Biblioteca Multimediale Marxista
Aldo 30 dispone di armi. Ho ordine di mettermi in contatto con lui. Mi attenderà
all'angolo di Corso Sempione con via Canova leggendo un giornale spiegato, al
crepuscolo. "Andiamo," gli dico. Ci avviamo verso un bar dall'aspetto
tranquillo.
"È un po' che aspetto," mi apostrofa con irritazione. "Il
tempo di accertarmi che tutto sia a posto qui attorno," rispondo. "Siamo
ben armati, un gruppo affiatato, ragazzi in gamba, dei ‘dritti’
sul serio. Adesso. tocca a noi. Gli accordi non ci devono far perdere altro
tempo..."
Parla e si compiace di ascoltarsi. "Adesso la lotta è più
aspra, dobbiamo essere collegati, preparati, disporre di gente addestrata. È
quello che Longo e Secchia dovrebbero tener presente. Ci sarà pur modo
di dirgliele queste cose. Vorrei incontrarli presto..." Mi irrigidisco.
Quest'uomo, impomatato di brillantina, prima mi ha irritato, ora mi insospettisce.
Troppo verboso per essere quello che pretende, anche se me l'hanno segnalato
come elemento sicuro.
"Tu sei Visone, il famoso gappista di Torino? Ce n'è voluto perché
ti mettessi in contatto..."
Secchia, Longo, Visone: a badare alla sostanza questo individuo mi sta interrogando
sin dal primo momento. Forse è solo un balordo che può esserci
utile, penso.
"Ti telefonerò tra qualche giorno. Stabiliremo gli accordi per la
consegna delle armi." Aldo sembra sconcertato dalla freddezza del commiato.
L'incontro con il responsabile del comando 31, è stabilito in piazzale
Susa. I problemi da chiarire sono diversi e urgenti, ma uno mi interessa particolarmente:
Aldo. Vengo subito al punto: "Dove l'avete pescato?"
"Come sarebbe a dire? Aldo è un combattente. Qualcosa forse non
va?" "Se c'è qualcosa che non va è il personaggio. Ho
dovuto incontrarmi con lui due volte. Volevo armi e azioni del suo gruppo. Non
ho avuto le armi e il suo gruppo è inerte. Non so neppure se esista.
In compenso si è informato su di me ed ha chiesto di Longo e di Secchia."
"Non drammatizziamo. Aldo ha consegnato armi al CLN e ha procurato documenti
falsi a molti nostri partigiani."
"Mi hai detto che è un combattente? Che cosa ha fatto? "
"E staccato da noi ma chiede di essere inserito nelle nostre formazioni.
Spetta a te verificare se lui e i suoi siano buoni combattenti. Comunque si
battono contro i tedeschi."
"Sarà, ma non mi fido."
Mi ritrovo in strada, al buio, e il silenzio del coprifuoco imminente mi fa
sentire solo e irrequieto. Forse è stato quell'uomo, la sua fretta inopportuna,
í suoi infelici interrogativi: "Dov'è Longo, dov'è
Secchia, tu sei Visone?" forse sono depresso.
Da qualche tempo le nostre faccende si mettono male. Il professor Quintino Di
Vona, un insegnante modesto quanto bravo, è stato ammanettato alle sette
del mattino davanti alla propria abitazione, a Inzago. La dottoressa Boselli,
che esercitava la professione medica come una missione, è stata arrestata
24 ore dopo dalle SS ad un appuntamento con Aldo. Pure arrestato Virgilio Ferrari,
tisiologo, primario dell'ospedale sanatoriale di Garbagnate. Una valanga si
abbatte su di noi. Arrestano, deportano e fucilano. Perfino gli amici che non
hanno ancora partecipato alla lotta clandestina sono candidati al carcere. In
agosto abbiamo registrato una media spaventosa di perdite: dieci arresti al
giorno. Nella tetra e tragica casa del Balilla di Monza, all'appuntamento con
le SS e con le torture, ci sono vecchi gappisti che hanno colpito il nemico
in pieno giorno, nel cuore della città, studenti che hanno scambiato
appena qualche parola, professionisti, avvocati, medici, commercialisti, che
ci hanno dato una mano, promesso un aiuto... Gli arresti sono troppi per essere
spiegabili con la generale inesperienza alla lotta clandestina. C'è qualcuno
che "sa" e che ha "soffiato" ai tedeschi il giorno, l'ora
dell'incontro, il luogo in cui un pacco di volantini sarebbe passato da una
mano all'altra. Il nemico colpisce con sicurezza. Sospendiamo tutti gli incontri
non assolutamente indispensabili; cerchiamo di isolare tutti coloro che possono
essere in pericolo. Ma non possiamo sospendere tutte le azioni. La lotta deve
continuare.
Aldo ed io dovremmo incontrarci alle ore 17 del 12 settembre
in piazza Argentina per ritirare un pacco di armi. Mi sento nervoso. Visone
è conosciuto. C'è un insolito movimento di SS per la città.
Il mio disagio aumenta. L'incontro alle 17 in piazza Argentina, estremamente
importante, deve comunque avvenire. Il nemico — se ne è stato informato
— aspetterà al varco due uomini.
Rifletto: invece di due uomini, ci saranno un uomo e una donna che solo Aldo
conosce: Sandra. Andrà lei all'appuntamento con Aldo, al mio posto; riceverà
in consegna un pacco contenente armi, munizioni ed espiosivo e lo lascerà
al recapito di via Macedonio Melloni 32
Un'altra ragazza, Narva, l'accompagnerà vicino al luogo dell'appuntamento
tenendosi in disparte, e scortandola poi fino alla base.
