Biblioteca Multimediale Marxista
1 - La natura dello stato e il problema della forza
La teoria marxista dello stato costituisce il fondamento da
cui deriva la necessità per il movimento comunista di confrontarsi con
la questione della violenza.
La teoria marxista dello stato è riconfermata, in ogni parte del mondo,
dall'esperienza pratica della lotta di classe; laddove la lotta di classe raggiunge
un livello tale da assumere la forma di un processo rivoluzionario, la questione
della forza si pone come nodo centrale del processo, lo stato si mostra per
quello che è nella sua sostanza: l'apparato di violenza della borghesia
sul quale si appoggia l'intero ordinamento della società capitalista.
Le teorie revisioniste hanno tutte, nelle loro varie versioni, un minimo. comun
denominatore nella tesi secondo cui il potere statale è un mero riflesso
del potere borghese nella società, e che nega il carattere autonomo e
separato del potere esercitato nella sfera dello stato sull'insieme della società.
Su questa concezione dello stato come parte della società, come terreno
di scontro, di incontro e di mediazione tra le classi; poggiano tutte le teorie
revisioniste della transizione, vecchie e nuove.
L'estensione delle funzioni dello stato borghese, soprattutto sul terreno della
economia, viene spesso invocata come argomento a sostegno delle teorie revisioniste
sulla transizione.
In realtà, tutta l'esperienza recente della lotta di classe mostra come
l'accrescersi delle funzioni che il moderno stato capitalistico è venuto
assommando in sé, soprattutto a partire dagli anni '30, non ne abbia
affatto mutato la natura; questa esperienza conferma il valore universale della
lezione sullo stato offerta in tempi e situazioni differenti dalla Comune di
Parigi, dalla rivoluzione d'Ottobre, dalla rivoluzione cinese, e da tutte le
rivoluzioni vittoriose e sconfitte della storia del proletariato.
Lo stato non è una parte della società.
Lo stato non è terreno di mediazione del conflitto tra le classi. Esso
svolge un ruolo di mediazione dei contrasti interni alla classe dominante, ma
proprio in quanto rispetto a queste stesse divisioni conserva una relativa autonomia.
Lo stato è l'organo che concentra dentro di sé, in forma astratta
ed assoluta, l'intera violenza di cui il sistema è capace; che copre,
garantisce e regola, con la propria esistenza e attraverso il suo « normale
» funzionamento, le mille forme di violenza concreta mediante le quali
si attua nella società il processo di sfruttamento.
Lo stato non può dunque essere investito da un processo di transizione,
bensì soltanto, in fasi di inasprimento dello scontro di classe e di
crisi della borghesia, da un processo di disgregazione e decomposizione che
ripropone il problema della sua distruzione: che è, in definitiva, una
questione di forza.
2 - Crisi imperialista e processo rivoluzionario
Se dalla teoria marxista dello stato deriva la necessità
della violenza proletaria, soltanto da una teoria della crisi del sistema imperialista,
che sia capace di comprenderne le cause profonde e le forme concrete di svolgimento,
di analizzarne le condizioni nazionali e internazionali, si possono ricavare
le indicazioni concrete sul modo di orientare, organizzare e dirigere la forza
rivoluzionaria del proletariato in ciascun paese verso la presa del potere.
Senza una teoria della crisi imperialista, ogni discorso sulla violenza rimane
astratto, slegato da una prospettiva di vittoria, e conduce all'opportunismo
di sinistra.
3 - La risposta soggettivista al disarmo revisionista
Nel decennio trascorso, la nascita di una nuova corrente rivoluzionaria
in seno alla classe operaia, al proletariato e alle masse studentesche si è
dappertutto caratterizzata per aver posto al centro della ricerca di una propria
autonomia dalla linea revisionista dei partiti comunisti, la questione della
violenza rivoluzionaria.
Si è finiti così per fondare sulle forme di lotta la linea di
demarcazione dall'opportunismo e dal revisionismo.
