cui l'imperialismo ha teso a dare soluzione utilizzando
tutto il suo armamentario controrivoluzionario, a partire dalla "bassa
intensità", unitamente allo strangolamento economico, e pressioni
diplomatiche, fino all'attuale interventismo diretto nelle aree di crisi (Centroamerica,
Medioriente...).
Una realtà che rende quanto mai demagogica la cosiddetta "soluzione
pacifica" dei conflitti nelle aree geopolitiche di crisi, in primo luogo
perché per l'imperialismo la soluzione della crisi da sovrapproduzione
assoluta di capitali e mezzi di produzione non si dà nella sola "apertura"
dei mercati.
Va detto che la crisi economica che investe a diversi livelli la catena imperialista
è crisi di sovrapproduzione assoluta di capitali, che non possono essere
utilizzati al saggio di profitto atteso dal capitalista. In questo senso non
si tratta di merci che non trovano un mercato solvibile; questo semmai è
un effetto. Perciò, l'"apertura" di nuovi mercati all'Est non
può risolvere (nel lungo periodo) la contraddizione insorta a livello
strutturale.
La tendenza alla guerra quindi, intesa come necessità per la borghesia
imperialista di distruzione di capitali sovraprodotti per far ripartire il ciclo
economico su una nuova base, rimane tutta intera, approfondendosi ulteriormente
come tendenza di risoluzione critica delle contraddizioni economiche.
Sul piano politico-militare ciò significa per l'imperialismo la ridefinizione
delle aree di influenza e di una nuova divisione internazionale del lavoro e
dei mercati capitalistici.
È dunque nel contesto della tendenza alla guerra, fatta di visibili e
concreti processi politici, diplomatici, militari di compattamento all'interno
della catena imperialista, pur nella diversità di ruoli e ai diversi
gradi con cui si manifesta la crisi, che gli Usa spingono l'iniziativa diplomatico-militare
adottando una strategia globale tesa a intervenire in ogni area di crisi.
Questa tendenza si sta esprimendo attualmente nella regione mediterraneo-mediorientale
che per la sua importanza strategica (materie prime e rotte strategiche) vede
un intervento complessivo dell'imperialismo che vi ha installato già
dal 1948 l'entità sionista come suo avamposto.
Una regione dove oggi l'imperialismo Usa spinge per modificare l'equilibrio
geopolitico in suo favore e in cui sono coinvolti in prima persona gli Stati
dell'Europa Occidentale, perché loro "naturale" zona d'influenza.
Per questi motivi questa regione è l'area di massima crisi rispetto alle
altre aree periferiche.
I recenti avvenimenti nel Golfo persico, che si intrecciano con la grande mobilitazione
delle masse arabe attorno al cuore politico della nazione araba: la rivoluzione
palestinese, l'intifadah e l'eroica lotta delle forze rivoluzionarie palestinesi
e libanesi nella Palestina occupata e nel Sud Libano dimostrano che l'imperialismo
deve ancora fare i conti con la lotta di classe, sua prospettiva rivoluzionaria.
La vitalità dei processi rivoluzionari in tutte le aree di crisi, dove
i rivoluzionari si stanno misurando con la nuova situazione, stanno a dimostrarlo.
I fondamenti dei processi rivoluzionari stanno nelle cose, nei rapporti sociali
dell'epoca imperialista: lì trovano alimento le forze rivoluzionarie,
lì si riproducono, crescono, si sviluppano.
La ridefinizione in atto degli assetti mondiali lungo le storiche linee di demarcazione
del mondo contemporaneo dovrà fare i conti, e già li sta facendo,
con queste "potenze" reali.
Per questa ragione l'antimperialismo è la questione politica prioritaria
che attraversa tanto i popoli in lotta nella periferia, quanto lo scontro di
classe e rivoluzionario nel centro imperialista.
L'attacco alle politiche centrali dell'imperialismo vive in unità programmatica
con l'attacco al cuore dello Stato, costituendo entrambi i binari su cui le
Brigate Rosse sviluppano e verificano la loro capacità di attacco e assolvono
alle funzioni di direzione politica dello scontro.
Per la guerriglia nel centro imperialista si tratta di attualizzare l'internazionalismo
proletario in una strategia politica adeguata alle condizioni di scontro della
metropoli, sapendone collocare il piano e la portata rispetto all'antimperialismo
praticato dalle forze rivoluzionarie nella periferia.
L'antimperialismo per le Brigate Rosse non è una mera questione di solidarietà
internazionalista o di politica estera ma si tratta del contributo alla costruzione-consolidamento
del Fronte combattente antimperialista quale termine adeguato ad impattare le
politiche centrali dell'imperialismo.
Il Fronte è innanzitutto un fronte oggettivo, costituito dai percorsi
rivoluzionari che hanno luogo sia nel centro che nella periferia del sistema
imperialista. L'assunzione soggettiva di questa realtà permette di connotare
l'internazionalismo proletario all'interno della prassi adeguata alla profondità
dello scontro tra imperialismo e antimperialismo.
Lavorare alla costruzione e al consolidamento del Fronte costituiscono dunque
un salto nella lotta proletaria e rivoluzionaria.
La necessità del salto politico al Fronte combattente antimperialista
si è posta e si pone in termini soggettivi a partire dal grado di sviluppo
dell'imperialismo sia dal punto di vista economico che dal punto di vista delle
politiche di coesione regionali che impongono la necessità da parte delle
forze rivoluzionarie di costruire quei livelli di unità e cooperazione
che permettono di incidere sulle politiche dominanti dell'imperialismo, pur
senza esaurire con questa attività il complesso del lavoro che ogni organizzazione
combattente porta avanti relativamente ai suoi obiettivi e alle caratteristiche
storiche e sociali del paese in cui opera.