È una giornata bella e tiepida. Le due ragazze sono allegre, felici di
essere giovani, di vivere, di sentirsi ammirate.
Accompagno Sandra per un tratto di strada. Un taxi è fuori luogo: il
taxista potrebbe ricordarsi di noi e riconoscerci. Scarto il tram per evitare
di rimanere solo troppo presto. Da via Macedonio Melloni giungiamo a porta Venezia;
una lunga camminata insieme prima di lasciarci.
Rimasta sola, Sandra si ferma davanti a una vetrina e le pare, guardandosi nel
riflesso del cristallo che i suoi capelli siano leggermente scomposti. Se li
ravvia e aggiunge anche un velo di cipria in volto. Si incammina all'appuntamento
in piazza Argentina con passo rapido.
Narva le sorride. Sandra ricambia il sorriso: "aspettami, ritiro il pacco
e ce ne andiamo via subito." Narva fa un cenno con la testa e continua
a sgranocchiare i semi di zucca comperati poco prima.
La figura elegante di Aldo si staglia al centro di un grande portone semichiuso.
Sandra si avvicina come se non lo conoscesse. Dirà la parola d'ordine
con l'aria di chiedere una informazione e riprenderà subito a camminare
se l'altro non risponderà con la controparola.
Aldo si volge prima ancora che lei accenni a parlare; a metà della frase
convenuta: "per andare in via Galilei," la interrompe e risponde frettolosamente:
"la prima a destra, il primo portone a sinistra... Non c'è Visone?"
"No, non può venire."
Aldo ha un gesto di stizza. Cambia espressione e quasi balbettando mormora:
"siamo circondati, dobbiamo scappare..." Segnalato il pericolo, invece
di allontanarsi da lei, la prende sottobraccio. E assurdo. Poi come ricordando
improvvisamente le regole della clandestinità, si allontana quasi di
corsa. Sandra avverte alle spalle un passo pesante. Una mano la ghermisce brutalmente.
Le SS: l'hanno presa. Narva, che ha lasciato dall'altro lato della strada, non
c'è piú. Si è nascosta o è scappata? In ogni caso
avvertirà i compagni. Aldo è sparito. L'ha presa sottobraccio
invece di scappare, ed è scappato quando poteva continuare a tenerla
sottobraccio. La manovra è evidente.
I poliziotti nel bar dove l'hanno condotta le ripetono ostinatamente le stesse
domande: "Dov'è Visone? Quando verrà Visone?" Sempre
Visone, solo Visone. Nessuno le chiede di Aldo. Il traditore è lui.
Trascorrono interminabili ore nel bar. "Dov'è Visone?" Sandra
tace. Finalmente squilla il telefono. Il comandante delle SS risponde: "va
bene, torniamo."
La trappola montata per Visone viene smontata: Sandra è fatta uscire
dal bar e fatta salire su una automobile. Accanto a lei sospingono Narva. Le
hanno prese tutte e due. Nessuno avvertirà Visone.
Alle 20 m'accorgo che devo accendere la luce. Sono trascorse
tre ore dal momento dell'incontro in piazza Argentina, tre ore e mezzo dal momento
in cui ho salutato Sandra a Porta Venezia, Sandra non è ancora arrivata.
Ritirato il pacco delle armi Sandra e Narva avrebbero dovuto percorrere un lungo
tragitto a piedi, evitando il centro della città, troppo sorvegliato.
Ma avrebbero dovuto rientrare non più tardi delle 19. Il tempo è
scaduto e tra poco la città sarà paralizzata dal coprifuoco. Il
dubbio della cattura di Sandra diventa certezza, anche se mi rifiuto d'ammetterlo.
"Forse," penso, "Sandra sarà rimasta semplicemente bloccata
da qualche parte, forse, accorgendosi d'essere pedinata si sarà nascosta
per evitare di condurre la polizia alla nostra base."
La casa è tranquilla, in perfetto ordine. Il libro aperto sul tavolo,
accanto al grazioso vaso di fiori è il segno inconfondibile di una donna
delicata e gentile come Sandra. Ma l'atmosfera serena è ormai dissolta
nell'ansia. La strada è deserta. Dalla finestra guardo inutilmente in
basso, tendendo l'orecchio ad ogni più piccolo rumore. Odo un ticchettio
di passi femminili sul marciapiedi. Contro ogni regola di buon senso, la donna
attraversa la strada e si dirige verso il portone. E' la levatrice del secondo
piano che rientra dal lavoro.
Non c'è tempo da perdere. Le regole della clandestinità sono ferree.
Anche se hai perso la tua donna devi osservarle. Sandra è nelle mani
del nemico. Non parlerà. Ne sono certo. Ma ho egualmente il dovere di
agire prevedendo il peggio.
Nell'appartamento ci sono bombe a mano, esplosivi, un vero e proprio arsenale.
Devo metterlo al sicuro. La padrona di casa e la portinaia ignorano ufficialmente
le mie attività, ma sono dei nostri. Facciamo scomparire assieme il materiale
e mezz'ora dopo ci salutiamo con un'ultima stretta di mano. La padrona di casa
mi dice: "Ci rivedremo?"
"Spero di si."
"Stia attento!"
Le due donne corrono i miei stessi rischi. Se la polizia scoprisse quei bauli
pieni di armi in soffitta, sarebbero arrestate e fucilate.
