Biblioteca Multimediale Marxista
Come militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista
Combattente vogliamo qui riaffermare che tra la guerriglia e lo Stato esiste
solo ed esclusivamente un rapporto di guerra, un rapporto che esprime l'unica
dimensione valida dello scontro di classe e che per le BR si esplicita e si
dispiega attraverso la strategia della lotta armata per il cui tramite si costruiscono
i termini dell'organizzazione di classe atti a sostenere lo scontro prolungato
contro lo Stato, cioè una strategia che dall'inizio alla fine caratterizza
il processo rivoluzionario come proposta a tutta la classe. Una strategia che
si è sviluppata nel corso del processo rivoluzionario: la prassi si è
incaricata di dimostrare la necessità/praticabilità del terreno
della guerra di classe, nonché l'attualità della questione del
potere, in quanto la strategia della lotta armata è piano di disposizione
generale delle forze che consente di affrontare contemporaneamente e globalmente
tutti i piani dello scontro rivoluzionario e di attrezzare adeguatamente, nelle
diverse fasi, il campo proletario allo scontro con lo Stato, uno scontro necessariamente
prolungato e con andamento discontinuo date le caratteristiche assunte dagli
Stati a capitalismo maturo a questo stadio di sviluppo dell'imperialismo.
In questo senso la determinazione e la coerenza delle BR in questi 19 anni di
prassi rivoluzionaria e soprattutto nel corso della "ritirata strategica",
nel costruire i termini politici e militari del complesso andamento della guerra
di classe, risiedono in primo luogo nelle ragioni storiche e politiche che presiedono
e definiscono la lotta armata: avanzamento e adeguamento della politica rivoluzionaria
alle forme di dominio della borghesia imperialista.
Infatti, l'affermarsi della guerriglia, indipendentemente dal contesto di classe
specifico in cui si inserisce (che ne traccia invece il percorso pratico e la
stessa strategia da seguire), è dato dalle condizioni storiche e politiche,
economiche e sociali, determinatesi con la seconda guerra mondiale. Sono i mutamenti
che lo sviluppo dell'imperialismo ha posto in essere che hanno caratterizzato
la struttura economica, sociale e politica degli Stati nel dopoguerra, dentro
il quadro più generale del bipolarismo: ovvero lo sviluppo monopolistico
dell'imperialismo con il piano di internazionalizzazione/interdipendenza delle
economie, il conseguente processo di polarizzazione tra le classi con il formarsi
di una frazione dominante di borghesia imperialista aggregata al capitale finanziario
USA e del proletariato metropolitano e, a livello politico, l'affermarsi della
controrivoluzione preventiva quale elemento intrinseco agli strumenti e organismi
della democrazia rappresentativa, che darà una precisa caratterizzazione
al rapporto politico tra le classi, allo scopo di istituzionalizzare il conflitto
di classe mantenendolo entro gli "steccati" della compatibilità
borghese per non farlo collimare con il piano rivoluzionario; un elemento permanente,
dunque, che influenzerà il carattere dello scontro.
E' stato questo il terreno oggettivo su cui si è misurata l'espressione
della politica rivoluzionaria, la soggettività rivoluzionaria che matura
la guerriglia quale suo unico modo di operare in queste condizioni storicamente
determinatesi e, nello specifico del centro imperialista, la necessità
di operare nell'unità del politico e del militare in un processo di guerra
di lunga durata. In sintesi, la lotta armata quale solo modo in cui si rende
praticabile il processo rivoluzionario e si materializza lo sviluppo della guerra
di classe.
Nel rapporto rivoluzione/controrivoluzione, il rovescio dialettico di questo
dato consiste nel fatto che la borghesia imperialista adegua il governo del
conflitto di classe, la mediazione politica esistente tra le classi, ai caratteri
assunti dallo scontro (oltre al dato strutturale che ne è alla base,
ovvero il movimento dell'economia e le necessità poste dal suo governo):
nello specifico del nostro paese lo Stato, costretto a confrontarsi con il portato
politico e strategico dello scontro rivoluzionario che si è affermato
in Italia, su questo ha basato i termini della controrivoluzione degli anni
ottanta, i cui effetti si sono dispiegati sull'intero campo proletario generando
il clima e il terreno favorevoli alle forzature nei rapporti politici tra le
classi; e questo perché se da un lato controrivoluzione politico-militare
dello Stato e controrivoluzione preventiva si pongono su due piani diversi e
distinti tra loro, dall'altro i riflessi sui rapporti di forza determinati dalla
dinamica controrivoluzionaria, riversandosi sui rapporti politici generali tra
le classi, hanno rideterminato il carattere della controrivoluzione preventiva,
avendone quest'ultima incorporato il grado di assestamento.
