Biblioteca Multimediale Marxista
Il rilancio che le BR hanno operato in questi anni di ritirata strategica dei
termini complessivi dell'attività rivoluzionaria, le prospettive politiche
che questo ha aperto sia sul terreno del rapporto classe/stato che sul terreno
dell'antimperialismo, ha determinato uno spostamento in avanti del piano di
scontro rivoluzionario. Un movimento consapevolmente prodotto e calibrato dalle
BR rispetto ai rapporti di forza generali fra le classi e al rapporto imperialismo/antimperialismo.
L'elemento di forza di questo rilancio è costituito dal fatto che si
è forgiato all'interno delle condizioni della controrivoluzione degli
anni '80, quindi con delle caratteristiche di crescita il cui portato politico
si è reso subito tangibile nel dispiegamento pratico della attività
rivoluzionaria per la sua capacità di dialettizzarsi in termini di direzione/organizzazione
con le istanze più mature dell'autonomia di classe, di costituire cioè
il catalizzatore delle componenti rivoluzionarie e proletarie vive del paese;
nel contempo di proporsi, sul piano dell'antimperialismo, come forza rivoluzionaria
autorevole, non solo per il contributo già operato su questo terreno,
ma soprattutto per il contributo al rafforzamento e consolidamento della politica
del Fronte combattente antimperialista. Questo il dato politico centrale nella
dialettica rivoluzione/controrivoluzione che ha indotto lo stato a ridefinire
contromisure per contrastare il portato politico della proposta delle BR al
movimento di classe, al proletariato. Più precisamente, misure che siano
in grado di "gravare" e divaricare il terreno alle aspettative che
si sono create nell'ambito operaio e proletario.
Il processo alle "BR toscane" si inserisce in questo quadro. Un processo
contro le BR letteralmente costruito: attraverso la ricattabilità (purtroppo)
della condizione proletaria, si è agito sulla debolezza di alcuni per
elevarli al "rango" di collaboratori, in modo da avere una base materiale
al fine di determinare una pagante deterrenza politica e militare nei confronti
di quei compagni e componenti proletarie che si dialettizzano con la proposta
rivoluzionaria, o che comunque non accettano supinamente la pubblicistica della
controguerriglia. Una costruzione che, in ultima istanza, obbedisce al dettato
politico democristiano di: sempre e comunque prevenire. L'attività delle
BR è sullo sfondo e a questa ci riferiamo, come militanti delle BR-PCC,
e rivendichiamo la giustezza e l'interezza di questa attività e segnatamente
l'attacco contro Lando Conti, uomo di punta nelle politiche di riarmo nonché
caldeggiatore degli interessi sionisti. Un attacco che ha segnato una tappa
importante per la definizione politica/programmatica e la costruzione/consolidamento
del FCA (Fronte Combattente Antimperialista) come marcatamente dimostra l'attacco,
su base politica unitaria tra RAF e BR, contro Hans Tietmeyer.
Come le leggi della guerra dettano, con la cattura di alcuni militanti, lo stato
batte la grancassa per avere dei risultati politici da poter ribaltare su tutti
i piani dello scontro: dal messaggio spicciolo che i carabinieri sono più
forti, alla ratifica politica suggerita dai servizi che nulla più esiste,
alle pressioni giudiziarie sui militanti dell'organizzazione catturati, e in
special modo sui militanti rivoluzionari al fine di romperne l'omogeneità
e la tenuta.
I militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente
- Maria Cappello, Fabio Ravalli
Firenze, 25/11/1988
DOCUMENTO MESSO AGLI ATTI
Come militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista
Combattente affermiamo che solo l'organizzazione ha legittimità storica
e politica di prendere la parola sul carattere odierno dello scontro di classe
sia politico che rivoluzionario, in quanto le BR, di questo scontro sono parte
attiva e direzione rivoluzionaria.
Affermiamo inoltre sulla base dell'esperienza acquisita in 18 anni di prassi
rivoluzionaria e, soprattutto, degli insegnamenti di questi anni di ritirata
strategica, la necessità e praticabilità del terreno della guerra
di classe, nonché l'attualità della questione del potere. Che
non si tratta di autoproclamazione sono i fatti a dimostrarlo proprio a partire
dai controversi anni '80, gli anni della sconfitta tattica e della controrivoluzione,
gli anni che hanno segnato il profondo mutamento delle condizioni dello scontro
di classe, ma, lontano dal significare l'esaurimento delle condizioni del processo
rivoluzionario, ne hanno contraddistinto il suo approfondimento.
All'interno di questo contesto la capacità delle BR di resistere e vivere
politicamente come forza rivoluzionaria non dipende da "intrinseche irriducibilità"
dei militanti né, come le interessate veline della controguerriglia propagandano,
da fenomeno residuale, anche perché tali ragioni sono ininfluenti ai
fini della tenuta rivoluzionaria. La determinazione e la coerenza delle BR nel
ricostruire i termini politici e militari del complesso andamento della guerra
di classe risiedono, in primo luogo, nelle ragioni storiche e politiche che
presiedono e definiscono la lotta armata come avanzamento ed adeguamento della
politica rivoluzionaria alle forme di dominio della borghesia imperialista;
in secondo luogo, nel radicamento della proposta strategica della lotta armata
nel tessuto proletario e nella conoscenza delle peculiarità assunte nello
specifico contesto italiano.
Sono quindi gli anni della controrivoluzione ad essere decisivi per il corso
stesso del processo rivoluzionario poiché hanno "costretto"
le BR a misurarsi con le leggi dello scontro, ad uscire dalla giovinezza politica
che aveva caratterizzato l'approssimazione nell'applicazione pratica dei principi
della guerra di classe e l'ideologismo nell'impostazione politica; insufficienze
ed errori che si sono riflessi in una schematizzazione nella conduzione dello
scontro e nella definizione delle fasi rivoluzionarie.
Se la Ritirata Strategica ha consentito di ripiegare da posizioni inadeguate,
il processo di riadeguamento ha vissuto un andamento non lineare a causa dell'impatto
con la controffensiva. Ciò ha messo a nudo i limiti detti sopra i quali,
tra l'altro, hanno caratterizzato la "generazione" di militanti formatasi
nella fase precedente: questi hanno subito la sconfitta incapaci di comprendere
le contraddizioni principali e secondarie che la dinamica controrivoluzionaria
produceva nello scontro; contraddizioni che hanno attraversato in maniera differente
le BR, il movimento rivoluzionario, il movimento di classe, poiché differente
è la funzione ed il peso che ciascuno ricopre nello scontro.
Le BR
L'attività della guerriglia esplicita nell'attacco allo stato il rapporto
di guerra che vige nello scontro di classe. Questa dimensione (rapporto di guerra)
è il fulcro da cui si dipartono le dinamiche che caratterizzano lo scontro
rivoluzionario per un verso o per l'altro; ovvero si manifestano le leggi della
guerra che, nel caso della guerra di classe diretta dalla guerriglia, assumono
connotazioni politiche peculiari poiché sono obbligate a riferirsi al
livello definito della mediazione politica classe/stato; ad esempio basta pensare
alla funzione di rottura/lacerazione che l'esecuzione di via Fracchia e le torture
hanno avuto sui rapporti di forza stabiliti dal piano rivoluzionario nel campo
proletario. Strappi operati a livello d'avanguardia perché, non potendo
essere massificati né prolungati oltre una certa soglia, devono agire
in termini di selezione per poi dispiegare gli effetti politici sulla classe.
All'interno di queste considerazioni la scelta della Ritirata Strategica ha
assunto una valenza politica determinante poiché la Ritirata Strategica,
legge dinamica della guerriglia, ha la funzione di consentire il ripiegamento,
senza cadere nell'avventurismo e nel dissanguamento delle forze stante l'impossibilità,
per la guerriglia, di misurarsi alla pari con il nemico di classe. Ma nell'impatto
con la controffensiva è stata in parte persa di vista la funzione della
Ritirata Strategica non riuscendo realmente a capire il livello di scontro che
si era prodotto e quindi a collocare correttamente un rovescio tattico, riducendo
la Ritirata Strategica ad atto difensivo. Una contraddizione che ha portato
a subire l'iniziativa dello stato e al logoramento delle forze; una dinamica
che ha prodotto la logica difensivistica incapace di misurarsi con ciò
che è necessario al livello di scontro impantanandosi nel possibile,
riferito alle condizioni materiali del momento. Dentro questa dinamica possono
comprendersi le iniziali spinte liquidatorie incarnatesi poi nelle posizioni
dell'"Unione", vero e proprio difensivismo che ha preteso di sottrarsi
al livello raggiunto dallo scontro.
Il movimento rivoluzionario
Il movimento rivoluzionario, per sua natura soggetto ad oscillare tra offensiva
rivoluzionaria e controffensiva dello stato, nel contesto della controrivoluzione
per gran parte ha assunto posizioni difensivistiche, che quando non sono scivolate
nell'opportunismo e nel liquidazionismo si sono avvitate in posizioni immateriali
di eterna "rifondazione della sinistra di classe" o in riproposizioni
antistoriche di alleanze interne "progressiste", come se l'esperienza
storica del '48 non avesse insegnato nulla.