Esco col coprifuoco. Il nemico non è riuscito a raggiungermi in piazza
Argentina, ma sta certamente braccandomi.
Raggiungo la nuova base: una casa di Via Hayez 33 che ci serve anche da infermeria.
*
La cella, nel carcere di Monza è buia e silenziosa. Dopo le luci abbaglianti delle lampade, dopo il ritornello ossessionante dell'ufficiale Werner, l'aguzzino delle SS, Sandra si sente quasi protetta dall'oscurità e dal silenzio. Tra poco sarà ancora inquisita; riascolterà il monotono ritornello: "Dov'è Visone? " Ha risposto ostinatamente di non conoscerlo e d'essere in procinto d'andare al cinema con l'amica. Ma non l'hanno creduta. Sanno molte cose, seppure imperfettamente. Non conoscono l'indirizzo della base ma sono stati informati delle azioni a cui Sandra aveva partecipato. Aldo ha fatto un lavoro accurato.
"Dunque, volevi andare al cinema?" Una domanda e un colpo. Hanno cominciato con gli schiaffi, poi con pugni violenti come mazzate. L'hanno percossa tanto duramente che le si è annebbiata la vista. La scena si ripete ogni giorno da una settimana. Quando la riportano in cella non riesce neppure a sopportare il contatto del vestito sulla pelle. È ridotta a non poter stendersi neppure sulla branda. Si tiene in piedi e vi rimane finché la stanchezza e la sofferenza non la fanno barcollare. Allora dimentica tutto per qualche ora.
Si sente scuotere come se la strappassero violentemente dalla
profondità in cui era precipitata. Continuano a scuoterla. Ha l'impressione
di risalire velocemente le pareti d'un pozzo profondo. All'improvviso la colpisce
uno schiaffo violentissimo: è arrivata.
Gli aguzzini l'hanno lasciata tranquilla un giorno per lasciarle intendere come
potranno essere indulgenti se parla. Li disillude subito. Risponde come ha sempre
risposto: "Non so niente, non vi posso dire niente." Allora la mettono
nelle mani dell'ucraino, l'esperto del gatto a sette code. Sa estrarre dal corpo
umano tutto il dolore possibile e fermarsi prima di uccidere. Il trattamento
è riservato ai personaggi importanti. Fanno un'eccezione per lei, la
novellina. Alla fine rientra l'ufficiale. Ha imparato a leggere ogni incertezza,
ogni debolezza nello sguardo delle sue vittime. Guardando il volto di Sandra,
il corpo gonfio e deforme dalle piaghe, scopre che la ragazza appartiene alla
ristrettissima categoria di quelli che si fanno ammazzare ma non parlano. Tenta
l'ultima prova, per scarico di coscienza: "Che ne direste se arrestassimo
la famiglia di questa signorina? " Nessuno risponde. L'ufficiale e gli
aguzzini escono. La porta si richiude. Sandra sente l'impulso di urlare ed ha
la forza di reprimerlo. Non vuole che il Werner, dietro la porta chiusa, la
senta.
*
Pellegrini ha ascoltato il mio racconto facendosi via via sempre
più grave. Neppure lui è riuscito a conservare la consueta impassibilità.
La roccia questa volta si è scossa. Si è lasciato scappare un
"ma questo è un terremoto" quando ho elencato i nomi dei compagni
arrestati.
"Ciao Visone," mi dice, "da questo momento non devi esistere
più per nessuno, tranne che per il comando."
"Naturalmente," rispondo; ma non posso abbandonare Sandra e lasciare
che sua madre ne ignori la sorte. Sandra è più che una compagna.
La stanno certo torturando. Devo liberarla. Non ho forse pensato di liberare
un partigiano ricoverato all'ospedale?
Settembre splende di luci e di colori, indifferente alla nostra tremenda guerra,
alla tragedia degli uomini. Magnificenza di sole in cielo, sugli alberi, sulle
facciate degli edifici, sulle campagne, perfino fra le macerie.
L'appuntamento con la madre di Sandra è per l'una e trenta. Mi sta aspettando
quando imbocco il viale, protetto da una penombra filtrata di bagliori. La scorgo,
il volto bianchissimo sugli abiti. Le sono di fronte, muto. All'improvviso mi
sussurra: "Sandra è stata arrestata?" L'ha letto nei miei occhi.
Mi parla: "Il vago malessere che mi aveva già assalita durante il
giorno, è divenuto chiaro presentimento della sorte di Sandra. Sentivo,
sentivo che non l'avrei rivista! Ho tentato di provare a me stessa che mi sbagliavo,
che le mie apprensioni erano infondate: quando le ore della sera sono passate
una dopo l'altra, e lei non è venuta, ne ho avuta la certezza. L'appuntamento
con Aldo è stato un appuntamento col carcere."
Per sei giorni l'ha attesa, con le briciole della speranza, aspettava che i
compagni le recassero qualche notizia. Sei lunghi giorni vissuti minuto per
minuto: lunghi quant'è lungo e triste il giorno, quant'è paurosa
d'incubi la notte. Per sei terribili giorni ha camminato per le strade, lavorato
in fabbrica, continuato a svolgere le sue mansioni di difesa clandestina, aiutando
i familiari dei caduti e dei degenti.
Il settimo giorno si è messa alla ricerca di Sandra. Peregrinava dalla
casa del fascio a via Rovello, a San Vittore. Ogni mattina percorreva le stesse
strade odiose e familiari, come i posti che deve frequentare, le porte che deve
aprire, le parole che deve ripetere, le facce ottuse che deve vedere, le risposte
ingannevoli che deve ascoltare.