La storia di questi dieci anni ha mostrato come la rivendicazione del diritto
alla violenza rivoluzionaria, che ha avuto e conserva un valore soggettivo,
non possa essere assunta come discriminante strategica, e sia del tutto insufficiente
a fondare una reale autonomia di linea politica. Le forti oscillazioni teoriche,
gli sbandamenti, gli errori di volontarismo e di soggettivismo che hanno contrassegnato
la storia dei movimenti rivoluzionari sorti negli anni '60, sono il riflesso
di questa mancanza di autonomia, che in generale si è manifestata attraverso
la forte sottovalutazione del ruolo delle masse, sia nella sfera « politica
» che in quella « militare ». Gli errori di militarismo infatti,
ancor prima che il prodotto di una concezione unilaterale dei compiti dell'avanguardia,
sono un prodotto di una concezione sbagliata della guerra rivoluzionaria. Esperienze
pur così differenti tra loro, come quelle dei movimenti neri negli USA,
del fochismo in America Latina, dei movimenti derivati dalle lotte studentesche
in Europa, recano tutte questo segno comune.
E tuttavia esse si presentano, negli USA e in America Latina, con caratteri
di profonda originalità, come il prodotto soggettivo di una necessità
storica, e come la espressione viva di un movimento destinato a crescere, a
maturare, sia pure attraverso errori e sconfitte: ciò che è assai
meno vero per le deviazioni militariste che si sono presentate in questi anni
in Europa, e in particolare in Italia.
4 - L'esperienza latino-americana
L'esperienza latino-americana (che ha avuto una forte influenza
sulle concezioni che hanno accompagnato la nascita di una nuova corrente rivoluzionaria
in Europa, soprattutto nel movimento degli studenti) è particolarmente
ricca di insegnamenti.
In America Latina, le avanguardie che cercano di percorrere il cammino della
lotta armata negli anni '60 si formano sotto l'influenza diretta della rivoluzione
cubana. La sua enorme ripercussione in tutto il Continente, lo smascheramento
del ruolo di gendarme dell'imperialismo americano con la guerra del Viet-nam
e con i ripetuti tentativi di schiacciare Cuba, gli stessi spazi aperti dal
fallimentare tentativo « riformista » kennediano in quella area
del suo dominio, creano il terreno propizio al « contagio » del
modello cubano.
Il tentativo di riprodurre quel modello su scala continentale viene favorito
dai dirigenti cubani, che in esso vedono l'unica possibilità di sottrarsi
all'accerchiamento imperialista da un lato e alla ipoteca sovietica dall'altro.
Un tentativo destinato tuttavia ad aprire la strada a una serie di deviazioni.
Assieme alla tradizione rinunciataria e opportunista dei partiti comunisti,
che in America Latina risente ancor più pesantemente che altrove della
degenerazione della Terza Internazionale prima, e del baratto staliniano dopo
la seconda guerra mondiale, le esperienze che nascono sull’ipotesi della
guerriglia, mentre rivendicano un rapporto diretto di continuità con
le lotte risorgimentali indipendentiste dell'inizio del secolo, rifiutano o
si mostrano incapaci di utilizzare, nella teoria e nella pratica degli anni
'60, un rapporto con la tradizione di lotta della classe operaia degli ultimi
decenni ,che ancorché debole, tuttavia esiste in molti paesi.
La riduzione della lotta armata a una questione di metodo; la concezione della
guerriglia come elemento esterno di precipitazione del conflitto sociale, come
catalizzatore delle forze interessate alla rivoluzione; il rifiuto del terreno
legale e delle forme di lotta « pacifiche » di massa; la necessità,
entro questo schema, di dare un territorio alla guerriglia prima ancora che
una base di massa, esaltano il carattere soggettivista, volontarista e militarista
di queste prime esperienze conducendole a una serie di sconfitte, che vanno
dall'annichilimento militare delle guerriglie in una serie di paesi, al loro
completo isolamento in altri, dove bracci morti di guerriglia perdurano inoffensivi
per anni (Colombia, Venezuela).