E' d'altra parte una costante storica che in periodi di controrivoluzione emergano
in gran numero defezioni, riflussi e pornografia politica varia, né devono
"impressionare" le proporzioni assunte dalla non tenuta di tanti militanti
rivoluzionari, poiché ciò va relazionato alla adesione di massa
alla lotta armata; tenendo conto anche della composizione variegata di questa
adesione comprendente non solo forti componenti operaie di base, ma anche strati
di piccola borghesia o di recente proletarizzazione, quindi con tutto il loro
portato materiale ed ideologico.
Questa caratteristica di sviluppo di massa prodotta dalla corretta impostazione
data dalle BR alla fase della propaganda armata non ha costituito in sé
un limite, ovvero non è nel fiorire di nuclei che va ricercato l'errore,
ma nello sbocco politico dato alla disposizione di massa sulla lotta armata
mortificata nella questione dei programmi immediati e del comunismo dietro l'angolo.
La giusta intuizione che lo scontro di classe rivoluzionario nei centri imperialisti
non può che assumere carattere di guerra di classe di lunga durata veniva
meno insieme alla necessità imposta dalle leggi dello scontro di assestare
le forze in campo al livello necessario di disposizione/organizzazione richiesta
dalla fase rivoluzionaria per rilanciarle all'adeguato sviluppo dello scontro
che già si profilava nella dialettica rivoluzione/controrivoluzione.
Queste le ragioni di massima della "selezione" che l'approfondimento
dello scontro ha determinato, senza nulla concedere a chi di questa non tenuta
fa un alibi per il proprio opportunismo, mentre la borghesia ha ben capito il
portato politico e strategico dello scontro rivoluzionario che si è affermato
nella realtà del paese e su questo dato ha basato i termini della controrivoluzione.
Solo la comprensione, attraverso la verifica pratica, del carattere dello scontro
rivoluzionario e della natura delle sue contraddizioni ha permesso alle BR di
intraprendere il processo di riadeguamento complessivo misurandosi con i mutamenti
avvenuti, mantenendo nel contempo la fermezza sulle discriminanti di fondo (unità
del politico e del militare, clandestinità, ecc.) del proprio impianto
strategico.
Se l'andamento discontinuo dello scontro è un dato generale, questo è
reso maggiormente problematico nella realtà degli stati a capitalismo
maturo stante i caratteri della "mediazione politica" esistente fra
le classi, ovvero del modo con cui si governa il conflitto di classe, riassumibile
nell'uso degli strumenti e degli organismi della "democrazia rappresentativa",
al cui interno è racchiusa l'essenza della controrivoluzione preventiva
storicamente prodottasi nel rapporto di scontro fra le classi. Questo dato politico
generale influenza fortemente lo sviluppo della guerra di classe e lo stesso
modo con cui vive politicamente la guerriglia, e nello stesso tempo questo dato
è a sua volta rideterminato dalla attività della guerriglia, in
quanto la sua prassi interviene sui rapporti di forza generali. Ecco perché
le tappe sostanziali dello scontro politico e sociale nel nostro paese, lo sviluppo
stesso dei caratteri dell'autonomia di classe sono tali per l'attività
della guerriglia, ed è per questa dinamica che la controrivoluzione degli
anni '80, oltre a scompaginare il tessuto di lotte proletarie, le sue istanze
autonome, ha portato necessariamente con sé il corollario di restauro/ripristino
delle precedenti condizioni favorevoli alla borghesia imperialista, generando
il clima ed il terreno favorevole alle forzature nei rapporti politici fra le
classi. Infatti parliamo di controrivoluzione non perché gli anni '80
hanno conosciuto e conoscano un progressivo intaccamento delle "garanzie
costituzionali", ma soprattutto perché, attraverso atti e normative
repressive generalizzate, lo stato ha imposto un clima politico ed ha modificato
i caratteri stessi della mediazione politica, gli istituti e le forze preposte
istituzionalmente a tale funzione; da qui il ridimensionamento (reale) e la
crisi, senza soluzione di continuità, che attraversa le forze di opposizione
istituzionali PCI e CGIL. Per questo, i patti neo-corporativi, l'accentramento
di poteri nell'esecutivo e il più generale processo di rifunzionalizzazione
dei poteri e degli istituti dello stato, nascono dalle condizioni create dalla
controrivoluzione e sono al tempo stesso elementi del suo assestamento.
In sintesi, affermare che in Italia si è sviluppata una controrivoluzione
significa collocare correttamente il rapporto esistente tra processo rivoluzionario
diretto dalla guerriglia e la controrivoluzione dello stato, ovvero la controrivoluzione
degli anni '80 come portato ed approfondimento del processo rivoluzionario nonché
delle condizioni generali dei rapporti politici fra le classi (per le proporzioni,
modi e tempi con cui si è attuata). La controrivoluzione degli anni '80
va perciò distinta dal piano di controrivoluzione preventiva, poiché
questo piano è una costante nel rapporto classe/stato in tutti gli stati
a capitalismo maturo senza che necessariamente sia presente qualche processo
rivoluzionario. Al tempo stesso però i riflessi sui rapporti di forza
determinati dalla dinamica controrivoluzionaria, proprio per le conseguenze
sui rapporti politici generali fra le classi, rideterminano il carattere della
controrivoluzione preventiva avendone incorporato il costo di assestamento.
Questa la condizione politica nel paese che modificherà e approfondirà
maggiormente, in ultima istanza, il modo di governare il conflitto di classe,
la sua mediazione politica. Per questo affermiamo che la natura del "progetto
demitiano" è antiproletaria e antirivoluzionaria, non un'involuzione
reazionaria, ma un processo teso ad allinearsi ai modelli europei di "democrazia
matura"; questo il senso che va dato alla rifunzionalizzazione degli apparati
statali borghesi, poiché funzionali allo sviluppo attuale dell'imperialismo,
dei suoi livelli di concentrazione monopolistica e di sviluppo integrato fra
gli stati della catena e nel contempo funzionali ai livelli dello scontro politico
e sociale e alla maturazione del piano rivoluzionario; c'è unità,
cioè, tra l'approfondirsi della crisi del modo di produzione capitalistico,
in questa fase dell'imperialismo, e le risposte della borghesia imperialista
sul piano interno ed internazionale.
E' indubbiamente il progetto demitiano il perno su cui si sono coagulati i passaggi
dell'attuale maggioranza di governo che sostanzialmente comporta la funzionalità
di un esecutivo forte e stabile le cui scelte devono applicarsi in tempo reale
alle necessità della frazione dominante di borghesia imperialista. Per
questo le modifiche dei regolamenti parlamentari sono necessarie affinché
"armonizzino" gli accordi di maggioranza all'approvazione delle due
camere; in sintesi queste ultime tendono a ratificare le decisioni dell'esecutivo
marginalizzando gli effetti del ruolo finora svolto dalle opposizioni istituzionali;
queste dovranno conformarsi in una dialettica puramente formale che, in questa
fase, è quella dei grandi accordi... "sulla costituente": quindi
un approccio costruttivo garante del rinnovamento delle istituzioni borghesi.
Un quadro che prelude, attraverso il passaggio della legge elettorale, all'alternanza
quale modello cui funzionalizzare l'opposizione istituzionale, svincolando l'esecutivo
dalle spinte antagonistiche che si producono nel paese, nel massimo della democrazia
formale al di fuori e contro il contesto di classe nel paese. Beninteso un "modello"
di alternanza che non tende affatto al superamento della cosiddetta "anomalia
della democrazia italiana" (preclusione al PCI), bensì prelude ad
una serie di "staffette" al fine di consolidare il regime instaurato
nel paese, con buona pace di Occhetto e del suo "riformismo forte",
il quale comunque ne sarà il garante democratico. Il dato politico che
emerge nel campo proletario va relazionato a come è stato attraversato
dalla controrivoluzione. Dopo un primo periodo di difesa delle condizioni politiche
e materiali precedenti, approcciato con modi e strumenti inadeguati sul piano
aperto dai patti neo-corporativi (democrazia consiliare), è maturata,
pur dentro all'arretramento subito, una costante resistenza alle conseguenze
delle condizioni politico/generali che si possono dividere su due livelli.