Per questo affermiamo che gli esiti della controrivoluzione degli anni ottanta
hanno reso possibile, in questa fase, un ulteriore approfondimento delle forme
di dominio della borghesia imperialista: un approfondimento espresso dal progetto
di rifunzionalizzazione dei poteri e degli istituti dello Stato, quale espressione
del suo necessario adeguamento ai nuovi termini posti dall'evoluzione/crisi
dell'imperialismo tendendo a conformare ad essi il governo del conflitto di
classe.
L'evoluzione del quadro politico interno conferma che a tutt'oggi la contraddizione
dominante che oppone classe e Stato è rappresentata da questo progetto
politico, teso a modificare i termini della mediazione politica, cioè
l'uso e gli strumenti stessi della democrazia rappresentativa al fine di consolidare
il regime instauratosi e di creare le condizioni politiche e istituzionali tese
a costruire equilibri politici in grado di esprimere esecutivi "forti e
stabili", come risposta necessaria e ineludibile alla crisi; un progetto
teso a svincolare l'esecutivo dalle spinte antagoniste prodotte dallo scontro
di classe, e rispondente alla duplice funzione dello Stato, in quanto rappresentante
degli interessi generali della borghesia imperialista (soprattutto a livello
internazionale, nel senso della funzione e del peso che l'Italia riveste all'interno
della catena e nei processi di coesione politico-economica dell'Europa occidentale)
e insieme mediatore del conflitto di classe. Un progetto che vede infatti nella
DC la forza politica che vi è maggiormente impegnata, come momento centrale
della stabilità politica, proprio in quanto essa costituisce il serbatoio
storico della classe dirigente borghese, così da caratterizzarsi come
asse principale delle svolte politiche nel paese, nonché reale gestore
del potere sostanziale.
Un progetto che, lungi dall'essere pianificabile a tavolino, o scandito dal
solo piano delle necessità, nella realtà deve misurarsi con tutta
una serie di contraddizioni che scaturiscono direttamente e proporzionalmente
alla complessità dei piani che investe e ai quali tende a dare soluzione;
contraddizioni che non ne inficiano la sostanza, ma ne costituiscono punto di
squilibrio, in quanto sono espressione e riflesso del quadro definito dai reali
rapporti generali politici e di forza tra classi di cui la borghesia deve tenere
conto, pur se per operare su di essi delle forzature.
Ovvero, sul piano del rapporto classe/Stato, questo progetto investe direttamente
gli interessi politici e materiali della classe e per questo incontra vasta
resistenza e opposizione nel campo proletario, che ha dimostrato a più
riprese la propria indisponibilità a pagare i costi della crisi della
borghesia imperialista e a subire gli effetti della riforma dei poteri dello
Stato, proprio in quanto questa tende a realizzare la possibilità per
l'esecutivo di fare forzature sulla mediazione politica, intervenendo direttamente
nelle principali questioni che riguardano il governo del conflitto di classe,
dal piano costituzionale (con le modifiche al diritto di sciopero e alla rappresentatività
sindacale) al piano della contrattazione (accordi "pilota", vertenze
"calde", uso della precettazione, "normalizzazione" dei
luoghi di lavoro con l'ausilio diretto dei carabinieri). Inoltre esso investe
le stesse forze politiche rappresentanti gli interessi generali della frazione
dominante della borghesia imperialista che devono adeguare il loro ruolo e la
loro funzione in relazione alla modifica del modo di operare la mediazione politica,
non solo per i passaggi già effettuati con la riforma della Presidenza
del Consiglio e con la modifica del voto segreto, ma per quelli da effettuare
all'interno di questa che non a caso viene definita "fase costituente"
che tende ad evolvere verso una Seconda repubblica e che passa attraverso lo
snodo della riforma elettorale: un processo reso contraddittorio non solo per
questa sorta di transizione nel ruolo dei partiti nel mediare la modifica del
quadro istituzionale, che comporta mutamenti interni ai partiti stessi e nei
loro reciproci rapporti di coalizione, ma soprattutto per la resistenza che
questo progetto incontra nel campo proletario, che si ripercuote sulla possibilità
di costruzione di "stabili" (in senso sempre relativo alle diverse
fasi dello scontro proletariato/borghesia e al rapporto rivoluzione/controrivoluzione)
equilibri di forza e politici tra classe e Stato, piano a cui sono subordinati
appunto gli stessi rapporti interborghesi.
