Biblioteca Multimediale Marxista
INDICE
CAPITOLO PRIMO
Origini e sviluppi del pensiero anarchico
1.1 Origini
1.2 La società anarchica
1.3 L’attivismo anarchico
CAPITOLO SECONDO
Gli autori anarchici
2.1 filoni anarchici
2.2 Anarchici individualisti: Stirner
2.3 Anarchici sociali
2.3.1 mutualisti: Proudhon
2.3.2 collettivisti: Bakunin
2.3.3 anarco-comunisti: Kropotkin
2.3.4 anarco-sindacalisti
2.4 Anarchismo religioso: Tolstoj
CAPITOLO TERZO
L’anarchismo in Italia
3.1 Il movimento anarchico italiano
3.1.1 Malatesta
3.1.2 Cafiero
3.1.3 Berneri
3.1.4 Merlino
CAPITOLO QUARTO
Anarchismo e nichilismo
4.1 Convergenze tra Anarchismo e nichilismo
4.2 Conclusioni
BIBLIOGRAFIA
INTRODUZIONE
Molto spesso il termine anarchico, ossia il seguace dell’Anarchismo, viene
associato alle definizioni di bombarolo, terrorista, oppure di chi con ogni
mezzo vuole instaurare una società dove non vi è nessuna organizzazione
politica, anzi dove a regnare sarà solo ed esclusivamente il caos.
Questa teoria è sempre stata etichettata negativamente appunto per il
suo principale obiettivo, quanto esclusivo e per alcuni aspetti anomalo, di
eliminare lo Stato, perché visto come una minoranza privilegiata che
si impone sulla maggioranza che sta in basso, la quale deve solo obbedire. Quindi,
con una chiara negazione della propria libertà e dignità.
Compito di questo libro non è quello di fare proseliti anarchici, ma
di dimostrare semplicemente che la teoria anarchica, come del resto tutte le
altre dottrine politiche, ha un programma ben preciso ed articolato. Naturalmente
i principi anarchici possono essere attuabili o meno, giusti o ingiusti, ma
non è certo intenzione di questo testo stabilire ciò o rivalutare
e diffondere il pensiero anarchico.
L’obiettivo è solo quello di contribuire a far conoscere meglio
una teoria, troppo spesso disprezzata e criticata - da chi suo malgrado ignora
la dottrina anarchica - che comunque ha dato un determinato contributo nell’affermazione,
anche se solo in parte, di alcuni principi e valori primi fra tutti quelli della
libertà e l’uguaglianza.
Il testo quindi, grazie ad un’importante bibliografia, dopo un’iniziale
dissertazione sui principi e valori anarchici – in cui si tiene a risaltare
che essi sono nati molto tempo prima della nascita del termine Anarchismo –
procede ad elencare il modello di società anarchica.
Si passa poi all’attivismo libertario - spesso punto di debolezza di questa
dottrina - ed hai maggiori eventi della storia anarchica. Infine, si prosegue
ad un’analisi abbastanza accurata dei vari filoni anarchici e dei loro
maggiori esponenti e pensatori.
A cominciare dall’anarchismo individualista di Max Stirner a quello sociale
che rappresenta, con i vari Joseph Proudhon, Michail Bakunin, Petr Kropotkin
e gli anarco-sindacalisti, quel filone che nell’arco della sua storia
ha dato origine alle sfumature più diverse. Fino ad arrivare a Lev Tolstoj
capofila di una corrente del tutto particolare definita: anarchismo religioso.
L’analisi continua esaminando l’influenza che hanno avuto, i maggiori
esponenti di questa dottrina, sul movimento anarchico italiano, concentrandosi
anche qui su importanti personaggi come Errico Malatesta, Carlo Cafiero, Francesco
Saverio Merlino e Camillo Berneri.
La diffusione dell’Anarchismo in Italia, che fece presa soprattutto negli
ambienti ex garibaldini ed ex mazziniani, fu sicuramente favorito dal soggiorno
di Bakunin nella Penisola. Le sue influenze furono sia positive, con rivolte
di una certa importanza su tutte quella, seppur fallimentare, di Carlo Pisacane,
ma anche negative, come la famigerata “propaganda dei fatti” che
portò a numerosi attentati, tra cui l’uccisione di Umberto I di
Savoia per mano di Gaetano Bresci, in seguito ai vari fallimenti dei moti insurrezionali
e alle dure repressioni.
Il movimento anarchico italiano si distinse inoltre, anche per le lotte all’interno
del Partito Socialista Italiano e dell’Unione Sindacale Italiana, che
portarono alla sua sfaldatura in occasione del primo conflitto mondiale. Per
poi essere ricostruito nell’immediato dopoguerra e sopravvivere con poca
fortuna fino ai giorni nostri.
Il libro si conclude evidenziando i punti di contatto della teoria anarchica
con il Nichilismo, cioè quel termine con cui viene indicata qualsiasi
dottrina filosofica che giunge alla negazione della realtà o di valori
e principi affermati, per dimostrare ancora una volta l’interdisciplinarietà
dell’Anarchismo.
E’ certamente il simbolo più famoso di tutto il
movimento anarchico ma anche – per ironia della sorte – quello del
quale si conosce meno il significato. Secondo alcuni storici e parecchi anarchici,
la A cerchiata è il simbolo più famoso perché si presta
meglio ad essere graffitato sui muri.
In accordo con Peter Marshall (P. Marshall, “Demanding the impossible”)
molti anarchici vedono l’origine simbolica della A cerchiata nella massima
di Proudhon “Anarchia è Ordine”, che in inglese è
“Anarchy is Order” ed anche in tutte le altre lingue occidentali
le due parole iniziano con A e O.
Meno chiara è invece l’origine del simbolo. Il primo “avvistamento”
della A cerchiata si è avuto durante la guerra civile spagnola sul finire
degli anni ’30. Successivamente il simbolo è stato poi ripreso
nel 1956 dal movimento francese Alliance Ouvriere Anarchiste (AOA) e nel 1964
da un famoso gruppo francese, Gioventù Libertaria. In ogni modo la diffusione
massiccia in tutto il mondo della A cerchiata avviene nel 1968.
CAPITOLO PRIMO
Origini e sviluppi del pensiero anarchico
1.1 Origini
L’Anarchismo è una teoria politico-filosofica
con l’obiettivo di creare una società senza classi e senza gerarchie
politiche, economiche e sociali.
La dottrina dell’anarchismo sostiene la creazione dell’anarchia,
ossia realizzare una società, basata sulla massima “nessun dominatore”,
dove ogni individuo collabori liberamente con i suoi simili.
Il pensiero anarchico è espressione di lotta e si oppone decisamente
ai sistemi autoritari, infatti, secondo Sebastian Faure “chiunque neghi
l’autorità e combatte contro di lei è un anarchico”[1].
L’essenza dell’anarchismo è che la dominazione è altamente
degradante ed umiliante, poiché il giudizio e la volontà del dominato
sono soffocati da quelli del dominatore, che così distrugge la dignità
e l’autonomia dell’individuo.
In più la dominazione rende possibile lo sfruttamento, in pratica la
radice dell’ineguaglianza, della povertà e del collasso sociale.
I valori e i punti di riferimento del pensiero libertario[2] sono la libertà
e l’uguaglianza, considerati come inscindibili.
Per questo motivo, gli anarchici rinfacciano al Socialismo e al Liberalismo
di essere delle dottrine parziali, perché mentre per il Socialismo il
valore base è l’uguaglianza soltanto, per il Liberalismo lo è
unicamente la libertà.
Per i pensatori anarchici, invece, la libertà individuale si realizza
solo attraverso il completo dispiegamento dell’uguaglianza sociale, e
quest’ultima si concretizza soltanto con la completa manifestazione della
libertà.
Tutto ciò perché la storia dell’umanità dimostra
un principio: che la libertà senza l’uguaglianza è soltanto
libertà per i potenti, ed uguaglianza senza libertà è praticamente
impossibile.
Il significato del termine anarchia, vale a dire l’obiettivo dell’anarchismo,
affonda le sue radici nella lingua greca, infatti, “an” deriva dal
greco e significa “non” “assenza di“ o “mancanza
di” più “anchos” che significa “un regnante”
“un capo” o “autorità”[3].
Di conseguenza “an-archia” significa “senza regnante”,
“senza autorità” o “assenza di un governo”[4].
L’anarchia quindi, non indica altro che la dimora della semplicità
in contrapposizione alla società gerarchica e burocratica, spesso però
tale parola è stata utilizzata per indicare caos e disordine.
Ma come sostenne, l’anarchico italiano, Errico Malatesta ciò deriva
dal fatto che un governo è sempre stato ritenuto necessario, in quanto
in sua mancanza vi sarebbe stato solo disordine e confusione, dunque è
naturale sostenere che l’assenza di un governo suonasse, nello stesso
tempo, come mancanza d’ordine[5].
Continua Malatesta, sostenendo che una volta eliminato lo Stato, l’anarchia
incarnerà l’ordine naturale e l’unione degli interessi e
dei bisogni di tutti.
Alla base dell’anarchismo vi è dunque l’abolizione dello
Stato, cioè di quella particolare organizzazione che, secondo gli anarchici,
assicura all'élite regnante il potere e, nel frattempo, con la rappresentanza
realizza la falsa sensazione di una democrazia.
Lo Stato, inoltre con la sua natura gerarchica rende possibile una società
divisa in classi avvalendosi poi del monopolio della violenza, per controllare
la collettività e difendere il potere dei privilegiati.
Suddetto controllo dello Stato può avvenire in modo diretto nei paesi
comunisti e in modo indiretto in quelli liberali, dove lo stato si avvale per
il suo scopo di altri organi, da lui diretti.
Naturalmente come conseguenza di tutto ciò, gli anarchici procedono anche
ad una ferma condanna dell’imperialismo, cioè di quel processo
con il quale un paese, con mezzi politici o spesso con mezzi economici, domina
un altro paese.
La nascita dei principi anarchici, avvenuta molto tempo prima dell’invenzione
del nome, è molto incerta, e soprattutto spesso oggetto di discussioni.
Una tesi particolare è stata sostenuta con un certo vigore da Nestor
Makhno[6]; egli afferma che i principi anarchici derivano dalla lotta dei lavoratori
contro gli sfruttatori, dalla ricerca dei loro bisogni, delle loro necessità
e della loro libertà ed uguaglianza[7].
Inoltre Makhno sostiene che, nell’arco della storia, molte persone in
numerose situazioni hanno avuto inconsapevolmente dei comportamenti anarchici,
dando quindi origine ai principi.
I grandi pensatori, come Bakunin e Kropotkin, hanno contribuito solo a divulgare
il pensiero anarchico.
Sicuramente coerenti con questa tesi sono coloro che, addirittura, fanno risalire
la nascita dei principi anarchici alle lotte degli schiavi romani, dette “rivolte
servili”.
Manifestazioni più concrete si ebbero nel XVI secolo ad opera di una
setta di contadini svizzeri, denominata dei “Liberi Fratelli”, che
faceva derivare direttamente da Gesù Cristo i propositi di libertà,
tutte le leggi e la comunità dei beni[8].
Tale setta era una delle tante formatesi nei paesi di lingua tedesca situati
nell’Europa centro-occidentale, sull’insegnamento e la predicazione
del riformatore radicale anabattista Thomas Munzer; il quale addirittura realizzò
per brevissimo tempo una repubblica contadina basata sulla libertà e
sull’uguaglianza sociale[9].
Intorno alla metà del XVII secolo sempre dei religiosi, questa volta
radicali puritani pacifisti, detti “diggers” guidati da Gerard Winstanley,
si batterono nell’ambito del Commowealth britannico per l’abolizione
della proprietà privata ed una piena libertà dell’individuo.
I principi anarchici dei “diggers”, letteralmente “zappatori”,
erano racchiusi nell’opera di Gerrard Winstanley[10] The new law of righteousseness
del 1649.
Ma una prima espressione compiuta delle teorie anarchiche fu compiuta verso
la fine del XVIII secolo, sull’onda della critica illuminista e nell’ambito
della reazione romantica allo stesso illuminismo[11], da William Godwin, definito
dal grande pensatore anarchico Petr Kropotkin, “il primo teorico del socialismo
senza governo”[12].
Godwin nella sua opera Enquiry concerning political justice del 1793 delinea
una società naturale, indipendente ed egualitaria, esprimendo la sua
insofferenza per ogni forma di controllo esterno.
Godwin per la sua formazione illuminista è spesso definito “l’uomo
della ragione”[13] anche perché non condivideva che il popolo fosse
abbandonato a se stesso ai suoi istinti spontanei, in quanto per lui l’educazione
era l’unica e vera chiave per la libertà.
Inoltre, sosteneva che l’educazione insieme all’istruzione erano
possibili unicamente in una società libera ed egualitaria, quindi le
collettività dove dominano le strutture autoritarie e l’ente politico
“governo”, non sono in grado di impartire al giovane una formazione
etica e culturale[14].
Godwin auspicava ad un’abolizione dello Stato, sostituendo la precedente
organizzazione, con piccoli comuni che egli chiama “parrocchie”[15],
dove la persona umana abbia la minima coercizione possibile e goda della massima
libertà ottenibile.
Le sue tesi anarchiche scandalizzarono, ma raccolsero anche adepti ed influenzarono
gran parte dei Socialisti inglesi e furono addirittura riprese negli Stati Uniti,
da Josiah Warren[16].
Invece, uno dei massimi poeti inglesi, Percy Bisshe Shelley cercò di
tradurre poeticamente quanto questi aveva esposto in prosa e in termini politici.
Godwin non si definì mai anarchico, termine che insieme con l'anarchia,
proprio in quegli anni, in Francia durante il periodo rivoluzionario, cominciava
a fare la sua prima comparsa.
Questi due termini furono usati per la prima volta per indicare nell’ambito
dell’assemblea, da Destra a Sinistra l’avversario politico, più
precisamente il girondino Brissot nel lontano 1793 definì la corrente
degli Enragès, cioè degli arrabbiati, “anarchici”
in quanto contestavano ogni autorità e volevano opporre alla Convenzione
un’assemblea di diretta emanazione popolare.
Durante il XIX e XX secolo il termine “anarchismo”, in tutti i dizionari
e le legislazioni[17], conserverà il suo significato puramente negativo;
infatti, sia nel linguaggio politico sia in quello letterario sarà usato
unicamente per indicare situazioni di caos e disordine.
Per molti storici (ed anche per molti anarchici) la bandiera rosso-nera è
associata con l’anarcosindacalismo, più che con l’anarchismo.
Nonostante questa considerazione, la prima apparizione di una bandiera rosso-nera
è tutta italiana e precedente alla nascita del sindacalismo.
Nell’aprile 1877 gli anarchici della Banda del Matese, guidati da Malatesta
e Cafiero, issarono sul municipio di Letino la bandiera rosso-nera. L’episodio
è citato non solo dalla bibliografia specializzata (P.C. Masini. “Gli
Internazionalisti. La Banda Del Matese”) ma è anche registrato
nei verbali del processo di Benevento del 1878 contro i componenti della stessa
banda.
Quasi contemporaneamente, la bandiera rosso-nera appare in Messico, durante
la protesta del 14 dicembre 1879 a Città del Messico.
1.2La società anarchica.
L’anarchismo non è una teoria solo negativa, che
si limita quindi alla critica, ma è anche una teoria positiva, in quanto
offre una visione del tipo di società che vuole instaurare, dove l’uguaglianza
e la libertà unite, e con la solidarietà possono fiorire e svilupparsi.
Sempre in questa società l’anarchismo pur riconoscendo una differenza
d'abilità tra gli individui, non permette che ciò diventi potere;
mentre la conquista della libertà deve avvenire per ognuno attraverso
le proprie forze anche se non si tratta di libertà assoluta.
La società anarchica ideale è costituita da poteri decentrati
e basata su libere associazioni, dette anche “comuni”, le uniche
in grado di rendere il massimo di libertà, uguaglianza e solidarietà.
Infatti, l’associazionismo libero e volontario è la pietra miliare
della società anarchica. L’uomo deve essere libero di unirsi con
chi lo ritiene meglio, gestendo la sua vita e lavorando con gli altri per il
bene suo, ed indirettamente per il bene di tutti[18].
Per realizzare l’associazionismo è fondamentale il decentramento
del potere, mediante collettivi autogestiti con la democrazia diretta, dove
vale il principio “un uomo un voto”.