Da un lato l'ampia resistenza, anche con forme di lotta violente, alle ristrutturazioni,
ai licenziamenti, lotte che proprio nella resistenza trovano il loro limite
potendo essere inglobate dalla demagogia sindacale. Dall'altro lato emergono,
dal quotidiano confronto nei luoghi di lavoro con i nuovi termini delle relazioni
industriali, lotte che tendono a rompere le gabbie e i filtri di queste relazioni,
per esprimere istanze di lotte autonome, le quali trovano la forza di sfondamento
(alle gabbie delle relazioni industriali) solo dentro una forte e compatta organizzazione
della lotta stessa. Stante il dato generale assumono, giocoforza, una connotazione
politica, anche perché devono misurarsi immediatamente con l'intervento
e le scelte dell'esecutivo nella contrattazione. Queste lotte, per quanto frammentate
possano apparire, sono il nuovo che emerge e rappresentano la continuità
con il filone dell'autonomia di classe storicamente determinatasi in Italia;
ciò, d'altra parte, non significa la possibilità che si verifichino
automaticamente, almeno nel medio periodo, grossi cicli di lotta, dato il peggioramento
delle condizioni politiche e materiali per la classe, poiché anche le
forme, i tempi e i modi dell'opposizione dell'autonomia di classe sono influenzati
più in generale dal carattere e dal livello della mediazione politica
tra classe e stato. E' questo perciò il dato su cui l'avanguardia armata
del proletariato interviene per ribaltare i rapporti di forza a favore della
classe, "liberando" così, anche se momentaneamente, energia
proletaria, una forza politica che deve trovare il suo corrispettivo sul piano
rivoluzionario nella costruzione di organizzazione di classe sul terreno della
lotta armata, calibrata nelle forme e nei modi, alla fase di scontro e ai rapporti
di forza generali.
La necessità di sterilizzare il tessuto di lotta operaio e proletario
dalla dinamica riproducente autonomia di classe, è il terreno su cui
è maturato il primo approccio alla revisione del diritto di sciopero
e su cui si sta sviluppando la proposta di revisione della rappresentatività
sindacale proprio per costruire barriere all'aggregazione operaia e nuovi filtri
istituzionali alle istanze di lotta più mature. E' la Fiat che apre ancora
una volta il contenzioso con le elezioni "riformate" del consiglio
di fabbrica e gli accordi separati, un fatto che rende palese l'approfondimento,
nella funzione sindacale, della dinamica corporativa in relazione contraddittoria
con il dover usufruire della reale forza della rappresentatività. E'
all'interno di questo contesto politico, e a partire da un'indagine nel vivo
delle fabbriche e dei posti di lavoro, che si possono esaminare le ristrutturazioni
produttive e non certo attraverso i dati apologetici forniti dalla borghesia
e dagli specialisti sindacali che, nella migliore delle ipotesi, riflettono
la crisi del sindacato la quale non ha certo origini strutturali. In termini
generali si può affermare che la "nuova" realtà della
fabbrica non è il regno della robotica e dei tecnici asettici che la
gestiscono, anche perché ciò contraddirebbe la legge stessa del
capitale e del suo necessario sviluppo ineguale. La realtà determinata
dalle ristrutturazioni è prodotta dal complementarsi di due fattori:
da un lato, una certa introduzione di nuove tecnologie, dall'altro lato la flessibilità
e la produttività venutasi a determinare con la rottura della rigidità
operaia e con la riforma sostanziale del mercato del lavoro. Due piani di cui
l'ultimo è funzionalizzato al primo e che caratterizzano i termini della
nuova organizzazione del lavoro. Quello che va ribadito è che la sostituzione
del macchinario è stata ed è relativa alla sua convenienza sul
costo del lavoro, ma sempre nella proporzione fisiologica di mantenere la parte
di lavoro vivo necessario. La realtà è quella di un'organizzazione
del lavoro in cui convivono segmenti vecchi e nuovi (catena, isole, reparti
semiautomatizzati, ecc.) dove la condizione operaia è la piena dequalificazione
delle mansioni, in cui tutti devono fare tutto, ovvero chiunque può essere
spostato da una mansione all'altra, da un reparto all'altro (e con la mobilità
interaziendale, anche di sede) nei tempi e nei modi stabiliti dalle esigenze
di mercato. La sola costante è il massacrante aumento dei ritmi di lavoro,
la presenza opprimente della gerarchia di fabbrica e sindacale, della sbirraglia
addetta alla sorveglianza. Per quanto riguarda il turnover è principalmente
dato dai contratti di formazione lavoro tristemente noti per la loro filosofia
concorrenziale. Per le piccole e medie fabbriche la realtà è ancora
più cruda, poiché da sempre vige la concorrenza allo stato puro,
non a caso sono spesso terreno di sperimentazione della tenuta di "nuovi"
tipi di contratto, dati i rapporti di forza esistenti. La filosofia della nuova
organizzazione del lavoro non è relegata solo all'industria ma, poiché
è il frutto delle relazioni industriali centralizzate, riguarda tutti
i lavoratori, compresi quelli dei servizi. Su questa realtà si basa il
secondo "miracolo economico" italiano, ovvero il boom dei profitti,
dato il contesto recessivo dell'economia; un contesto in cui vengono smantellati
interi comparti produttivi (es. siderurgico) i quali gonfiano le cifre dei disoccupati,
la cui quota cronica è già ampiamente ritoccata rispetto alla
parte fluttuante. Una realtà quindi di vecchie e nuove povertà
che solo i parametri antropologici di De Rita possono definire "economia
sommersa". In sintesi, lo spaccato della realtà è quello
di un paese niente affatto pacificato, di un aspro scontro politico e sociale
che esprime una vasta resistenza operaia e proletaria ai costi della crisi e
ai progetti borghesi di "modernizzazione" dello stato. Per queste
ragioni la realizzazione delle svolte profonde che in questa fase aprono ad
un periodo che non è errato definire di "seconda repubblica",
sono gravide di pressioni atte a lacerare gli equilibri nello scontro di classe:
in questo senso si inserisce il crescendo di manovre provocatorie, direttamente
elaborate nei covi del ministero degli Interni, allo scopo di agitare revanscismi
stragisti contro il campo proletario. Che non si tratti di rigurgiti reazionari
lo dimostra il fatto che, questa riaggiornata riedizione della strategia della
tensione, è relazionata alla funzione svolta dalla guerriglia nel contesto
dello scontro di classe e della sua evoluzione rivoluzionaria (in quest'ottica
l'autobomba di Milano, la resuscitazione di bande fasciste e i diversi oscuri
episodi che vi stanno intorno).
Prendere atto della realtà significa non cadere nello schematismo: peggioramento
delle condizioni di vita uguale antagonismo contro lo stato; oppure ricondurre
le dinamiche dello scontro al succedersi meccanico di flussi e riflussi come
se lo sviluppo della società capitalistica fosse fermo al periodo di
formazione monopolistica relativa allo stato-nazione; un filtro, questo, che
non permetterebbe di leggere correttamente lo stato dei rapporti politici fra
le classi, né le prospettive dello svolgimento del conflitto sia sul
piano politico-generale, che rivoluzionario. In sintesi lo scontro politico
tra le classi e soprattutto il piano rivoluzionario avanzano nella misura in
cui si rompono gli steccati e i filtri stabiliti dalle relazioni classe/stato,
la sua mediazione politica. Un dato che si riferisce sempre alla contraddizione
dominante in antagonismo fra classe e stato e che può esistere e affermarsi
dentro ad equilibri politici generali che si formano nel paese tra classe e
stato, solo secondariamente questi equilibri si riferiscono all'ambito interborghese.
Anzi possiamo dire che gli equilibri interborghesi si formano di riflesso e
accanto agli equilibri di forza e politici fra classe e stato. Per queste ragioni
l'iniziativa della guerriglia è tesa a rompere questo piano e a costruire
le condizioni materiali per un equilibrio politico e di forza favorevole al
campo proletario che può partire solo intervenendo (con l'attacco) al
punto più alto dello scontro. Questo poi si ripercuote come effetto su
tutto l'arco dei rapporti fra le classi fino al piano capitale/lavoro.
E' necessario considerare il dato politico sviluppatosi e sedimentatosi storicamente
nel rapporto fra le classi, il quale ha definito un patrimonio, un terreno,
su cui si riproduce la sostanza ed il grado odierno dello scontro e del suo
stretto legame con la proposta rivoluzionaria: un filo organico che nemmeno
questi anni di controrivoluzione sono riusciti a spezzare e che lega le BR al
tessuto proletario perché da questo tessuto sono originate, in questo
si riproducono e di questo sono l'avanguardia armata. Un'avanguardia che ha
potuto e saputo definire il terreno dell'alternativa proletaria alla crisi della
borghesia imperialista nella praticabilità della proposta strategica
della lotta armata alla classe.
La corretta impostazione del metodo del materialismo dialettico nell'analisi,
insieme all'esperienza che fa acquisire la verifica pratica, ha permesso il
superamento di un certo ideologismo analitico inadeguato a collocare la natura
dei fatti storici e il loro piano di contraddittorietà.
La rimessa al centro dell'attacco allo stato ha significato anche analizzare
concretamente la funzione degli stati in questo stadio di sviluppo dell'imperialismo,
a partire dalla giusta definizione leninista che lo stato è l'organo
della dittatura borghese e contemporaneamente manifestazione dell'antagonismo
inconciliabile fra le classi; per questo la sua evoluzione è il riflesso,
sul piano della sovrastruttura, delle diverse fasi dello sviluppo capitalistico.
