Biblioteca Multimediale Marxista
Marx. Articolo per il New York Daily Tribune,
31 maggio 1856
LA STORIA DI CASA SAVOIA
La storia di casa Savoia si può dividere in tre epoche: la prima in cui essa
sorge e s'ingrandisce, assumendo una posizione equivoca tra Guelfi e Ghibellini,
tra le repubbliche italiane e l'impero tedesco: la seconda in cui prospera
passando dall'una all'altra parte nelle guerre tra Francia e Austria; e la
recente in cui tenta di volgere a proprio vantaggio la lotta mondiale tra
la rivoluzione e la controrivoluzione. Nelle tre epoche, l'equivoco è l'asse
costante attorno al quale evolve la sua politica, e come frutti immediati
di questa politica appaiono risultati di proporzioni minime e di carattere
ambiguo. Alla fine della prima epoca, simultaneamente con la formazione delle
grandi monarchie europee, vediamo che casa Savoia costituisce una piccola
monarchia. Alla fine della seconda epoca il Congresso di Vienna concede che
le venga ceduta la Repubblica di Genova, mentre l'Austria inghiotte Venezia
e la Lombardia, e la Santa Alleanza fa calcare la sua cappa di piombo su tutte
le potenze secondarie, di qualunque specie esse fossero. Durante la terza
epoca, finalmente il Piemonte ottiene il permesso di comparire alla Conferenza
di Parigi, dove presenta un memorandum contro l'Austria e Napoli, dà saggi
consigli al papa, riceve un amichevole colpetto sulle spalle da Orlov; dove
le sue aspirazioni costituzionali sono incoraggiate dal coup d'état e i suoi
sogni di supremazia italiana sono stimolati da quello stesso Palmerston che
l'ha così felicemente tradita nel 1848 e nel 1849. è un'idea piuttosto assurda
quella dei portavoce sardi che il costituzionalismo - della cui bancarotta
le rivoluzioni del 1848-49 fecero risonare il continente europeo, dimostrandosi
egualmente impotente contro le baionette delle corone e le barricate del popolo
- questo stesso costituzionalismo stia non soltanto per celebrare la sua restitutio
in integrum sulla scena piemontese, ma stia persino diventando un potere conquistatore.
Questa idea può nascere soltanto nella testa dei grandi uomini di un piccolo
Stato. Per ogni osservatore imparziale è un fatto indiscutibile che, con una
grande monarchia in Francia, il Piemonte deve restare una piccola monarchia;
che, con il dispotismo imperiale in Francia, il Piemonte è tutt'al più tollerato,
e che, con una vera repubblica in Francia, la monarchia piemontese scomparirà
e si dissolverà in una repubblica italiana. Sono invero le condizioni dalle
quali dipende la sua esistenza che impediscono alla monarchia sarda di raggiungere
i suoi fini ambiziosi. Essa può sostenere la parte di liberatrice dell'Italia
soltanto in un'epoca in cui la rivoluzione ristagna in Europa, mentre la controrivoluzione
domina suprema in Francia. In queste condizioni essa può pensare di prendere
nelle sue mani le redini dell'Italia, in quanto è l'unico Stato italiano di
tendenze progressive, con sovrani locali e con un esercito nazionale. Ma queste
stesse condizioni la pongono tra la pressione della Francia imperiale da un
lato e quella dell'Austria imperiale dall'altro. Nel caso di una seria tensione
tra questi imperi vicini, la monarchia sarda deve diventare il satellite di
uno di essi e il campo di battaglia di entrambi. Nel caso di una entente cordiale
tra di essi, deve accontentarsi di una esistenza asmatica, di una mera tregua.