Naturalmente non bisogna credere che la società anarchica sia un paradiso
terrestre dove tutti vanno d’accordo, ma in caso di contrasti tra le varie
associazioni o individui si può discutere e trattare per trovare la via
migliore per ognuno di loro, senza che nessuno però imponga le proprie
idee agli altri[19].
Addirittura le idee contrastanti sono ritenute fondamentali, in quanto aprono
nuove porte sconosciute, oppure illuminano strade fino ad ora buie.
Un’associazione volontaria non può discutere con lo Stato, giacché
non vi è equità tra loro, perché lo Stato, purtroppo, può
tranquillamente imporre le sue norme a tutti.
Le numerose associazioni autonome della società anarchica sarebbero amministrate
da assemblee di massa, e per gestire i diversi compiti vi sarebbe un comitato
eletto dai soci.
Il comitato sarebbe composto da delegati con un mandato temporaneo dell’assemblea
per gestire l’organizzazione, ma senza nessun potere legislativo.
Se i delegati abusano del loro mandato, oppure cercano di allargare le loro
possibilità per esempio prendendo decisioni da soli, il mandato sarà
immediatamente tolto, e si procederà all’elezione di una nuova
assemblea.
In questo modo l’organizzazione dell’assemblea rimane nelle mani
degli individui che l’hanno creata.
Gli anarchici criticano duramente il sistema parlamentare, cioè quell’organizzazione
di governo dove la gente delega il potere, tramite le elezioni, ad un gruppo
di rappresentanti che devono prendere decisioni per loro in un tempo determinato.
Ma se mantengono o meno le promesse elettorali è irrilevante, perché
il popolo non li può richiamare prima della scadenza del loro mandato.
Il potere resta dunque nelle mani di pochi, una minoranza privilegiata, mentre
la maggioranza che sta in basso deve solo obbedire con una chiara negazione
della propria libertà e dignità.
Nella società libertaria avverrebbe il contrario, poiché nessun
individuo o associazione ha la possibilità di tenere il potere, anche
perché le decisioni sono prese usando i principi della democrazia diretta;
infatti, gli anarchici presenti nelle democrazie rappresentative hanno spesso
usato come metodo di critica di tale democrazia il fenomeno elettorale dell’astensionismo.
Inoltre le comunità egualitarie, formate con l’accordo volontario,
potranno liberamente associarsi e formare confederazioni con la stessa gestione
delle piccole collettività.
Ci sarebbero congressi regionali, nazionali [20] ed internazionali nelle quali
le decisioni importanti andranno discusse, decise e coordinate.
Inoltre comitati d’azione sarebbero formati, se necessario, per gestire
ed amministrare i lavori, sotto il severo controllo “dal basso”
cioè da parte di tutti i cittadini comuni.
Questi delegati avrebbero un compito preciso per un tempo limitato, ma senza
nessun potere, anzi se qualche delegato modificasse in qualche modo il mandato,
dovrebbe tornare alla confederazione per la ratifica.
Se un collettivo, non concordasse con le decisioni prese dalla confederazione,
potrebbe liberamente rifiutare e ritirarsi dalla confederazione per poi unirsi
ad un'altra.
Sempre nell’ambito della società libertaria, se qualcuno decidesse
di vivere isolato dagli altri, sarebbe libero di farlo, ma soprattutto nessuno
lo potrebbe obbligare a far nulla; chiaramente dovrebbe vivere con i propri
mezzi, contando però sul fatto che la terra è un bene comune.
Dunque soltanto con un’organizzazione del genere, retta da libere associazioni,
si può procedere all’eliminazione dello Stato; inoltre si ottiene
anche una maggiore responsabilizzazione dell’uomo, che con la partecipazione
all’interno della comunità si assicura il pieno sviluppo delle
capacità individuali, perché ogni accordo raggiunto all’interno
della società può stimolare la responsabilità, l’iniziativa,
l’intelletto e la solidarietà tra gli individui.
Valori questi che non certo i libertari vedono raggiungibili attraverso una
religione, infatti, nonostante l’origine di alcuni principi anarchici
all’interno qualche movimento religioso, vi è una parte degli anarchici
che procede ad un rifiuto della religione, in quanto l’idea di un Dio
è espressione dell’autorità, di conseguenza prendono la
via dell’ateismo.
Mentre l’altra parte degli anarchici si oppone solo all’autorità
della Chiesa, trovando addirittura richiami anarchici in alcuni passi biblici
di Gesù Cristo, che da “buon anarchico”, secondo loro, si
era occupato sempre della povera gente senza mai imporre il suo dominio.
Nonostante queste divergenze, l’opinione comune dei libertari è
che ognuno è libero di professare la propria fede, la quale è
sua e di nessun altro, neanche degli istituti corrotti ed autoritari, come la
chiesa, che la impongono.
La prima occasione dell’uso della bandiera nera da parte degli anarchici
si ha nel 1910 per merito di Emiliano Zapata in Messico. In seguito tale simbolo
si diffuse rapidamente in tutto il mondo. Da Nestor Makhno durante la rivoluzione
russa, che sventolando la bandiera nera, con il suo gruppo armato liberò
una grossa parte dell’Ucraina.
L’origine storica della bandiera nera è piuttosto sconosciuta.
Secondo lo storico dell’anarchismo Gorge Woodcock, la prima volta che
la bandiera nera appare pubblicamente è dovuta alla pensatrice anarchica,
ed eroina della Comune, Louise Michel, che la fece sventolare il 9 marzo 1883
durante le manifestazioni dei disoccupati di Parigi.
Questa tesi è stata storicamente contraddetta da ricerche più
recenti, le quali però non riescono a fare piena luce sulla precisa origine
della bandiera. Quel che è certo, è che nei primi anni 80 del
XIX secolo gli anarchici iniziano ad usare simboli nei quali è presente
il nero: è il caso del gruppo di Chicago “Internazionale Nera”,
della rivista anarchica francese “Le Drapeau Noir”.
Lo spostamento dalla bandiera rossa, simbolo della rivoluzione, verso quella
nera va collocato storicamente proprio a cavallo tra gli anni 70 ed 80 del XIX
secolo, periodo durante il quale si verifica il profondo cambiamento del movimento
socialista. Il marxismo diviene la corrente predominante, passa dalla concezione
rivoluzionaria della via da seguire a quella riformista e parlamentarista. Tale
corrente principale del socialismo si appropria dell’uso della bandiera
rossa.
1.3 L’attivismo anarchico
Tra i mezzi per raggiungere la società ideale e il supremo
fine della libertà vi è il Verbo, cioè la parola, infatti,
per gli anarchici la propaganda ricoprirà sempre un ruolo essenziale
attraverso opuscoli, comizi, volantini ed una serie innumerevole di testate
giornalistiche.
Anche se un tentativo di rivoluzione anarchica non c’è mai stata,
si sono verificati molti episodi all’interno di rivolte con protagonisti
dei libertari; e nonostante abbiano avuto poca fortuna e successo, tali episodi
sono rimasti comunque dei punti di forza e d’ispirazione per il movimento
anarchico.
La prima grande manifestazione anarchica si ebbe alla comune parigina del 1871,
quando inseguito alle rivolte per la sconfitta bellica dei francesi con la Prussia,
s’instaurarono delle libere associazioni, che dovevano precedere la costituzione
di uno stato confederato di “comunes”; il tutto secondo il progetto
di Michail Bakunin[21].
La risposta dello Stato fu violenta e dopo soli tre mesi la comune fu sciolta
e si ebbe l’uccisione di 20.000 comunardi.
Da questo momento in poi la reazione degli anarchici, pur se frutto di azioni
molto individuali, fu caratterizzata dalla violenza, infatti, ebbe inizio la
cosiddetta “propaganda di fatto”.
Ad ogni brutalità dello Stato corrispondeva un altrettanto atto facinoroso
da parte di militanti e simpatizzanti anarchici.
Purtroppo proprio per questo loro modo d’agire violento quanto inutile,
fa si che l’anarchico, ancora oggi, sia spesso identificato come pericoloso,
bombarolo e terrorista.
La storia ci dimostra che qualsiasi movimento o gruppo è stato protagonista
di atti violenti, dai cristiani ai musulmani, dai fascisti ai comunisti, dai
nazionalisti ai patrioti ecc.
La violenza è violenza per tutti, cambia solo l’uso che se ne fa,
c’è chi opprime con la violenza ad esempio il regime fascista di
Mussolini, e chi vuole liberarsi con la violenza, la resistenza partigiana durante
suddetto regime.
La “propaganda di fatto” dimostrò subito la sua inutilità,
perché al di la dell’atto dimostrativo, l’uccisione di un
re o di un presidente, portava soltanto all’incoronazione di un altro
re o all’elezione di un altro presidente.
Tra i personaggi illustri a cadere per mano anarchica si ricordano il presidente
francese Sadi Cornot, il primo ministro spagnolo Canovas, Elisabetta detta “Sissi”
l’Imperatrice d’Austria e d’Ungheria, il presidente degli
Stati Uniti William Mckinley ed infine il “re buono” d’Italia
Umberto I di Savoia.
Tutti i protagonisti di questi episodi agirono senza nessuna organizzazione,
ma di spontanea volontà reagendo, a modo loro, a precedenti episodi in
cui libertari o semplici operai e contadini erano stati vittime della violenza
dello Stato.
Sicuramente protagonisti di illustri attentati furono due italiani: Gaetano
Bresci e Sante Caserio.
Bresci era un operaio toscano immigrato negli Stati Uniti, fece ritorno in Italia
per assassinare il re Umberto I nel 1898, in quanto voleva vendicare il massacro
di alcuni popolani milanesi ad opera del generale monarchico Bava Beccaris.
Mentre Sante Caserio alcuni anni prima uccise il presidente francese Cornot
reo di aver condannato a morte degli anarchici francesi.
In questo periodo, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, gli anarchici
organizzati ebbero un ruolo efficace anche nell’ambito del movimento sindacalista,
dove seguendo l’insegnamento di Kropotkin[22], intendevano mobilitare
le masse di lavoratori.
Invece, la prima guerra mondiale rappresenterà la pietra tombale dell’anarchia,
infatti, il loro acceso antimilitarismo e di conseguenza il non interventismo
li isolò del tutto.
Dopo una gloriosa ripresa con i momenti iniziali della rivoluzione russa e dei
moti italiani del 1919-20[23], il movimento subì una forte decimazione
ad opera dei fascismi europei e dei movimenti leninisti.
Tutto il movimento libertario italiano, cercò in tutti i modi di contrastare
l’avanzata fascista, infatti, gli anarchici contribuirono alla formazione
degli “Arditi del Popolo”, un’organizzazione della classe
operaia per resistere agli squadristi.
Inoltre durante il regime parteciparono attivamente alle lotte della resistenza
nelle file partigiane.
Un ruolo di primo piano nella lotta ai libertari, lo ebbero anche gli Stati
Uniti, infatti, nella “terra della libertà” il movimento
fu debellato con una spietata repressione, e con l’impiccagione dei maggiori
dirigenti a Chicago nel 1886.
Inoltre le autorità governative statunitensi era propense a condannare
chiunque fosse sospettato di qualsiasi associazione, che per loro, poteva essere
eversiva.
Lo dimostra la vicenda di due immigrati italiani, il piemontese Bartolomeo Vanzetti
e il pugliese Nicola Sacco, condannati a morte e giustiziati nonostante la loro
innocenza; l’unica colpa, quella d'essere italiani, ma soprattutto anarchici
e di volere un mondo più libero e più giusto[24].
Il ridimensionamento anarchico fu a carattere mondiale e durò fino agli
anni ’60, quando in questo “decennio di lotte”, tutta la sinistra
che partecipò alle rivolte guardò con molto interesse all’anarchismo
traendo ispirazione dai suoi principi.
In Francia nel ’68, tornò prepotentemente sulla scena l’anarchismo,
dopo che molti ne avevano dichiarato la morte.
Frequenti furono i richiami alla comune parigina del 1871, ma la “rivoluzione
sessantottina“ fallì per le divisioni all’interno del movimento
e per la dura repressione.
In Spagna, dopo la morte di Francisco Franco, la fiaccola dell’anarchia
ritornò a splendere, proprio dove negli anni ’30 era stato presente
il più numeroso movimento anarchico del mondo[25].
Infatti, prima dell’avvento di Francisco Franco i libertari avevano creato
delle federazioni di collettivi autogestiti, ma ebbero poca fortuna schiacciati
nella morsa tra fascisti e leninisti[26].
Questi episodi non furono isolati, in quanto un certo risveglio libertario avvenne
un po’ dappertutto nel mondo, grazie anche al ritorno delle varie forme
di democrazia.
Oggi il movimento anarchico è relativamente debole, anche se in paesi
come la Spagna, la Svezia e l’Italia conta organizzazioni di circa 250
000 persone.
Gli anarchici di oggi hanno unito la loro “storica” lotta allo Stato
ed alle istituzioni in genere con quella alla globalizzazione intesa come il
nuovo ordine economico mondiale che si sta delineando.
Infine, ancora oggi come anche nel recente passato, i libertari sono spesso
identificati come i più violenti dei contestatori e molte volte accusati
anche di terrorismo ed eversione[27].
CAPITOLO SECONDO
Gli autori anarchici
2.1 I filoni anarchici
La dottrina anarchica dalla nascita, e nell’arco della
sua diffusione e del suo sviluppo, non è mai stata espressione di un
unico pensiero.
La teoria anarco-libertaria si presenta articolata in differenti sfumature,
tutte direttamente riconducibili all’Anarchismo, alcune delle quali molto
distanti tra loro, altre invece, molto vicine.
Nonostante le differenze più o meno accentuate, comune a tutti gli anarchici
è il desiderio di una società libera da tutte le istituzioni coercitive,
politiche e sociali, che ostacolano la libera evoluzione dell’umanità[28].
Le principali differenze sono tra gli anarchici individuali e quelli sociali,
questi ultimi a loro volta, sono frazionati in ulteriori correnti di pensiero,
che vanno dai mutualisti, ai collettivisti, passando per i comunisti-libertari
fino alla corrente anarco-sindacalista.
Questi ulteriori frazionamenti della dottrina anarchica rappresentano il più
delle volte punti d’incontro delle diverse tendenze o leggere sfumature
dell’una o dell’altra corrente.
Le principali differenze tra gli anarchici sociali e quelli individuali sono
due.
La prima riguarda il mezzo d’azione mediante la quale si realizzerà
l’anarchia.
Gli individualisti hanno come cardine della loro azione l’educazione e
la creazione d'istituzioni alternative, come unioni e comuni; sostenendo scioperi
ed altre iniziative di protesta non violente.
Infatti, ritengono che la rivoluzione sia contraria ai principi anarchici, ed
auspicano alla riforma del sistema capitalista.
Gli anarchici sociali, invece, pur riconoscendo l’importanza dell’educazione
e della creazione d’istituzioni alternative, sostengono che ciò
non sarà mai sufficiente.
Fondamentale è, per questo filone dell’anarchismo, il processo
rivoluzionario che porta all’abbattimento del sistema capitalista.
La seconda differenza sta nel tipo d'economia da instaurare una volta creata
la società anarchica.
Gli individualisti preferiscono un sistema basato sul mercato della distribuzione,
mentre i sociali sono per un mercato basato sui bisogni.
Entrambi sono d’accordo sull’abolizione dei diritti di proprietà
capitalisti, e che l’utilizzo temporaneo dei mezzi di produzione può
essere concesso a singoli o ad associazioni.
Perché sia gli uni sia gli altri seguono il lavoro classico di Proudhon
Che cos’è la proprietà dove egli argomenta che il possesso
deve rimpiazzare la proprietà[29].
Gli anarchici sociali poi, propongono un possesso ed un uso comunale; ognuno
ha il possesso sulla cosa personale, ma non sui mezzi atti a produrla.
Entrambi seguono l’esempio: “L’orologio è tuo, ma la
fabbrica degli orologi è del popolo”[30].
Mentre gli individualisti sostengono che ogni lavoratore deve possedere i propri
mezzi di produzione, scambiando il prodotto del suo lavoro con altri lavoratori.
Infine, una variante del tutto particolare dell’Anarchismo, molto lontana
sia dai sociali sia dagli individualisti, è quella dello scrittore Lev
Tolstoj, e questa può essere definita come una forma di “Anarchismo
religioso”.
La particolarità, di questa piccola corrente del movimento anarchico,
va ricercata nel fatto che sono gli unici anarchici che non auspicano ad una
trasformazione sociale della società.