E' nel contesto della crisi degli anni '30 che la funzione degli stati fa un
salto di qualità, ciò avviene per la necessità di intervenire,
con politiche economiche di sostegno, sugli effetti disastrosi della "grande
depressione". L'intervento dello stato fu generale e concorse a creare
l'ambito favorevole alla formazione monopolistica a base nazionale. Ma è
nel rapporto con il proletariato che lo stato intervenne in termini complessivi,
sia regolamentando la compravendita della forza-lavoro che contenendo il conflitto
di classe, ovvero sviluppando il termine controrivoluzionario. Questo livello
di intervento fu nel suo complesso simile in tutto il mondo capitalistico, dall'America
roosveltiana ai regimi nazisti dell'Europa. Il successivo salto di qualità
avviene nel contesto della fine dell'ultimo conflitto, all'interno dei mutamenti
che prefigureranno l'attuale fase dell'imperialismo, dal piano storico/politico
a quello economico/sociale. L'insieme di questi mutamenti influiranno sulle
forme di dominio della borghesia nel trapasso, non certo indolore, dallo stato
autarchico (ad esempio, il fascismo) allo stato parlamentare moderno, riflesso
sovrastrutturale del formarsi di frazioni di borghesia imperialista e del proletariato
metropolitano. Il dato principale che qui interessa sottolineare è in
che cosa le democrazie rappresentative uscite dal dopoguerra si caratterizzano.
Dal punto di vista economico, si affina la loro funzione di supporto ai cicli
economici, relativa sempre e solo alla sfera della circolazione, ma che ha,
come nel caso delle politiche di bilancio, un'importanza fondamentale nel favorire
l'andamento del ciclo, soprattutto per la possibilità di intervenire,
data la conoscenza acquisita, in funzione controtendenziale sui prevedibili
effetti negativi della crisi. Un dato che non elimina certo le cause della crisi
ma che, stante il piano internazionalizzato ed integrato dell'economia capitalistica,
sposta e approfondisce le contraddizioni. Contemporaneamente lo stato assume
la funzione di capitalista reale che solo nel rapporto con il singolo capitalista
è concorrenziale, ma nel complesso è funzionale all'andamento
del ciclo economico. Ma è nel rapporto con la classe subalterna che la
funzione politica degli stati viene esaltata. Esso non agisce più come
semplice repressore del conflitto, bensì esplica questo rapporto attraverso
l'uso ed il perfezionamento della democrazia rappresentativa, la sola a legittimare,
per la borghesia, le istanze della classe. In altri termini, le espressioni
di conflittualità e di antagonismo devono essere compatibilizzate e convogliate
all'interno degli alvei istituzionalmente preposti: dal piano capitale/lavoro
al piano politico/generale, sindacati, partiti, organismi politici vari sono
delegati a rappresentare la classe nella piena funzionalità della democrazia
rappresentativa allo scopo di istituzionalizzare il conflitto di classe. Un
dato non schematizzabile nell'altalena mediazione/annientamento, ma che trova
di volta in volta, e in relazione ai rapporti di forza e al peso politico della
classe, il ruolo e la funzione adeguata a mantenere l'antagonismo all'interno
di questo reticolo per non farlo collimare con il piano rivoluzionario. E' sostanzialmente
questa l'anima che ha assunto la controrivoluzione preventiva dopo le rotture
operate dalla controrivoluzione imperialista nell'ultimo conflitto. In sintesi
lo stato è la sede dei rapporti politici fra le classi, quindi per i
comunisti il suo abbattimento è una questione imprescindibile. All'interno
di questo principio le BR fanno dell'asse classe/stato il principale elemento
programmatico su cui costruiscono i termini dell'organizzazione di classe sulla
lotta armata. Non si tratta come nel passato di disarticolare, mettendoli sullo
stesso piano, tutti i centri della macchina statale (periferici e centrali)
anche perché ciò era il riflesso di una visione schematica dello
stato visto in una separatezza fra i suoi apparati (politici, burocratici, militari),
a sua volta derivata da una visione semplificata e un po' manualistica delle
fasi rivoluzionarie che si succedono nella guerra di classe ricondotte a due
sole fasi principali: quella dell'accumulo di capitale rivoluzionario e il suo
dispiegamento nella guerra civile. L'esperienza acquisita dalle BR ha permesso
di ricentrare non solo la dinamica del succedersi delle fasi rivoluzionarie
nell'andamento discontinuo dello scontro, ma soprattutto di collocare correttamente
la funzione dello stato, il quale necessariamente centralizza nella sede politica
la funzionalità dei suoi apparati. Un dato approfondito ulteriormente
negli attuali processi di rifunzionalizzazione. Per queste ragioni l'attacco
allo stato, al suo cuore congiunturale, va inteso nel giusto criterio, affermatosi
nella pratica, come capacità di riferirsi alla centralità, selezione
e calibramento dell'attacco. Centralità: si può affermare che,
date le condizioni politiche dello scontro, il suo approfondimento, la capacità
dell'attacco di disarticolare (inteso in termini relativi e non assoluti) risiede,
in primo luogo, nella capacità, tutta politica, di individuare all'interno
della contraddizione dominante che oppone le classi, il progetto politico centrale
della borghesia imperialista. Selezione: sta nella capacità di individuare
il personale che nel progetto politico assume una funzione di equilibrio delle
forze che tale progetto sostengono. Calibramento: sta nella capacità
di calibrare l'attacco in relazione al grado di approfondimento dello scontro
(ad esempio anche in caso di arretramenti il livello d'intervento non può
ricominciare da capo), allo stato di aggregazione/assestamento delle forze proletarie
e rivoluzionarie, allo stato dei rapporti di forza generali sia interni al paese
che nell'equilibrio internazionale tra imperialismo/antimperialismo. Questi
i criteri centrali che guidano l'attacco e le scelte dell'obiettivo e che permettono
alla guerriglia di incidere adeguatamente nello scontro traendone il massimo
del vantaggio politico e materiale. In ultima analisi possiamo affermare che
questo criterio sarà determinante per molte fasi ancora dello scontro,
poiché solo la fase di guerra civile dispiegata consente di attaccare
contemporaneamente e su più livelli la macchina statale.
E' sempre a partire dal dato strutturale che possono essere analizzati e collocati
sul loro piano reale i mutamenti avvenuti e quelli che stanno avvenendo sul
piano delle politiche della borghesia imperialista. Ciò significa partire
dal dato della crisi del modo di produzione capitalistico, che analizzata con
metodo materialista, presenta il duplice aspetto di essere sia momento di debolezza
che momento necessario al capitale per il suo ulteriore sviluppo. In altri termini
la crisi capitalistica ha in sé gli elementi potenziali per il suo superamento,
superamento che non avviene mai in termini "pacifici". Un movimento
contraddittorio che mette in moto controtendenze, soprattutto se il carattere
della crisi è generale, siano esse spontanee (ad esempio la riduzione
della capacità produttiva) che invece determinate da politiche economiche.
L'approfondirsi della crisi produce oggettivamente la tendenza alla guerra quale
portato dell'accumularsi critico di tutte le contraddizioni capitalistiche e
si esplica nella necessità di distruggere la sovrapproduzione di capitali
e merci di lavoro, di ridefinizione dei mercati capitalistici e degli equilibri
precedenti. Questo è il carattere generale della tendenza alla guerra.
Un piano tendenziale che, come marxisti, possiamo analizzare nei suoi passaggi
concreti e che si materializza, come dato soggettivo, solo quando le altre controtendenze
esauriscono la loro efficacia, approfondendo e accumulando le contraddizioni
capitalistiche. Al tempo stesso la crisi, acutizzando le contraddizioni fra
le classi e tra sviluppo e sottosviluppo, fa emergere il necessario risvolto
proletario ad essa, genera la sua possibile risoluzione nella rivoluzione proletaria
e nel socialismo.
L'analisi della crisi all'interno dell'arco storico che va dalla fine della
grande guerra alla situazione attuale, permette di affermare che l'andamento
della crisi riproduce, in una similitudine di movimento, i suoi caratteri generali.
Passaggi salienti che si ripresentano nella situazione odierna, velocizzati
e più interconnessi fra loro e inseriti in un quadro storico-politico
derivato dai mutamenti di sostanza sanciti dall'ultimo conflitto, quali il bipolarismo
e l'internazionalizzazione, l'interdipendenza dell'economia capitalistica, la
quale ha dato luogo al livello di integrazione politico-militare del blocco
occidentale a dominanza USA.