Una sera all'Odeon, presenti Carlo e Anna, Lisa 34 affronta
Aldo: "Come spieghi che molti partigiani che ti abbiamo fatto conoscere,
siano stati arrestati?"
Aldo scatta: "Che stai dicendo? È da tempo che certe voci corrono
sul mio conto. Si dice addirittura che sia, proprio io, la spia dei tedeschi."
Ed aggiunge: "Ti prego, Lisa, non avere riguardi, sii franca." "Lo
sai che tua sorella è l'amante dell'ufficiale delle SS di Monza? "
Segue un attimo di silenzio. Aldo reagisce: "Che c'entro io con la condotta
di mia sorella? Il Werner non mi riguarda."
Carlo, colpito dalla rivelazione, tace.
"Tronchiamo questa discussione, domani devo essere in Val d'Aosta."
Aldo e Anna se ne vanno. Rimane Carlo nella sala dell'Odeon affollatissima.
Lisa, salita sul palcoscenico per il suo solito numero di danza, ritorna precipitosamente:
Carlo se la rivede davanti e prima che si renda conto di quello che sta accadendo,
sente la mano di Lisa accarezzargli il capo, il suo respiro farsi affannoso,
le sue labbra avvicinarsi alla bocca come per un bacio e l'avvertimento: "Scappa,
sta arrivando la Muti."
Carlo esce dalla porta di sicurezza, Lisa torna sul palcoscenico e riprende
la danza con le compagne proprio nel momento in cui i repubblichini, che ha
visto salire dalle scale, fanno irruzione in sala.
L'ultimo è Moschettini, il capitano di marina che 1'8
settembre non si è arreso. Assieme a Rino ha avuto un appuntamento con
Aldo. All'angolo con via Marghera il gruppo è stato circondato dalle
SS. Moschettoni 35 ha rivisto un'ultima volta Aldo allontanarsi con passo tranquillo.
Su Aldo non rimane piú il minimo dubbio. Da San Vittore abbiamo ricevuto
un foglietto spiegazzato con due righe chiarissime: "Aldo tradisce, lavora
coi tedeschi. Bisogna ucciderlo." È l'ultimo messaggio di Carlo,
catturato sulla strada di Rho mentre è in missione. Alla curva della
strada, puntuali come ad un appuntamento, sono sbucati i tedeschi. Lo aspettano
e lo prendono in consegna come un pacco in magazzino. Anche Carlo è amico
di Aldo, come Sandro Sandri, sorpreso nella sua abitazione dalle SS di Monza.
Qualche secondo prima ha ricevuto una telefonata di Aldo: "Stai attento,
ti cercano." Ha cercato di fuggire. Ma la telefonata di Aldo è destinata
ad accertare che la preda sia nella trappola e, naturalmente Sandro è
caduto nelle mani dei poliziotti che l'aspettano all'uscita.
Ormai per tutti il pericolo si chiama Aldo. Busetto e Vergani sono stati avvertiti.
La macchina dell'organizzazione è scattata per proteggere rapidamente
i ricercati dalla polizia. La catena dei collegamenti, che pure sono costati
sacrifici e sangue è interrotta. Io devo allontanarmi dalla città.
Anch'io sono un anello della catena che bisogna interrompere per sopravvivere
e poter continuare a combattere. Grazie ad Aldo la polizia ha una descrizione
fotografica di me.
Di Sandra ho avuto notizie da sua madre di ritorno da Monza dove ha affrontato
direttamente il Rossi, uno dei capi delle SS. L'ha blandito, insultato, pregato
fino a costringerlo ad ammettere: "Sua figlia è qui."
È viva, l'avrebbe rivista. Deve continuare in quella direzione, indignarsi,
trovare altre brecce, altri appigli, conoscere i motivi dell'arresto e della
detenzione. Alla fine Rossi precisa: "Sua figlia è implicata in
cose assai sporche."
Uno sguardo di compatimento mette Rossi a disagio e suggerisce le parole giuste
alla madre: "Cosa pretende da una ragazza di venti anni? Che non si lasci
ingannare da chi le fa la corte, che non creda a quello che le dicono? Chissà
quanti errori avrà commesso lei a vent'anni? Suvvia, quando me la manda
a casa?"
"Non dipende piú da me, ma voglio essere leale con lei, non deve
pensare che io sia un carceriere. Gliela faccio vedere."
Tace e attende. Teme un nuovo inganno. Dopo un quarto d'ora, il più lungo
della sua vita, Rossi, forse per non continuare a subire la sua presenza, dà
ordine di introdurre Sandra.
Scorge la sua creatura sulla porta. È diventata minuta, fragile come
era stata da bambina.
È possibile un colpo di mano contro la caserma di Monza?
Quasi a risvegliare le mie speranze riusciamo, in quei giorni, ad effettuare
una operazione fortunatissima strappando Antonio, un gappista ferito, dal Poli-clinico,
dove i fascisti l'hanno fatto ricoverare. Volevano che guarisse per farlo parlare
prima di inviarlo al patibolo. L'ospedale, al centro di Milano, è sorvegliatissimo,
ma anche noi abbiamo un compagno nello schieramento del nemico; il dottor Galletti,
chirurgo del nostro piccolo ospedale partigiano di via Hayez e medico al Policlinico.
Per mezzo suo conosciamo perfettamente l'itinerario all'interno dell'ospedale
e la camera in cui giace Antonio, sorvegliato da tre repubblichini.
