Biblioteca Multimediale Marxista
La concezione revisionista dello Stato
Lo stato è il prodotto della divisione della società
in classi e lo strumento per mantenere il dominio di una classe sulle altre.
Nel corso dello sviluppo capitalistico lo stato borghese ha progressivamente
ampliato le proprie basi ed esteso l'area del proprio intervento: con la costruzione
di un apparato di consenso, attraverso l'avvento della democrazia parlamentare
prima, e l'istituzionalizzazione del potere sindacale poi; con il passaggio
da un modello di stato liberale e liberoscambista (che non è mai esistito,
allo stato « puro ») a forme sempre più estese di capitalismo
di stato: il protezionismo, il controllo centrale della moneta e del credito,
il sostegno della domanda, la regolamentazione della dinamica salariale, fino
alle più moderne forme di sostegno della ricerca, degli investimenti
e della produzione.
Fin dalle sue prime manifestazioni, il revisionismo si è presentato come
tendenza a privilegiare queste forme della attività dello stato, facendo
passare in secondo piano, o addirittura cancellando, quello che invece ne è
l'aspetto essenziale e ineliminabile, cioè la coercizione e il potere
delle armi. Nasce così la teoria della « neutralità »
dello stato; essa presenta lo stato non come strumento del dominio di una classe
sulle altre, ma come terreno neutro di scontro tra le classi, dalla cui conquista
dipende, in ultima analisi, la questione del potere. Nella sua primitiva formulazione
il revisionismo tende a vedere nei meccanismi della democrazia borghese lo strumento
di questa conquista, attraverso il conseguimento della maggioranza parlamentare.
Mano a mano che la macchina dello stato si fa più complessa e che la
democrazia parlamentare tende a divenirne un aspetto marginale, il revisionismo
tende a trasferire nella sfera delle funzioni economiche dello stato il terreno
principale di questo confronto: una teoria che in Italia, nelle sue varie formulazioni,
dal « piano del lavoro » al « nuovo modello di sviluppo »,
è riconducibile ad un unico schema: quello togliattiano delle «
riforme di struttura ».
La rottura della macchina dello Stato
Ma, regolarmente, la storia della lotta di classe si incarica
di ricordare che la natura ultima dello stato è quella di un apparato
repressivo armato al servizio del dominio borghese e che l'ampliamento delle
funzioni, dell'area di intervento e della stessa base di consenso dello stato
borghese non comporta l'eliminazione, o anche solo la modificazione, della sua
natura originaria, ma anzi ne esalta il carattere repressivo: così, le
funzioni economiche dello stato sono cresciute soprattutto intorno a una corsa
senza precedenti agli armamenti: l'ampliamento della sua « base di consenso
» ha significato una articolazione e uno sviluppo sempre più capillare
degli strumenti di manipolazione, controllo poliziesco, spionaggio; il suo intervento
nel campo assistenziale e dei servizi sociali ha comportato un ampliamento senza
pari del suo potere di corruzione; e, infine, allo sviluppo delle sue funzioni
imprenditoriali corrisponde il trasferimento della concorrenza capitalistica,
dal terreno del mercato a quello della lottizzazione del potere, che ha visto
uno sviluppo senza precedenti dello spionaggio e del ricatto come strumenti
di lotta politica; lo scandalo del Watergate negli USA ha un valore esemplare
nel definire le caratteristiche fondamentali del « nuovo modello di stato
capitalistico » che domina la nostra epoca.
La natura ultima dello stato borghese è quella di essere un apparato
di repressione; lo sviluppo del capitalismo e le trasformazioni che esso induce
nello stato borghese comportano un potenziamento e non una riduzione degli strumenti
di questa repressione; il passaggio del potere dalla borghesia al proletariato
non può avvenire pacificamente e gradualmente attraverso la « conquista
dello stato » ma può realizzarsi solo attraverso una rottura violenta
che spezzi la macchina dello stato.