L'affacciarsi della crisi generale (di valorizzazione) verso la fine degli anni
'60 ha avuto le sue risposte controtendenziali agli effetti della crisi (alta
inflazione, stagnazione, ecc.) da un lato in un processo spontaneo di restrizione
della base produttiva, dall'altro in quel complesso d'interventi di politica
economica volti a ridare fiato alle spinte selettive della concorrenza, meglio
conosciute come neo-liberismo, comprensive delle misure tese ad abbassare tutti
i costi di produzione a partire dalla forza-lavoro. Accanto a questo movimento
controtendenziale si è affermato, sul piano della produzione, un processo
di introduzione di nuove tecnologie allargatosi a tutti i settori produttivi
(la microelettronica e la computeristica nei mezzi di lavoro). Un dato questo
relativo allo sviluppo dell'imperialismo e che ha ridisegnato i termini della
concorrenza e del necessario movimento di concentrazione dei capitali: da qui
i processi di fusione/accentramento dei grossi colossi monopolistici (transnazionali
e con più settori produttivi, ecc.) intorno alle nuove tecnologie in
cui è sempre presente la quota di capitale USA. Se gli interventi neo-liberisti
hanno favorito l'ambito per la ricostituzione dei margini di profitto (portandoli
però sull'orlo di un'inflazione da profitti), hanno anche contribuito,
insieme al cambio tecnologico nella produzione, all'eccessivo restringimento
della base produttiva fino a veri e propri processi di destrutturazione economica
nei paesi più sviluppati economicamente (vedi USA e Gran Bretagna), sintomo
dello stabilizzarsi della recessione e dell'indebolimento della struttura economica.
In altri termini, laddove questo processo ha significato la chiusura di interi
comparti produttivi o di produzioni ridotte al punto che è economicamente
oneroso riattivarle, è una concausa al fatto che il plusvalore sociale
prodotto è troppo ridotto per valorizzare l'intero capitale sociale.
All'interno di ciò vanno letti gli attuali orientamenti di politica economica
sia sul piano della concentrazione internazionale (accordi sui tassi d'interesse
e sulla circolazione di merci), sia sul piano delle politiche nazionali (rilancio
parziale della domanda di beni di consumo relativa alle produzioni di bassa
e media tecnologia), in altre parole misure tese a controbilanciare gli effetti
negativi del neo-liberismo. Un contesto che favorisce le tendenze protezionistiche
in contrasto con la tendenza dominante della libera circolazione di capitali,
elemento della futura configurazione dell'ulteriore sviluppo dell'internazionalizzazione
della produzione e dei capitali. Ma il principale piano controtendenziale che
si afferma nel contesto della recessione generalizzata, in presenza di mercati
capitalistici saturi, è, ad un certo stadio della crisi, quello del ricorso
allo speciale stimolo del riarmo. Storicamente questo intervento generale di
politica economica si è presentato nel periodo fra le due guerre dettato
dalla necessità di immobilizzare i capitali finanziari investendoli nelle
tecnologie avanzate di quel periodo; ma il ricorso al riarmo come speciale stimolo
dell'economia, proprio perché necessario e possibile in determinate circostanze
economiche e storiche di crisi generale, per non tradursi nella bancarotta dello
stato che vi ha fatto ricorso, si configura come lo stadio economico più
vicino allo sbocco bellico. Sono gli USA, stante il maggiore sviluppo e velocità
della dinamica capitalistica, che hanno imboccato la scelta del riarmo come
volano dell'economia. E' dalla presidenza Reagan che, con la politica degli
alti tassi d'interesse, vengono inglobate grandi masse di capitali per finanziare
la ricerca sulle tecnologie avanzate connesse al militare, una scelta di politica
economica che ha condizionato l'economia statunitense e penalizzato settori
tradizionali come l'agricoltura e le produzioni di media tecnologia.
Data la stretta interrelazione economica dei paesi della catena, ogni movimento
economico di rilievo si ripercuote e condiziona le scelte nei paesi della catena,
soprattutto se derivati dal polo economicamente dominante. Per questo le scelte
degli USA tendono a configurarsi come il piano controtendenziale della catena
imperialista. Il riarmo in Europa occidentale non è ancora una politica
economica affermata a causa delle differenze di sviluppo, il diverso grado di
profondità della crisi e di conseguenza per l'esistenza di margini diversi
di manovra. Ciò nonostante le spinte al riarmo marciano in modo consistente
e, stante il livello finanziario necessario, è un terreno che comporta
un piano concertato fra i paesi europei i cui fondi e modi di applicazione sono
centralizzati nella NATO. Un processo che favorisce ancor più l'internazionalizzazione
dei capitali sulle tecnologie avanzate. Il riarmo avvenuto prima del secondo
conflitto mondiale ebbe l'effetto temporaneo di rilanciare la produzione nei
settori pesanti dell'industria e di riassorbire una parte di disoccupati in
eccesso. In questa fase, stante la concomitanza dei livelli di interventi economici,
tenendo conto che provocano un rigonfiamento artificioso dell'economia, e poiché
il riarmo trova applicazione con tecnologie che riducono al minimo l'assorbimento
di manodopera, la sua efficacia temporanea è relativa al solo immobilizzo
delle ingenti quote di capitale finanziario eccedenti. Queste trovano impiego
appunto nella ricerca sulle nuove tecnologie da applicare al campo militare.
La ricerca dei computer di quinta generazione (calcolatori super veloci), dei
laser, ecc., non è relativa solo ai satelliti e allo "scudo spaziale",
ma trova applicazione pratica e immediata nel riarmo convenzionale negli "
scenari di guerra da attivare in tempo reale" (vedi strategia Rogers della
NATO, cosiddetta di difesa anticipata). In questo senso lo smantellamento del
vecchio arsenale missilistico post-guerra fredda ha poco a che vedere con le
demagogiche propagande imperialiste sul disarmo, anzi questa scelta si inquadra
in un'ulteriore pressione sull'Europa al fine di un maggiore sforzo finanziario
verso il riarmo. Infatti lo smantellamento può essere attuato in presenza
del massiccio e reale riarmo sul convenzionale e dei processi d'integrazione
degli eserciti europei che, a diversi livelli, si stanno sviluppando sia in
termini bilaterali che multilaterali; non si tratta certo di un terzaforzismo
europeista, ma della responsabilizzazione dei partners atlantici alla "difesa"
integrata della catena imperialista.
L'evoluzione della crisi economica, il suo acutizzarsi, è il fattore
di fondo che in ultima analisi sottointende ed influenza le scelte politiche
del blocco imperialista; non un rapporto meccanico, ma il maturarsi sui diversi
piani delle contraddizioni e del loro obbligato interrelazionarsi: dal piano
dominante est/ovest, al piano nord/sud, al piano principale proletariato/borghesia.
L'insieme di questi fattori formano un quadro politico contraddittorio, ma,
nella misura in cui tendono a polarizzarsi gli interessi e i campi contrapposti,
si profilano le linee principali di questa fase politica internazionale. Una
fase che comporta il maggior grado di compattamento e di responsabilizzazione
dei vari paesi della catena imperialista, ovvero, il delinearsi della strategia
imperialista non è l'affermarsi lineare degli interessi del polo dominante,
ma il prodotto di successive forzature e del collimare del reciproco interesse
generale della catena imperialista.
Il dato principale di questa fase è costituito dal ruolo centrale dell'Europa
occidentale all'interno dello schieramento imperialista, un ruolo che esalta
le "capacità politiche" del vecchio continente e che si basa
sulla maturazione dei processi di coesione politica e militare dell'Europa occidentale
quale perno su cui si definiscono le linee di tendenza delle politiche imperialiste.
Un processo, quello della coesione politica, che va avanti non senza contraddizioni
perché comporta l'adeguamento attivo agli interessi generali della catena
e che esprime, da una parte, anche il grado di avanzamento della contraddizione
est/ovest. In sintesi, stante il tipo e grado di contraddizioni che a diverso
livello attraversano tutti i paesi della catena imperialista, ogni paese è
tenuto, in relazione alla funzione e al peso che riveste, ad adeguare i suoi
interventi all'interesse dominante.