In situazioni che andavano in quegli anni verso una crisi prerivoluzionaria
(Bolivia, Perù) i militanti usciti da quella esperienza rimangono isolati
dal movimento di massa e incapaci di comprenderne la dinamica.
La mancanza di prospettiva strategica conduce infine alla sconfitta anche esperienze
più avanzate, che partivano dalla concezione della guerriglia urbana,
come quella della sinistra brasiliana e lo stesso Movimento di Liberazione Nazionale
dei tupamaros in Uruguay (che pure si collocava in un rapporto diverso con le
organizzazioni tradizionali del Movimento operaio) il quale solo oggi, attraverso
un faticoso e profondo processo di autocritica e revisione politica, comincia
a risollevarsi.
A questa parabola che attraverso un decennio ha segnato il cammino dei movimenti
sorti sull'esempio della rivoluzione cubana, si sottraggono per molti aspetti
due sole situazioni: quella cilena e quella argentina.
Entrambi questi paesi si caratterizzano per un forte peso politico e una tradizione
di organizzazione e di lotta della classe operaia (che in Argentina ha connotati
sui generis, e non di meno esiste). Entrambi questi paesi vivono, tra il '69
e il '73, una formidabile e unica esperienza di mobilitazione e di lotta di
massa. Non in virtù delle proprie primitive impostazioni, bensì
grazie all'impatto con questa travolgente realtà, i movimenti di derivazione
fochista (il MIR cileno, il PRT-ERP argentino e per un altro verso, con una
diversa e ambigua matrice ideologica, la organizzazione dei Montoneros) non
solo riescono a sopravvivere ma si rafforzano fino ad assumere un ruolo sempre
più importante nella lotta di classe. In Cile esso è strettamente
legato all'esperienza vissuta dalle masse alla vigilia e durante il governo
di Unità Popolare, e al modo in cui il MIR ha saputo inserirsi in questa
esperienza e utilizzarne le lezioni, in Argentina esso è legato a una
fase della lotta di massa che ha avuto i suoi punti più alti nelle insurrezioni
operaie di Cordoba del '69 e del '71, e nelle sollevazioni popolari che da lì
si sono propagate in tutto il paese coinvolgendo il proletariato urbano e rurale.
Al di fuori del rapporto che si è realizzato in quella fase con un movimento
insurrezionale delle masse (che ha piegato e sconfitto il regime militare, imponendo,
con le elezioni del maggio '73, un esito provvisorio e precario, e tuttavia
favorevole all'ulteriore crescita del movimento) non è comprensibile
il consolidamento politico e militare delle organizzazioni di avanguardia.
Un consolidamento che, sia in Argentina che in Cile, si trova oggi di fronte
ad una difficile prova; ma che si è accompagnato e si accompagna ad un
processo di maturazione interna, di discussione e di riesame delle rispettive
premesse politiche, sui temi del rapporto avanguardia-massa, della concezione
della guerra di popolo e dell'esercito popolare, dell'analisi della situazione
internazionale, ecc. Un processo che costituisce il punto di approdo di un lungo
purgatorio di esperienze e di lotte in America Latina, e un punto di partenza
nuovo di importanza decisiva, per il futuro della rivoluzione nel continente.
5 - La riproduzione europea di modelli esterni
In Europa, se si eccettuano le situazioni caratterizzate (non senza profonde contraddizioni) dall'intrecciarsi e dal prevalere — nella conduzione politica e militare della lotta — della questione della liberazione nazionale sui contenuti di classe (Irlanda, Paesi Baschi, Palestina), le esperienze che hanno imboccato la via della « lotta armata » hanno assunto un carattere tanto più marcatamente soggettivista e idealista, quanto più si sono costruite sulla estrapolazione di modelli esterni, nel più totale distacco dallo sviluppo reale della lotta di classe. La vicenda della RAF tedesca rappresenta l'esempio-limite di come la fuga dalla realtà e l'isolamento dalle masse conduca dei militanti rivoluzionari al nichilismo e al suicidio politico.