Infatti anche le diverse "ricette" tese a dare soluzione al problema
della "stabilità" e "governabilità" nel quadro
del più generale riadeguamento dello Stato verso la cosiddetta "democrazia
compiuta", cioè in un processo di riavvicinamento ai modelli delle
democrazie mature europee, non sono semplicemente il prodotto di approcci "particolaristi"
(cioè di partito) alle principali questioni sul tappeto e all'ordine
di priorità secondo cui affrontarle, ovvero non sono il riflesso di "giochi
di potere" fini a se stessi, ma sono principalmente e sostanzialmente il
prodotto di contraddizioni che scaturiscono dallo scontro di classe che fa sì
che si determini uno spostamento in avanti delle stesse contraddizioni interborghesi,
e, di conseguenza, del loro punto di sutura. Questo va configurandosi, pur dentro
un duro scontro politico, verso un ulteriore rafforzamento dell'esecutivo, in
particolare un rafforzamento della figura del Presidente del Consiglio, che
lo fa tendere verso una forma di "governo presidenziale" dentro un
quadro di "alternanza" solo apparente, nella misura in cui essa si
gioca tutta all'interno dello schieramento interborghese, intesa cioè
come avvicendamento degli stessi partiti di maggioranza alla guida dell'esecutivo,
così da caratterizzarsi nella realtà come una serie di "staffette"
che hanno la funzione di gestire la non certo indolore transizione nel processo
di modifica del quadro istituzionale. E questo perché in Italia, date
le specificità della democrazia rappresentativa, così come è
venuta maturando storicamente e politicamente, i "modelli" di governo
che si formano sono il prodotto degli equilibri generali politici e di forza
tra classe e Stato, e solo secondariamente e di riflesso a ciò riferiti
all'ambito interborghese. Così anche l'attuale crisi, che per il tipo
di gestione si configura come una notevole forzatura a tutti i livelli, evidenzia
lo stallo del modello di "governo di coalizione" così come
finora era stato inteso e su cui si erano costruiti gli equilibri politici tra
i partiti di maggioranza, nella misura in cui tale modello non è più
adeguato a confrontarsi con le contraddizioni e le spinte antagoniste scaturite
dallo scontro di classe che si è prodotto nel paese; è da questo
punto focale che muovono i progetti di modifica del modo di operare la mediazione
politica partendo dalla situazione data e non da ipotetici quanto irreali quadri
di pace sociale.
Un movimento che materialmente coinvolge anche il PCI, forza che è uscita
essa stessa ridimensionata nel suo peso politico dalla fase della controrivoluzione
che, riflettendosi sul carattere della mediazione politica, le ha sottratto
gli strumenti attraverso i quali, nella fase precedente, era deputata a svolgere
la sua funzione di rappresentanza istituzionale della classe. La profonda crisi
che ne è derivata rende il PCI incapace di trovare un proprio ruolo se
non muovendosi entro gli spazi predeterminati dai reali rapporti di forza, che
nella realtà lo riducono al ruolo di "pura garanzia democratica"
ai progetti democristiani, e ponendolo in posizione subalterna, caratterizza
il suo coinvolgimento come puramente strumentale in quanto escluso in partenza
come polo dell'"alternanza".
Per la sua centralità e profondità di intervento, in quanto assume
caratteristiche di "rifondazione" dello Stato ai nuovi termini di
sviluppo e di crisi dell'imperialismo, è un progetto che, avvalendosi
degli attuali rapporti di forza a favore della borghesia, tende alla loro ratifica/assestamento
in campo istituzionale e ad un ulteriore rafforzamento dello Stato nei confronti
del campo proletario: per questo è un progetto antiproletario e controrivoluzionario,
e in quanto tale è stato individuato e attaccato dalla nostra organizzazione.