L'avanzare dei processi di coesione politica e militare dell'Europa occidentale
dà la misura della svolta di questa fase politica e del suo legame con
il maturarsi della crisi economica. La scadenza della liberalizzazione del mercato
europeo e il suo riflesso sul piano politico e normativo è solo l'apice
di un processo teso a creare l'ambito idoneo per favorire la formazione di monopoli
intereuropei. Un processo in cui le sedi comunitarie hanno assunto un peso politico
rilevante nel ricondurre gli interessi specifici al piano di coesione generale,
dall'inserimento dei paesi europei della fascia sud (sempre in funzione complementare
e subordinata al peso dei paesi più forti), all'elaborazione dei più
disparati piani "Marshall" comunitari per ammortizzare le contraddizioni
del sottosviluppo dei paesi della fascia mediterranea e del Medio Oriente, paesi
che costituiscono la sua naturale zona d'influenza e che oggi rivestono una
importanza strategica. Il piano dominante della coesione politica europea è
costituito dall'insieme degli interventi politico/diplomatici differenziati
su più piani. La "diplomazia europea" ha un ruolo determinante
nel rapporto tra i due blocchi, poiché l'Europa occidentale è
fisicamente il suo confine "intoccabile", la sua funzione perciò
è tesa a "mediare" la contrapposizione fra i blocchi calibrandola
e funzionalizzandola alle diverse esigenze esistenti tra gli USA e l'Europa
occidentale. Un piano che riflette, in termini politici, sia le ineliminabili
contraddizioni interimperialiste che l'attuale posizione di stallo negli equilibri
generali tra i blocchi; non per questo può essere degno di rilievo lo
spazio "economico" che il mercato sovietico offre ai capitali europei
dato che rientra nel normale processo di penetrazione economica e non interferisce
con le ragioni della tendenza alla guerra. Ma è l'area di crisi mediorientale-mediterranea
l'ambito principale su cui verte l'attività politico/diplomatica dell'Europa
occidentale. In questa fase essa ha la funzione di ricucire/sancire gli strappi
militari praticati dagli USA nella fase precedente; che questi strappi avessero
anche lo scopo di spingere gli alleati ad assumere posizioni compatte, lo dimostra
la diversità di atteggiamento dei paesi europei tra il bombardamento
della Libia e l'intervento nel Golfo Persico; un lasso di tempo in cui l'Europa
occidentale, coadiuvando gli USA, ha operato le "pressioni" necessarie
tra i paesi arabi per un loro schieramento apertamente filo occidentale anche
nell'intento di tenere sotto controllo il "fattore islamico" in quanto
collante politico delle masse arabe. Ma la funzione più delicata svolta
dai diversi piani della diplomazia europea è senza dubbio rivolta a "normalizzare"
la situazione mediorientale, ovvero la questione posta dalla mai sopita resistenza
del popolo palestinese e libanese. In sintesi, iniziative volte a supportare
la sostanza del piano Schultz riferito (in sintesi) all'autonomia amministrativa
dei "territori occupati". Un piano che, nella sostanza, ribadisce
la funzione di sentinella degli interessi occidentali nell'area, svolta da Israele,
pur cercando di fargli assumere quel riconoscimento politico e diplomatico più
funzionale al processo di "normalizzazione". E' certamente riduttivo,
per quanto principale, ricondurre il ruolo d'Israele alla sola funzione di gendarme
imperialista, dato che ha sviluppato un regime d'apartheid che gli consente
di sfruttare anche economicamente i territori occupati, inoltre il suo ruolo
fa d'Israele un esportatore più che di pompelmi, di metodi di controguerriglia
(consiglieri militari in Sud Africa e in America Latina). Un complesso di interventi
tesi, in ultima istanza, a rideterminare posizioni di vantaggio e di forza per
l'imperialismo all'interno degli equilibri est/ovest.
L'Europa occidentale stringe anche, sul piano della "sicurezza" interna,
vincoli politici per contrastare l'attività antimperialista del Fronte
e delle altre forze rivoluzionarie che combattono l'imperialismo, riflesso soggettivo
delle contraddizioni di classe che, seppure a diversi livelli, attraversano
il cuore dell'Europa occidentale. L'attività della guerriglia, sia essa
classista o "nazionalista", caratterizza in sintesi i diversi livelli
di scontro rivoluzionario esistenti nei paesi europei tra cui si possono individuare,
per il grado di sviluppo delle contraddizioni tra le classi, i potenziali "anelli
deboli" nei paesi europei della fascia sud. Ne sono un esempio le pressioni
CEE sulla Grecia al fine di contenere/reprimere l'attività rivoluzionaria
della "17 novembre" in cambio delle agevolazioni nel mercato comune.
Oppure, su un altro piano, i diversi progetti di "soluzione politica"
per la guerriglia che, seppure con sfumature diverse, sono stati adottati da
Italia, Germania e Spagna. Insomma misure coordinate sul piano politico che
influiscono sulla connotazione del rapporto imperialismo/antimperialismo, rivoluzione/controrivoluzione
nell'Europa occidentale, di cui le forze rivoluzionarie e soprattutto il Fronte
combattente antimperialista devono tenere adeguatamente conto, poiché
segnano l'approfondimento delle condizioni in cui si svolge il processo rivoluzionario.
La definizione più precisa, in questa fase, della strategia imperialista
riflette in ultima istanza la dinamica generale tesa a preparare le condizioni
negli equilibri delle forze, sia politiche che militari, per impattare il blocco
sovietico e ridefinire a favore dell'imperialismo gli accordi sanciti a Yalta.
Le modifiche del quadro storico/politico avvenute nella seconda guerra mondiale
non consentono il ripetersi delle condizioni per un conflitto interimperialista.
Pur permanendo le contraddizioni prodotte dalla concorrenza intermonopolistica,
queste non si riflettono sul piano politico in termini antagonistici all'interno
del blocco imperialista. Il blocco sovietico è, per l'imperialismo, un
ambito sufficientemente sviluppato dal punto di vista industriale e delle infrastrutture
quindi recettivo e complementare al livello di sviluppo tecnologico e produttivo
dell'imperialismo. Per l'imperialismo ridisegnare le aree di influenza significa
anche recuperare il controllo sui paesi terzi che, attraverso processi di liberazione
nazionale, si sono sottratti al suo dominio e che si caratterizzano, sul piano
dell'evoluzione storica, come paesi di nuova democrazia, i quali all'interno
dell'assetto del bipolarismo si collocano, oggettivamente, nello schieramento
del blocco orientale. Per questo affermiamo che la contraddizione est/ovest
è la contraddizione dominante nel mondo, che attraversa ed influenza
i conflitti internazionali, compresi quelli che si producono nella direttrice
nord/sud. Tale contraddizione si esprime in tutte le aree di crisi presenti
nel mondo, come palesemente chiariscono le trattative sui "conflitti regionali"
tra USA e URSS (dal centro America, al Sud Africa, all'area orientale, ecc.),
ma si rende critica soprattutto nell'area geopolitica mediterranea, mediorientale,
per vari ordini di motivi: sia perché è un'area strategica in
quanto confine non definito dagli accordi di Yalta, sia per i transiti e le
rotte che la attraversano, sia come area politicamente instabile percorsa da
forti tensioni tendenti a "sganciarsi" dal dominio imperialista. E'
questa, cioè, l'area geografica destinata ad essere il possibile detonatore
dello scontro bellico, perché è l'area in cui oltre ad esprimersi
il piano dello scontro est/ovest si focalizzano le contraddizioni tra sviluppo
e sottosviluppo con la loro forte connotazione antimperialista e rivoluzionaria.
Nel contempo i paesi soggetti all'imperialismo costituiscono il retroterra logistico
da cui partire per modificare gli equilibri generali nei confronti del blocco
avverso; accanto a questo piano va inquadrata l'attività controrivoluzionaria
dell'imperialismo, specificatamente USA, contro i movimenti di liberazione e
la guerriglia del terzo mondo, nonché i tentativi d'aggressione palese
e mascherata nei confronti delle nuove democrazie. Un piano di scontro che fa
di questi conflitti la parte più consistente dell'antimperialismo.
Un quadro storico dunque che comporta l'assunzione, sul terreno rivoluzionario,
dell'antimperialismo come dovere prioritario di ogni forza rivoluzionaria conseguente,
a maggior ragione per le guerriglie dell'Europa occidentale poiché operano
all'interno del cuore dell'imperialismo, sapendone però collocare il
piano e la portata rispetto all'antimperialismo praticato dalle forze rivoluzionarie
nella periferia. Per la guerriglia del centro imperialista si tratta di attualizzare
l'internazionalismo proletario in una strategia politica adeguata alle condizioni
dello scontro nella metropoli imperialista. Deve essere però chiaro che
ciò non può e non deve significare la semplificazione del quadro
di scontro nel solo piano internazionale sottomettendo il piano classe/stato
al piano antimperialismo/imperialismo. In altri termini l'internazionalizzazione
nella formazione monopolistica, lo sviluppo integrato fra gli stati e l'interdipendenza
economica che ne deriva, muovono verso un processo tendenziale di formazione
omogenea sia dei caratteri della frazione dominante di borghesia imperialista
che del proletariato metropolitano; un processo appunto tendenziale che non
dissolve la funzione degli stati, anzi, li esalta all'interno degli organismi
sovranazionali, né fa dell'Europa occidentale un territorio politicamente
omogeneo. Perché lo specifico percorso rivoluzionario necessariamente
si sviluppa all'interno di ogni singolo stato ed è caratterizzato dalle
peculiarità storiche e politiche del contesto nazionale della lotta di
classe. Non tenere conto di ciò equivarrebbe ad appiattire due livelli
differenti che, sebbene reciprocamente influenzantisi, devono essere collocati
sul loro distinto piano.
L'antimperialismo per le BR vive in unità programmatica con l'attacco
al cuore dello stato costituendo entrambi i perni su cui si ricostruiscono i
termini della guerra di classe di lunga durata. L'antimperialismo per le BR
si materializza nel contributo alla costruzione/consolidamento del Fronte combattente
antimperialista, quale termine adeguato ad impattare le politiche centrali dell'imperialismo.