Attuale è la lezione che Marx traeva dalla Comune, arricchendo l'impostazione
stessa del « Manifesto del Partito Comunista », e Lenin dalla rivoluzione
del febbraio 17 in Russia, secondo cui « dopo ogni rivoluzione, che segna
un passo in avanti nella lotta di classe, risulta in maniera sempre più
evidente il carattere puramente repressivo del potere dello stato » (Marx);
secondo cui, quindi, la dittatura della borghesia va rovesciata, spezzandone
lo strumento principale, lo stato borghese, e instaurando « l'organizzazione
del proletariato come classe dominante ». La dittatura del proletariato
è momento necessario, segna un passaggio determinante « dallo Stato
come forza particolare, destinata a reprimere una classe determinata, alla repressione
degli oppressori ad opera della forza generale della maggioranza del popolo
» (Lenin); d'altro canto, essa è momento transitorio, rivolto a
creare le condizioni del superamento stesso dello stato, come strumento in ogni
caso di repressione. Per questo, la rottura rappresentata dalla dittatura del
proletariato non riguarda solo la classe che detiene il potere, non è
cioè un « cambio della guardia » entro uno strumento di dominio
che rimane identico, ma riguarda la forma stessa di questo dominio.
La sostituzione dell'esercito col popolo in armi, l'abolizione del privilegio
dei funzionari (il cui stipendio dev'essere pari al salario operaio), la loro
eleggibilità e revocabilità assoluta, in un processo che pone
le basi dell'abolizione della burocrazia come funzione speciale di una determinata
categoria di persone, e quindi pone le basi dell'esercizio totale e quotidiano
del potere da parte delle masse: queste sono le indicazioni embrionali di Lenin,
volte a ribadire l'impossibilità che l'« espropriazione degli espropriatori
» avvenga attraverso la vecchia macchina dello stato, od una sua graduale
modifica. In modo diverso, l'esperienza cilena e — più ancora —
quella portoghese ci mostrano come un mutamento radicale di regime possa essere
un potente fattore di accelerazione della lotta di classe, ma anche di disarticolazione
dell'apparato statale; mostrano infine come la possibilità che questa
disarticolazione cresca all'interno delle forze armate — organo decisivo
della dittatura di classe borghese sia un elemento strategicamente fondamentale.
Lo Stato italiano: la continuità con il fascismo
Quali sono le caratteristiche dello stato italiano?
Innanzitutto il suo rapporto di continuità con lo stato fascista. La
guerra di resistenza e la liberazione non hanno spezzato il precedente apparato
statale, fascista, così come l'avvento del fascismo non aveva spezzato,
ma, anzi, si era sviluppato, sul tronco del precedente apparato dello stato
liberale.
I guasti dell'apparato statale fascista prodotti dalla sconfitta militare e
quelli provocati dalla guerra di liberazione furono rapidamente colmati dagli
« alleati », cioè dall'imperialismo anglo-americano. L'epurazione
dei corpi dello stato dagli individui e dalle forze del passato regime non sfiorò
che la superficie di essi e solo per breve tempo, per rovesciarsi ben presto
nel suo contrario, cioè nell'epurazione sistematica e programmata di
tutti gli elementi portati al suo interno dalla vittoria delle forze popolari,
oppure nel loro isolamento dalle masse, equivalente di fatto a una cooptazione
nel regime.
La dipendenza dagli USA
In secondo luogo la stretta dipendenza dall'imperialismo USA.
La restaurazione dello stato italiano avviene nel clima della guerra fredda
all'interno della quale l'Italia rappresenta una duplice frontiera: perché
è uno dei paesi confinanti con il blocco sovietico nella parte più
« delicata » dello scacchiere europeo; e perché è
il paese capitalistico dove la lotta operaia, la lotta antimperialisti e la
lotta armata sono più forti e sono egemonizzate dal PCI, che è
il più forte partito comunista dell'occidente, con legami ancora strettissimi
con l'URSS.
La vita politica della repubblica è fin dall'inizio dominata dall'esigenza
dell'imperialismo USA di farne un baluardo anticomunista, ed a questa esigenza
si uniformano ben presto non solo le forze politiche di governo, e i corpi dello
stato, ma anche lo stesso sviluppo dell'apparato economico produttivo. Si forma
così un inscindibile intreccio, che non verrà spezzato né
allentato nemmeno nella fase della distensione, e che è il pilastro maggiore
su cui da sempre si reggono le fortune della Democrazia Cristiana.