6 - L'esperienza italiana
In Italia, il modo in cui il problema della violenza rivoluzionaria
riemerge negli anni '60, dopo le forme in cui si era presentato nel dopoguerra
con la lotta partigiana, riproduce tutti i limiti di soggettivismo e di minoritarismo
che caratterizzano le nuove avanguardie formatesi in quegli anni..
Si ricerca un legame con la eredità della guerra partigiana: ma lo si
ricerca nel filone cospirativo e militarista rappresentato dalla « vecchia
guardia » stalinista del PCI, e dalla sua concezione insurrezionalista,
ben più che nel ruolo che le masse svolsero nella resistenza. Si tenta
di recuperare il modello di guerra di lunga durata della Cina e del Vietnam,
impoverendolo ai suoi elementi tattico-militari, adattati a confuse teorie sul
ruolo delle minoranze etniche e del « Mezzogiorno-colonia ».
Si recupera infine il modello latino-americano, nelle forme mutuate dall'esperienza
brasiliana e uruguaiana, che finisce per prevalere sugli altri sia per l'impossibilità
di concepire, nelle condizioni dell'Europa capitalista, una guerra manovrata
di tipo territoriale, sia per la maggiore « libertà » di
intendere il ruolo delle masse nella lotta rivoluzionaria che il modello latino-americano
consente.
Questa ricerca ha costituito, negli anni della formazione di una nuova generazione
rivoluzionaria, un percorso per molti aspetti obbligato, in una situazione nella
quale la direzione operaia non si era ancora affermata con il carattere e con
la forza che ha assunto negli anni seguenti sull'intero movimento.
In questi anni, la deviazione avanguardista e militarista si ripresenta (dalla
formazione dei GAP e delle Brigate Rosse, alla scomparsa di Potere Operaio,
all'attuale militarismo « autonomista ») non più con un ruolo
di anticipazione e di apertura, ma come espressione di ritardo e di deformazione
endemica che accompagna lo sviluppo della. lotta di classe.
La teoria della « esemplarità » dell'azione armata, la teoria
del partito come « miccia » o « detonatore », il feticismo
del fucile (o, a un diverso livello, della spranga) che riduce la questione
dell'armamento a una questione merceologica, sono i tratti con i quali la deviazione
militarista si ripresenta ai margini del movimento come fenomeno di retroguardia.
La ignoranza o il disprezzo delle contraddizioni interne del nemico di classe;
la sopravvalutazione della capacità di controllo e di repressione del
revisionismo, che va di pari passo con la sottovalutazione reale, ad onta di
ogni verbalismo, della forza e dell'autonomia delle masse; infine la incapacità
di collocare una ipotesi rivoluzionaria nel contesto della crisi dell'imperialismo,
delle sue forme concrete e delle condizioni internazionali determinate, sono
i caratteri che contraddistinguono sempre l'opportunismo di sinistra.
7 - La maturità della crisi in Italia
L'Italia è, tra i paesi dell'Europa occidentale, quello
che offre le condizioni più vantaggiose per lo sviluppo di un giusto
rapporto tra avanguardia e masse su tutti i terreni.
E l'unico paese che sia passato attraverso una esperienza relativamente recente
di guerra popolare, in cui il proletariato non è stato sconfitto frontalmente
(come nella Grecia del secondo dopoguerra o nella Spagna degli anni '30) benché
lo sviluppo rivoluzionario della resistenza sia stato deviato e bloccato dalla
direzione revisionista del PCI e del Cominform. E il paese in cui più
forte è la classe operaia e la sua capacità di unificare l'intero
proletariato. È il paese in cui più rigido, ma anche più
debole e vulnerabile, è il sistema di dominio della borghesia, che ha
nella DC il suo perno insostituibile all'interno delle forme della democrazia
borghese.