Si è reso, cioè, evidente che, stante l'attuale grado di integrazione
della catena imperialista e i conseguenti livelli di coesione politico/militare,
è necessario indebolire e ridimensionare l'imperialismo in quest'area
geopolitica per realizzare il processo rivoluzionario, sia che si tratti di
rivoluzione socialista, sia che si tratti di liberazione nazionale. In questo
senso, cioè, il consolidamento della politica di Fronte costituisce un
salto nella lotta proletaria e rivoluzionaria. Per le BR la tematica dell'antimperialismo
deve imperniarsi intorno allo sviluppo di politiche d'alleanza con tutte le
forze rivoluzionarie che combattono l'imperialismo in quest'area geopolitica
(europea, mediorientale, mediterranea) al fine di costruire offensive comuni
contro le politiche centrali dell'imperialismo. Più precisamente, si
tratta di lavorare a concretizzare, in successivi momenti di unità, l'attacco
all'imperialismo all'interno del criterio politico che l'attività di
Fronte non deve essere impedita dalle peculiarità d'analisi e di concezione
politica delle diverse forze rivoluzionarie che vi lavorano, né tanto
meno, discriminare l'attività del Fronte come unica attività rivoluzionaria,
ma essa deve stringere l'unità realizzabile nell'attacco pratico. Per
questo affermiamo, insieme alla RAF, che non si tratta di fondere ciascuna organizzazione
in una unica organizzazione, ma di costruire la forza politica e pratica per
attaccare l'imperialismo. Il contributo della RAF e delle BR al Fronte dimostra
come le differenze storiche e di percorso non possono e non devono costituire
un ostacolo al praticare una effettiva politica di alleanza, un contributo questo
che costituisce al tempo stesso un salto in avanti nella costruzione del Fronte,
perché si inserisce nella necessità di superare il primo periodo
sostanzialmente di propaganda della necessità del Fronte stesso, misurandosi,
invece, con la definizione più precisa della sua proposta politica, uscendo
così dalle secche del genericismo.
L'approdo al testo comune RAF-BR e soprattutto l'attività che lo sostanzia
sancisce questo salto di qualità e determina il primo passaggio dell'offensiva
comune contro le politiche di coesione dell'Europa occidentale all'interno dell'interesse
generale della catena imperialista, concretizzatosi con l'attacco ad Hans Tietmeyer,
sottosegretario alle Finanze e uomo chiave delle decisioni politiche e degli
indirizzi economici concertati; un'offensiva destinata a toccare i punti chiave
delle politiche di coesione che si esprimono sul piano economico/politico/diplomatico
controrivoluzionario.
La chiarezza degli obiettivi, il realismo politico nell'impostazione della politica
di Fronte ne determinano la valenza che va oltre l'unità immediata raggiunta,
perché apre la prospettiva politica dello sviluppo del Fronte sull'attacco
all'imperialismo, non solo tra le forze rivoluzionarie europee, ma con tutte
le forze rivoluzionarie che combattono nell'area, avviando concretamente l'unità
che già esiste oggettivamente tra le lotte nel centro imperialista e
i movimenti di liberazione nella periferia.
La Ritirata Strategica ha consentito alle BR di approfondire alcuni termini
dell'andamento della guerra di classe. In primo luogo ha verificato le implicazioni
che vivono operando nell'unità del politico e del militare. Questo principio,
caratterizzante la guerriglia, consiste principalmente nel fatto che la conduzione
dello scontro rivoluzionario avviene globalmente, senza separazione cioè
tra i diversi piani, stante l'impossibilità di accumulare forza politica
da riversare in un secondo tempo sul piano militare, data l'impossibilità
di mantenere zone liberate. La guerriglia quindi attacca militarmente lo stato
nei suoi aspetti politici centrali, il vantaggio momentaneo che ne consegue,
per non essere disperso, deve tradursi in organizzazione di classe sul terreno
della lotta armata adeguatamente calibrata alla fase di scontro. Questo chiarisce,
ancora una volta, la validità dell'impostazione che, al loro esordio,
le BR hanno dato alla questione della lotta armata, ovvero di una strategia
che dall'inizio alla fine caratterizza il processo rivoluzionario come proposta
a tutta la classe. In altri termini, la strategia della lotta armata è
il solo modo in cui si rende praticabile il processo rivoluzionario e si materializza
lo sviluppo della guerra di classe di lunga durata contro lo stato. In questo
processo l'avanguardia armata dirige e organizza tutte le avanguardie, i settori,
gli spezzoni di autonomia di classe che si dialettizzano e si dispongono nella
lotta armata. In questo percorso di costruzione delle condizioni stesse della
guerra di classe, della sua più precisa definizione e progettualità,
le BR si costruiscono come Partito. Questo concetto chiarisce il portato dell'unità
del politico e del militare nel processo rivoluzionario e secondariamente anche
cosa intendono le BR per "linea di massa", questa altro non è
che il termine di costruzione/organizzazione degli spezzoni più maturi
dell'autonomia di classe sul terreno della lotta armata, ovvero il lavoro di
massa è parte integrante della linea politica nonché intrinsecamente
aderente al suo asse strategico e persegue sempre e solamente la costruzione
degli organismi armati e clandestini della classe, nelle forme e nei modi calibrati
alle diverse fasi rivoluzionarie, nonché ai caratteri dello scontro,
per essere idonei a sostenere lo scontro prolungato contro lo stato. Per queste
ragioni possiamo dire che l'unità del politico e del militare agisce
come una matrice su tutto l'arco del processo rivoluzionario a partire dai termini
di costruzione/fabbricazione del Partito, ovvero, del funzionamento stesso dell'Organizzazione
che, pur essendo il nucleo fondante il Partito, è una forza rivoluzionaria
che esplica il suo agire come un "esercito rivoluzionario". La pratica
ha dimostrato che la guerriglia deve necessariamente funzionare con il modulo
politico/organizzativo definitosi storicamente come il più adeguato,
ovvero la strutturazione delle forze rivoluzionarie deve rispondere ad un criterio
che permetta la praticabilità del "modulo guerrigliero" all'interno
dei principi strategici di clandestinità e compartimentazione, in quanto
principi che permettono di esplicare il carattere offensivo della guerriglia
e limitare le perdite (comunque e sempre alte nella guerriglia). Le BR hanno
verificato la validità del proprio modulo politico/organizzativo e di
come, venendone meno, si rifletta in negativo sulla capacità di condurre
le forze al livello politico necessario. Il modulo politico/organizzativo delle
BR risponde alla necessità di strutturare i diversi livelli in istanze
inferiori e istanze superiori (vedi D.S. n.°2) regolate dal centralismo
democratico. L'unità di base costituita dalla cellula è la struttura
fondamentale dell'organizzazione: al suo interno si riproduce sia il funzionamento
del modulo che il patrimonio politico dell'organizzazione; questo permette la
riproduzione complessiva. La strutturazione delle forze, in ultima istanza,
permette di far vivere la capacità dei singoli nel collettivo. I criteri
generali, qui descritti, che permettono il funzionamento del modulo politico/organizzativo
sono validi sempre, cambia invece la disposizione delle strutture e più
in generale delle forze in campo, poiché quest'ultima riflette i mutamenti
di linea politica che subentrano con il mutare delle fasi di scontro. All'interno
del principio dell'unità del politico e del militare, la Ritirata Strategica
non è risolvibile semplicemente nella ricollocazione di un corpo di tesi,
ma investe non solo l'adeguamento dell'impianto organizzativo, ma soprattutto
il modo con cui si costruiscono i termini politico/militari della guerra di
classe; quindi la Ritirata Strategica assume un carattere di fase generale influendo
sulla disposizione tattica delle forze in campo. La disposizione tattica, pur
assumendo all'interno delle peculiarità politiche dello scontro, carattere
dinamico, è condizionata sia dal piano strategico di disposizione generale
delle forze nella lotta armata, sia dalle finalità della fase rivoluzionaria
di scontro.
Si tratta di analizzare i fattori che definiscono l'attuale fase di ricostruzione
tenendo conto che essa prende forma e consistenza all'interno della Ritirata
Strategica. Per modi, sostanza e tempi politici a cui deve essere finalizzata
l'attività rivoluzionaria complessiva, si può e si deve parlare
della ricostruzione come fase rivoluzionaria e non come semplice momento congiunturale.