2.2 Anarchici individualisti: Max Stirner
Max Stirner, pseudonimo di Johann Kaspar Schmidt nasce a Bayeruth
nel 1806 e muore a Berlino nel 1846.
L’unica sua opera di un certo rilievo è L’unico e la sua
proprietà apparsa nel 1845, ad opera dell’editore Wigand di Lipsia,
cui faceva capo il radicalismo politico e filosofico del momento.
Con L’unico, alla quale fanno da contorno alcuni scritti e traduzioni
di scarso rilievo, Stirner espresse tutta la sua delusione e il suo disinganno
verso l’umanità e la collettività, cui aggiunse un esplicito
odio verso la società borghese, alla quale era imputabile la corruzione
dell’uomo[31].
Il suo giudizio demolitore partiva dalla dibattito della sinistra hegeliana,
specie da Feuerbach nella critica alla religione, e giungeva a due conseguenze
estreme, la negazione di Dio e dello Stato, e per contro l’esaltazione
dell’Io individuale[32].
Il filosofo tedesco delinea quindi, un ateismo antiautoritario, in grado di
dissolvere ogni gerarchia, perché non ci si deve limitare ad uccidere
Dio[33].
Ma sostiene che bisogna abolire il rapporto di dipendenza tra il singolo individuo
e ogni entità che gli è estranea e che lo sovrasta; tutto deve
cadere e deve imporsi soltanto ”l'egoista”, perché solo nel
suo egoismo l’uomo può avere un’esistenza reale e autonoma.
Inoltre, egli si scontrerà nella società contro gli altri egoismi,
in una lotta dalla quale uscirà vincitrice l’individualità
più forte.
Per Stirner quindi, non hanno alcun valore né significato le strutture
presenti nella società, perché a trionfare è unicamente
la volontà egoistica, che inoltre, contiene in sé il germe della
giustizia[34].
Solo l’unione delle individualità è in grado di formare
un progetto politico e organizzato in modo da guidare la vita nell’intera
società, dopo aver distrutto e cancellato lo Stato.
L’Io stirneriano è al centro dell’universo, infatti, egli
sostiene che la “centralità dell’individuo azzera ogni significazione
del mondo che non sia una sua creazione”[35].
La stessa libertà tanto importante per il resto degli anarchici per Stirner
passa in secondo piano, perché essa diventa un prodotto dell’azione
individuale, e ciascun singolo deve liberarsi al di fuori d'ogni concessione.
Inoltre, per Stirner non è concepibile nessun egualitarismo, in quanto
appartiene al singolo tutto ciò che questi riesce a conquistarsi con
la forza, con la capacità e anche con la violenza, da usare contro l'oppressione
e per la salvaguardia dei propri diritti, che egli definisce “egoistici”[36].
Quindi la società stirneriana è in pratica una collettività
disgregata, dove è stato abolito ogni dominio delle forze tradizionali
e dove l’uomo da solo, è inserito in un'associazione libera e scelta
volontariamente e non pensa più al benessere universale, ma esclusivamente
al proprio progredire.
Nonostante Stirner non abbia mai avuto l’intenzione di fondare una scuola
di pensiero, né tantomeno di tracciare delle linee guida e delle indicazioni,
in ogni caso il suo pensiero libertario e antigerarchico ha rappresentato uno
dei filoni dell’Anarchismo.
Più propriamente di quel filone che in anni più tardi si chiamò
“Anarchismo individualista”, che soprattutto negli Stati Uniti ebbe
sviluppi di una certa ampiezza, anche se ideologicamente non molto originali
rispetto al punto di partenza.
Creando, comunque un certo numero di seguaci anche fuori dagli Stati Uniti,
specialmente in Inghilterra.
Tra gli autori che si batterono per cercare di adattare le idee stirneriane
a società evolute economicamente e industrialmente come quell'inglese
e quell'americana, si ricordano John Henry Mackay e Benjamin R. Tucker e rappresentano
in certo modo una sorta di continuità con il filosofo tedesco.
Mackay non solo riscoprì e ripubblicò l’intera produzione
stirneriana, ma cercò di diffonderne le idee attraverso un’azione
politica, che pur mancando d'originalità esercitò una certa influenza
sul movimento sindacalista anarchico.
Mentre Tucker, portò l’individualismo di stirner all’estrema
esasperazione, cui aggiunse una teoria economica anticapitalista, ma imperniata
sulla concorrenza, perché per lui la libertà deve essere innanzi
tutto economica[37].
Dopo lo “stirnerismo” all’americana di Tucker, il lavoro nel
campo dell’individualismo anarchico fu continuato, con poco successo,
da Lawrence Labadie.
2.3 Anarchici sociali
La componente cosiddetta “sociale” del movimento
anarchico rappresenta quel filone che nell’arco della sua storia ha dato
origine alle sfumature più diverse.
Infatti, all’interno della tendenza “sociale” si possono riscontrare
almeno quattro principali correnti di pensiero.
Inoltre, quasi ad ogni corrente corrisponde uno dei maggiori pensatori, divulgatori
e teorici della teoria anarchica.
Il tutto a testimoniare, ancora una volta, la diversità di vedute, spesso
lievi altre volte accentuate, all’interno del pensiero anarchico, una
vera e propria costante del movimento.
2.3.1 mutualisti: Pierre-Joseph Proudhon
Con Pierre-Joseph Proudhon, nato a Besançon nel 1809
e morto nello stesso luogo nel 1865, si ha il primo teorico dell’anarchia,
infatti, alcuni decenni dopo la sua morte fu definito da Petr Kropotkin come
il “padre dell’anarchismo”.
In tutte le sue opere egli enunciò, anche se in maniera disorganica,
le sue dottrine anarchiche.
Le sue opere principali sono Confessioni di un rivoluzionario, La capacità
politica della classe operaia, che lasciò in eredità al movimento
operaio dopo la sua morte, ed infine Che cos’è la proprietà?.
In quest’ultima, ritenuta da molti la maggiore opera dell’anarchico
francese, egli esprime il rifiuto per tutte le forme di governo, dalla democrazia
al comunismo, e dichiara “io sono un anarchico”[38].
Proprio in virtù di questa dichiarazione qualifica come tale la sua dottrina
sul diritto, sulla proprietà e sullo Stato.
La giustizia è per Proudhon la legge suprema, proprio come per Godwin
aveva avuto un ruolo centrale la ragione[39].
Per l’anarchico francese la giustizia consiste nel rispetto spontaneo
e vicendevole della dignità umana, praticamente deve rappresentare il
criterio di condotta che determina gli atteggiamenti umani.
Essa non ha alcun rapporto di derivazione dalla legge, anzi quest’ultima
dovrebbe limitarsi ad applicare il cosiddetto “sentimento di giustizia”[40].
Inoltre, la giustizia rappresenta l’unico confine opponibile alla libertà
dell’uomo, la quale al di là di essa deve essere assoluta.
L’unico obbligo imposto dalla giustizia è che ogni contratto, inteso
come un patto collettivo, debba essere rispettato.
Proprio per tale concezione Proudhon rifiuta il diritto, in pratica le norme
che costituiscono l’ossatura giuridica dello Stato.
Il pensiero di Proudhon si fonda sulle concezioni della libertà e dell’uguaglianza,
che devono essere connesse ed equilibrate, in quanto mai una delle due deve
prevalere sull’altra.
In Che cos’è la proprietà egli definisce la proprietà
un furto, e soltanto con la sua abolizione si può ottenere l’uguaglianza.
Precisando però, che egli è per l’uguaglianza delle condizioni,
dei mezzi, non per quella nel benessere, che non è altro che la conseguenza
del lavoro.
Proudhon oltre ad essere contro la proprietà è contro l’appropriazione
del frutto lavoro degli altri, però è a favore del possesso individuale
all’interno di una società policentrica, in cui famiglie e singoli
si scambino servizi uguali[41].
La società futura proudhoniana è anarchica, basata sulla libertà
e sul benessere mediante il federalismo sul piano politico, e sul mutualismo
in campo economico.
Con il primo concetto, cioè il federalismo, sostiene una società
dove i principi della nazionalità sono sostituiti con l’organizzazione
dei comuni e delle associazioni fino alla sansimoniana amministrazione delle
cose.
Perché soltanto con un'associazione naturalistica è possibile
risolvere il problema sociale, senza violenza e senza lotta di classe.
Di conseguenza la società deve fondarsi su un federalismo pluralista
che regoli i rapporti socio-economici e garantisca la libera ed uguale possibilità
d’espressione dell’individuo o del gruppo[42].
Il federalismo proudhoniano non è altro, come egli sostiene, una federazione
di gruppi in modo antiautoritario, costituiti da tutto il popolo che rappresenta
il vero depositario del potere esecutivo[43].
Proudhon ritiene che il solo sistema in grado di far funzionare in senso economico
tale organizzazione federalista antiautoritaria è il mutualismo cioè
un’organizzazione socialista pluralista decentrata[44].
Con il mutualismo egli enuncia una teoria contrattuale, per la quale i lavoratori,
in quanto produttori di merci all’interno di una società autogestita,
si sarebbero scambiati i prodotti.
Perché soltanto rispettando un libero “contratto” o ”patto”
l’individuo diventa responsabile ed entra a far parte della collettività
di uomini liberi.
In tal modo semplici lavoratori avrebbero costituito una comunità omogenea
ed armonica basata sulle associazioni, come strumento tipico degli uomini con
interessi comuni, e sul lavoro come caratteristica essenziale dell’uomo[45].
La sua dottrina solidaristica giustifica quindi una società senza governo
e senza autorità, per questo motivo oltre ad opporsi all’autorità
dello Stato si oppone anche a quella della Chiesa[46].
Negli anni seguenti alla sua morte ebbero grande l’influenza le sue tesi
anarco-mutualiste, molti rivoluzionari ed anarchici lessero e discussero le
sue opere da Carlo Pisacane a Michail Bakunin fino a Lev Tolstoj.
Altri invece, se ne fecero dei veri e propri diffusori ardenti, come gli spagnoli
Ramòn de la Sagra e Francisco Pi y Margall che contribuirono all’affermazione
delle tesi proudhoniane in Spagna.
Il mutualismo si trasformò in una vera e propria corrente agente nell’ambito
del movimento operaio francese e nell'ambito della Prima Internazionale, dove
tenne per parecchi anni posizioni di maggioranza e rappresentò l’ala
moderata dell’associazione fino all’avvento del collettivismo bakunoniano
e del socialismo marxista[47].
Infine, le tesi proudhoniane ebbero molta influenza anche nelle correnti anarco-sindacaliste
e in quelle anarco-comuniste.
2.3.2 collettivisti: Michail Bakunin
Michail Aleksandrovic Bakunin fu il maggior rappresentante
del movimento anarchico internazionale, il primo agitatore che cercò
di elaborare un corpus dottrinario.
Bakunin nacque a Tver, l’odierna Kalinin, non lontano da Mosca nel 1814,
ma visse prevalentemente gli anni dell’attività anarchica in Occidente,
prevalentemente in Francia, Svizzera ed Italia.
Infatti, proprio dalla cultura occidentale fu influenzato in gioventù
in particolare da Hegel e da Fichte, ma soprattutto dal quel filone di cultura
popolare e socialista, tendenzialmente libertaria, che ebbe nel maggior esponente
nel comunista tedesco Wilhelm Weitling.
L’anarchico russo fu tra i tanti aristocratici ad abbracciare la causa
libertaria, infatti, in tutta la sua vita si comportò da antiautoritario,
respingendo ogni legame con le convenzioni vigenti, non rispettando né
leggi né consuetudini[48].
Il pensiero bakuniano si presenta come un tutto organico fondato sull’anarchia,
sulla liberazione dell’uomo, sul rifiuto di ogni socialismo di Stato,
sull’esaltazione dei ceti non inseriti nel sistema industriale di produzione
e sulla loro volontà di rivolta.
L’opera principale in cui ha trovato parziale espressione il suo pensiero
è Stato e anarchia, pubblicata in russo per la prima volta nel 1873.
Le altre opere comprendono oltre ad una raccolta di suoi scritti sotto il nome
di Bakunin sull’Anarchismo, L’idea dello Stato e Dio e lo Stato.
Per delineare il pensiero dell’anarchico russo ci si deve riferire anche
alle lunghe lettere ad amici, pubblicate su diversi giornali, agli opuscoli
e alle polemiche frequenti con avversari politici come Marx e Mazzini[49].
Bakunin nel criticare Mazzini metteva in luce che il suo rivoluzionarismo non
faceva più paura ai ceti dominanti, perché dopo i primi anni di
attività popolare aveva preferito entrare nell’alveo della politica
ufficiale.
Ma soprattutto non accettava la concezione teocratica dello Stato mazziniano,
per Bakunin, che rifiutava la Chiesa e la religione in tutte le sue manifestazioni
e ne considerava lo Stato il “fratello cadetto”, bisognava abolire
questi due poteri non riformarli o separarli[50].
Quindi attribuisce al rivoluzionario italiano, un errore fondamentale quello
di accettare lo Stato, la Chiesa e di conseguenza l’autoritarismo.
Durante la sua permanenza in Italia per contrastare le associazioni mazziniane
organizzò addirittura delle società segrete, e collaborò
a Napoli alla rivista “Libertà e Giustizia”.
Il dissenso con Marx invece, è di diversa natura, infatti, i punti di
divergenza vertono oltre che sul concetto di Stato, soprattutto nelle concezioni
di classe, del proletariato e sul significato del collettivismo nei confronti
del comunismo.
Bakunin condanna il pensiero di Marx per la centralità attribuita alla
conquista dello Stato e del potere, accusandolo di essere un comunista autoritario
e centralista.
Per l’anarchico russo Marx vuole le stesse cose degli anarchici, vale
a dire il trionfo completo dell’uguaglianza economica e sociale, però
nello Stato, attraverso la potenza dello Stato e con una dittatura, quindi per
Bakunin mediante la negazione della libertà.
Per Bakunin lo Stato è la forma principale dell’oppressione, che
per realizzare lo sfruttamento del lavoratore e in genere dell’uomo, si
avvale del capitalismo e come strumento della borghesia.
Lo Stato non è altro quindi, che sinonimo di costrizione, di dominazione
attraverso la forza, camuffata se possibile, ma al bisogno, brutale e cruda.
L’organizzazione statale è contraria alla natura dell’uomo
e rappresenta un limite alla libertà dell’uomo, di conseguenza
il raggiungimento della libertà, ossia lo scopo supremo di tutto lo sviluppo
umano, passa attraverso la lotta allo Stato e contro, quella che per Bakunin
n'è la prima conseguenza, la proprietà privata ereditiera.
Quindi non importa se lo Stato è socialista, comunista o borghese, in
quanto in ogni caso esso è una manifestazione autoritaria, una negazione
della morale e dell’umanità[51].
L’abolizione dello Stato diventa per Bakunin una necessità storica,
la quale avrebbe prodotto a sua volta l’anarchia che avrebbe dato vita
alla solidarietà umana, cioè all’organizzazione dell’ordine,
della giustizia, della libertà e dell’uguaglianza.
Una volta abolita la macchina oppressiva statale, si affermeranno le comuni
popolari, che a loro volta si riuniranno in una libera federazione su scala
regionale, ed in seguito le regioni si collegheranno a quell’insieme più
ampio con il nome di nazione[52].
Per Bakunin ogni individuo, ogni associazione, ogni nazione, hanno l’assoluto
diritto di disporre di sé e di autogestirsi[53].
Il federalismo bakuniano, di derivazione proudhoniana, garantisce oltre ai risultati
di armonia e di solidarietà, come massimo intento raggiungibile, la pace
universale.
Inoltre, la società futura di Bakunin cui l’uomo approderà
è descritta in termini armonici e ottimistici, che mostrano chiaramente
le influenze subite da parte degli utopisti di qualche decennio prima in particolare
dal babouvismo e dal blanquismo.
Le sue tesi libertarie comportavano il rifiuto dell’organizzazione politica
dei lavoratori, pur riconoscendo la necessità di muoversi all’interno
del movimento operaio.
Bakunin propone di lasciare all’azione spontanea dei lavoratori la possibilità
di agire in senso rivoluzionario, usufruendo della violenza e anche dello sciopero
politico e facendo leva sui ceti più incolti e miseri della società.
Così mentre nega, in un certo senso, al movimento operaio di organizzarsi
politicamente, ritiene che le masse possano essere indirizzate verso scopi rivoluzionarie
anarchici da un “gruppo-guida”.