Discutiamo il piano, controlliamo ogni dettaglio, come a una prova di regia.
Cinque partigiani arrivano al Policlinico a bordo di un biroccio. Cinque fratelli
sempliciotti, venuti dal contado in visita a un congiunto con pacchi e pacchetti
per tirargli su il morale. Percorriamo l'itinerario stabilito lungo il labirinto
di corridoi, raggiungiamo la camera di Antonio; tagliamo i fili del telefono.
I tre repubblichini di guardia non tentano neppure di reagire. Dobbiamo impedire
ad Antonio di alzarsi da solo; lo avvolgiamo nelle coperte e ce lo portiamo
via tra gli applausi fin troppo rumorosi degli altri ricoverati.
Il successo mi incoraggia a studiare un piano per liberare anche Sandra. Ho
già preso appuntamento con Marco a Rho, quando ho notizia che l'hanno
trasferita a San Vittore. Da lì sarà tanto fortunata da venir
spedita al campo di concentramento di Bolzano quando ormai la linea del Brennero
non funziona più.
Conosco Werner, famoso ufficiale delle SS. Alle ansiose domande delle madri
dei partigiani mandati davanti al plotone di esecuzione, risponde: "Ma
signora, il suo parente è già stato rimesso in libertà
da parecchi giorni!"
Ha improvvisi scatti di furore che gli sconvolgono il viso pallido e delicato.
Anche i suoi uomini hanno paura di lui. I suoi interrogatori, di un sadismo
metodico, sono preparati sulle informazioni delle spie. Se i prigionieri tacciono
estrae di tasca un portasigarette d'argento, l'apre, ne toglie una sigaretta,
l'accende. È un rito. Il fumo della sigaretta sale al soffitto, lo sguardo
dell'ufficiale ne insegue le volute.
"Siete mai stato nella foresta nera, camerata?" chiede ad uno dei
suoi aiutanti. Senza attendere risposta, descrive la casa natia, i paesaggi
lontani, i duelli all'università.
"È l'unica cosa proibita che noi tedeschi facciamo ancora."
I suoi aiutanti, zitti e immobili, guardano l'ufficiale recitare la commedia.
Il monologo si sposta verso la fine su argomenti musicali: Bach e Beethoven
preludono alla tortura o alla fucilazione. La buona educazione dell'ufficiale
gli impedisce di dare ordini brutali; accenna un gesto e il prigioniero viene
trascinato via.
Con un gesto simile sono state pronunciate le condanne a morte di Carlo e di
Sandro Sandri, gli amici di Aldo. Li hanno uccisi a Cambiago, di notte. La popolazione
ha appreso all'alba che due partigiani sono stati assassinati.
*
Anna abita in corso di porta Ticinese dove, con qualche cautela,
possiamo raggiungerla. Partigiana, figlia di un vecchio socialista perseguitato
dai fascisti, è la ragazza di Aldo. Dobbiamo metterla in guardia.
Le chiediamo: "Sai dov'è Aldo?"
Il suo volto si fa naturalmente pallido e terreo. Tenta di sorridere: "No,
è successo qualcosa?" Dobbiamo dirle la verità nel modo più
duro.
"Aldo è una spia dei tedeschi. Anna si alza di scatto tentando con
un brusco gesto delle spalle di scuotersi di dosso l'accusa.
"Sai di Carlo?"
"No."
"È stato fucilato."
"Che c'entra Aldo?"
"Lo ha fatto arrestare."
Anna ammutolisce in preda a sentimenti confusi e contrastanti. Ripete ancora:
"Che c'entra Aldo? Forse è in carcere e voi venite a dirmi che è
una spia." Vuole discutere. Diviene aggressiva. Le diciamo chiaro e tondo
che Aldo è amico del capitano Werner di cui sua sorella è l'amante;
che era assieme a Carlo quando lo hanno preso le SS.
Anna tenta un'ultima difesa: "Aldo sarà riuscito a scappare, è
in gamba."
"Aldo è in gamba per i tedeschi. Era fianco a fianco di Carlo e
non hanno fucilato Aldo ma hanno torturato e fucilato Carlo, tuo amico d'infanzia.
Hai mai sentito parlare di Sandra? Due giorni dopo l'arresto di Carlo ad un
incontro con Aldo in piazza Argentina le SS l'hanno arrestata, ma ad Aldo non
hanno neppure chiesto i documenti. Vuoi sapere quello che ha fatto la settimana
dopo? Ha fatto arrestare Sandro Sandri. Lo conoscevi?"
Anna assente con la testa, schiacciata dall'evidenza dei fatti. "...Orbene,
Sandri è stato fucilato come Carlo, nello stesso momento e nello stesso
luogo. O sei con noi o sei con i fascisti. Sai qual è il dovere. Comunque
devi interrompere ogni contatto con tutti i partigiani che conosci."
È stato duro dirle la verità, ma necessario.
Possiamo capire il suo dramma. Nello squallido appartamento di porta Ticinese,
era entrato un ragazzo spavaldo ed esuberante; poi era tornato con un mazzo
di fiori. Anna non aveva mai ricevuto fiori dai giovanotti che conosceva. Con
loro aveva giocato da bambina sul sagrato di Sant'Eustorgio e sulla sabbia della
Darsena. Qualcuno aveva cercato di dimostrarle il suo interesse tirandola in
un angolo buio. Aldo per la prima volta le ha fatto sentire il piacere di essere
donna.