Il regime democristiano
In terzo luogo la forma specifica che ha assunto il nuovo regime
statale, in una identificazione sempre più stretta con la Democrazia
Cristiana.
La Democrazia Cristiana governa l'Italia da 30 anni ininterrottamente, caso
pressoché unico in un paese capitalistico a democrazia parlamentare.
Le basi iniziali del suo potere sono costituite dalla continuità con
lo
stato fascista: la DC infatti era l'unica forza in possesso dei quadri capaci
di turarne le falle; dall'appoggio del Vaticano e dell'apparato ecclesiastico;
dall'appoggio incondizionato della grande industria e dell'imperialismo USA;
dal controllo politico ed elettorale di ampie masse cattoliche soprattutto contadine,
grazie anche all'apparato economico rurale ereditato dal fascismo.
A partire da questa base la Democrazia Cristiana ha realizzato, in brevissimo
tempo, la conquista e il potenziamento dei principali corpi dello stato (Forze
Armate, polizia, pubblica amministrazione, magistratura) e dei principali gangli
della società civile, e cioè: il sistema creditizio, cioè
le banche, che in Italia, data la assoluta prevalenza delle piccole unità
produttive incapaci di autofinanziamento, permette un controllo pressoché
totale di tutto il tessuto economico dell'industria, del commercio e dell'agricoltura;
l'industria pubblica, che già sotto il fascismo era in Italia una delle
più estese del mondo capitalistico, e che sotto il regime democristiano
ha attraversato una ulteriore eccezionale fase di espansione; i canali della
spesa pubblica, centrale e locale, che, tra l'impulso dato ai lavori pubblici
e la ordinaria amministrazione degli enti di stato e del parastato ha costituito
la principale e dinamica fonte di sviluppo per l'occupazione, permettendo alla
DC di accaparrarsi il monopolio delle assunzioni e di promuovere una eccezionale
dilatazione del « ceto medio » impiegatizio sotto il suo diretto
controllo; tutti i principali « servizi sociali », dagli ospedali
all'edilizia popolare, alla previdenza sociale, trasformandoli anch'essi in
fonti di potere, di occupazione e di corruzione direttamente gestite dal partito;
le associazioni professionali, le corporazioni e i sindacati corporativi del
pubblico impiego, base principale del reclutamento del proprio personale politico
le prime, punto di appoggio per la costruzione del sindacalismo bianco dopo
la scissione i secondi; la scuola, in tutti i suoi gradi, da quella materna
all'università, con un monopolio quasi esclusivo della prima, senza contare
l'estensione degli istituti clericali sovvenzionati dallo stato a tutti i livelli;
infine, gli strumenti dell'informazione di massa, dal cinema, alla RAI-TV, all'editoria
fino alla stampa. quotidiana.
La DC è sempre stata un partito interclassista e dalla salvaguardia di
questo carattere ha tratto la sua forza. Ma dal controllo iniziale di vaste
masse contadine e cattoliche le basi dell'interclassismo democristiano si sono
progressivamente trasferite al suo apparato di corruzione.
La progressiva identificazione della DC con lo stato, del suo personale politico
con il personale dello stato e la estensione del suo potere ben al di là
di esso, rappresentano le fondamenta del regime che ha governato l'Italia nel
dopoguerra. Questo fatto da un lato ha concentrato nella DC la rappresentanza
quasi esclusiva degli interessi capitalistici e borghesi; ma dall'altro ha creato
le condizioni perché le divisioni e le contraddizioni che la crisi e
la lotta di classe producono nel fronte borghese si riflettano in modo diretto,
senza mediazioni e senza possibilità di ricambio, sulla Democrazia Cristiana.
Se da un lato è cresciuta la crisi e la disaggregazione di quel blocco
sociale su cui la DC aveva fondato il proprio consenso, d'altro lato si è
accelerato un processo di instabilità istituzionale: entrambi questi
elementi sono aggravati in maniera decisiva dalla capacità cosciente
dell'offensiva operaia di esprimersi e di sviluppare la propria egemonia in
tutti i campi.