In questo modo egli anticipa la tesi bolscevica, sostenuta da Lenin, che rese
possibile il successo della rivoluzione in Russia nell’ottobre del 1917.
Nell’ambito delle masse, poi, la paysannèrie, cioè la classe
contadina composta da braccianti e da lavoratori precari e stagionali, doveva
rappresentare la spinta naturale, federalista e antiautoritatria[54].
La paysannèrie è quella classe che Bakunin chiama sottoproletariato,
ed è più sfruttato e oppresso dell’aristocrazia operaia
cittadina, quindi è destinata ad assumere una posizione di guida rivoluzionaria,
specialmente nei paesi più arretrati come l’Italia e la Spagna.
Il socialismo libertario di Bakunin costituisce dunque, una sorta di emancipazione
universale per la conquista dell’uguaglianza economica, della libertà,
della moralità, dell’umanità, della solidarietà ed
infine dell’anarchia.
L’anarchismo che Bakunin propone, benchè egli stesso lo qualifichi
come “socialismo” rifacendosi all’ispirazione proudhoniana,
in effetti è collettivistico, e tali sono state definite le sue istanze
di riforma sociale.
Egli condanna ogni individualismo, accettando la libertà individuale
solo nell’ambito di quella collettiva, e l’uomo per considerarsi
libero, deve esaltare i vincoli sociali e di solidarietà che lo legano
ad altri uomini, vivendo in condizioni naturali di uguaglianza sociale.
Bakunin inoltre, precisa che la libertà ha due momenti fondamentali,
il primo consiste nel suo carattere positivo, cioè nel pieno sviluppo
di tutte le facoltà e potenzialità umane, mentre il secondo, negativo,
scaturisce dalla rivolta dell’individuo, che si rivolge contro l’autorità
divina e umana[55].
La libertà quando poi si universalizza e diventa uguaglianza, e quest’ultima
non è una linea d’arrivo, ma di partenza perché non si tratta
di rendere gli uomini uguali tra loro, ma di creare le condizioni oggettivo-materiali
per far sì, che tutti gli essere umani, possano usufruire delle stesse
possibilità di sviluppo e di vita[56].
Poi continua sostenendo che del resto anche il lavoro che per essere produttivo
deve essere collettivo, ma soprattutto eliminando la sua divisione gerarchica
si rende impossibile anche la diseguaglianza.
Il collettivismo bakuniano è, secondo Kropotkin, un comunismo non autoritario,
federalista ed anarchico, dove è sempre presente la costituzione di gruppi
autonomi, cioè di associazioni cooperative ad adesione spontanea, in
grado di gestire la proprietà collettiva.
L’anarchismo del teorico russo, si affermò nell’Associazione
Internazionale dei lavoratori, in Italia e Spagna, e rappresentò, insieme
alla corrente proudhoniana, la principale opposizione al marxismo.
Bakunin denunciò apertamente gli atteggiamenti dispotici di Marx e sostenne
la creazione di una internazionale antiautoritaria.
Al congresso dell’Aja nel 1872 Marx prevalse su Bakunin, il quale insieme
ai suoi seguaci, fu escluso dall’organizzazione al successivo congresso
tenutosi a Londra.
I suoi seguaci seguirono l’insegnamento del maestro e crearono una nuova
organizzazione, l’Internazionale Nera, composta esclusivamente da anarchici.
Ma anche in seguito alla morte di Bakunin, avvenuta nel 1876, la nuova internazionale
non conseguì nessun successo di rilievo[57].
Mentre le sue idee negli anni successivi contribuiranno alla formazione di numerosi
pensatori ed agitatori anarchici, infatti, Stato e Anarchia sarà considerato
il libro simbolo dell’anarchia.
Particolarmente attivi nella diffusione del pensiero bakuniano furono l’ingegnere
Riccardo Mella in Spagna e il neo-storicista Jean Marie Guyau in Francia.
2.3.3 anarco-comunisti: Petr Kropotkin
Petr Alexievic Kropotkin nacque a Mosca nel 1842 da una famiglia
aristocratica.
Infatti, fu un principe russo, ma anche uno scrittore ed un affermato geografo,
ed è stato definito “l’ultimo dei grandi teorici anarchici”[58].
Dopo gli studi a San Pietroburgo intraprese, per volontà della sua famiglia,
la carriera nell’esercito dove, alcune particolari esperienze, suscitarono
in lui un profondo disprezzo per l’autocrazia.
Lasciato l’esercito si dedicò alle esplorazioni geografiche e nel
frattempo, attraverso le letture delle opere dei principali teorici del Socialismo,
maturò le sue idee rivoluzionarie.
Proprio le sue idee nell’arco della sua vita gli costarono varie condanne
e persecuzioni da parte delle polizie europee.
Il suo pensiero, per certi aspetti, è anche mutato nell’arco della
sua vita, ma egli ha sempre avuto come capisaldi la lotta contro lo stato e
contro l’autorità governativa[59].
Il parziale cambiamento del suo pensiero avvenne, per lo più, per gli
insuccessi delle sue attività di agitatore e di quelle del movimento
rivoluzionario[60].
Kropotkin combatté la sua battaglia tramite i suoi scritti e i suoi giornali,
stesi con un linguaggio semplice e popolaresco, e con un tono spesso didascalico.
Come Bakunin, elaborò il suo pensiero libertario in Occidente, particolarmente
in Svizzera, in Francia ed in Inghilterra dove contribuì alla fondazione
del periodico Freedom e del Freedom group, un’organizzazione anarchica
ancora oggi esistente.
Poi dopo la rivoluzione d’Ottobre tornò in Russia, dove morì,
a Dmitrov vicino Mosca nel 1929, senza essersi riconciliato con i bolscevichi
al potere, mantenendo fino all’ultimo le sue idee antiautoritarie.
L’anarchico russo è considerato dai contemporanei nello stesso
tempo, un teorico dell’azione violenta per l’abolizione di ogni
potere, e un esaltatore della pace universale, in un mondo idealizzato di benessere
e di felicità generali[61].
Per quanto riguarda la formazione del suo antiautoritarismo, si può sostenere
che molteplici esperienze e dottrine influirono su di lui, non solo la breve
carriera nell’esercito, ma soprattutto il populismo russo della seconda
metà dell’ottocento.
Ebbero un ruolo fondamentale poi, le influenze delle tesi proudhoniane e del
socialismo utopistico di Charles Fourier, che gli fornì i concetti di
economia sociale e di lavoro piacevole.
Ma determinante per la sua formazione fu il soggiorno in Svizzera, nei monti
del Giura e del Neuchàtelese, dove, si può dire che, egli incontrò
i principi dell’uguaglianza, dell’indipendenza di pensiero e di
linguaggio.
I testi nei quali Kropotkin presentò la propria ideologia furono molti,
tra i più importanti e significativi per l’espressione del suo
pensiero si ricordano Il mutuo appoggio, Scienza moderna e anarchismo, Campi
fabbriche ed officine, Parole di un ribelle e Memorie di un rivoluzionario.
Inoltre, del russo si hanno numerosissimi opuscoli e pamphlets, che videro dovunque
ripetute edizioni in lingue diverse e in raccolte.
Con Kropotkin, più che con Bakunin, l’anarchia assume l’aspetto
di un complesso organico, non rivolto unicamente all’individuazione di
alcuni temi libertari o all’identificazione dei mezzi per l’eliminazione
delle strutture di potere, ma in grado di presentarsi come teoria politica globale
e come ideale d’azione[62].
Egli sostiene che l’anarchia procede in accordo con gli sviluppi della
scienza moderna, e studiando i progressi di quest’ultima si ricercano
addirittura le origini dell’anarchia.
Quindi vuole dimostrare che l’anarchia è il risultato inevitabile
del movimento intellettuale nelle scienze naturali, e di conseguenza l’Anarchismo
è in perfetta sintonia con la crescita e la fine della scienza[63].
I capisaldi del pensiero kropotkiano sono il mutuo appoggio, la lotta alla proprietà
individuale e l’abolizione dello Stato.
Kropotkin ritiene il mutuo appoggio la base di partenza per una società
libertaria, in quanto esso rappresenta il “fattore dell’evoluzione”,
mentre la solidarietà, cioè una legge della natura, è l’elemento
fondamentale per il progresso, che unito al “lavoro comune”, costituisce
il punto di partenza per la lotta dell’uomo contro la natura ostile[64].
Questa lotta non deve avvenire ne con la rivoluzione ne con la lotta di classe,
in quanto entrambe impediscono l’evoluzione naturale e libera della società,
la quale avviene, soltanto attraverso la solidarietà e il mutuo soccorso[65].
Ma sostiene che fondamentale è anche il contributo dell’unica forma
economica organizzata, che concede all’uomo la massima libertà
possibile, la cooperazione.
L’impulso a cooperare supera per Kropotkin ogni possibile antagonismo
e costituisce di per sé la base del progresso nella libertà, cioè
nell’anarchia.
Pur essendo contrario alla rivoluzione, la ritiene fondamentale in certe epoche,
in quanto solo mediante l’atto rivoluzionario generale si può avere
il momento ultimo dell’evoluzione, che annuncia l’anarchia.
Inoltre, Kropotkin precisa che la rivoluzione non deve portare al rovesciamento
del governo esistente e alla sostituzione con uno rivoluzionario, ma alla prese
di possesso da parte del popolo e alla conseguente abolizioni di tutti i poteri,
con la restituzione al popolo di tutta la ricchezza sociale esistente.
Della proprietà individuale sostiene che essa non fa altro che portare
allo sfruttamento dell’uomo, quindi si potrà giungere ad una soluzione
unicamente mediante l’espropriazione.
Quest’ultima, puntualizza l’anarchico russo, non è diretta
verso l’individuo, ma verso tutto il meccanismo sociale che condiziona
contemporaneamente la proprietà e l’individuo[66].
Di conseguenza, l’atto dell’espropriazione, deve comprendere tutto
ciò che permette a chicchessia di appropriarsi del lavoro altrui[67].
Essa consiste nel momento più alto del processo rivoluzionario, Kropotkin,
in una concezione tutta sua, addirittura tende a far coincidere il termine con
anarchia.
Nell’argomentare l’abolizione dello Stato, invece, segue a grandi
linee l’analisi dei suoi precursori e in particolare di Bakunin.
Nell’opera il mutuo appoggio egli procede ad una formulazione classica
dell’idea comune a tutti gli anarchici che la società è
un fenomeno naturale esistente fin dalla prima apparizione dell’uomo,
e che l’uomo è per la sua natura, è portato a rispettarne
le leggi senza bisogno di regolazioni artificiali come il Governo e lo Stato.
Perché queste organizzazioni non fanno altro che sgretolare la società,
impedendone le unioni tra gli uomini e ostacolandone le iniziative locali e
individuali.
Infatti, lo Stato ha condotto, e condurrà in ogni epoca storica, alla
morte delle civiltà, nate con lo sviluppo spontaneo delle tribù
primitive[68].
Semplicemente perché per l’individuo è impossibile ottenere
un pieno sviluppo delle proprie capacità in condizioni di oppressione
della “bell’aristocrazia”, cioè dei governanti[69].
L’unica soluzione dunque, è demolire integralmente la macchina
statale, anche perché la società può vivere indipendentemente
dallo Stato e dal governo, e di sostituirla con il comune indipendente, nato
dall’unione libera e spontanea.
La comune, cioè l’unità amministrativa locale, non è
un organo governativo, ma semplicemente un’associazione volontaria, cui
fanno capo tutti gli interessi sociali, rappresentati dagli individui[70].
Quindi questa particolare organizzazione è l’unico organo che può
garantire l’associazionismo, ossia quell’atto spontaneo e naturale
che è all’origine dell’evoluzione umana, basti pensare, sostiene
Kropotkin, alle antiche forme di clan e tribù[71].
Inoltre, alla base della comune stanno due principi fondamentali, quello della
libertà individuale e quello federativo, infatti, lo Stato sarà
sostituito dalla libera federazione dei comuni.
Anche le fabbriche si doteranno della medesima organizzazione, tale che la nuova
struttura economica corrisponderà a quella della federazione politica.
Sul piano economico la Comune troverà espressione nella libera disponibilità
dei beni e servizi per tutti coloro che ne hanno bisogno[72].
Il prevalente interesse sociale e la soluzione comunistico-egualitaria che egli
propone contro i mali del mondo egoistico della proprietà e del capitalismo,
fanno sì che la dottrina kropotkiana sia identificate precisamente come
anarco-comunismo[73].
Quindi una particolare concezione di comunismo, che ha come presupposto uomini
liberi e senza governo.
La completa formulazione è sviluppata nell’opera La conquista del
pane, dove risalta la caratteristica principale del comunismo anarchico che
lo distingue dalle altre dottrine libertarie, ossia l’idea della libera
distribuzione.
Tale teoria è più vecchia dell’anarchia, in quanto fu formulata
per la prima volta da Munzer e da Winstanley, ma Kropotkin si rifaceva all’idea
dei falinsteri di Fourier.
Sosteneva Kropotkin che soltanto il comunismo anarchico sarà in grado
di garantire all’individuo la maggior conquista che conduce al progresso:
la libertà economica, accostata però al sentimento di giustizia
e al bisogno di solidarietà.
Quindi la società anarchica futura dovrà abolire non soltanto
la proprietà, ma lo stesso sistema salariale in quanto sinonimo di coercizione,
e pervenire alla collettivizzazione dei mezzi di produzione[74].
Tutti con il nuovo sistema potranno assumersi la propria parte di responsabilità,
e realizzatasi la rivoluzione sociale, l’anarchia diventerà un
vero e proprio ideale di organizzazione politica, nel senso che rappresenterà
la tendenza dell’umanità.
Dopo Kropotkin l’anarchia non ha avuto più grandi sviluppi, e gli
anarchici che sono seguiti hanno solo contribuito a diffondere e popolarizzare
gli ideali libertari.
Le sue tesi, per esempio, furono parzialmente riprese, con poca fortuna, dall’esule
russa negli Stati Uniti Emma Goldman intorno agli anni venti secolo scorso.
L’anarchica combinò le tesi anarco-comuniste kropotkiane con quelle
individualiste di Stirner, in una teoria passionale e potente che combinava
il meglio d’entrambi.
Un organizzatore dell’anarco-comunismo, seguace fedele di Kropotkin, in
Francia fu Jean Grave, il quale si scagliò contro tutte le autorità
e le forme di sindacalismo, anche contro quello anarchico e rivoluzionario.
L’anarchico francese si dedicò con particolare attenzione ai problemi
dell'educazione, cercando di configurare idealmente quello che avrebbe dovuto
essere l’insegnamento anarchico.
Esso secondo lui è caratterizzato da quattro particolarità, cioè
l’essere integrale, razionale, misto (per entrambi i sessi e comunitario)
e libertario; quest’ultima qualificazione sta ad indicare il fatto che
lo scopo dell’educazione è quello di formare uomini liberi e rispettosi
anche delle libertà altrui[75].
2.3.4 anarco-sindacalisti
Un filone anomalo rispetto all’Anarchismo tradizionale,
anche per la mancanza di un teorico come fondatore e come ruolo guida, è
quello dell’anarco-sindacalismo.
Questa variante dell’Anarchismo tralascia il tradizionale indirizzarsi
agli individui o a piccoli gruppi locali, e si rivolge a masse organizzate e
intende anteporre ai problemi e alle prospettive dei singoli quelli di un’organizzazione
superiore.
Le prime fonti dell’anarco-sindacalismo possono rinvenirsi nelle concezioni
bakuniane, le stesse poi leniniste, riservanti a una minoranza rivoluzionaria
il ruolo guida del movimento.
Ora l’anarchismo entrando nel sindacato operaio, in vario modo, trova
anche quella forza che prima gli era mancata nel piccolo gruppo locale organizzato,
dove era facile preda di repressioni[76].
Si può dire che il movimento nacque in Francia, intorno al 1884, e per
qualche decennio gli anarchici parteciparono alle attività sindacaliste.
Sempre nel paese transalpino, col progredire dell’organizzazione dei sindacati,
accanto alle teorie socialiste, si andarono formando due correnti, a volte contrapposte,
a volte parzialmente coincidenti, infatti, oltre all’anarco-sindacalismo
si formò il sindacalismo rivoluzionario.