Nella situazione italiana e nel contesto internazionale in cui essa si colloca;,
è possibile e necessario in questa fase storica, dentro questa crisi
del dominio borghese e del regime democristiano, portare avanti una linea che
contrapponga all'impossibilità crescente della borghesia di restaurare
la sua capacità di governo sociale conservando le forme democratiche
costituzionali, la capacità del proletariato di rispondere al tentativo
di reazione della borghesia con la guerra civile. Prepararsi e preparare le
masse, nello sviluppo della lotta di classe, ad affrontare una guerra civile;
creare le condizioni più favorevoli alla classe operaia su tutti i fronti,
quello politico, quello militare, quello diplomatico, è fin d'ora un
compito necessario del partito.
Questi fronti di lotta devono essere sempre tutti presenti, e non possono essere
considerati come « stadi » successivi. Allo stesso modo non ci sono
due tempi, uno per l'armamento delle avanguardie, e l'altro per l'armamento
delle masse, quasi che alle masse spettassero i compiti di un presente slegato
dal futuro e al partito i compiti di un futuro slegato dal presente. Prepararsi
a una situazione di guerra civile non significa condurre una guerra privata
contro lo stato. La possibilità di aprire un processo rivoluzionario
nei paesi europei — diceva il compagno Mao Tsetung nel 1938 — vi
sarà « quando la borghesia sarà veramente ridotta all'impotenza,
e quando la maggioranza del proletariato sarà decisa a condurre l'insurrezione
armata e una guerra ». Ridurre la borghesia all'impotenza, condurre la
maggioranza del proletariato ad affrontare la guerra civile: queste sono le
condizioni che, se non garantiscono la vittoria, offrono una prospettiva di
vittoria. Dev'essere combattuta con forza ogni presuntuosa e aberrante concezione
che fa della questione della maggioranza il problema di una fase di riflusso
e di ritirata, e non il problema di una fase di avanzata rivoluzionaria. Una
simile concezione teorizza l'isolamento dell'avanguardia dalle masse nella fase
dell'offensiva, e la subalternità frontista delle avanguardie nella fase
della sconfitta.
8 - Le radici della « crisi prolungata »
Il carattere prolungato della crisi è l'espressione,
sulla scala internazionale, di una profonda modificazione nei rapporti di forza
tra capitale e classe operaia, che sconvolge gli strumenti di politica economica
degli stati, provoca una crescente ingovernabilità sociale, unifica i
cicli e i comportamenti di lotta della classe operaia. Il carattere prolungato
della crisi non è una prova della maggiore forza relativa dell'attuale
assetto imperialistico rispetto a fasi storiche precedenti, ma una prova della
sua più profonda vulnerabilità.
Il carattere prolungato della crisi modifica le condizioni del processo della
lotta per il potere. Esso favorisce il consolidamento politico e organizzativo
dell'unità del proletariato, e l'unificazione fra lotta immediata delle
masse e direzione rivoluzionaria, senza rinviarla al trapasso brusco da una
fase espansiva a una fase di collasso dello sviluppo capitalistico. Nella continuità
della lotta anticapitalista del proletariato è data la continuità
della crescita del partito rivoluzionario nella forma della direzione reale,
e non della sola propaganda.
Tuttavia il carattere prolungato della crisi ne modifica la forma, e non la
sostanza ultima. Il processo rivoluzionario non si apre con l'apertura di un
processo insurrezionale, ma conserva inevitabilmente come sbocco finale l'insurrezione
di massa. Non solo, ma momenti di scontro frontale e di lotta insurrezionale
sono destinati ad attraversare lo scontro di classe anche prima della lotta
per la presa del potere.
9 - Il carattere della fase attuale
Nella fase attuale della costruzione del partito rivoluzionario
non è contenuta la possibilità della conquista proletaria del
potere, della instaurazione della dittatura del proletariato. Qualunque evoluzione
prevedibile dello scontro di classe in questa fase mette all'ordine del giorno
una modificazione dei rapporti di forza tra direzione revisionista e rivoluzionaria
nella lotta delle masse, non un loro rovesciamento completo, e sulla sua base
la conquista proletaria del potere guidata dal partito rivoluzionario.