Un attacco che ha contribuito alla sua attuale impasse politica, dimostrando
contemporaneamente la necessità/possibilità di impattare ed inceppare
la tendenza antiproletaria e controrivoluzionaria intrinseca al progetto stesso.
Questo dato e insieme il salto di qualità operato con il contributo al
rafforzamento/consolidamento della politica del Fronte Combattente Antimperialista
con la costruzione di un primo momento di unità con la RAF sono gli elementi
che inequivocabilmente chiariscono la sostanza del rilancio dei termini complessivi
dell'attività rivoluzionaria operato dalle BR per la costruzione del
PCC in questi anni di ritirata strategica e le prospettive politiche che esso
ha aperto, determinando uno spostamento in avanti del piano di scontro rivoluzionario.
Questo il dato politico centrale nella dialettica rivoluzione/controrivoluzione
che ha posto lo Stato a ridefinire contromisure per contrastare il portato politico
e strategico della proposta rivoluzionaria sul campo proletario, concretizzatesi
in un piano di deterrenza teso ad operare sul duplice livello: la guerriglia
e il suo referente di classe, ovvero un piano teso a far pesare la cattura di
alcuni militanti sull'intero proletariato, sulle condizioni politiche generali
dello scontro, tentando di spacciarla per l'esaurimento delle stesse condizioni
del processo rivoluzionario. Un piano controrivoluzionario che si avvale anche
del rilancio, da parte dello Stato, per bocca di ex militanti elevati al rango
di collaborazionisti, del logoro copione della "soluzione politica"
nelle sue più diverse accezioni, con il quale lo Stato, per l'impossibilità
di mettere in discussione la praticabilità e la validità della
proposta delle BR, tenta di contrastarla agendo "a valle" del problema,
riferendosi cioè ad una lettura falsata delle ragioni che presiedono
l'affermarsi e lo svilupparsi della lotta armata, e in ciò tentando di
operare un'identificazione tra guerriglia e prigionieri, come questione di "reduci".
Considerato nel suo complesso, un piano controrivoluzionario che, lungi dall'essere
"risolutivo" - una velleità tutta borghese - influisce però
sul rapporto rivoluzione/controrivoluzione poiché segna l'approfondimento
delle condizioni in cui si svolge il processo rivoluzionario.
D'altro canto, e alla base di tutto ciò, restano però i fatti:
nello svolgersi della lotta armata nell'arco di questi 19 anni di attività
rivoluzionaria delle BR, il dato politico che si è sviluppato e sedimentato
storicamente nel rapporto tra le classi ha definito un patrimonio di esperienze,
un radicamento nel tessuto proletario, una dialettica in termini di direzione/organizzazione/formazione
con le istanze più mature dell'autonomia di classe su cui si riproduce
la sostanza e il grado odierno dello scontro, in relazione cioè con il
suo approfondimento. Questi anni di controrivoluzione che hanno necessariamente
imposto alla nostra organizzazione di misurarsi con le leggi dello scontro e
di maturare una rinnovata capacità di direzione/organizzazione delle
forze rivoluzionarie e proletarie, non sono riusciti a spezzare quel filo organico
che lega le BR alle componenti proletarie e rivoluzionarie vive del paese, insomma
al tessuto proletario, perché da questo sono originate, in questo si
riproducono, di questo sono l'avanguardia armata.
Fatti che riaffermano l'efficacia dei termini politico-programmatici delle BR
e la valenza della strategia della lotta armata quale alternativa proletaria
alla crisi della borghesia imperialista.
Attaccare e disarticolare il progetto antiproletario e controrivoluzionario
di riforma dei poteri dello Stato.
Approfondire la crisi politica della borghesia imperialista.
Costruire e organizzare i termini attuali della guerra di classe.
Attaccare le linee centrali della coesione politica dell'Europa occidentale,
nello specifico i progetti imperialisti di "normalizzazione" dell'area
mediorientale che passano sulla pelle dei popoli palestinese e libanese.
Lavorare alle alleanze necessarie per la costruzione/consolidamento del Fronte
Combattente Antimperialista per indebolire e ridimensionare l'imperialismo nell'area
geopolitica (Europa occidentale-Mediterraneo-Medioriente).
Onore a tutti i compagni e rivoluzionari antimperialisti caduti.
I militanti delle BR per la costruzione del PCC - Tiziana Cherubini, Rossella
Lupo, Franco Galloni
Milano, 19 giugno1989