Quest’ultimo, il sindacalismo rivoluzionario, pur accogliendo in generale
le teorie dell’Anarchismo, se ne distingueva sul problema dello Stato
e sul concetto di rivoluzione.
Gli anarco-sindacalisti invece, inserendosi nelle future camere del lavoro,
propugnarono la tesi dell’azione diretta e soprattutto dello sciopero
generale.
Essi concedevano unicamente fiducia all’individuo singolo, immesso però
nella collettività del sindacato, il solo in grado di portare avanti
un’azione economica contro il padronato, e l’unica in grado di restituire
al lavoratore moderno le libertà perdute.
Non sempre però il movimento può distinguersi agevolmente dal
sindacalismo rivoluzionario, che rappresenta una sorta di continuazione con
la vera e propria tradizione anarchica, criticando fortemente lo Stato e ritenendo
il solo modo d’azione valido l’uso della forza[77].
Il sindacalismo ritiene lo Stato un comitato esecutivo degli interessi della
borghesia, conseguentemente auspica ad una sua abolizione e rifiuta ogni rappresentanza
politica parlamentare, perché indiretta, e non ripone nessuna fiducia
nelle leggi e nelle istituzioni presenti.
Come il pensiero tradizionale anarchico, vuole attribuire la proprietà
dei mezzi di produzione, non alla collettività, ma alle singole categorie,
e pensa ad una società federalistica basata su sindacati e cooperative.
Il mezzo rivoluzionario è lo sciopero generale economico, attraverso
il quale si realizza sia l’unità operaia che la trasformazione
sociale della società.
Dunque questi due complessi dottrinali, nonostante alcune differenze, si presentano
incorporati l’uno con l’altro, finché il sindacalismo rivoluzionario
non esautorò l’anarco-sindacalismo.
I maggiori teorici e organizzatori anarco-sindacalisti furono Emile Pouget,
Fernand Pelloutier, Paul Delesalle e l’intellettuale olandese Christian
Cornelissen.
Essi insofferenti della distanza sempre più ampia prodottasi tra il movimento
anarchico e il mondo operaio, avevano deciso per un’entrata organica degli
anarchici nei sindacati, sia nella Confèdèration Gènèrale
du travail che nella Fèdèration des Bourses du travail[78].
Ciò comportò l’abbandono del terrorismo individualista e
la riscoperta, dopo lo smarrimento storico, dell’autentica natura del
proletariato dell’Anarchismo[79].
I mezzi per dare una svolta alla società, e procedere ad una trasformazione
in senso socialista ed anarchico, erano poi gli stessi dei sindacalisti rivoluzionari,
cioè l’azione diretta e lo sciopero generale, concepito come sostitutivo
dell’insurrezione tradizionale[80].
Mentre l’azione diretta consisteva in una ribellione nei confronti dello
Stato, sotto varie forme fino al sabotaggio nei luoghi di lavoro[81].
Perché dalla paralisi della macchina economica doveva conseguire il tracollo
politico-istituzionale dell’intero sistema borghese[82].
Per attuare il loro progetto, Pelloutier e Delesalle, individuarono nelle camere
del lavoro il nucleo di partenza e della società futura, fondata, una
volta abbattuto il dominio borghese, sull’associazione libera e spontanea
di tutti i produttori.
Si tratta, quindi, di un’unione corporativa basata sul comunismo libertario,
in quanto prevede un’organizzazione egualitaria dove sono essenziali i
due fattori della volontarietà dell’adesione e dell’indipendenza
di ogni autorità superiore, vale a dire ogni governo.
A fianco di Pelloutier si schierò Pouget, autore di numerosi scritti
sul problema degli scioperi e del sindacato.
Per Pouget il sindacato costituisce l’organizzazione economica di base,
dalla quale sarebbe derivata un’organizzazione libertaria, federativa,
che avrebbe sostituito lo Stato.
L’anarco-sindacalismo ebbe in Francia, sotto la guida di Pouget, il suo
momento di maggior espansione ideologica col congresso di Amiens, nel 1906,
nel quale venne approvata la Charte d’Amiens[83].
In tale documento assumeva un ruolo di primissimo piano il sindacato, come unica
organizzazione per combattere lo Stato, e in un futuro, l’associazione
del sindacato doveva occuparsi della produzione e della distribuzione dei beni
prodotti, in completa indipendenza.
Ma con la dichiarazione d’Amiens si ebbe una svolta decisiva verso il
sindacalismo e quindi l’abbandono della tematica più tradizionalmente
anarchica.
Di fronte agli anarco-sindacalisti vi era la forte schiera dei sindacalisti
rivoluzionari, con in testa Georges Sorel e i suoi seguaci, sotto l’influenza
di Proudhon e di Bakunin.
Il movimento nacque in Francia e si diffuse in Italia all’interno del
Partito Socialista, all’indomani del congresso di Imola nel 1902[84].
La corrente del partito si formò ad opera di un gruppo di socialisti,
in maggioranza meridionali, sulla scia del periodico “Propaganda”.
I maggiori esponenti furono, sicuramente, Arturo Labriola, Enrico leone, Ernesto
Cesare Longobardi, Pasquale Guarino e Sergio Panunzio.
Molti individuano la nascita del sindacalismo rivoluzionario in Italia, come
l’affievolirsi della spinta rivoluzionaria del Partito Socialista[85].
Nel 1912 dopo una stagione di lotte, il movimento fondò l’Unione
Sindacale Italiana, che entrò ben presto in crisi sulla questione dell’interventismo
nella prima guerra mondiale.
Nel dopoguerra, con il movimento ormai sciolto, la maggior parte dei sindacalisti
italiani aderì al Fascismo, mentre quelli francesi confluirono nel Partito
Comunista Francese[86].
Concludendo si può affermare che nessuno dei due movimenti ha dato vita
ad una corrente anarchica originale e con un certo seguito, come sicuramente,
lo sono state quelle dei padri dell’Anarchismo, Bakunin, Proudhon o Kropotkin.
2.4 Anarchismo religioso: Tolstoj
La corrente anarchica denominata Anarchismo religioso di diffuse
in Russia verso la fine dell’ottocento e faceva capo allo scrittore Lev
Tolstoj.
Lev Nikolaevic Tolstoy, nacque a Jasnaja Poljana, in Tula nel 1828 e morì,
dopo un’intera vita dedicata alla letteratura, ad Astapovo, nel Riazan
nel 1910.
Tolstoy oltre ad essere un romanziere e letterato, fu un anarchico in grado
di creare una certa attrattiva su numerosi movimenti e gruppi politici.
Egli non ammise mai di essere anarchico, perché riservava questo nome
a coloro che, volevano trasformare la società con mezzi violenti, ma
le sue idee senza esitazione possono essere definiti anarchiche[87].
Come del resto gli scritti e i romanzi dei suoi ultimi trent’anni non
lasciano dubbi sulla loro natura.
Nei suoi collegamenti anarchici egli guardò poco a Kropotkin e nulla
affatto all’altro compatriota Bakunin, si riferì piuttosto, al
pensiero di Proudhon[88].
Espose la sua dottrina anarchica in numerosi scritti d’occasione e in
articoli sparsi, pubblicati svariate volte ed editi in numerose lingue, fra
tutti si possono ricordare, Il regno di Dio è in voi, La mia religione
e La guerra e il servizio militare obbligatorio.
L’Anarchismo di Tolstoj, come il suo cristianesimo razionale, fu il risultato
di esperienze sempre maggiori, dalla militanza nell’esercito fino al contatto
con i popoli primitivi del Caucaso.
In tutti i suoi romanzi ricorre il tema e il desiderio dell’universale
fratellanza umana e dell’esaltazione di ogni tipo di vita del contadino,
semplice ed a contatto con la natura [89].
Il suo Anarchismo è un aspetto esterno del Cristianesimo, l’assenza
di conflitto fra questi due aspetti è dovuta al fatto che la sua è
una religione senza fede, infatti, fonda le sue convinzioni sulla ragione.
Per lui Cristo è un maestro non l’incarnazione di Dio, rende in
questo modo la religione “umanizzata”, e continua sostenendo, che
il regno di Dio bisogna cercarlo non fuori di noi, ma dentro di noi stessi.
La sua immanenza del regno di Dio è affine all’idea di giustizia
trascendente di Proudhon, ed il suo concetto di religione fondato sulla ragione
lo pone in stretto rapporto con Godwin e Winstanley [90].
Tolstoj, inoltre, concorda con l’Anarchismo classico circa l’illogicità
e la dannosità del potere, ma ritiene che l’unico modo per liberarsi
del potere umano consiste nell’accettare la legge divina, perché
solamente questa è comune a tutti gli uomini e dunque veramente universale
e pacificatrice[91].
Perché soltanto la religione cristiana, come da lui intesa, produce la
completa libertà ed uguaglianza di tutti gli uomini.
Egli, nonostante ciò, non si propone di giungere a trasformazioni politiche,
quanto di operare una rivoluzione morale, attraverso il rifiuto della società
presente retta dall’incoerenza.
Perché tutti gli uomini sanno che le leggi sono false ed ingiuste, però
ubbidiscono ugualmente, quindi bisogna spingere l’uomo ad uscire da questa
incoerenza e liberarsi cercando di pervenire ad un nuovo ordine retto soltanto
dalla ragione.
Un nuovo sistema dove si disubbidisce agli uomini e si ubbidisce soltanto a
Dio, perché per essere liberi, da ogni potere umano, è sufficiente
comprendere che il fine di ogni vita è di servire, amare e osservare
la legge di Dio[92].
Il suo pensiero libertario, addirittura sotto alcuni aspetti è molto
più radicale di quello tradizionale, dal momento che il rifiuto di obbedire
all’autorità investe ogni comando umano.
Di conseguenza la concezione anarchica tolstojana poggia sul rifiuto della proprietà
privata e dello Stato.
La prima viene respinta perché è oppressiva, perché chi
è proprietario predomina su chi non lo è, ed inoltre, essa si
perpetua con la violenza e con la forza.
Lo Stato invece, va respinto poiché significa violenza, e la sua esistenza,
che si fonda sul concetto di potere, è contraddittoria nei confronti
della predicazione pacifica del cristianesimo, che nel suo vero significato
distrugge lo Stato, infatti, per questo motivo che Gesù Cristo fu crocifisso[93].
Lo Stato ostacola la libertà dell’individuo, lo inganna, lo sfrutta
e soprattutto infierisce su di lui, avvalendosi delle prigioni, delle esecuzioni
e del servizio militare coattivo.
Proprio quest’ultimo, il servizio militare obbligatorio, costituisce il
punto più alto della violenza impiegata per il mantenimento dell’ordine
sociale esistente, e attraverso di esso lo Stato esige la sottomissione assoluta
dell’individuo[94].
Da questa constatazione egli trae il massimo risultato del suo anarchismo pacifico,
con il rifiuto dell’obbedienza, unita al diniego dell’uso della
forza e per contro l’esaltazione dell’esercizio della non violenza.
Tale complesso di comportamenti della dottrina tolstojana si traduce nella resistenza
tramite il mezzo della disobbedienza, della forza passiva perciò alla
violenza si oppone la forza morale, l’amore.
Egli insegnava che la forza morale di un uomo è più grande di
quella di una moltitudine di schiavi silenziosi[95].
Mentre l’amore deve essere alla base della società tolstojana,
in quanto esso con la bontà tra gli uomini e la fratellanza umana, sono
i prodotti della religione, anzi sono per Tolstoj la religione stessa.
L’amore, un concetto mistico e politico nello stesso tempo rappresenta
in sé tutta la forza del bene, la solidarietà, la forza che muove
la società verso il progresso.
A questo punto il pensiero tolstojano coincide con quello di Kropotkin, e l’amore-solidarietà
tende ad immedesimarsi nel mutuo appoggio, nella libera organizzazione della
futura società anarchica[96].
Tale dottrina intrisa di pacifismo, di repulsione nei confronti dell’uso
della forza, collegata ad un generico pensiero religioso, ottenne ampie influenze
sia sui russi che sui non russi.
Nella sua patria i suoi discepoli fondarono delle vere e proprie colonie tolstojane
basate sulla comunità dei beni e su un ascetico regime di vita.
Al di fuori della Russia influenzò anarchici pacifisti in Olanda, dove
incontrò punti di contatto con il protestantesimo sociale nella figura
del pastore F. Domela Nieuwenhuis, ma anche in Francia, dove il contatto fu
con il cattolicesimo sociale di Emmanuel Mounier, ed infine in Gran Bretagna,
con il poeta William Blake, e negli Stati Uniti.
Proprio negli Stati Uniti vi è l’esempio più importante
della sua influenza sul mondo occidentale contemporaneo, il Catholic Worker
group.
Il suo più grande discepolo fu sicuramente Mahatma Gandhi, infatti, proprio
sotto l’influsso di Tolstoj, il leader indiano elaborò la tecnica
della non violenza.
CAPITOLO TERZO
L’Anarchismo in Italia
3.1 Il movimento anarchico italiano
La storia dell’anarchismo italiano è molto ricca,
ma soprattutto, in essa, è particolarmente evidente la tendenza che caratterizza
i movimenti anarchici ad assumere le caratteristiche locali[97].
Infatti, l’atteggiamento rivoluzionario del periodo risorgimentale fu
uno tra i fattori decisivi per la nascita del movimento libertario, composto
all’inizio da ex mazziniani ed ex garibaldini.
Inoltre, l’esistenza clandestina, le insurrezioni e le imprese spettacolari
di questi ultimi, sotto la monarchia dei Savoia, contribuirono a determinare
i modi d’azione anarchici.
In questo panorama si agitarono, parecchi personaggi, scrittori prolifici e
polemici, autori di scritti di protesta sociale o semplicemente letterari, in
genere tutti mossi emotivamente dai concetti di fratellanza universale e dalla
richiesta di libertà per tutti[98].
Determinante fu sicuramente il soggiorno di Bakunin in Italia e l’influsso
del pensiero di Proudhon diffuso dagli scritti e dalle parole di Carlo Pisacane
(1818-1857), definito il Don Chisciotte del Risorgimento[99].
Pisacane mosso da tesi antiautoritarie e dalle letture di Pierre-Joseph Proudhon
e Charles Fourier, sosteneva che per liberare la nazione, bisognava che insorgessero
per primi i contadini, offrendo loro la liberazione economica dai proprietari
terrieri.
L’eroe risorgimentale chiedeva, come Proudhon, che a ciascuno fosse garantito
il frutto del suo lavoro e che la proprietà fosse abolita.
Pisacane poi, si spingendosi oltre il francese, sosteneva il collettivismo industriale
e delle terre coltivate dalle comuni, in modo tale che il prodotto fosse diviso
equamente fra il popolo.
Quindi lo scopo della rivoluzione era, per Pisacane, liberare la nazione dall’autorità
borbonica e instaurare l’anarchia.
Egli non si lasciò dietro nessun movimento, ma provò ad accendere
la fiaccola dell’anarchia, purtroppo la sua avventura finì tragicamente,
fu sconfitto dalle forze borboniche per la mancata collaborazione d’insorti
locali, sui quali aveva contato e che invece, gli si rivoltarono contro.
L’influenza di Proudhon penetrò in Italia anche nella forma più
diretta del mutualismo, infatti, il primo giornale socialista fondato nel paese,
Il proletario, diretto dal fiorentino Nicolò Lo Savio, era d’ispirazione
proudhoniana.
Ma anche in Italia, come in Francia, i mutualisti inclinavano alla moderazione
e al conservatorismo, e il loro contributo allo sviluppo dell’anarchismo
diventava perciò insignificante[100].
Il movimento anarchico italiano cominciò in pratica con l’arrivo
di Bakunin nel 1864, l’anarchico russo fondò la Fratellanza fiorentina
e quella Internazionale.
Il movimento ebbe una consistenza incerta e soprattutto scarsi successi, però
la sezione napoletana ebbe il merito di fondare il primo giornale anarchico
italiano, Eguaglianza, soppresso dalla polizia dopo soli tre mesi.
Alcuni membri di questo gruppo, come Saverio Friscia, facevano parte con importanti
cariche anche della massoneria meridionale[101], altri invece, come Giuseppe
Fanelli, parteciperanno alle rivolte anarchiche spagnole.
Sulla scia della sfortunata comune parigina, invece, si creò dopo il
1870 in Italia un nuovo gruppo di libertari, destinati ad avere un ruolo di
primissimo piano nelle vicende libertarie italiane.