Deve essere infatti chiaro che i processi di coesione tra gli Stati del centro
imperialista non significano la semplificazione del quadro di scontro sul solo
piano internazionale: l'internazionalizzazione della formazione monopolistica,
lo sviluppo integrato tra gli Stati e l'interdipendenza economica connessa muovono
verso un processo tendenziale di formazione omogenea sia dei caratteri della
frazione dominante di borghesia imperialista che del proletariato metropolitano.
Un processo appunto tendenziale, che non dissolve la funzione degli Stati, ma
anzi li esalta all'interno degli organismi internazionali. Ogni specifico percorso
rivoluzionario dunque si sviluppa necessariamente all'interno del singolo Stato
ed è caratterizzato dalle peculiarità storiche e politiche del
contesto interno della lotta di classe. Si tratta dunque di due livelli differenti,
che, sebbene reciprocamente influenzati, devono essere collocati sul loro piano
distinto.
Dato l'attuale grado di integrazione della catena imperialista e i conseguenti
livelli di coesione politico-militari, per lo sviluppo del processo rivoluzionario
è necessario indebolire e ridimensionare l'imperialismo in questa area
geopolitica che abbiamo definito come "Europa Occidentale - Mediterraneo
- Medio oriente".
La necessità del Fronte si dà in quanto prassi offensiva che mira
alla disarticolazione delle politiche dominanti dell'imperialismo per determinare
quelle condizioni di instabilità politica nell'area, funzionali al procedere
del processo rivoluzionario al livello dei singoli Stati.
Obiettivo del Fronte combattente antimperialista è dunque spostare a
favore delle forze rivoluzionarie i rapporti di forza nei confronti dell'imperialismo
su scala internazionale determinando una condizione di ingovernabilità
nell'area; cosa questa, differente dall'impedire il processo di integrazione
e coesione in atto a livello internazionale. Anche perché la stessa attività
rivoluzionaria oggettivamente e soggettivamente antimperialista è uno
degli elementi che contribuiscono allo sviluppo di questo processo di integrazione,
poiché l'attacco all'imperialismo produce come conseguenza non una separazione
tra i vari Stati, ma, al contrario, come dinamica rivoluzione/controrivoluzione,
una risposta sempre più unitaria e centralizzata. Infatti l'acquisizione
della prassi della guerriglia sul terreno dell'antimperialismo ha costretto
la borghesia imperialista a rideterminare il terreno antiguerriglia. Già
all'interno dei processi di coesione economica, politica, diplomatica, militare
della catena imperialista, con particolare riguardo all'Europa Occidentale,
uno dei punti qualificanti è quello che passa attraverso un più
stretto coordinamento degli apparati di polizia e servizi segreti dei singoli
Stati, con la tendenza alla omogeneizzazione degli strumenti repressivo-legislativi,
con la definizione di iniziative comuni come la "soluzione politica"
e come lo "spazio giuridico europeo" contro la guerriglia (Germania,
Francia, Italia, Spagna...).
Ciò chiarisce come i termini dello scontro rivoluzione/controrivoluzione,
imperialismo/antimperialismo si rideterminano soggettivamente rispetto al peso
politico e strategico acquisito dalla guerriglia nell'intera area geopolitica.
L'approdo all'accordo politico con il testo comune Rote Armee Fraktion-Brigate
Rosse del settembre '88 ha portata storica, per il progetto politico che pone
e per ciò che significa l'esperienza rivoluzionaria della RAF e delle
BR, che fa ormai parte della materialità dello scontro di classe nel
centro imperialista, e sancisce un salto in avanti nella politica del Fronte,
misurandosi con la definizione più precisa della sua proposta politica,
così espressa nel testo comune:
«(...) Il salto ad una politica di Fronte è necessario e possibile
per le forze combattenti allo scopo di incidere adeguatamente nello scontro.
Per questo bisogna battere e superare tutte le impostazioni ideologiche e dogmatiche
che esistono oggi dentro le forze combattenti e il movimento rivoluzionario
in Europa Occidentale, poiché le posizioni dogmatiche e ideologiche dividono
i combattenti.
Queste posizioni non sono in grado di portare la lotta e l'attacco al livello
necessario di iniziativa politica.
Le differenze storiche, di percorso e di impianto politico di ogni organizzazione,
differenze (secondarie) di analisi eccetera non possono e non devono essere
di impedimento alla necessità di lavorare a unificare le molteplici lotte
e l'attività antimperialista in un attacco cosciente e mirato al potere
dell'imperialismo.
Non si tratta di fondere ciascuna organizzazione in un'unica organizzazione.
Il Fronte in Europa Occidentale si sviluppa intorno all'attacco pratico in un
processo cosciente e organizzato in cui si maturano successivi momenti di unità
tra le forze combattenti. Perché organizzare il Fronte combattente rivoluzionario
significa organizzare l'attacco; non si tratta di una categoria ideologica,
né tanto meno di un modello di rivoluzione. Si tratta invece di sviluppare
la forza politica e pratica per combattere adeguatamente la potenza imperialista,
per approfondire la rottura nelle metropoli imperialiste e per il salto qualitativo
della lotta proletaria (...)».
Gli elementi politici di fondo che rendono possibile e necessario il Fronte
sono così espressi, in riferimento all'Europa Occidentale:
«(...)L'Europa Occidentale è il punto cardine nello scontro tra
proletariato internazionale e borghesia imperialista.
L'Europa Occidentale per le sue caratteristiche storiche, politiche, geografiche
è la parte dove si incontrano le linee di demarcazione classe/Stato,
Nord/Sud, Est/Ovest.
L'inasprimento delle crisi del sistema imperialista, l'abbassamento del potenziale
economico degli USA sono il motivo principale che, insieme ad altri fattori,
determina una perdita relativa di peso degli USA. Questi fattori comportano
un avanzamento (sviluppo) del processo di integrazione economico, politico,
militare del sistema imperialista. In questo contesto e per le ragioni sopra
dette la funzione dell'Europa Occidentale nel governo della crisi cresce di
importanza.