Buttarsi sul partito rivoluzionario in Italia sarebbe un suicidio puro e semplice
perché gli avvenimenti del 1848-49 hanno fugato le ultime illusioni circa
la sua missione rivoluzionaria. Le speranze della casa Savoia sono così legate
con lo status quo in Europa, e lo status quo in Europa le preclude ogni possibilità
di estendersi nella penisola appenninica, assegnandole la modesta parte di
un Belgio italiano. Nel loro tentativo di riprendere al Congresso di Parigi
il giuoco del 1847, i plenipotenziari piemontesi potevano perciò offrire soltanto
uno spettacolo assai pietoso. Ogni loro mossa sulla scacchiera diplomatica
era uno scacco per loro stessi. Mentre protestavano violentemente contro l'occupazione
austriaca dell'Italia centrale, dovevano limitarsi a blandi accenni sull'occupazione
di Roma da parte della Francia; e mentre mormoravano contro la teocrazia del
pontefice, dovevano prostrarsi davanti alle smorfie ipocrite del figlio primogenito
della Chiesa. Dovevano rivolgersi a Clarendon, che aveva dato prova di una
così tenera sollecitudine per l'Irlanda nel 1848, per dare lezioni d'umanità
al re di Napoli; dovevano rivolgersi al carceriere di Caienna, Lambessa e
Belleisle per aprire le prigioni di Milano, Napoli e Roma. Mentre si erigevano
a campioni di libertà in Italia, si inchinavano servilmente davanti all'attentato
contro la libertà di stampa perpetrato da Walewski in Belgio, e dichiaravano
apertamente che "è difficile che possano sussistere buoni rapporti tra
due nazioni, quando in una di esse esistono giornali che esprimono dottrine
esagerate e conducono la guerra contro i governi vicini''. Avendo così motivato
la loro stupida adesione alle dottrine bonapartiste, l'Austria immediatamente
si volse contro di loro con l'imperiosa richiesta di far cessare e di reprimere
la guerra condotta contro di lei dalla stampa piemontese. Nel momento in cui
fingono di contrapporre la politica internazionale dei popoli alla politica
internazionale dei paesi, i diplomatici piemontesi plaudono a un trattato
che riallaccia quei vincoli di amicizia che esistono da secoli tra la casa
Savoia e la famiglia Romanov. Mentre sono incoraggiati a dar corso alla loro
libera eloquenza davanti ai plenipotenziari della vecchia Europa, essi debbono
tollerare di essere sdegnosamente trattati dall'Austria come una potenza di
second'ordine, non autorizzata a discutere le questioni di primo piano. Mentre
essi gustano l'immensa soddisfazione di stendere un memorandum, l'Austria
può, senza che nessuno vi si opponga, stendere un esercito lungo tutta la
linea di frontiera sarda, dal Po alla sommità degli Appennini, occupare Parma,
fortificare Piacenza, nonostante il trattato di Vienna, e spiegare le sue
forze sulla costa adriatica da Ferrara e Bologna fino ad Ancona. Sette giorni
dopo che queste lamentele erano state esposte davanti al Congresso, il 15
aprile, veniva firmato un trattato speciale, tra la Francia e l'Inghilterra
da una parte e l'Austria dall'altra, comprovante fino all'evidenza il danno
che il memorandum aveva inflitto all'Austria. Tale era, al Congresso di Parigi,
la posizione dei degni rappresentanti di quel Vittorio Emanuele che, dopo
l'abdicazione del padre e la perdita della battaglia di Novara, andò sotto
gli occhi del suo esercito esasperato, ad abbracciare Radetzky, il vendicativo
nemico di Carlo Alberto. Il Piemonte, se non è cieco di proposito, deve essersi
ormai accorto di essere stato gabbato dalla pace, come è stato gabbato dalla
guerra. Bonaparte può servirsene per intorbidare le acque in Italia con lo
scopo di pescare corone nel fango. La Russia può dare un colpetto sulle spalle
della piccola Sardegna, con l'intenzione di allarmare l'Austria nel sud per
indebolirla nel nord. Palmerston può, per scopi noti a lui solo, ripetere
la commedia del 1847, senza neanche darsi la pena di intonare la vecchia canzone
su un motivo nuovo. Alle potenze estere il Piemonte serve soltanto per cavar
le castagne dal fuoco. In quanto ai discorsi del Parlamento britannico, il
signor Brofferio ha detto alla Camera sarda dei deputati, di cui è membro,
"che essi non sono mai stati oracoli delfici, ma sempre trofoniani''.