I loro leaders Carlo Cafiero, Errico Malatesta e Carmelo Palladino erano tutti
giovani meridionali, figli di proprietari terrieri e tutti venivano dalle regioni
della penisola dove la povertà dei contadini era un fenomeno endemico.
Non erano altro che gli equivalenti italiani degli aristocratici russi, che
dalla coscienza inquieta, nello stesso decennio avevano sentito il bisogno irresistibile
di andare verso il popolo[102].
Negli anni immediatamente successivi si distinse un giovane studente romagnolo
Andrea Costa (1851-1910), che con Cafiero e Malatesta, riteneva necessaria la
propaganda dei fatti, per affermare il problema e mettere in luce il nuovo ideale.
Nell’estate del 1874, fu organizzata dal movimento l’insurrezione
anarchica di Bologna, che seguendo l’insegnamento di Bakunin, avrebbe
dovuto dare l’esempio alle altre città, e dare vita ad una vera
e propria rivoluzione a carattere nazionale[103].
Però grazie a degli informatori, la polizia stroncò sul nascere
la rivolta e arrestò i principali organizzatori.
Dopo brevissimo tempo il movimento ebbe la forza di rinascere, ed al congresso
dominato da Cafiero e Malatesta fu adottato un programma intransigentemente
insurrezionale e antipolitico, e sul piano teorico, una risoluzione che portava
all’abbandono del collettivismo bakuniano a favore del comunismo anarchico[104].
Ma dopo il fallimento insurrezionale in Puglia e successivamente nel beneventano,
le persecuzioni e in più con la defezione di Costa, che annunciò
esplicitamente il proprio ritiro e passò al socialismo parlamentare,
il movimento si ridusse a sporadici gruppi locali attivi solo con la propaganda
dei fatti.
Il terrorismo anarchico per mano italiana, dopo l’episodio del cuoco napoletano
Giovanni Passanante che tento di attentare re Umberto a Napoli, continuò
fuori dei confini.
Infatti, il presidente francese Sadi Carnot, nel 1894, fu assassinato dall’anarchico
italiano Sante Caserio, invece, il pugliese Michele Angiolillo, nel 1897, sparò
al primo ministro spagnolo Antonio Canovas.
Un anno dopo Luigi Luccheni pugnalò a Ginevra la regina Elisabetta d’Austria
detta “Sissi”, Luigi Luccheni infine, nel 1900, in Italia, Gaetano
Bresci uccise Umberto di Savoia, già sopravvissuto a due attentati[105].
Gaetano Bresci
A questo punto il movimento si trovava in una situazione del tutto particolare,
perché le gesta di questi assassini contribuivano a screditare gli anarchici,
in più fornirono altri pretesti alle polizie per le persecuzioni.
La logica conseguenza fu che i gruppi anarchici si formavano e scioglievano
in brevissimo tempo, per l’inconsistenza numerica, ma soprattutto per
la forte emigrazione.
Proprio l’emigrazione fece in modo di distinguere gli anarchici italiani
da quelli degli altri paesi, infatti, essi emigrando divennero missionari delle
loro idee.
In tutto l’Occidente i primi gruppi anarchici furono italiani, come nell’America
Latina e negli Stati Uniti.
Ed in terra straniera i nostri connazionali diffondevano le loro idee soprattutto
attraverso la carta stampata, infatti, nacquero, tra tante difficoltà,
numerose testate giornalistiche.
La cronaca sovversiva fondata dal giornalista Luigi Galleani fu tra le più
attive ed importanti.
Intanto, in Italia, nonostante l’assenza di Malatesta nel 1891 fu fondato
il Partito socialista-anarchico, che però finì subito nel nulla,
un altro tentativo fu fatto con il congresso anarchico generale tenuto a Roma
nel 1907, ma anche questo tentativo non portò a nessun risultato degno
di rilievo.
Alcuni intellettuali anarchici con a capo Luigi Fabbri (1877-1935), giornalista
di valore e direttore dal 1903 al 1911 della rivista Il pensiero, fecero un
ennesimo tentativo.
Infatti, essi cercarono di creare un movimento per un sistema d’educazione
progressista, inoltre, Fabbri fu molto attivo nel movimento per l’Università
popolare.
Fabbri sosteneva che la rivoluzione in Russia ha dimostrato che si può
sperare nel crollo del capitalismo, anche se il processo di accumulazione della
ricchezza non avviene, o s’arresta o non è compiuto ancora.
Poi continua sostenendo che la rivoluzione è tale se diretta contro il
potere, altrimenti se imbocca la strada dittatoriale è destinata a perire.
Quindi deve essere una rivoluzione diretta ad abolire ogni dominio dell’uomo
sull’uomo, perché la dittatura porta alla negazione della libertà.
All’inizio del ventesimo secolo però come in Francia, così
anche in Italia, vi fu un ritorno dell’Anarchismo per merito del sindacalismo
rivoluzionario.
In questo periodo si distinse l’anarchico Armando Borghi (1882-1968),
segretario dell’Unione Sindacale Italiana, prodigo nel tentativo di unire
i movimenti operai ed anarchici, soprattutto durante i moti del “bienno
rosso”.
Borghi inoltre, fu autore di numerosi contributi sulle vicende anarchiche e
sulla situazione politica dell’Italia fascista, e uno degli ultimi direttori
del maggior giornale anarchico italiano odierno, Umanità Nova.
Borghi fu portatore però, di un Anarchismo essenzialmente negativo, infatti,
si ha in lui un rifiuto della società italiana nella sua totalità,
sia di quella liberale prefascista, sia di quella risorta col 1945[106].
A ciò segue un successivo rinchiudersi astratto nella realtà del
movimento anarchico, cioè nell’ambito di piccoli gruppi, ritirati
in se stessi nei propri ricordi o nelle vaghe prospettive di rigenerazione,
che offrono sollievo e consolazione al singolo, ma che per antonomasia non sono
in grado di incidere nella vita sociale del paese.
Diverso invece, era il mondo rappresentato, sempre in quegli anni, dall’anarchico
Pietro Gori (1869-1911), un poeta e drammaturgo, ma anche avvocato noto per
la sua oratoria, fu autore di numerosi scritti poco originali, ma traboccanti
di un sentimentalismo libertario capace di presa immediata sui lettori.
Alle soglie del primo conflitto mondiale il loro acceso antimilitarismo e non
interventismo, ad eccezione della corrente sindacalista rivoluzionaria, isolò
il movimento riducendolo a pochi militanti.
Nonostante ciò, vi fu chi come l’anarchico Camillo Berneri, una
volta chiamato alle armi iniziò la propaganda anarchica tra i soldati
e persino tra gli ufficiali, motivo per cui fu perseguitato ed imprigionato[107].
Dopo la prima guerra mondiale e il fallimento dei moti del “bienno rosso”,
entrarono in azione gli anarchici individualisti sopravvissuti, che in seguito
ad attentati dinamitardi recarono solo danni alla reputazione del movimento
e fornendo ai fascisti il pretesto per il loro squadrismo.
Con il regime i militanti e i simpatizzanti scomparvero nelle carceri o espatriarono,
e le loro testate ed associazioni soppresse.
Nel secondo dopoguerra, dopo aver partecipato con ardore alle lotte partigiane,
piccoli gruppi superstiti si ricostituirono intorno al giornale Umanità
nova, che era stato fondato da Malatesta nel 1920 e poi soppresso dal regime.
Dopo la partecipazione attiva alle contestazioni del ’68, oggi il movimento
anarchico italiano, pur tra mille diffidenze e difficoltà, è sempre
presente nelle lotte antiautoritarie e libertarie.
Inoltre, pubblica sempre Umanità nova ed altre riviste libertarie, ed
è organizzato in circoli che fanno capo alla FAI, cioè alla Federazione
Anarchica Italiana.
3.1.1 Errico Malatesta
Errico Malatesta nacque da una famiglia della borghesia agraria
a Santa Maria di Capua Vetere nel 1853, e nonostante fosse ricco, dedicò
tutta la sua vita all’Anarchismo, proprio come avevano fatto i “padri”
di questa dottrina Bakunin e Kropotkin, addirittura dopo che egli addirittura
aveva regalato le sue proprietà ai poveri affittuari.
L’anarchico italiano visse una vita fatta di vagabondaggi e di esili dalle
Americhe all’Europa, sempre braccato dalla polizia e in fuga, ma riuscì
ovunque a fondare gruppi, associazioni e riviste anarchiche.
Accompagnò tutto ciò con un altruismo fuori dal comune, infatti,
quando scoppiò a Napoli un’epidemia di colera, con i suoi fedelissimi
raggiunse la città, e insieme si dedicarono alla cura dei malati senza
nessun pensiero per la propria sicurezza, fino al termine dell’epidemia.
La caratteristica principale del suo pensiero è di voler conferire all’Anarchismo
un respiro universale libero da ogni ipoteca dottrinaria[108].
Infatti, di fronte alle visioni ottimistiche-realistiche degli altri anarchici,
egli può essere ritenuto un realista, un pensatore, ma nello stesso tempo
un organizzatore del movimento operaio e contadino italiano ed europeo
Per arrivare al traguardo di un “nuovo Anarchismo”, enunciato nel
suo Programma anarchico agli inizi del secolo, Malatesta non realizza una sintesi
del pensiero anarchico, piuttosto divide il fine l’anarchia, dal mezzo
l’Anarchismo[109].
In quanto l’anarchia è l’ideale, la meta della libertà
e dell’uguaglianza, che potrebbe non realizzarsi mai, invece l’Anarchismo
è metodo di vita e di lotta, l’insieme teorico e pratico per raggiungere
la meta, e di conseguenza deve essere sempre praticato.
L’anarchia è un’aspirazione umana che però non è
fondata su nessuna vera o supposta necessità naturale, e potrà
realizzarsi solo attraverso la volontà umana[110].
Quindi non vi è altro modo per conseguire la società libertaria
ed ugualitaria che quello di dimostrare che essa è possibile unicamente
perché dipende dalla volontà dei singoli individui e delle collettività.
In questo modo il concetto di volontà fa tutt’uno con quello di
libertà, perché non si possono costringere gli uomini a volere
una cosa che non sentono e non vogliono, perciò è necessario convincerli
con l’esempio, con il ragionamento e con il confronto dialettico.
Anche perché l’Anarchismo deve mantenersi come un movimento che
non deve assolutamente perdere il contatto con l’azione popolare, deve
rimanere rivoluzionario, ma non settario, e conservare soprattutto l’integrità
della dottrina senza ridursi alla ripetitività della propaganda.
Al centro della teoria dell’azione malatestiana vi è la rivoluzione,
considerato un passaggio obbligato per raggiungere la piena libertà di
tutti.
Essa è considerata obbligatoria perché le classi privilegiate
non permetteranno mai di farsi spodestare dai loro privilegi, se non con un’azione
violenta da parte dei subordinati, per dissolvere quelle forze che impediscono
il libero dispiegarsi della vita sociale.
Il fatto insurrezionale popolare, destinato ad affermare la società libertaria,
è il solo che, senza ingannare e corrompere le masse, possa penetrare
nel modo più profondo negli strati sociali e attrarre le forze vive dell’umanità[111].
In quanto, per realizzare gli obiettivi libertari, Malatesta ritiene fondamentale
che gli anarchici si avvicinino
alle masse, in quanto da soli non avrebbero la forza sufficiente[112].
Prima di tutto però ritiene l’organizzazione del movimento anarchico
sia prioritaria, infatti, egli realizzò l’Unione Anarchica Italiana
che ebbe più di 30'000 iscritti, anche con l’intento di contrastare
gli individualisti, perché considerava, l’azione del singolo isolato
assolutamente impotente.
L’altro maggior tentativo di organizzazione si traduce con la creazione
del Partito Socialista Anarchico-Rivoluzionario, insieme a Francesco Saverio
Merlino e Amilcare Cipriani.
L’obiettivo era di congiungere le forze anarchiche su un programma avente
come principi l’eliminazione della proprietà individuale, l’abolizione
di tutti gli ordinamenti politici ed infine, l’organizzazione produttiva
regolata da associazioni libere e federate tra loro[113].
Nella nuova realtà anarchica, dunque formata dalla cooperazione libera
e volontaria di tutti, il comunismo diventerà la regola di condotta da
accettare spontaneamente e da innestare, nel contesto dei bisogni della collettività
e dei singoli[114].
Perché Malatesta afferma, che con il superamento definitivo del collettivismo,
soltanto con il comunismo anarchico ciascuno potrà chiedere alla società
il soddisfacimento dei propri bisogni, nell’ambito delle possibilità
economiche della società stessa[115].
Lo stesso comunismo che fa sì che egli respinga i socialisti autoritari
e il sindacalismo rivoluzionario, i primi perché inseriti nella società
borghese, gli altri perché hanno un fine diverso dal comunismo[116].
Malatesta, sempre alla ricerca della trasformazione sociale, fu tra i principali
ispiratori di tante rivolte fallite e riuscite solo parzialmente o inizialmente,
infatti, fu un indiscusso protagonista della “settimana rossa”,
cioè alle proteste insurrezionali verificatesi in Romagna, “terra
anarchica” e nelle Marche nel 1914 nonché del “bienno rosso”
1919-20.
L’avvento di Mussolini al potere frenò, ma non spezzò la
sua attività, anche se dopo poco tempo il quotidiano anarchico Umanità
Nova e il quindicinale Pensiero e volontà, da lui fondati furono soppressi
dal regime e lui costretto agli arresti domiciliari, con una stretta sorveglianza
personale giorno e notte.
Addirittura ai suoi funerali a Roma, nel 1932, per volere dell’autorità
vide la partecipazione dei soli carabinieri, che come se non bastasse, per alcuni
mesi sorvegliarono la sua tomba giorno e notte.
Evidentemente Malatesta incuteva un certo timore al regime fascista di Mussolini,
anche da morto.
3.1.2 Carlo Cafiero
Carlo Cafiero nato Barletta nel 1846, fu il più importante discepolo
italiano di Bakunin nella seconda metà dell’ottocento, nonché
il primo divulgatore del Capitale di Marx in Italia, oltre che intimo amico
di Engels.
Cafiero non ha mai elaborato un pensiero organico che partendo da una visione
complessiva della realtà, giunga a proporre una riforma della società,
che sia in grado di porre fine alle ingiustizie ed ai soprusi.
La sua attività politica si è concentrata molto sulla divulgazione
delle opere di altri pensatori e teorici, per la sua capacità, riconosciutagli
anche da Marx, di impressionare e coinvolgere il pubblico[117].
Infatti, il suo Compendio al Capitale di Marx, è considerato da molti
il veicolo di diffusione principale del pensiero marxista in Italia.
Cafiero oltre ad essere ricordato per questo, comunque lasciò, anche
se in maniera utopistica-otimistica, una certa impronta nella tradizione del
pensiero anarchico italiano.
Il suo scritto più originale Rivoluzione, anarchia e comunismo, parte
dalla convinzione che la rivoluzione sia una legge che regoli l’umanità
e che renda possibile il progresso dei popoli nel corso del tempo.
Egli è convinto che la società borghese dell’Ottocento fosse
profondamente ammalata e che per essa non ci fosse speranza di guarigione se
non attraverso una rivoluzione[118].
Della necessità di un processo rivoluzionario, il proletariato, cominciava
a rendersi conto attraverso gli scioperi, inoltre, le manifestazioni di protesta
e le rivolte sempre più frequenti in tutti gli Stati europei lo dimostravano
eloquentemente.
La meta cui bisogna tendere è la libertà, che non può consistere
nel semplice riconoscimento dei diritti borghesi incapaci di incidere sulle
condizioni di vita dei lavoratori e di soddisfare le loro esigenze più
importanti.
L’unica via da percorrere per la trasformazione sociale, che liberi finalmente
l’umanità è per l’anarchico pugliese quella della
rivoluzione violenta[119].
Per questo Cafiero è contrario al socialismo ufficiale, perché
persegue il proprio disegno nel pieno rispetto della legalità, attraverso
una via evoluzionistica, fatta di una politica di graduali riforme a vantaggio,
secondo loro, del proletariato.
Per Cafiero non c’è libertà senza Anarchismo, come non vi
può essere uguaglianza senza il comunismo[120].
Infatti, l’anarchia è concepita come la condizione del libero sviluppo
sia dell’individuo sia della società, mentre il comunismo è
considerato come la riappropriazione da parte dell’umanità nel
suo complesso di tutte le ricchezze della terra, delle quali era stata espropriata
ad opera di un’esigua minoranza.