- Sul piano economico: l'Europa Occidentale sviluppa un piano concertato di
politiche economiche di sostegno e ammortizzamento delle contraddizioni economiche
all'interno del governo della crisi dell'imperialismo.
- Sul piano militare: forzature verso una maggiore integrazione politico-militare
nell'ambito dell'alleanza atlantica - Nato, sia con piani politici economici
di riarmo all'interno della nuova strategia militare imperialista nei confronti
dell'Est, sia con un intervento politico e militare integrato contro i conflitti
che si inaspriscono nel Terzo Mondo, principalmente verso l'area di crisi mediorientale.
- Sul piano controrivoluzionario: la riorganizzazione ed integrazione degli
apparati di polizia e dei servizi segreti contro lo sviluppo del Fronte rivoluzionario,
contro le attività rivoluzionarie e contro l'estensione e l'inasprimento
dell'antagonismo di massa. Riorganizzazione e integrazione che si avvale di
precisi interventi politici contro la guerriglia, come ad esempio i progetti
di "soluzione politica" che stanno avvenendo nei vari paesi europei.
- Sul piano politico-diplomatico: i progetti di "soluzione negoziata"
dei conflitti al fine di consolidare le posizioni di forza imperialiste. Questa
attività politico-diplomatica ha anche la funzione di rafforzare i processi
di coesione politica dell'Europa Occidentale, un movimento dal quale nessun
paese dell'Europa Occidentale è escluso. Un dato questo da cui nessuna
forza rivoluzionaria combattente può prescindere nella propria attività
rivoluzionaria. (...)
(...) - L'attacco unificato contro le linee strategiche della coesione dell'Europa
Occidentale destabilizza la potenza dell'imperialismo.
- Organizzare la lotta armata nell'Europa Occidentale
- Costruire l'unità delle forze combattenti sull'attacco: organizzare
il Fronte, combattere insieme».
La chiarezza degli obiettivi, il realismo politico nell'impostazione del Fronte
ne determinano la valenza che va oltre l'unità immediata raggiunta, perché
apre la prospettiva dello sviluppo del Fronte non solo tra le forze rivoluzionarie
europee, ma con tutte le forze rivoluzionarie che combattono nell'area, avviando
concretamente l'unità che già esiste oggettivamente tra le lotte
del centro imperialista e i movimenti di liberazione della periferia.
Il complesso di fattori che caratterizzano sui piani politico, economico, diplomatico,
controrivoluzionario i processi di coesione si riflettono infatti, oltre che
in Europa, anche nella concretizzazione di iniziative tese alla normalizzazione
e stabilizzazione dell'intera area geo-politica Europa Occidentale - Mediterraneo
- Medioriente come obiettivo funzionale all'acquisizione di migliori rapporti
di forza da parte dell'imperialismo.
Un progetto di normalizzazione e stabilizzazione dell'ordine imperialista che
è poi il progetto politico dominante nell'area e che trova il suo maggiore
ostacolo nella lotta antimperialista e antisionista condotta dal popolo palestinese
e libanese, e nella lotta più generale delle masse arabe.
Lo specifico contesto di classe in Italia determina per la guerriglia, per le
Brigate Rosse, il tipo di strategia e le particolarità di sviluppo della
lotta armata nella costruzione del processo rivoluzionario della guerra di classe
di lunga durata per la conquista del potere politico generale.
Storicamente in Italia il plasmarsi della sovrastruttura statale sulle condizioni
dettate dal ripristino dell'ordine imperialista e in un contesto di classe ricco
di fermenti rivoluzionari ha condizionato la stessa "impalcatura"
istituzionale e, ciò che è più importante, il personale
e le forze politiche atte al suo funzionamento.
La stessa formazione della Democrazia Cristiana avviene in questo contesto assumendo
nel dopoguerra la rappresentazione più fedele della borghesia imperialista,
assicurandone gli interessi generali, attraverso le altre forze politiche in
grado di articolare la necessaria dialettica interborghese. Nello stesso tempo,
ottemperando alla funzione di normalizzazione e stabilizzazione del quadro politico
interno, all'interno del quale l'insieme dei partiti costituiranno il "garante
democratico" delle politiche antiproletarie e controrivoluzionarie degasperiane.
Una normalizzazione e stabilizzazione che si è avvalsa, nelle diverse
fasi dello scontro, di forzature vere e proprie nelle relazioni tra classe e
Stato, operate anche attraverso l'uso del terrorismo di Stato (da Portella delle
Ginestre alle stragi degli anni '70 e '80).
È in relazione a queste caratteristiche che possiamo rilevare nel percorso
storico e politico dello Stato, della borghesia imperialista nostrana, dentro
il processo di assestamento delle forme di dominio della borghesia, un unico
tratto antiproletario e controrivoluzionario inerente alla natura e allo sviluppo
dello scontro di classe. Un filo organico, dentro al procedere non-lineare di
questo scontro, che va dalla nascita della "democrazia rappresentativa"
alla attuale "fase costituente" che evolve verso una "Seconda
Repubblica". Un processo storico, politico e sociale così sintetizzato
dalla nostra organizzazione nel volantino di rivendicazione dell'azione contro
Ruffilli:
«(...) Non a caso l'attuale fase politica in cui si è inserito
il progetto imperialista evidenzia la continuità, pur nella rottura con
le diverse fasi politiche e storiche vissute nel nostro paese. In altri termini
c'è un filo continuo che lega la Costituente del '48, espressione dei
rapporti di forza usciti dalla Resistenza al nazifascismo, a questa nuova "fase
costituente". Un filo continuo che passa dalla restaurazione degli anni
'50 per controllare il movimento insurrezionale ereditato dalla Resistenza,
al "centro-sinistra" degli anni '60, al tentativo neo-golpista di
stampo fanfaniano dei primi anni '70 teso a contrastare in termini reazionari
le forti spinte dell'antagonismo di classe e della guerriglia, l'"unità
nazionale" morotea in un clima di forte scontro per il potere diretto e
organizzato dalla strategia della lotta armata, alla "controrivoluzione
degli anni' 80", vera e propria base su cui ha trovato forza questa fase
politica».