Questa, sebbene sia influenzata dal senso generale che ha la Ritirata Strategica,
costituisce al tempo stesso la base, le fondamenta, su cui investire la condizione
attuale dei rapporti di forza. Ovvero la fase di ricostruzione, che già
vive nell'attività rivoluzionaria, muove per creare le condizioni politiche
e materiali atte a modificare e spostare in avanti il piano rivoluzionario,
e di conseguenza le posizioni del campo proletario. In sintesi una fase rivoluzionaria
che condiziona fortemente l'atteggiamento tattico relativo a come organizzare/disporre
le forze in campo, stante la fase di scontro politico fra le classi a fronte
del contesto prodotto dalla controrivoluzione e dall'approfondimento del piano
rivoluzionario che ne deriva. Sono tre i fattori a cui vanno riferiti i caratteri
della ricostruzione:
a) contesto della controrivoluzione, suo riflesso nella mediazione politica;
b) evoluzione dello stato, necessità e progetti borghesi;
c) stato del campo proletario, condizioni politiche e materiali del movimento
di classe e rivoluzionario.
a) Il riflesso degli effetti della controrivoluzione sul carattere della mediazione
politica fra le classi all'interno del contesto politico/generale che la genera,
mette in risalto come questo rapporto politico sia connotato da un maggior intervento
diretto dell'esecutivo nelle principali questioni che riguardano il governo
del conflitto di classe, a partire dalle vertenze "calde" (accordi
pilota) gli interventi costituzionali (diritto di sciopero e libertà
sindacali). Un dato che chiarifica la natura politica dello scontro di classe
e il suo grado di approfondimento. Evidenzia, inoltre, come in questo quadro
siano mutate le funzioni delle opposizioni istituzionali, siano esse politiche
che sindacali, nella relazione esistente tra neocorporativismo e accentramento
dei poteri nell'esecutivo, un fatto che, seppure contraddittoriamente, le porta
a ruotare, nella sostanza, intorno alle scelte dell'esecutivo; a farsi carico
di spinte localiste e demagogiche come nell'uso spregiudicato dei referendum
sia nella contrattazione, col fine di contenere le istanze di lotta, sia sul
piano politico/generale in senso filogovernativo. In sintesi, il carattere della
mediazione, il modo con cui si esprime il rapporto politico è dunque
riferimento obbligato nel definire il tipo di intervento rivoluzionario adeguato
a inciderlo e che giocoforza va riferito alla contraddizione dominante che matura
nel rapporto politico generale fra le classi.
b) Le peculiarità dello stato in Italia, date sia da come si è
formato storicamente (la Resistenza) che dall'esistenza del terreno rivoluzionario,
hanno condizionato, per molti versi, la stessa formazione delle forze politiche
che rappresentano l'interesse della frazione dominante di borghesia imperialista;
ma l'elemento di sostanza della sua evoluzione sta proprio nei processi attuali
di riformulazione dei poteri, perché evidenzia una rinnovata capacità,
da parte delle forze politiche, di ridefinire un progetto complessivo, non solo
riferito alle esigenze della borghesia imperialista nostrana, ma, e conseguentemente,
all'altezza delle posizioni che l'Italia ha e deve assumere nel contesto imperialista
soprattutto nello specifico europeo. Una capacità a tutt'oggi riconquistata
dalla Democrazia Cristiana che si qualifica come forza politica complessa e
matura, anello maggiormente in grado di imprimere le svolte necessarie agli
interessi della borghesia imperialista. Questo sintetico quadro fa comprendere
che l'attacco allo stato, l'incisività necessaria a disarticolarne i
progetti, non può eludere dall'evoluzione generale dello sviluppo del
Paese nel contesto della catena, di conseguenza dal tipo di progetti politici
che vengono definiti e di come questi si collocano, di volta in volta, in termini
dominanti in relazione ai rapporti di forza e agli equilibri politici fra le
classi. Ciò comporta la ferma assunzione, nel definire l'attacco, dei
criteri di centralità e selezione, la cui valenza vi è esaltata
proprio dal quadro di scontro, e che danno all'attacco la necessaria portata
per incidere al punto più alto di esso.
c) Lo stato del campo proletario riflette il modo con cui si materializza la
controrivoluzione, avendo essa attraversato orizzontalmente l'intero corpo di
classe a partire dalle espressioni più avanzate dell'autonomia di classe
che si sono dialettizzate con la guerriglia. Una dinamica che ha scompaginato
il tessuto di lotte proletarie, ridimensionato, in ultima istanza, il peso politico
della classe, un dato che paradossalmente ha influito sul ridimensionamento
delle sue rappresentanze istituzionali. Quello che va tenuto presente è
il quadro determinato dalla dialettica rivoluzione/controrivoluzione nel nostro
paese; un processo che si ripercuote nel modo con cui lo stato si relaziona
al campo proletario; in altri termini, lo stato ha ben presente che se non può
eliminare la componente rivoluzionaria, deve obbligatoriamente contrastarne
gli effetti e la valenza della sua proposta politica: in questo senso ha definito
un apparato antiguerriglia con un raggio d'intervento politico complessivo,
ovvero finalizzato a tenere sotto pressione le componenti proletarie e rivoluzionarie
che esprimono antagonismo contro lo stato, un aspetto, questo, che si compenetra
con la mediazione politica facendo di quest'ultima un reticolo di atti politici
e materiali che contrastano l'ambito stesso di formazione delle avanguardie
nel tentativo di impedire all'autonomia di classe di esprimersi. In sintesi,
misurarsi con le condizioni politiche del rapporto classe/stato per pesare sugli
equilibri dello scontro stesso, mette in luce i termini della necessaria dialettica
guerriglia/autonomia di classe a partire dalla direttrice dell'attacco allo
stato all'interno dei criteri sopraddetti. Una dialettica che a livello dell'organizzazione
di classe nella lotta armata, tenendo conto della materialità, concretezza
e carattere dello scontro, deve agire sul binario ricostruzione/formazione;
ovvero ricostruzione nell'ambito operaio e proletario delle condizioni politiche
e materiali danneggiate e disperse dalla controrivoluzione: formazione delle
forze che si dispongono in modo da renderle adeguatamente organizzate a sostenere
il livello di scontro contro lo stato. Un termine di lavoro che attraversa orizzontalmente
e verticalmente le forze in campo (seppure con le dovute differenze), a partire
in primo luogo dalla formazione dei rivoluzionari (forze rivoluzionarie) i quali
devono esprimere la direzione adeguata a questo piano di disposizione. In ultima
analisi questo duplice intervento recupera il patrimonio di 18 anni di attività
rivoluzionaria delle BR per rilanciarlo nella maturità e progettualità
attuali.
Riassumendo, la fase di ricostruzione è un passaggio delicato e complesso
ed investe il tipo di riadeguamento intrapreso dalle BR nel senso più
generale, cioè riferito alla capacità, non solo di riqualificare
l'impianto e il tipo di caratterizzazione del quadro militante, ma questo in
relazione alla necessità di determinare una direzione/organizzazione
delle forze in grado di muovere sul duplice binario di ricostruzione/formazione,
al fine di disporle adeguatamente nello scontro. Quindi la disposizione tattica
rispetto alla fase rivoluzionaria di ricostruzione ruota intorno al salto di
qualità operato dalla centralizzazione, nell'attività generale
dell'organizzazione, delle forze in campo. Questo ha significato misurarsi con
l'approfondimento dello scontro, la necessità della centralizzazione
sul piano di disposizione delle forze nell'attività generale dell'organizzazione
per meglio renderle funzionali all'attacco, disponendole come un sol cuneo intorno
all'attacco in modo da incidere ed assestarsi adeguatamente nello scontro. La
centralizzazione delle forze nell'attività generale dell'organizzazione
è un avanzamento nel processo di costruzione del Partito, della sua funzione
di direzione/organizzazione dello scontro; questo implica che le istanze di
compagni rivoluzionari, la stessa costruzione di reti proletarie, siano centralizzate
nell'attività generale dell'organizzazione, poiché la semplice
disposizione spontanea delle forze sul terreno della lotta armata non è
sufficiente a farsi carico dei termini dello scontro. La disposizione di queste
forze nell'attività dell'organizzazione implica il necessario calibramento
delle funzioni e dei ruoli rispetto al quadro di coscienza espresso, ma ugualmente
funzionalizzate al piano di lavoro generale. Quello che si è verificato
è la necessità di formare le forze che si dispongono, all'interno
del criterio organizzato del lavoro rivoluzionario a partire dai compagni rivoluzionari,
date le caratteristiche del processo rivoluzionario. Se la Ritirata Strategica
è una fase a carattere generale, al suo interno già vive la fase
di ricostruzione delle forze proletarie e rivoluzionarie e degli strumenti politico/organizzativi
per attrezzare il campo proletario nello scontro prolungato contro lo stato.
Un elemento di programma, questo, che vive dialetticamente connesso alle linee
di attacco sia al progetto di riformulazione dei poteri dello stato che ai progetti
centrali dell'imperialismo costituiti dalle politiche di coesione dell'Europa
occidentale.
Su questi termini programmatici le BR per la costruzione del Partito Comunista
Combattente lavorano a concretizzare la parola d'ordine dell'unità dei
comunisti.
- Attaccare e disarticolare il progetto antiproletario e controrivoluzionario
demitiano di "riforma" dello stato.
- Costruire e organizzare i termini attuali della guerra di classe.
- Attaccare le linee centrali della coesione politica dell'Europa occidentale
e i progetti imperialisti di normalizzazione dell'area mediorientale che passano
sulla pelle dei popoli palestinese e libanese.
- Lavorare alle alleanze necessarie per la costruzione/consolidamento del Fronte
combattente antimperialista. Per indebolire e ridimensionare l'imperialismo
nell' area geopolitica.
- Onore ai rivoluzionari antimperialisti caduti.
I militanti delle BR per la costruzione del Partito Comunista Combattente -
Maria Cappello, Fabio Ravalli
Firenze, 25 novembre 1988