Il suo pensiero collettivista e comunista, sulla scia di Bakunin e seguendo
le prospettive aperte in Europa da Kropotkin, può definirsi comunista
antiautoritario.
Inoltre, il suo pensiero, è nettamente antindividualista, in quanto considera
i seguaci di questa teoria dei veri e propri autoritari[121].
Nel valutare la società del futuro c’è ottimismo, perché
una volta ottenuto il successo della rivoluzione anarchica la ricchezza e i
beni a disposizione per soddisfare i bisogni degli uomini aumenteranno in quantità
inimmaginabile.
Ed essi saranno semplicemente il prodotto spontaneo dei lavoratori liberi, senza
intermediari e privi di interessi egoistici o speculativi.
Per questo sarà possibile dare e ricevere dalla società secondo
le proprie possibilità e i rispettivi bisogni perché tutto sarà
in comune, senza distinzioni fra mezzi di produzione e i prodotti del lavoro
collettivo[122].
Oltre all’apporto divulgativo e teorico, partecipò attivamente,
insieme con Malatesta, all’organizzazione del movimento anarchico italiano
ed ai moti insurrezionali anarchici di Bologna nel 1874 e nel beneventano quattro
anni più tardi.
In seguito poi a numerosi arresti, ormai debilitato e malato fu rinchiuso in
un manicomio a Nocera Inferiore, vicino Salerno, dove trascorse gli ultimi anni
della sua vita prima di morire nel 1892.
3.1.3 Camillo Berneri
Fra gli anarchici che più restarono collegati al movimento
operaio e alla tematica socialista vi fu sicuramente Camillo Berneri, nato a
Lodi nel 1897, e molto attivo politicamente nella Federazione Giovanile socialista.
In seguito al dibattito interno al partito per l’interventismo o meno
al primo conflitto mondiale, lasciò criticamente i socialisti ed aderì
al movimento anarchico italiano.
Alla fine della prima guerra mondiale, si distinse per la sua collaborazione
al giornale di Malatesta Umanità Nova, ma perseguitato dal fascismo fuggì,
vivendo un po’ dappertutto nei vari stati europei che spesso, suo malgrado,
lo espellevano ritenendolo pericoloso per la sua attività sovversiva.
Egli era ritenuto un “anarchico pericolo e indesiderato”, soprattutto
per aver organizzato il fallito attentato al guardiasigilli fascista Rocco,
autore del terribile codice penale fascista.
La sua teoria anarchica si articola con l’attacco alla concezione di Stato,
più propriamente nell’individuazione della burocrazia come lo strumento
dell’oppressione dell’organizzazione accentratrice statale, sia
borghese sia sovietico[123].
Per Berneri la salvezza dalla burocrazia, e di conseguenza dallo Stato, si realizza
soltanto attraverso il federalismo, che però non deve essere imposto
dall’alto, ma derivante dalla rivoluzione sociale, ritenuta quest’ultima
il compito eroico delle minoranze fattive[124].
La rivoluzione sociale una volta pienamente realizzata, avrebbe dato vita a
comuni indipendenti, liberamente federate in gruppi corporativi che avrebbero,
a loro volta, soppiantato le funzioni della burocrazia statale[125].
Questo sistema organizzativo era l’unico adatto proprio per l’Italia,
in quanto la nostra nazione si caratterizzava di notevoli diversità regionali[126].
Dal punto di vista economico, Berneri sosteneva che la forma economica anarchica
doveva rimanere aperta e sperimentale, personalmente addirittura riteneva che
si dovesse sperimentare la libera concorrenza tra lavoro e commercio individualista,
e tra lavoro e commercio collettivista.
Inoltre, precisava nel criticare l’involuzione autoritaria e centralizzatrice
dei bolscevichi, che l’obbligo alla collettivizzazione doveva essere condannato
se frutto di una decisione imposta e non di una libera scelta.
In conclusione, per Berneri l’anarchia portava alla società della
tolleranza, non dell’armonia assoluta in quanto questa era solo un’utopia.
Il suo contributo al movimento anarchico italiano è derivato dal suo
Anarchismo che può essere definito “dinamico”, perché
oltre a partecipare in prima persona alle lotte, cerca di riempire con contenuti
nuovi e moderni la teoria anarchica[127].
Ma Berneri, è ricordato in modo particolare anche per la sua visione
critica del movimento anarchico, fatta di punti di vista diversi con il resto
del movimento e più propriamente con la dottrina, quindi il primo autentico
momento in cui l’anarchismo s’interroga criticamente su se stesso[128].
L’anarchico lombardo, che considera l’anarchismo l’ala estrema
del movimento socialista, invita apertamente il movimento a guardare fuori di
sé, ad organizzarsi, riorganizzarsi, e ad assumere le proprie responsabilità,
abbandonando ogni tendenza all’astrazione ed al rinchiudersi in se stesso.
Berneri morì in Spagna ucciso da un sicario di Stalin nel 1937, dopo
aver partecipato attivamente alla rivoluzione spagnola nelle file anarchiche
italiane presenti, e soprattutto dopo aver sempre sostenuto, con vigore, il
suo atteggiamento critico nei confronti dell’anarchismo italiano e del
bolscevismo russo.
3.1.4 Francesco Saverio Merlino
Francesco Saverio Merlino, nato a Napoli nel 1856, fu difensore
dell’attentatore anarchico Gaetano Bresci al suo processo, oltre che nella
prima fase della sua vita fu un agitatore e teorico anarchico.
In seguito giunse a maturazione di un processo di ripensamento ideologico, che
lo portò a distaccarsi dal movimento anarchico, dopo una lunga polemica
con Malatesta.
Ma pur se nella sua maturità si orientò verso il socialismo senza
accoglierne però integralmente i programmi, non abbandonò mai
del tutto l’Anarchismo, elaborando alcune sue tesi personali, influenzate
dal positivismo, che oggi sono state definite socialismo libertario, e che hanno
tantissimi punti in comune con la dottrina anarchica e proprio pochi con la
tradizione socialista[129].
Egli rivendica all’anarchismo, nei confronti del marxismo la qualifica
di socialismo, in più ritiene la teoria anarco-libertaria la sola in
grado di condurre la lotta presente, ma incapace di attuare un programma per
una società futura, compito questo che spetta solo socialismo.
Per questo motivo ritiene fondamentale la necessità di amalgamare i due
coefficienti, e di parlare di socialismo libertario.
Un socialismo che sta indipendentemente dai sistemi socialisti preposti per
attuarlo, in quanto esso è soprattutto una grande aspirazione popolare[130].
Del socialismo, Merlino ne raccoglie soprattutto le istanze parlamentari e le
proposte di partecipazione politica, infatti, pur non avendo fiducia nei risultati
ottenibili con la rappresentanza operaia e di classe nel parlamento, per motivi
tattici ritiene opportuno partecipare alle lotte elettorali, con il solo scopo
di uscire dalla dimensione di setta e penetrare tra le masse[131].
Lo sbocco del suo obiettivo consiste nella prospettiva comunista, o meglio nel
passaggio dal collettivismo autoritario voluto dai socialisti alla democrazia
comunista, consistente nell’assoluta libertà di lavoro e di consumo
nell’ambito della solidarietà comune, ed in modo particolare nell’assenza
d’ogni comando imposto dall’alto[132].
La società comunista del libertario napoletano è la classica collettività
armonica anarchica, basata sull’associazione spontanea e sulla cooperazione,
dove il bisogno di ciascun membro della collettività è considerato
come l’interesse sociale.
CAPITOLO QUARTO
Anarchismo e Nichilismo
4.1 I padri fondatori e i teorici del Nichilismo
Con il termine nichilismo viene indicata qualsiasi dottrina
filosofica che giunge alla negazione della realtà o di valori e princìpi
affermati.
Questo fenomeno nell’arco del suo percorso storico, che lo porta al continuo
negare dell’ordine esistente, e di conseguenza a qualsiasi entità
superiore, sia essa lo Stato o Dio, ha numerosi punti di contatto con la dottrina
politico-filosofica dell’Anarchismo.
Infatti, con la dottrina anarchica ne condivide la negazione della realtà
esistente e di qualunque autorità.
L’individualista anarchico Max Stirner realizzò, anche se in assenza
del concetto, la prima autentica teorizzazione di una posizione filosofica che
può essere definita nichilismo[133].
Mentre il maggior rappresentante del movimento anarchico internazionale Michail
Aleksandrovic Bakunin, si proclamava fondatore del nichilismo ed apostolo dell’anarchia,
radicalizzando il fenomeno nichilista in un connubio esplosivo d'idee anarchiche,
socialiste e utopico-libertarie[134].
Del vocabolo nichilismo che deriva dal latino “nihil”, che significa
niente, nulla, molti se n'attribuiscono la presunta paternità, nonostante
il fenomeno si sia manifestato prima della nascita del termine stesso.
La paternità del termine, che secondo alcuni già nel Medioevo
veniva utilizzato per indicare gli eretici cristiani, se l’attribuì
con un certo vigore lo scrittore russo Ivan Sergeevic Turgenev (1818-1883).
Egli definisce nel suo romanzo Padri e figli del 1862, nichilista il modo si
pensare del protagonista, il qual è in conflitto con la generazione dei
padri, e ne nega i valori e i princìpi impegnandosi a rimpiazzarli con
altri nuovi.
Il primo uso filosofico vero e proprio del concetto, invece, viene individuato
verso la fine del XVIII secolo nel contesto delle controversie che caratterizzavano
la nascita dell’idealismo.
Nella contrapposizione dell’idealismo al dogmatismo, il termine viene
impiegato per caratterizzare l’operazione filosofica mediante la quale
l’idealismo intende “annullare” nella riflessione l’oggetto
del senso comune, al fine di mostrare come esso, non sia in verità, altro
che il prodotto di un’invisibile ed inconsapevole attività del
soggetto.
A seconda del punto di vista favorevole o meno a tale operazione, il termine
acquista un senso positivo o negativo[135].
Nichilismo significa allora, nell’accezione positiva la distruzione filosofica
di ogni presupposto, in quella negativa invece, la distruzione delle evidenze
e delle certezze del senso comune da parte della speculazione idealistica.
Al di là della paternità e dell’uso del termine, comunque
i padri fondatori e grandi teorici di questa dottrina sono stati per il filone
letterario Fedor Michajlovic Dostoevskij (1821-1881), mentre per quello più
propriamente filosofico Friedrich Nietzsche (1884-1900).
Per quanto riguarda Dostoevskij, lo scenario del Nichilismo si sviluppa in tutta
la sua ampiezza e profondità nelle opere Delitto e castigo del 1863,
i Demoni del 1873 e I fratelli Karamazovy del 1879-80.
Il fenomeno nichilista trova posto con la dissoluzione dei valori, ed esso viene
rappresentato nei vari personaggi dei romanzi in tutte le varietà.
Il romanziere russo vede la dissoluzione dei valori come una crisi che consuma
l’anima russa, e nonostante egli voglia in un certo modo, avvertire di
questa nefasta presenza, le sue opere contribuiscono a diffondere il morbo nichilista,
favorendo inoltre, la caduta di certezza stabilite e minando ordinamenti consolidati[136].
Nietzsche invece, fu primo grande profeta e teorico, facendo il nichilismo oggetto
di un’esplicita riflessione filosofica nell’opera postuma La volontà
di potenza nel 1906.
Con lui l’analisi del fenomeno raggiunge il suo culmine, maturando una
consapevolezza storica circa le sue radici, che Nietzsche individua nel platonismo
e nel cristianesimo.
Il filosofo tedesco aveva individuato e riconosciuto il fenomeno seguendo il
motivo della “morte di Dio” ,infatti, egli sosteneva che il nichilismo
si verifica quando i valori supremi si svalutano[137].
Quindi in seguito a questa particolare situazione di disorientamento, che subentra
una volta che sono venuti meno i riferimenti tradizionali, cioè gli ideali
e i valori che rappresentano la risposta al perché? E che come tali illuminano
l’agire dell’uomo.
Nietzsche non ha solo la consapevolezza della svalutazione nel mondo moderno
dei grandi valori e dei grandi ideali, ma vuole sollecitare a portare alle estreme
sue conseguenze queste crisi, evocando il futuro dilagare del fenomeno nichilista.
Perché se esso si diffonde nel mondo moderno è per l’assenza
di una “specie superiore” che solo con la sua fecondità e
potenza possa rinsaldare la fede nell’uomo[138].
Il filosofo tedesco rappresenta il nichilismo in due accezioni principali, la
prima, negativa, indica il fenomeno della decadenza dell’uomo occidentale,
educato del cristianesimo all’ascetismo e alla rinuncia nei confronti
della vita.
La seconda accezione, questa positiva, indica la negazione della morale consolidata
e dei valori tradizionali e la sua sostituzione con un nuovo sistema di valori.
Il primo grande teorico del Nichilismo, come già sostenuto, è
stato l’anarchico tedesco del filone individualista Max Stirner (1806-1846).
La sua opera principale L’unico e la sua proprietà, del 1844, è
l’espressione più rabbiosa e corrosiva del radicalismo di sinistra
nato come reazione allo hegelismo[139].
Stirner quindi, partendo dal dibattito della sinistra hegeliana, si scaglia
contro ogni tentativo di assegnare alla vita dell’individuo un senso che
la trascende e che pretende di rappresentarne i bisogni, i diritti e perfino
l’immagine.
L’anarchico tedesco, principe degli iconoclasti moderni cerca di smontare
ogni sistema filosofico, ogni astrazione, ogni idea che attribuisce a sé
l’impossibile compito di esprimere l’indicibilità dell’unico[140].
Stirner critica le tesi di Feuerbach, che vede nell’uomo l’umanità
e che l’essenza dell’uomo s’identifica col Dio della religione,
giungendo così alle conseguenze estreme di negare Dio e lo Stato e per
contro l’esaltazione dell’Io individuale.
Attraverso la negazione di Dio e della religione, secondo l’anarchico,
si attua il processo di liberare l’uomo[141].
In modo tale solo l’Io, l’unico costituisce il nuovo inizio della
storia che si dispiega dal paganesimo al cristianesimo, quest’uomo dunque
non ha più nessun compito come voleva il cristianesimo, l’unica
forza che possiede e la capacità di appropriazione.
Stirner sostiene che Dio e l’umanità hanno fondato la loro causa
sul nulla, su null’altro che se stessi.
Allo stesso modo quindi, continua i filosofo, io fondo allora la mia causa su
me stesso, io che, al pari di Dio, sono il nulla di ogni altro[142].
Non sono nulla nel senso della vuotezza, bensì il nulla creatore, il
nulla dal quale io stesso, in quanto creatore, creo tutto[143].
Proprio l’eccentricità e l’emarginazione dell’autore
fecero in modo che il morbo anarchico-individualista fosse per il momento isolato.
Da lì a pochi decenni però si sarebbe inarrestabilmente diffuso,
trovando così Stirner solo a posteriori uno spazio ed una collocazione
nella storia del nichilismo[144].
La sua diffusione nella Russia dell’ottocento, ad opera soprattutto di
uno dei padri dell’Anarchismo Michail Bakunin, rappresenta invece, lo
spostamento del significato del termine nichilismo dall’ambito strettamente
filosofico a quello più propriamente sociale e politico[145].
Praticamente si verifica l’assunzione di un soggetto privilegiato di un
atteggiamento radicale che annichilisce tutto ciò che ne delinea l’agire.
Infatti, fa la comparsa la figura del nichilista quale libero pensatore che
demolisce ogni presupposto, ogni pregiudizio e ogni condizione già data
o valore tradizionale.
Delineandosi così i tratti del nichilista anarchico-libertario che vivrà
la sua stagione più intensa negli ultimi decenni del XIX secolo.
Fino a diventare la dottrina del nichilismo, nel pensiero russo verso la fine
dell’ottocento, un fenomeno di portata generale.
I teorici del Nichilismo russo nell’esaltare il senso dell’individualità
contestavano l’autorità e l’ordine esistente, attaccando
specialmente i valori della religione, della metafisica e dell’estetica
tradizionali, considerati come “nullità”, come illusioni
destinate a dissolversi[146].
Decisiva per la preparazione e la diffusione concetto di Nichilismo fu, il già
menzionato, romanzo di Turgenev.
Anche se la mente del fenomeno fu Nikolaj Gavrilovic Cernysevskij (1828-1889),
infatti, il suo romanzo Che fare?, rappresentò uno dei principali manifesti
del nichilismo russo.