La centralità dell'attacco allo Stato costituisce oggi più che
mai per le BR uno dei principali assi programmatici attorno a cui costruiscono
organizzazione di classe sulla lotta armata, costituendo insieme all'attacco
alle politiche centrali dell'imperialismo con il Fronte combattente antimperialista
i due assi programmatici su cui si costruiscono i termini della guerra di classe
di lunga durata. L'attacco al cuore dello Stato è l'attacco politico-militare
della guerriglia alle politiche dominanti dello Stato, atte a determinare nel
paese equilibri politici tra classe e Stato funzionali all'attuazione dei programmi
della frazione dominante della borghesia imperialista e mira, nelle diverse
congiunture, a disarticolare l'iniziativa del nemico favorendo l'ingovernabilità
delle tensioni di classe per rovesciarle e organizzarle sul terreno della guerra
di classe di lunga durata contro lo Stato, dando così prospettiva rivoluzionaria
allo scontro di classe.
Lo scontro politico tra le classi, e soprattutto il piano rivoluzionario avanzano
nella misura in cui si rompono gli steccati e i filtri stabiliti dalle relazioni
classe/Stato, la loro mediazione politica. Un dato che si riferisce sempre alla
contraddizione dominante che oppone la classe allo Stato e che può esistere
e affermarsi dentro gli equilibri politici che si formano nel paese tra le classi;
gli equilibri inter-borghesi si formano secondariamente, di riflesso e accanto
agli equilibri di forza e politici tra classe e Stato.
L'iniziativa della guerriglia è tesa a rompere, lacerare il piano degli
equilibri tra classe e Stato e a costruire le condizioni per un equilibrio politico
e di forza favorevole al campo proletario: ciò può avvenire soltanto
intervenendo con l'attacco politico-militare al punto più alto dello
scontro. Questo attacco si ripercuote poi come effetto su tutto l'arco dei rapporti
fra le classi, fino al piano capitale/lavoro. Una dinamica di intervento che
libera, anche se momentaneamente, energie proletarie; energie, vantaggi momentanei
derivati dall'attacco operato che vanno tradotti in organizzazione e disposizione
delle forze sul terreno della lotta armata.
La nostra esperienza sul terreno dell'attacco allo Stato ci ha consentito di
superare pratiche dispersive che nel passato hanno caratterizzato un attacco
teso a disarticolare, quasi si collocassero sullo stesso piano, i diversi centri
della macchina statale, a livello periferico e centrale; ciò era in quella
fase il riflesso di una visione ancora schematica dello Stato, i cui apparati
erano visti nella loro separatezza di apparati politici, burocratici, militari...
e derivava da una visione schematica, linearistica e ancora manualistica delle
fasi rivoluzionarie della guerra di classe, che riconducevamo a due sole fasi
principali: quella della costruzione-accumulo di capitale rivoluzionario e quella
del suo dispiegamento nella guerra civile.
L'esperienza fatta dalle BR sul terreno del processo rivoluzionario ha permesso
di ricentrare non solo la dinamica del succedersi delle fasi rivoluzionarie
nel quadro di un andamento discontinuo dello scontro, ma soprattutto di collocare
correttamente la funzione dello Stato, il quale necessariamente centralizza
nella sede politica la funzionalità dei suoi apparati; un dato questo
ulteriormente approfondito dagli attuali processi di rifunzionalizzazione istituzionale.
Per queste ragioni l'attacco allo Stato, al suo cuore politico nelle diverse
congiunture, va inteso nel giusto criterio, affermatosi nella pratica, che definiamo
di "centralità, selezione, calibramento".
Centralità: dato l'approfondimento dello scontro, la capacità
dell'attacco di disarticolare, inteso sempre in termini relativi e non assoluti,
risiede in primo luogo nella capacità politica di individuare, all'interno
della contraddizione principale che oppone le classi, il progetto politico centrale
della borghesia imperialista.
Selezione: sta nella capacità di individuare il personale che, nel progetto
politico centrale, assume una funzione di equilibrio delle forze che sostengono
il progetto stesso.
Calibramento: consiste nella capacità di calibrare l'attacco in relazione
al grado, irreversibile, di approfondimento raggiunto dallo scontro - anche
negli inevitabili arretramenti, che sono costitutivamente interni alla dinamica
del processo rivoluzionario, il livello di intervento non può prescindere
dal punto di scontro più alto attestato -, allo stato di aggregazione-assestamento
delle forze proletarie e rivoluzionarie sul terreno della lotta armata, allo
stato dei rapporti di forza tra le classi sia interni al paese che negli equilibri
internazionali tra imperialismo e antimperialismo. Questi criteri guidano l'attacco,
e permettono alla guerriglia di incidere nello scontro al livello imposto e
necessario, traendone il massimo vantaggio politico e materiale. Sulla base
della nostra esperienza possiamo affermare che questa logica, questi criteri
saranno determinanti per diverse fasi ancora dello scontro, poiché solo
in una fase di "guerra civile dispiegata" si dà la necessità-possibilità
di attaccare contemporaneamente e su più livelli la macchina statale.
Di questa logica l'attacco al cuore dello Stato con l'azione centrale contro
il senatore DC Ruffilli è un chiaro esempio. Una vittoria politica, non
solo delle Brigate Rosse che l'hanno concepita e praticata, ma che segna per
parte rivoluzionaria e proletaria un'intera fase dello scontro di classe in
Italia, un suo passaggio centrale e decisivo.