Andava quasi ogni giorno per appartarsi con lei sul divano nel tinello, gentile,
affettuoso, le stringeva le mani tra le sue e le parlava d'amore. D'amore o
di politica. Suo padre e lei ascoltavano radio Londra di notte, lasciando aperto
il rubinetto dell'acqua perché non la si potesse udire dal di fuori.
Aldo, invece, parlava ad alta voce, come se il pericolo non esistesse, come
se non avesse paura di nulla o non ci fosse nulla da temere. Anna l'aveva presentato
a Lisa e insieme l'avevano invitato a una festicciola tra amici: lei si sentiva
gonfia di ammirazione, soggiogata da un ascendente che le parve inevitabile
e la lasciava in sua balia. Era un capo. Era coraggioso, non aveva paura delle
finestre aperte, né della gente che ascoltava in strada. Ad Anna sembrò
che tutti i ragazzi e le ragazze presenti alla festicciola fossero conquistati
alla causa partigiana da Aldo e se ne innamorò.
Chiediamo ad Anna di collaborare per catturare Aldo ma non nutriamo molte illusioni
in proposito. Speriamo almeno che interrompa i contatti con lui. Le notizie
su Anna ci pervengono indirettamente. Ha obbedito all'ordine del comando di
recidere i rapporti clandestini. Tuttavia ha pregato una conoscente di rintracciare
Aldo nei ritrovi dove, nel passato, si incontravano. È riuscita a sapere
che l'uomo che le aveva giurato fedeltà e amore, il combattente coraggioso
e temerario, è sposato.
Anna, nonostante gli avvertimenti, ha tentato di avere rapporti con una spia.
La isoliamo.
Da due mesi Aldo è scomparso; sa di essere ricercato dai partigiani e
sta attento a non farsi pescare. Un pomeriggio squilla il telefono nel negozio
di calzature dove Anna lavora. Una giovanissima commessa stacca il ricevitore:
"signorina, è per lei," dice.
"Anna? ciao, sono Aldo."
La commessa vede Anna impallidire e appoggiarsi alla parete.
"Pronto, sono Aldo, c'è Anna?"
"Si, sono Anna. Dove sei stato durante questi due mesi?"
Vuoi apparire fredda e distaccata, e lo rimprovera come una fidanzata. Vuole
soltanto credergli. "Capirai," dice remissiva, "dopo tanto tempo
è più che naturale che desideri sapere. Ci possiamo vedere?"
Aldo la interrompe gridando: "Non capisci che sono in pericolo? Che la
mia vita dipende anche da te? Vuoi vedermi ammazzato? Basta che venga a cercarti
e i tedeschi che ti sorvegliano mi prenderanno in trappola come un topo. Ti
telefonerò la prossima settimana. Non dire a nessuno che ti ho telefonato."
Non lo dice a nessuno.
Vigilia di Natale: Anna prova un gran vuoto attorno a sé, i compagni
la sfuggono, si sente isolata. Né la ragazza del negozio dal volto lentigginoso,
né i volti anonimi dei clienti, riempiono la sua solitudine. I giorni
sono grigi e freddi. Quando non si può accendere il fuoco, Anna e la
commessa gelano sebbene indossino cappotti e guariti. Anna si sente scossa da
brividi e non riesce a reprimere il tremito.
"Non ne posso più," dice alla ragazza, "vado a prendere
qualcosa di caldo al bar. Quando rientrerò andrai tu."
Esce dal negozio e dopo alcuni passi, le si para davanti Aldo. Non sa far altro
che tremare più forte. Tenta di balbettare qualcosa, ma è Aldo
a decidere per lei. La prende sottobraccio. Sente la stretta vigorosa di lui,
si lascia trascinare attraverso un passaggio buio, nel cortile d'un vecchio
magazzino abbandonato, sotto una tettoia di lamiera. Ansima, confusa dal piacere
e dal timore. Aldo corre ogni rischio pur di vederla. Non fa in tempo a chiedergli
nulla che lui l'afferra e la stringe a sé.
La sera, Aldo l'attende fuori dal negozio. Non è tardi ma le giornate
sono corte e nebbiose.
"È il tempo che permette," dice Aldo, "di circo-lare più
speditamente." Le vetrine dei negozi lambiscono la strada di riverberi
pallidi e scialbi; sui marciapiedi la gente viene inghiottita dalla nebbia.
Le figure appaiono e scompaiono come in un gioco di ombre cinesi. Anna si sente
protetta, nascosta.
"Devi interrompere qualsiasi contatto con il movimento," dice Aldo,
"è pericolosissimo. I tedeschi ci spiano e non esiterebbero a colpire
te, me e gli altri. Me lo devi giurare."
"Sta' tranquillo, da due mesi vivo isolata."
Aldo canticchia camminando con passo spedito. "Dove andiamo?" chiede
lei. "Non essere impaziente, è una sorpresa."
La conduce nel ristorante di un grande albergo. Anna ha un moto di preoccupazione.
"Non sarà pericoloso qui?" Aldo ride. "Non hai fiducia
in me. Mi stanno cercando in qualche bettola e io invece porto la mia ragazza
a cena nel migliore albergo della città. Non ti pare una buona idea?"
La serata le pare splendida. Lui è divertente, sereno, come se nessun
pericolo lo minacci ma lo preoccupi solo la scelta dei vini, accuratamente discussa
con lo chef.