Sta qui la ragione ultima della crisi democristiana, che ha ormai assunto un
andamento irreversibile; ma sta qui anche la ragione per cui la crisi della
DC è destinata a trascinare con sé anche la crisi dello stato.
Il capitalismo di Stato
In quarto luogo, quella che abbiamo visto essere uno degli
strumenti maggiori di sviluppo del potere democristiano: l'eccezionale estensione,
in Italia, del capitalismo di stato, nel suo triplice aspetto di capitale finanziario,
di impresa pubblica, di spesa pubblica: in particolare quest'ultima ha da tempo
superato la funzione, che fu propria di tutta una fase dello sviluppo capitalistico
cominciato negli anni 30, di semplice sostegno della domanda per garantire gli
sbocchi alla produzione. L'Italia, seppure in forme « arretrate »
e tecnologicamente meno sofisticate, è uno dei paesi capitalistici dove
lo stato interviene in misura maggiore per sostenere e regolamentare gli investimenti,
la produzione e lo stesso profitto, il quale assume sempre più l'aspetto
di una quota-parte del bilancio complessivo statale, invece che quello di un
reddito conquistato sul mercato. Questo fa sì che il rapporto tra governo
e controllo dell'economia sia eccezionalmente stretto, senza paragone con gli
altri paesi capitalistici.
Per questo in Italia il problema del governo coinvolge una quota di potere decisamente
superiore che nel resto dell'occidente capitalistico sviluppato. Se ciò
ha finora contribuito a rendere impossibile un ricambio di governo, questo stesso
fatto fa sì che, ove un ricambio si rendesse necessario, per l'approfondimento
della crisi democristiana, esso sarebbe assai critico per le sorti del potere
borghese e ben difficilmente potrebbe rappresentare un fattore di stabilizzazione.
L'apparato repressivo
In quinto luogo l'eccezionale estensione che ha in Italia l'apparato militare e repressivo dello stato. Alle tre armi delle Forze Armate (esercito, marina, aviazione) si aggiungono tre corpi di polizia ufficiali (carabinieri, polizia e guardia di finanza) e tre corpi militarizzati, con funzioni analoghe (guardie forestali, guardie carcerarie, capitaneria di porto). I servizi segreti sono almeno sette, per non parlare di quelli che sono talmente segreti che nemmeno si conoscono, anche perché, come molti altri corpi di polizia, stanno a metà tra il pubblico e il privato. L'elefantiasi dell'apparato militare italiano si spiega soprattutto con il suo ruolo nella repressione interna, rispetto alla quale è perfettamente attrezzato ed « efficiente ».
Le forme istituzionali
Infine lo stato italiano ha una forma costituzionale, rispetto
alle altre forme di democrazia borghese esistenti, estremamente più esposta
alla instabilità politica. Certamente la crescente instabilità
politica italiana affonda le sue radici nei processi sociali e nella lotta di
classe, e non potrebbe venir superata in nessun modo attraverso un'opera di
« ingegneria istituzionale ». Ma non è un caso che tutti
i progetti reazionari gestiti dalla DC abbiano messo al centro del loro programma
una modificazione della costituzione, dei meccanismi istituzionali e soprattutto
della legge elettorale: basta ricordare il filo nero che collega la legge truffa
alle speranze riposte nel ruolo del presidente della repubblica, fino alle più
recenti proposte di regolamentazione del diritto di sciopero e di riforma istituzionale
avanzate da Piccoli e Fanfani.
Gli stessi margini di indipendenza della magistratura hanno favorito lo scatenamento
al suo interno di importanti contraddizioni, di fronte allo sviluppo impetuoso
della lotta di classe. Se questo ha significato rendere la magistratura dei
gradi più bassi un terreno infido per il potere, su cui si può
e si deve esercitare la egemonia operaia, si è accelerata al tempo stesso
la fascistizzazione dei supremi vertici, che si esprime nella repressione sistematica
di ogni dissenso all'interno dell'istituzione, per tentare di sconfiggere le
spinte centrifughe, e nella preparazione di riforme apertamente autoritarie,
eversive degli attuali equilibri istituzionali.