Con il progetto demitiano di "riforma istituzionale" la DC si prefiggeva
la ratifica e il consolidamento degli equilibri generali tra le classi conquistati
dalla borghesia imperialista nei confronti del proletariato con la controrivoluzione
degli anni '80. Un progetto molto articolato, sia nelle tappe politiche da mettere
in pratica sia nei fini perseguiti, i quali sono così espressi dalla
nostra organizzazione nel documento di rivendicazione dell'attacco:
«(...) In termini generali questo progetto si inserisce nella tendenza
attuale di ridefinizione-riadeguamento complessivo di tutte le funzioni e istituzioni
dello Stato ai nuovi termini di sviluppo dell'imperialismo e ai corrispettivi
termini del governo del conflitto di classe. Ossia, una tendenza generale di
riadeguamento delle democrazie parlamentari quali forme di dominio più
maturo degli Stati a capitalismo avanzato. Quindi un avanzamento delle forme
di dominio della dittatura della borghesia imperialista.
Una tendenza generale che, nelle sue direttrici, seppur con tempi e modi diversi,
interessa molti paesi europei (...) e che in Italia assume caratteristiche peculiari
in relazione al ruolo economico e politico che il nostro paese, con la presenza
della prassi rivoluzionaria portata avanti dalle BR in dialettica con i settori
più avanzati dell'autonomia di classe, svolge e ai caratteri, infine,
della classe dominante nostrana necessariamente prodotta dai primi due fattori.
(...) L'ossatura del progetto imperialista è imperniata sulla formazione
di coalizioni che si possono alternare alla guida del governo dandogli così
un carattere di forte stabilità, una maggioranza forte e un esecutivo
stabile in grado di garantire da un lato le risposte in tempo reale ai movimenti
dell'economia, dall'altro decisioni consone all'instabilità del quadro
politico internazionale. Questo è il massimo della democrazia formale,
dove l'"alternanza" fa la funzione dell'opposizione e dovrebbe riuscire
a contenere le spinte antagonistiche che si riproducono nel paese.
(...) Che questo progetto politico affondi le sue radici nella natura e nelle
funzioni dello Stato ne sono ben coscienti gli elaboratori stessi, i quali si
richiamano ai termini economici e di sviluppo di questa fase dell'imperialismo;
di qui il puntare alla scadenza del 1992 il riferimento alla liberalizzazione
dei capitali in modo da favorire la formazione di nuovi monopoli.
Per quanto riguarda il conflitto sociale, una delle riflessioni fondamentali
parte proprio dalla constatazione del fatto che in Italia si è prodotto
uno scontro di classe che ha trovato nella guerriglia il suo punto più
alto. La controffensiva dello Stato negli anni '80 parte dal presupposto che,
senza assestare un duro colpo alla guerriglia, non si sarebbe potuto procedere
alla ristrutturazione economica che la crisi rendeva impellente. Una dinamica
controrivoluzionaria che, a partire dall'attacco all'organizzazione e ai settori
più avanzati dell'autonomia di classe, ha attraversato orizzontalmente
tutto il corpo di classe costruendo i termini dei nuovi rapporti di forza a
favore dello Stato.
È in questo rapporto di forza che può essere varato il patto neo-corporativo;
esso ratifica un avanzamento della controrivoluzione; un modello di relazioni
che, a partire dal rapporto classe/Stato, ha costretto tutti i soggetti sociali
dell'opposizione istituzionale a modificare il proprio ruolo.
Un riadeguamento che, dovendo ruotare intorno al processo di rifunzionalizzazione
dello Stato - in cui tale progetto è inserito -, ha nella sostanza modificato,
sulla base dei nuovi rapporti di forza, il carattere della mediazione politica
tra classe e Stato, la funzione degli strumenti e dei soggetti istituzionali
con cui lo Stato si rapporta al proletariato, il modo stesso di governare il
conflitto di classe. Per questo possiamo dire che nella mediazione politica
tra classe e Stato vi è incorporato il salto di qualità operato
dalla controrivoluzione degli anni '80.
(...) L'obiettivo è quello della "democrazia governante", dove
al massimo dell'accentramento del potere reale corrisponde il massimo della
democrazia formale. È questo il progetto politico demitiano, formalmente
teso alla costruzione di una "democrazia finalmente matura"; nei fatti
teso a concentrare tutti i poteri nelle mani della maggioranza di governo nel
nome di un interesse generale del paese che nella realtà è solo
l'interesse generale della frazione dominante di borghesia imperialista, nella
normale dialettica tra maggioranza e opposizione, in cui la maggioranza ha gli
strumenti di governo e l'opposizione ha facoltà di critica, senza però
poter intervenire nei processi decisionali, in un gioco in cui apparentemente
i partiti rappresentano l'intera società, nella realtà rappresentano
solo gli interessi della frazione dominante della borghesia imperialista. Un
progetto politico che nel complesso tende a svincolare il governo della società
dalle spinte antagoniste, garantendo la stabilità politica del sistema;
è per questo che il progetto demitiano è in questo momento "il
cuore dello Stato", in quanto da un lato sancisce l'equilibrio politico
in grado di far marciare i programmi della borghesia imperialista, dall'altro
assesta e ratifica i rapporti di forza tra classe e Stato in favore di quest'ultimo:
da ciò il suo carattere controrivoluzionario e antiproletario.(...)».
E' all'interno di questo contesto che il progetto demitiano, centralmente dominante
nei rapporti tra classe e Stato, viene attaccato e disarticolato dalla nostra
organizzazione.
Questo intervento porta in sé tutte le potenzialità politiche
e strategiche insite nel riadeguamento dell'avanguardia combattente, e in quanto
tale capace di portare la sua iniziativa politico-militare ancora una volta
al punto più alto dello scontro tra le classi, dove si determina la ridefinizione
dei rapporti politici tra classe e Stato, dei rapporti di forza, delle modalità
di governo relative alla mediazione politica tra le classi.