Egli commette il solo errore di scambiare gli echi per oracoli. L'intermezzo
piemontese considerato in sé presenta un solo interesse, quello di vedere
ancora una volta frustrata la politica voltafaccia tradizionale di casa Savoia
e frustrati i suoi rinnovati tentativi di fare della questione italiana il
puntello dei suoi intrighi dinastici. Esiste però un altro e più importante
punto di vista, trascurato di proposito dalla stampa inglese e francese, ma
sottolineato con particolare cura dai plenipotenziari sardi nel loro famoso
memorandum che abbiamo copiato ieri l'altro. L'atteggiamento ostile dell'Austria,
giustificato dalla posizione presa a Parigi dai plenipotenziari sardi, "obbliga
la Sardegna a rimanere armata e adottare misure difensive estremamente onerose
per le sue finanze, già gravate in conseguenza degli eventi del 1848 e 1849
e della guerra a cui essa ha preso parte''. Ma questo non è tutto. "L'agitazione
popolare, dice il memorandum sardo, sembra essersi acquetata negli ultimi
tempi. Gli italiani, vedendo uno dei loro principi nazionali alleato con le
grandi potenze occidentali... hanno concepito la speranza che la pace non
sarà fatta prima che un certo sollievo non sia stato apportato ai loro mali.
Questa speranza li ha resi calmi e rassegnati, ma quando conosceranno i risultati
negativi del Congresso di Parigi, quando sapranno che l'Austria, nonostante
i buoni uffici e l'intervento benevolo della Francia e dell'Inghilterra, si
è opposta ad ogni discussione... non c'è dubbio che l'irritazione che è stata
sopita per il momento, si ridesterà più veemente che mai. Convinti di non
aver più nulla a sperare dalla diplomazia, essi si rigetteranno con l'ardore
meridionale nei ranghi del partito rivoluzionario e sovversivo, e l'Italia
ritornerà un focolare ardente di cospirazioni e di disordini che si comprimeranno
forse con un raddoppiamento di rigore, ma che la minima commozione europea
farà scoppiare nel modo più violento. Il risveglio delle passioni rivoluzionarie
in tutte le contrade vicine al Piemonte, per effetto di cause di natura tale
da eccitare le più vive simpatie popolari, espone il governo saldo a pericoli
di una eccessiva gravità''. Questo è il nocciolo della questione. Durante
la guerra, la ricca borghesia lombarda si era, per così dire, spolmonata nella
vana speranza di conquistarsi, a guerra conclusa, e grazie all'azione diplomatica
e sotto gli auspici della casa Savoia, l'emancipazione nazionale o le libertà
civili senza la necessità di dover passare a guado il Mar Rosso della rivoluzione,
e senza dover fare ai contadini e ai proletari quelle concessioni che dopo
l'esperienza del 1848-49, com'essa ben sapeva, erano divenute inseparabili
da ogni movimento popolare. Tuttavia le sue epicuree speranze si sono dileguate.
Gli unici risultati tangibili della guerra, almeno gli unici che un occhio
italiano possa cogliere, sono i vantaggi materiali e politici posseduti dall'Austria:
un nuovo consolidamento di quell'odiata potenza assicurato dalla collaborazione
di un cosiddetto indipendente Stato italiano. I costituzionalisti del Piemonte
avevano nuovamente il gioco nelle loro mani: l'hanno perduto di nuovo e di
nuovo sono accusati di venir meno alla loro missione, così chiassosamente
proclamata, di guidare l'Italia. Essi saranno chiamati a rendere conto con
il loro stesso esercito. Di nuovo la borghesia è obbligata a gettarsi sulle
aspirazioni del popolo e a identificare l'emancipazione nazionale con il rinnovamento
sociale. L'incubo piemontese è dissipato, l'incanto diplomatico è rotto e
il cuore vulcanico dell'Italia rivoluzionaria ha ripreso a battere.