Nonostante la dura repressione le idee nichiliste si diffusero rapidamente e
infiammarono la gioventù russa, per merito di Sergej Gennadievic Necaev
(1847-1882), autore di un Catechismo del rivoluzionario.
Il termine “necaevismo” fu allora impiegato per designare le forme
più spregiudicate e intransigenti di nichilismo politico, un modo estremo
di concepire l’azione rivoluzionaria che fu condiviso da Michail Bakunin.
Alcuni ritengono addirittura che quest’ultimo fosse ispiratore e coautore
del Catechismo.
Il nichilismo poi si diffonderà in tutta la sua ampiezza nelle opere
del romanziere Dostoevskij.
4.2 Conclusione
Gli stretti collegamenti tra Anarchismo e Nichilismo, hanno
dimostrato ancora una volta, come la dottrina anarchica nel corso del suo sviluppo,
lungo tutto l’arco storico, ha avuto punti di contatto, d’incontro
o in comune, con varie discipline.
Infatti, si possono riscontrare temi e princìpi anarco-libertari in numerosi
campi, dalla filosofia all’economia, dai più evidenti nell’ambito
più strettamente politico, per arrivare, perfino all’ecologia.
Questa interdisciplinarietà della teoria anarchica è dovuta, grazie
al fatto che, essa è un insieme di idee flessibili in uno stato di evoluzione
continua aperta ai cambiamenti, praticamente mentre cambia la società
muta anche l’Anarchismo.
Una società anarchica non si è mai realizzata, ne tantomeno nell’arco
della sua storia la dottrina anarchica ha avuto particolari successi, ma nonostante
ciò è stato fondamentale il suo apporto dato al rafforzamento
e al consolidamento di alcuni valori, come la libertà, l’uguaglianza
e la solidarietà, che sono alla base della dignità umana.
Con questo lavoro ho cercato di proporre, in modo semplice e sintetico, le idee,
e i loro sviluppi, di normali uomini comuni, ma molto preparati culturalmente,
che si sono resi protagonisti della realizzazione di una dottrina, purtroppo,
molto spesso criticata e disprezzata.
Una dottrina che ha sempre rappresentato una proposta per una società
libera retta da uomini liberi, dove in assenza del principio di autorità,
una persona saprà reggersi, solo ed esclusivamente, sulle sue convinzioni
e in qualunque situazione, grazie a loro, saprà sempre cosa fare e cosa
dire.
Alcune volte potrà sbagliare, prendere la decisione meno opportuna, ma
non porterà vergogna né su se stesso, né sulla sua causa.
Ma l’anarchia probabilmente, per quella sua particolare visione delle
cose ricca di naturalezza e di libertà, definita dagli uomini di cultura
utopia, è e sarà per sempre non l’irrealizzabile, ma l’irrealizzato.
Fine.
Grazie per aver letto questo libro; il quale altro che non è, che la mia tesi di laurea discussa il 22 luglio 2002 presso l’Università degli studi di Napoli “Federico II” alla facoltà di Scienze Politiche.
BIBLIOGRAFIA
[1] G. WOODCOCK, L’anarchia. Storia delle idee e dei movimenti libertari,
Feltrinelli, Milano 1973, p. 7.
[2] Il termine libertario viene usato per la prima volta continuamente, per
indicare il pensiero anarchico, da Sebastian Faure (1857-1942), esponente di
spicco del movimento anarchico francese. Cfr. G.M. BRAVO, Storia delle idee
politiche, economiche e sociali. UTET, Torino 1972.
[3] P. KROPOTKIN, Kropotkin’s Revolutionary Pamphlets. R.N. Baldwin, Dover
Press, New York 1970, p.284.
[4] B.TUCKER., Instead of a Book. Haskell House Publishers, New York 1969, p.13.
[5] E. MALATESTA, Anarchy, Freedom Press, London 1975, p.12.
[6] Nestor Makhno guidò in Ucraina, nelle fasi iniziali della rivoluzione
russa, un movimento libertario che si batteva contro l’autorità
sia comunista che zarista.
[7] N. MAKHNO, The organisational platform of the libertarian communists, Worker
Solidarity Movement, Dublin 1989, pp.15-16.
[8] G.M. BRAVO, op. cit., p.255.
[9] G.M. BRAVO, op. cit., p.256.
[10] Winstanley inoltre, espresse le sue idee libertarie in numerosi altri scritti
polemici e satirici del genere “pamphlets”.
[11] G. BERTI, Il pensiero anarchico dal ‘700 al ‘900, Lacaita,
Manduria 1998, p.32.
[12] G.M. BRAVO, op. cit., p.17.
[13] G.WOODCOCK, op. cit., p.23.
[14] G. BERTI, op. cit., p.66.
[15] Come ha rilevato Woodcock, Godwin anticipò di circa ottant’anni
quelle che poi saranno le “communes rivoluzionarie” . Cfr. G.M.
BRAVO, op. cit., p.26.
[16] J. WARREN (1798-1879) fu tra i primi agitatori anarchici negli Stati Uniti,
dove visse anche l’esperienza delle colonie comuniste di Robert Owen.
[17] Anche nella legislazione toscana del riformatore Leopoldo I nel 1786, il
termine “anarchico” aveva un significato estremamente negativo.
Cfr. G.M. BRAVO, op. cit., p.253.
[18] A. KOHN, “No contest: the case against competition”, Houghon
Mufflin Co., New York 1992, p.156.
[19] L. GALLEANI, “The End of Anarchism?”, Ciuenfuegos Press, Orkeney
1982, p.28.
[20] “Nazionali” non si riferisce alla “nazione” intesa
come un paese con confini delimitati, in quanto per la teoria anarchica i confini
dovrebbero sparire.
[21] Tale progetto prevedeva che una grande città doveva insorgere, organizzarsi e quindi essere d’esempio per il resto del paese. Cfr. M.A. BAKUNIN, “Statism and Anarchy”, Cambridge University Press, Cambridge 1980, p.263.
[22] Kropotkin riteneva indispensabile per gli anarchici prendere
parte alle lotte dei lavoratori nelle fabbriche. Cfr. P. KROPOTKIN, Campi, fabbriche
e officine, Antistato, Milano 1982, p.76.
[23] Durante il “biennio rosso” gli anarchici parteciparono attivamente
alle occupazioni delle fabbriche sotto la guida dell’Unione Sindacale
Italiana diretta dall’anarchico Armando Borghi, ma la rivolta fallì
per la moderazione del sindacato C.G.L. e perché i Socialisti si accordarono
con il governo Giolitti. Cfr. G. WOODCOCK, op. cit., p.311.
[24] F. SCHIAVINA, Sacco e Vanzetti: cause e fini di un delitto di Stato, Comitato
anarchico Pro vittime politiche d’Italia, Roma 1996, pp.40-42.
[25] G. BERTI, op. cit., pp. 45-46.
[26] G. WOODCOCK, op. cit., p.350.
[27] Durante gli anni ’70 in Italia, in piena “strategia della tensione”,
spesso gli anarchici furono accusati di attentati compiuti proprio dai loro
principali accusatori, cioè dalla Destra e dagli ambienti militari “deviati”
che volevano destabilizzare lo Stato, per diffondere un desiderio d’ordine,
di polizia, e quindi instaurare un governo di chiara ispirazione autoritaria
e fascista.
Scaliati G., Trame Nere. I movimenti della destra dal dopoguerra ad oggi, Frilli
Editori, 2004
[28] R. ROCKER, Anarcho-Syndacalism, Phoenix Press, London 1988, p.16.
[29] G.M BRAVO, op. cit., p.266.
[30] A. BERKMAN, The ABC of Anarchism, Freedom Press, London 1977, p.68.
[31] G.M. BRAVO, op. cit., p.268.
[32] G.M. BRAVO, op. cit., p.269.
[33] G. BERTI, op. cit. pp. 98-99.
[34] G.M. BRAVO, op. cit., p.269.
[35] M. STIRNER, L’unico e la sua proprietà, Adelphi, Milano 1991,
p.380.
[36] G.M. BRAVO, op. cit., p.270.
[37] B. TUCKER, op. cit., pp. 34 e ss.
[38] G.M. BRAVO, op. cit., p.265.
[39] G. WOODCOCK, op. cit., p.95.
[40] G.M. BRAVO, op. cit., p.265.
[41] P.J. PROUDHON, Che cos’è la proprietà, Cerroni, Bari
1978 pp.157 e ss.
[42] G. BERTI, op. cit., p.185.
[43] P.J. PROUDHON, La capacità politica della classe operaia, Anarchismo,
Catania 1973, p.157.
[44] G. BERTI, op. cit., p.214.
[45] G.M. BRAVO, op. cit., p.266.
[46] P.J. PROUDHON, Del pensiero federativo, Miranda, Milano 1979, p.290.
[47] G.M. BRAVO, op. cit., p.267.
[48] G. WOODCOCK, op. cit., p.126.
[49] G. M. BRAVO, op. cit., p.274.
[50] G.M. BRAVO, op. cit., p.275.
[51] M.A. BAKUNIN, De la guerre à la commune textes de 1870-1871, F.
Rudè, Paris 1972, pp. 251-252.
[52] M.A. BAKUNIN, Stato e Anarchia, Feltrinelli, Milano 1968, pp.331-333.
[53] M. BAKUNIN, Aux compagnos de la fèdèration jourassienne,
Archives Bakounine, Leiden 1964, p.60.
[54] G.M. BRAVO, op. cit., p.278.
[55] M. BAKUNIN, Dieiu et l’Etat, Oeuvres, Paris1912, p.282.
[56] G. BERTI, op. cit., p.258.
[57] G.M. BRAVO, op. cit., p.280.
[58] G. WOODCOCK, op. cit., p.173.
[59] G.M. BRAVO, op. cit., p.281.
[60] G. WOODOCOCK, op. cit., p.185.
[61] G.M. BRAVO, op. cit., p.282.
[62] G.M. BRAVO, op. cit., p.283.
[63] P. KROPOTKIN, La scienza moderna e l’anarchia, Elèuthera,
Milano 1998, p142.
[64] P. KROPOTKIN, Il mutuo appoggio, Salerno, Roma 1982, p.113.
[65] G.M. BRAVO, op. cit., p.284.
[66] P. KROPOTKIN, La conquista del pane, Tempi Nuovi, Milano 1921, p.42.
[67] P. KROPOTKIN, op. cit., p.36.
[68] P. KROPOTKIN, Lo Stato e il suo ruolo storico, Anarchismo, Catania 1981,
pp.71-72.
[69] P. KROPOTKIN, op. cit., p.293.
[70] G. WOODCOCK, op. cit., p.176.
[71] G. BERTI, op. cit., p.309.
[72] G. WOODCOCK, op. cit., p.177.
[73] G.M. BRAVO, op. cit., p.287.
[74] G. WOODCOCK, op. cit., p.177.
[75]J. GRAVE, La société mourante et l’anarchie, Paris 1894,
pp.15-16.
[76] G.M. BRAVO, op. cit., p.299.
[77] G.M. BRAVO, op. cit., p.300.
[78] E. DOLLEANS, Storia del movimento operaio, Sansoni, Firenze 1968, pp.93-97.
[79] G. BERTI, op. cit., p.789.
[80] V. GRIFFLUELHES, L’action syndacaliste, Ait, Toulose 1973, pp.27-37.
[81] E. POUGET, L’action directe, La fiaccola, Ragusa 1973, pp.18-20.
[82] F. PELLOUTIER, De la révolution par la gràve gènèrale,
La fiaccola, Ragusa 1973, p.279.
[83] G.M. BRAVO, op. cit., p.301.
[84] G.B. FURIOZZI, Dal Socialismo al Fascismo, Esselibri, Napoli 1998, p.7.
[85] G. SPADOLINI, La lotta socialista in Italia, La Nuova Italia, Firenze 1948,
pp.141-151.
[86] M. SERRA, Una cultura dell’autorità, la Francia di Vichy,
Laterza, Bari 1980, p.100.
[87] G. WOODOCOCK, op. cit., p.195.
[88] G.M. BRAVO, op. cit., p.290.
[89] G. WOODCOCK, op. cit., p.202.
[90] G. WOODCOCK, op. cit., p.202.
[91] G. BERTI, op. cit., p.668.
[92] L. TOLSTOJ, Il regno di Dio è in voi, Publiprint, Trento 1988, p.116.
[93] L. TOLSTOJ, op. cit., p.254.
[94] G.M. BRAVO, op. cit., p.291.
[95] G. WOODCOCK, op. cit., p.206.
[96] G.M. BRAVO, op. cit., p.291.
[97] G. WOODCOCK, op. cit., p.286.
[98] G.M. BRAVO, op. cit., p.303.
[99] G: WOODCOCK, op. cit., p.286.
[100] G. WOODCOCK, op. cit., p.288.
[101] Molti anarchici, tra cui proprio Bakunin e Proudhon, erano iscritti alla
massoneria. Cfr. G. WOODCOCK, op. cit., p.289.
[102] P.C. MASINI, Storia degli anarchici italiani da Bakunin a Malatesta, Rizzoli,
Milano 1969, p.67.
[103] M.A. BAKUNIN, op. cit., p.263.
[104] G. WOODCOCK, op. cit., p.298.
[105] P.C. MASINI, Storia degli anarchici italiani nell’epoca degli attentati,
Rizzoli, Milano 1981, p.12 e ss.
[106] G.M. BRAVO, op. cit., p.304.
[107] P.C. MASINI, op. cit., p.134.
[108] G. BERTI, op. cit., p.372.
[109] E. MALATESTA, Repubblicanesimo sociale e anarchismo, “Umanità
Nova”, Roma 27 aprile 1922.
[110] G. BERTI, op. cit., p.375.
[111] E. MALATESTA, Rivoluzione e lotta quotidiana, Antistato, Vicenza 1991,
pp.87-88.
[112] E. MALATESTA, op. cit., p.129.
[113] E. MALATESTA, His life and ideas, Freedom Press, London 1977, p.109.
[114] E. MALATESTA, Fra contadini, La fiaccola, Ragusa 1972, p.115.
[115] G.M. BRAVO, op. cit., p.304.
[116] E. MALATESTA, Anarchism and syndacalism, Freedom Press, London 1907, pp.263-264.
[117] C. CAFIERO, Compendio al capitale di Karl Marx, Riuniti, Roma 1996, pp.10-11.
[118] C. CAFIERO, Rivoluzione, anarchia e comunismo, Reprint Assandri, Torino
1976, p.60.
[119] C. CAFIERO, op. cit., p.8.
[120] C. CAFIERO, op. cit., p.120.
[121] G.M. BRAVO, op. cit., p.280.
[122] C. CAFIERO, op. cit., p.142.
[123]C. BERNERI, Il federalismo libertario, La fiaccola, Ragusa 1992, pp.43-44.
[124] C. BERNERI, Il compito delle minoranze rivoluzionarie, “Umanità
Nova”, Milano 5 luglio 1921.
[125] C. BERNERI, op. cit., pp.123-124.
[126] C. BERNERI, op. cit., p.82.
[127] G.M. BRAVO, op. cit., p.310
[128] G.BERTI, op. cit., p.858.
[129] G.M. BRAVO, op. cit., p.307.
[130] G. BERTI, op. cit., p.950.
[131] F.S. MERLINO, Gli anarchici e la questione elettorale, Sovello, Roma 1976,
pp.213-214.
[132] F.S. MERLINO, Anarchismo e democrazia, La fiaccola, Ragusa 1974, p.188.
[133] F. VOLPI, Il nichilismo, Laterza, Bari 1999, p.25.
[134] J.F. WITTKOPF, Michail A. Bakunin, Rowolhlt, Reinbek 1974, p.83.
[135] F. VOLPI, op. cit., p.13.
[136] F. VOLPI, op. cit., p.32.
[137] F. NIETZSCHE, La volontà di potenza, Bocca, Milano 1946, p.6.
[138] F. NIETZSCHE, op. cit., p.24.
[139] G.M. BRAVO, op. cit., p.268.
[140] F. VOLPI, op. cit., pp.25-26.
[141] G.M. BRAVO, op. cit., pp.269-270.
[142] M. STIRNER, op. cit., p.13.
[143] M. STIRNER, op. cit., pp.380-381.
[144] F. VOLPI, op. cit., p.27.
[145] F. VENTURI, Il populismo russo, Einaudi, Torino 1972.
[146] F. VOLPI, op. cit., p.29.