Questo intervento rivoluzionario, espressione dell'attività complessiva
operata dalle BR, ha spostato e approfondito il livello dello scontro; una dinamica
consapevolmente prodotta e calibrata dalle BR ai rapporti di forza generali
e alle condizioni dello scontro, un contesto che si è riflesso sulla
rideterminazione del rapporto rivoluzione/controrivoluzione. L'attacco all'ideatore
del progetto, elemento di spicco nel ricomporre e ricondurre le forze politiche
intorno agli equilibri necessari per effettuare i passaggi del progetto, ha
di fatto aperto un varco, avendo attaccato l'elemento centrale di coesione di
quegli equilibri su cui dovevano stringersi le intese politiche; in questo senso
ha contribuito sostanzialmente al suo ripiego e allo scompaginamento relativo
del quadro politico istituzionale, poiché ha interessato l'incrinamento
degli equilibri legati all'aspetto dominante della contraddizione classe/Stato,
che per la sua importanza rimette parzialmente e relativamente in gioco gli
equilibri tra le classi.
In questo senso la disarticolazione del progetto dominante della borghesia imperialista
nella congiuntura permette di acquisire lo spazio politico, il termine relativo
di rapporto di forza per l'avanzamento della dinamica complessiva dell'attività
rivoluzionaria a partire dalla dialettica attacco-costruzione-organizzazione-attacco.
L'iniziativa politico-militare infatti non si riferisce ad obiettivi simbolici
che servano a "svelare" la natura delle contraddizioni di classe -
questo può essere semmai uno degli effetti -, ma essa è invece
il concreto modo di procedere di questo particolare tipo di conflitto che è
la guerra rivoluzionaria nelle metropoli imperialiste.
L'attacco quindi si pone l'obiettivo di danneggiare effettivamente il nemico
di classe, di disarticolarlo sulla base di criteri di "centralità,
selezione, calibramento" dell'attacco stesso, che permettono di ottenere
il massimo di risultato con il minimo sforzo, data la disparità di forze
esistente tra guerriglia e Stato.
Da questa prassi l'avanguardia combattente sintetizza il vantaggio materiale
in forza politico-militare, attraverso la costruzione-consolidamento dell'organizzazione
di classe sul terreno della lotta armata, adeguato ai livelli di scontro e agli
obiettivi della fase.
Questa iniziativa politico militare delle Brigate Rosse esprime una qualità
politica che lo sviluppo successivo della vicenda istituzionale in questi anni
dimostra e conferma. In questo paese infatti la borghesia imperialista deve
fare i conti, e lo si vede nel grottesco ma reale travaglio della riforma istituzionale,
con contraddizioni e conflitti che hanno le proprie radici nella concretezza
della lotta di classe e nella qualità impressa allo scontro da venti
anni di attività e presenza della lotta armata, della guerriglia, delle
BR.
Le BR hanno lavorato in questi anni e lavorano oggi a porre le basi alla fase
di ricostruzione, la quale prende forma e consistenza all'interno della ritirata
strategica.
Le condizioni politiche generali in cui fu aperta la ritirata strategica rimarcavano
una sostanziale inadeguatezza dell'impianto e della linea politica dell'organizzazione
rispetto ai termini dello scontro. Nella sconfitta tattica dell'82 si dimostrava
l'incapacità di comprendere e anticipare lo sviluppo del processo controrivoluzionario:
l'incapacità di cogliere i mutamenti che a livello dell'imperialismo
stavano modificando il quadro degli equilibri generali a fronte della profonda
crisi economica; per quanto riguardava l'analisi dello Stato e della situazione
interna si riteneva che la "Campagna di primavera" del '78 avesse
lasciato la borghesia e lo Stato incapaci di ricompattare le proprie fila e
di riformulare nuove intese politiche.
Questo era anche il prodotto di una visione schematica che da un lato assolutizzava
il piano soggettivo, dall'altro schematizzava le funzioni dello Stato ad "articolazione
locale del sistema imperialista multinazionale". Soprattutto non si coglieva
il movimento avviato all'interno della borghesia e dello Stato, teso a sferrare
una controffensiva politico-militare alla classe a partire dalle sue avanguardie,
col fine di operare una rottura a favore della borghesia nei rapporti di forza
tra le classi, ridimensionando il peso politico acquisito dalla classe operaia
e dal proletariato.
Una controffensiva senza precedenti, la quale non poteva che partire infliggendo
un duro colpo alla guerriglia in modo che si riversasse sull'intero corpo di
classe, dai settori più maturi dell'autonomia di classe in dialettica
con la guerriglia, al movimento rivoluzionario, fino a pesare sulle condizioni
politiche e materiali di tutto il proletariato a livello generale. Una controffensiva
che, per proporzioni e metodi di dispiegamento ha assunto carattere di vera
e propria controrivoluzione.
Le impostazioni e posizioni inadeguate allo scontro, prodotte principalmente
dalla giovinezza politica della nostra esperienza, sono state battute e superate
nelle battaglie politiche contro il soggettivismo idealista e l'operaismo fabbrichista.
Il ricentramento operato dalle BR con la "Campagna sulle fabbriche"
e l'operazione contro la Nato nel 1981, sulla questione del piano classe/Stato
e sulla questione dell'antimperialismo non impedì l'accumularsi critico
delle contraddizioni e dei ritardi.
Il ripristino del corretto metodo dell'analisi materialista permise l'apertura
della ritirata strategica, nonostante i limiti di comprensione che le BR stesse
ancora avevano della stessa, ma che permise alle BR di ritirarsi e proseguire
nel riadeguamento, pur nel quadro della pressione esercitata dalla controffensiva
dello Stato.
La giustezza della scelta della ritirata strategica ha dimostrato nel tempo
tutta la sua validità, poiché ha permesso alle BR, interpretando
correttamente le leggi della guerra rivoluzionaria, di ripiegare da posizioni
politiche non-avanzate, collocando correttamente la sconfitta tattica dell'82
nel quadro dell'andamento discontinuo dello scontro nel percorso di lunga durata.