Quando Anna torna a casa, non ricorda neppure che il coprifuoco è già
cominciato e che Aldo, imprudentemente, l'ha accompagnata senza fretta, sebbene
abbia ammesso di essere ricercato. Qualche cosa tuttavia la turba. Aldo è
stato ricevuto in quel ristorante di lusso come un cliente abituale. Una anziana
coppia di possidenti ha atteso a lungo prima che il cameriere si occupasse di
loro. Aldo le ha detto che è stato arrestato due mesi prima. I tedeschi,
di fronte al suo silenzio, dopo averlo torturato, lo hanno rilasciato. Per prudenza
ha aspettato qualche giorno prima di farsi vivo la vigilia di Natale. Ora vuole
dimenticare quegli avvenimenti dolorosi.
"Non parliamo di tragedie, Anna. Pensiamo a trascorrere felici queste ore.
Ti prego di non parlare di me con nessuno. Neanche con tuo padre. E non devi
più avere nessun rapporto con i nostri se non vuoi farmi cadere in trappola."
Il tempo vola per Anna: di giorno al lavoro in negozio, la sera con Aldo, sempre
o quasi sempre. Ore di felicità, qualche momento di ansia, un attimo
di angoscia quando vede vicino a casa sua un partigiano del suo gruppo. Per
un attimo pensa di avvertirlo che Aldo è salvo. Ma si sovviene del giuramento
fatto ad Aldo. La gioia di poterlo amare oscura la verità, che in fondo
all'animo, conosce benissimo.
Il due febbraio un comunicato sui giornali e sui manifesti murali annuncia che
"la fucilazione dei banditi comunisti, colpevoli di atti di terrorismo
contro le forze armate del Reich e della repubblica sociale italiana, Luigi
campeggi 36, Olivíero Volpones, Vittorio Resti, Venerino Mantovani, e
Franco Mandelli, è stata eseguita all'alba del due febbraio 1944, al
campo Giuriati."
Attorno al lugubre avviso una decina di persone sostano sgomente. Anna è
nel gruppo. Campegi, che ora giace inerte sulla crosta di ghiaccio del campo
Giuriati, era amico suo e di Aldo. Piangendo rientra in negozio.
A sera Aldo compare all'improvviso. La porta in un appartamento a Monza. Un
appartamento elegante, col pavimento lucido, i cuscini ben disposti sul divano,
le fodere stirate di fresco da una mano esperta.
"Abiti da molto qui?"
"Solo da venti giorni. E' la mia base segreta. Faccio io stesso le pulizie."
Mente in modo grossolano, tanto è sicuro di lei. Anna ricorda Campegi.
Di colpo Aldo è come un bambino spaventato. Si aggrappa a lei piangendo.
Poi vuole bere e la costringe a fumare. Le sigarette e i liquori sono di marca
straniera, come da due anni non se ne trovano All'improvviso la prega di andarsene.
Ha un appuntamento. Se ne era dimenticato. Si scusa di non poterla accompagnare.
"Capisci, vero?" Ormai anche Anna comincia a capire.
Fa avvertire il comando partigiano. Le rispondono che ha una cosa sola da fare
e che la faccia. Prende contatto con un gruppo di Matteottini.
Si incontrano sulla soglia di una casera solitaria. Quando Aldo entra è
afferrato per le braccia. Guarda Anna e i due che lo tengono e urla: "Che
cosa succede? Che cosa volete? Perché siete venuti qui?"
Senza volerlo, si considera accusato.
Vede la canna grossa e nera di una pistola a tamburo puntata su di lui, ne sente
il freddo metallo sulla fronte. Un uomo piccolo e tarchiato impugna l'arma,
mentre un altro alle spalle, lo perquisisce; ne estrae il portafogli, ne toglie
un documento e lo mostra al compagno. "Tessera SS, numero 44," esclama.
Aldo ha finalmente capito che i tre uomini sono partigiani; si ricorda di averne
intravisto uno al comando germanico e l'altro, nell'organizzazione Todt. Anna
dunque sa.
"Hai tradito tutti. Che t'aspetti? Fai una proposta!"
La frase, risveglia il suo istinto di conservazione.
"Che cosa ho fatto?" chiede. Non gli rispondono. Estraggono il suo
portafogli, lo aprono e gli mostrano il cartoncino grigio, glielo posano sotto
gli occhi.
"Che dici? Vuoi rispondere? O preferisci..." Aldo è preparato
a questa come ad altre domande. Ride. "Voi siete pazzi. Pazzi da legare."
Forse esagera apposta, sperando che le parole insolenti provochino una raffica
di sten. Non ha scelta. Lo turba l'impassibilità dei tre.
"Come credete che abbia potuto salvare tanta gente dai tedeschi? Dicendo
che ero antifascista? Informatevi al comando, chiedetelo al professore 37 prima
di fare sciocchezze."
"Alludi ai nostri che hai fatto ammazzare?" Non si arrende.
"Adesso capisco. Voi siete elementi isolati. Non potete sapere. Chiedo
di essere portato al comando."
L'ultima risorsa, la più arrischiata. Deve accadere qualcosa. L'impassibilità
di quei tre deve pur sciogliersi, anche per un attimo. Qualcosa accade. Quello
della Todt gli si avvicina, alza la canna della pistola in direzione degli occhi
mentre un altro gli chiede: "Vuoi confessare?"
Ha paura e tenta in qualche modo di perdere tempo. "Che cosa volete che
confessi?"
"Parlaci di Di Vona! "
Di Vona è morto e lui, Aldo, era vivo.
"Sono riuscito a scappare e Di Vona non ce l'ha fatta."