Quella scelta ha permesso di aprire una fase rivoluzionaria in cui le BR, ritirandosi
da posizioni politiche niente affatto avanzate, hanno sottratto, per quanto
possibile, forze al dissanguamento causato dalla controffensiva dello Stato,
evitando così di cadere in una condotta avventurista: in tal modo hanno
iniziato un lungo e difficile processo di riadeguamento complessivo di fronte
alle modifiche avvenute nel contesto dello scontro e alla conseguente durezza
delle condizioni politiche e materiali determinatesi nel tessuto proletario.
Questo processo di riadeguamento, dovendosi misurare con la materialità
degli effetti prodotti dalla controrivoluzione nel campo proletario, è
avvenuto e avviene, proprio per il suo svolgersi nel vivo dello scontro e dovendo
confrontarsi "sul campo" con la controrivoluzione, in maniera non-lineare
nelle contraddizioni che la dinamica controrivoluzionaria ha immesso in maniera
differente sia nel movimento di classe che nelle stesse forze rivoluzionarie.
Un processo dinamico ad andamento discontinuo e contraddittorio che, nella fase
iniziale, ha dovuto fare i conti con i segni lasciati dall'offensiva dello Stato:
l'incomprensione del reale livello di scontro prodottosi alimentava un piano
di contraddizioni che riduceva di fatto la ritirata strategica ad atto difensivo
e portava di conseguenza a subire l'iniziativa dello Stato, e al logoramento
delle forze, la cui disposizione non adeguata ne limitava la funzionalità
rispetto alle necessità dettate dalla fase rivoluzionaria stessa. La
logica difensivistica cioè si dimostrava incapace, di fronte alle necessità
imposte dal livello di scontro, impantanandosi nel possibile, inteso limitatamente
alle condizioni materiali del momento. In questa dinamica contraddittoria hanno
trovato spazio posizioni che, quando si sono chiaramente delineate nel dibattito
interno all'organizzazione, sono state espulse per quelle che erano: posizioni
liquidazioniste che, "interiorizzando" la sconfitta dell'82, e portando
all'estremo la logica difensivistica, revisionavano la lotta armata fino a ridurla
a "strumento di lotta", sottraendosi perciò al livello dello
scontro.
Il superamento della logica difensivistica ha segnato una tappa importante per
lo sviluppo della fase di ritirata strategica, ed è maturata dalle BR
nella prassi rivoluzionaria, come le iniziative combattenti contro Giugni, Hunt,
Tarantelli, Conti, l'esproprio del febbraio '87, Ruffilli e l'accordo politico
raggiunto con la RAF stanno a dimostrare.
La ritirata strategica, per adempiere alla sua funzione, deve aderire concretamente
alle caratteristiche dello sviluppo della guerra di classe, così come
si sono formate nello scontro rivoluzionario in questo paese. Essa non si risolve
con la sola chiarezza teorica e politica dell'impianto, ma il suo procedere
è legato strettamente alla ricostruzione delle condizioni politiche e
militari della guerra di classe, alla capacità delle BR di articolare
un processo di attivizzazione e organizzazione delle forze proletarie a partire
dalle condizioni create dall'arretramento; tenendo conto che per la guerriglia
anche il riadeguamento si realizza nell'unità del politico e del militare,
implica quindi che l'avanguardia combattente stabilisca una condotta della guerra
rivoluzionaria i cui termini restano interni ai presupposti della ritirata strategica
sino a che l'evolvere successivo dei livelli di ricostruzione non abbia maturato
l'assestamento necessario per superare le posizioni di relativa debolezza nel
complesso dei rapporti di forza.
Per questo la ritirata strategica è una fase rivoluzionaria di lungo
termine il cui superamento implica un salto e una rottura delle attuali condizioni
dello scontro.
La ritirata strategica caratterizza un lungo periodo del processo rivoluzionario
e procede attraverso la ricostruzione di diversi passaggi sostanziali; all'interno
di ciò le BR già lavorano alla ricostruzione delle condizioni
per attrezzare la classe allo scontro con lo Stato.
Per sostanza, modi e tempi politici a cui deve essere finalizzata l'attività
complessiva di ricostruzione, parliamo di fase rivoluzionaria e non di semplice
momento congiunturale, tenendo conto che prende forma e consistenza all'interno
della ritirata strategica, ma costituisce al tempo stesso il primo passaggio,
la prima base su cui si modificano i rapporti di forza attuali tra campo proletario
e Stato.
L e BR hanno lavorato in questi anni e lavorano oggi per porre le basi alla
fase di ricostruzione. Queste basi poggiano sui passaggi effettivamente compiuti
dall'avanguardia rivoluzionaria in termini di ricentramento teorico, politico
e organizzativo attraverso la prassi messa in campo per portare l'iniziativa
rivoluzionaria al punto più alto dello scontro tra le classi.
La fase di ricostruzione è un passaggio problematico e complesso per
i molti fattori di contraddizione a cui l'avanguardia combattente deve dare
soluzione.
A fronte della qualità richiesta dall'intervento rivoluzionario, quindi
delle condizioni complessive per praticarlo, vi è la costante necessità
di operare la ricostruzione dei mezzi e delle forze che devono essere disposte
nello scontro. La necessità di mantenere l'equilibrio tra il confrontarsi
con l'attività antiguerriglia e controrivoluzionaria dello Stato da una
parte, e il processo di formazione delle forze rivoluzionarie dall'altra, comporta
un andamento di avanzate-ritirate fortemente discontinuo.
Il grado di approfondimento dello scontro, le sue caratteristiche sono il perno
principale su cui si misura la portata dell'intervento rivoluzionario relativamente
ai rapporti di forza esistenti.
Ciò mette in luce una questione ineludibile per le forze rivoluzionarie,
e cioè: per quanto un arretramento ponga problemi di assestamento dello
stato stesso delle forze rivoluzionarie, questo assestamento può influire
soltanto in termini relativi sulla portata dell'intervento rivoluzionario; al
contrario, è lo stato delle forze rivoluzionarie che deve ricostruirsi
e attrezzarsi per essere adeguato al grado raggiunto dallo scontro, al livello
delle contraddizioni politiche dominanti che maturano tra classe e Stato e tra
imperialismo e antimperialismo.