"Hai fatto arrestare Carlo, Sandro Sandri, hai partecipato al rastrellamento
di Barzio. Hai sulla coscienza i fucilati di campo Giuriati."
Sanno, sanno tutto o quasi tutto. È questo spiraglio a suggerirgli l'ultima
risposta.
"Se fermassero anche voi, adesso, forse vi troverebbero una agenda, un
foglietto, appuntamenti. Anche a me li trovarono quando venni arrestato."
"E allora?"
"Il comando avrebbe potuto dirvelo! Ve lo dico io. È stato Carlo
a parlare. È stato lui..."
Non può proseguire, vede un biglietto. Riesce a leggerlo. "È
Aldo che ha fatto la spia, giustiziatelo. Carlo." "Sei un traditore,
sei sempre stato una spia." "Non sono una spia. Non potete sostenerlo."
"Carlo ti accusa."
"Non può essere il suo biglietto."
Anna ha riconosciuto la scrittura di Carlo. "È lui che ti accusa,
il tuo migliore amico."
"Anna?"
I loro sguardi si incrociano. Si osservano a lungo: ognuno dell'altro vede il
volto segnato, l'espressione sgomenta, i lineamenti tirati, nello sforzo di
reprimere i sentimenti, le angosce, la paura, la ribellione.
Restano soli, uno di fronte all'altra.
"Anche tu," esplode alla fine Aldo, con rabbia e dolore insieme, "mi
credi colpevole? Anche tu sei dalla loro parte? Anche tu hai sospettato di me?
Da
quando, dimmi, hai cominciato a nascondere il tuo vero animo e a lasciarmi credere
d'essere ancora la mia donna mentre te ne allontanavi? No, non dirmelo, credo
di saperlo. Credo di sapere che da settimane e mesi vivi la tua doppia vita.
Il tuo si è un doppio gioco, un inganno. Ma tu che donna sei che tradisci
il tuo uomo? " "Tu non sei il mio uomo, non lo sei mai stato."
"La gelosia ti ha accecata perché hai scoperto che nella mia vita
c'era un'altra, mia moglie. Ti amavo. Me ne ero liberato. Ma tu che donna sei
che nel momento del pericolo mi abbandoni? Non è mai accaduto nemmeno
ai delinquenti d'essere abbandonati dalle loro donne!"
Pallida e furente Anna sibila: `"Non ne avevo il diritto. Nemmeno tua moglie
l'avrebbe avuto. Il tradimento è diverso dal delitto. Non potevo rendermi
complice dei tuoi tradimenti. È in gioco la vita e la libertà
di un popolo. Non potevo, non potrò mai essere dalla parte di chi insidia
l'avvenire dei nostri figli, dei tuoi figli, Aldo! Nessuna donna è stata
mai disposta a farlo."
"Dunque, anche tu mi credi una spia?"
"Un debole! tu sei stato sopraffatto da eventi smisuratamente più
grandi di te. Ho sofferto tanto, che avrei voluto pagare io il tuo conto ai
patrioti."
"Non sono ancora stato condannato: si tratta soltanto di sospetti e di
accuse di tradimento. Ora ascolteranno i miei disegni."
Anna Io guarda con pietà, con orrore, improvvisamente colta dal dubbio
che Aldo sia pazzo. "Quali disegni?"
"Posso impadronirmi del comando tedesco; conosco dislocazioni, informatori,
codici. Tu mi devi aiutare, devi appoggiare i miei sforzi per convincere il
comando; si tratta di un'azione delicata, possibile solo a chi conosce l'istrumento
che deve maneggiare. Ed io lo conosco."
Aldo vede Anna coprirsi il volto con le mani.
Fosse partigiano, capirebbe che è il momento di confessare,
fosse coraggioso avrebbe creato una situazione favorevole, in strada, urlando
e facendo accorrere qualcuno. Due ipotesi, solo due, ma quante mai ne sono possibili,
nel momento più tragico della vita d'un uomo?
Chi può sapere quello che pensa nel momento supremo? Viene lasciato solo.
Non è legato. Non si muove. Sente i passi dei tre echeggiare sul pianerottolo,
le scarpe chiodate di quello della Todt stridere sui gradini di legno della
scala, ogni tanto un singhiozzo. Una luce scialba penetra nella stanza. Fa freddo.
Seduto sulla poltrona, gli pare d'essere abbandonato su un pianeta sconosciuto.
Si rende conto d'essere condannato e di aspettare l'alba per l'ultima volta.
Gli mettono addosso il cappotto e lo sorreggono.
Indugia con lo sguardo sulle cose. In strada respira l'aria gelida con ingordigia,
stupito di poterla ancora respirare.
30 Giovanni Jannetti.
31 Italo Busetto (Franco), comandante del raggruppamento Brigate Garibaldi in
Milano e provincia.
32 Era un appartamento abitato dalla signora Maria Sacchi che mi preparava i
pranzi.
33 La casa era della signora Lucia Galleani
34 Carlo: Renato Mattei; Lisa: Carla Lombardo.
35 Dopo essere stato selvaggiamente torturato a Monza, Moschettini venne deportato
a Mauthausen, dove mori.
36 Luigi Campegi prima di morire, scrisse la seguente lettera: "Sono stato
condannato alla pena capitale, mi raccomando, non fatelo sapere ai miei genitori.
Non piangete per me, vado contento con dodici dei miei uomini, spero di scrivervi
ancora. Vi abbraccio tutti. Gigi."
37 Antonio Banfi.