Occorre cioè sempre conquistare, costruire la capacità di operare
la funzione di avanguardia dello scontro a partire dalle modifiche che l'attività
guerrigliera stessa ha apportato nella dinamica dello scontro rivoluzione/controrivoluzione.
Le avanguardie di classe che si dispongono a contribuire al processo rivoluzionario
in corso devono, sono obbligate a misurarsi con le caratteristiche reali raggiunte
dallo scontro.
Le stasi apparenti e le condizioni provocate da ogni arretramento non significano
mai ritorno-indietro del livello di scontro; non si possono ridare condizioni
politiche generali proprie di periodi precedenti, l'andamento dello scontro
procede sempre verso il suo approfondimento. Da ciò deriva l'impraticabilità
reale di forme di intervento che possono aver avuto un qualche ruolo in fasi
precedenti; l'inefficacia e l'improduttività di interventi che mettano
in campo livelli deboli di organizzazione rivoluzionaria o supportati a situazioni
di lotta.
L'adeguamento nella capacità di esprimere direzione al livello delle
nuove condizioni dello scontro nella fase della ricostruzione è dato
dal salto alla centralizzazione, che tende a muovere le forze dentro un piano
organico di lavoro, come un corpo unico. Dunque non per apporto spontaneo, ma
disposte e organizzate in modo da contribuire produttivamente: una dinamica
cioè di "centralizzazione politica-decentralizzazione delle responsabilità".
Non è infatti più sufficiente disporsi spontaneamente sul terreno
della lotta armata ritagliandosi in piccolo i problemi posti dallo scontro.
Si tratta invece di formare le forze all'interno di una disposizione che permetta
di acquisire la dimensione politico-organizzativa che lo scontro richiede, la
dimensione del senso organizzato del lavoro rivoluzionario per rispondere alle
necessità imposte da questo livello di sviluppo della guerra di classe.
Ciò all'interno dell'esigenza di operare, nell'unità del politico
e del militare, alla ricostruzione degli strumenti politico-organizzativi per
attrezzare il campo proletario allo scontro prolungato contro lo Stato.
Tenendo nel dovuto conto l'approfondimento del piano di scontro rivoluzionario
attuale - classe/Stato, imperialismo/antimperialismo -, è alle dinamiche
che si sviluppano a partire dalla dialettica tra questi due fattori nel rapporto
guerriglia-autonomia di classe sul terreno rivoluzionario che le BR fanno riferimento
nel procedere alla ricostruzione delle forze e costruzione degli strumenti politico-organizzativi
per attrezzare il campo proletario a sostenere lo scontro e nel perseguire le
linee programmatiche di attacco allo Stato e all'imperialismo.
Su questi termini le BR-PCC sviluppano e verificano la loro capacità
di attacco e assolvono alla funzione di direzione politico-militare della guerra
di classe di lunga durata, all'interno della proposta strategica alla classe
della lotta armata, e su questi termini di programma la nostra organizzazione
lavora e dà sostanza all'unità dei comunisti.
Come militanti prigionieri rivendichiamo l'intero patrimonio teorico-politico
della nostra organizzazione, che qui abbiamo riassunto in tratti generali, e
che trova i compiuti punti di concretizzazione nell'attacco al cuore dello Stato
con l'azione dell'aprile '88 contro il senatore DC Roberto Ruffilli, nel raggiungimento
della posizione unitaria nel Fronte nel testo comune con la RAF del settembre
'88 e nell'insieme dell'elaborazione teorico-politica che ne è complementare
e che li ha costruiti.
In questo insieme teorico-pratico, frutto del confronto con la controrivoluzione,
e con l'insieme dei problemi dello scontro, si ha il più alto grado di
insegnamento della nostra esperienza storica come organizzazione, che si concretizza
oggi nell'attività che le BR continuano a svolgere fuori di qui, nello
scontro più concreto.
In quanto militanti della BR-PCC, forza attivamente operante nel quadro della
politica del Fronte Combattente Antimperialista, ci riconosciamo nell'azione
della RAF del luglio'90 contro Hans Neusel, segretario di Stato del Ministero
dell'Interno di Bonn.
Rivendichiamo tutta l'attività politico-militare della nostra organizzazione.
Per noi e meglio di noi parla comunque la guerriglia, la nostra organizzazione,
le Brigate Rosse.
Per quanto riguarda infine la nostra posizione in questo processo diciamo questo:
ogni nostra iniziativa si svolge nell'ambito degli interessi della guerriglia,
è una condotta dentro un conflitto in corso e non ha bisogno di alcuna
giustificazione.
Perciò non c'è nulla da "giudicare", e di certo noi
non abbiamo niente riguardo cui "difenderci".
Argomentare la nostra condotta sul terreno giuridico non ci interessa: il nostro
terreno è il terreno della rivoluzione.
Onore alla combattente antimperialista Fadwa Hassan Ghanem caduta nell'azione
del 25 novembre '90 ad Arnon nel Sud Libano.
Onore a tutti i comunisti e combattenti antimperialisti caduti.
- Attaccare e disarticolare il progetto antiproletario e controrivoluzionario
di "riforma" dei poteri dello Stato.
- Costruire e organizzare i termini attuali della guerra di classe.
- Attaccare le linee generali della coesione politica dell'Europa occidentale
e i progetti imperialisti di normalizzazione dell'area mediorientale che passano
sulla pelle dei popoli palestinese e libanese.
- Lavorare alle alleanze necessarie per la costruzione-consolidamento del Fronte
Combattente Antimperialista, per indebolire e ridimensionare l'imperialismo
nell'area geopolitica "Europa Occidentale-Mediterraneo-Medio Oriente".
- Combattere insieme.
I militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente:
Cesare Di Lenardo, Franco Galloni, Stefano Minguzzi
Cuneo, 18 dicembre 1990