Nella fase attuale, esiste nelle masse una rivendicazione di potere che va oltre
l'ambito di una gestione democratico-borghese della crisi, ma non contiene la
possibilità di uno sbocco immediatamente rivoluzionario nello sviluppo
dell'organizzazione autonoma di massa, e nel suo rapporto col partito rivoluzionario.
Dietro ogni esaltazione del ruolo della avanguardia come detonatore della violenza
sociale del proletariato si cela la negazione di questa realtà dei rapporti
di forza attuali, e la elusione di una linea organica tesa a superarli a vantaggio
della direzione rivoluzionaria.
10 - La necessità della linea di massa
La linea di massa dev'essere applicata rigorosamente al problema della forza. Questo principio vale in qualunque circostanza particolare dell'azione rivoluzionaria. L'azione diretta dell'avanguardia sul terreno della forza non può proporsi la vittoria contro l'apparato di forza del capitalismo e dell'imperialismo; la possibilità della vittoria sta nella forza delle masse e al suo dispiegamento deve essere subordinata l'azione dell'avanguardia.
11 - La questione della forza non è un problema separato
Il problema della forza non può essere concepito come
un problema separato. Trattare il problema della forza come un problema separato
vuoi dire mettere il fucile al posto di comando. Mettere la politica al posto
di comando vuol dire risolvere il problema della forza nello sviluppo della
lotta di classe. Lo sviluppo della lotta di classe, l'armamento politico del
proletariato, è la condizione del suo armamento materiale.
Il partito rivoluzionario deve garantire il suo rapporto con le masse e il suo
compito di direzione e organizzazione politica in qualunque circostanza. Il
partito rivoluzionario deve dunque cambiare i metodi di azione e di organizzazione
in modo adeguato all'intreccio o al passaggio da una situazione di legalità
a una situazione di semilegalità o di illegalità, cioè
al variare della forma principale in cui si manifesta la contraddizione di classe.
Il partito rivoluzionario non organizza in forma diretta la classe, bensì
il reparto avanzato della classe; allo stesso modo, non organizza in forma diretta
l'esercito proletario, bensì il quadro dirigente dell'esercito proletario.
La concezione minoritaria della lotta di classe è incapace di misurarsi
con la dimensione complessiva del problema della forza, con le condizioni storiche
che maturano la crisi e la disgregazione dello stato borghese e lo sviluppo
di un'alternativa di potere nella lotta e nell'organizzazione del le masse.
È compito del partito utilizzare le contraddizioni interne al nemico
e al suo apparato di potere, prodotte dalla forza materiale della lotta di classe,
per rafforzare la direzione dell'autonomia operaia. La linea revisionista e
la linea rivoluzionaria si scontrano incessantemente: la prima rappresenta la
volontà di subordinare la forza delle masse alle contraddizioni della
borghesia, e perciò di disarmare politicamente, prima ancora che materialmente,
il proletariato; la seconda ricerca nell'approfondimento delle contraddizioni
interne alla borghesia una leva per rafforzare l'autonomia di classe, per rafforzarne
l'armamento politico e materiale.
Questo scontro fra due linee sul problema della forza si manifesta su ogni terreno:
nella lotta sociale, nella lotta politica, nella lotta istituzionale. La divergenza
sulla forma della lotta è la manifestazione esterna della divergenza
sulla sostanza della lotta, sulla sua subalternità o sul suo antagonismo
al sistema sociale dominante, e alla sua organizzazione statuale. Questo scontro
ha origine nella fabbrica, dove la linea della subalternità al modo di
produzione capitalista si oppone alla linea del rifiuto del lavoro salariato.
Esso continua nella lotta sociale, dove la linea che nega l'iniziativa diretta
di massa o la riduce a un elemento contrattuale all'interno di una razionalizzazione
dei rapporti sociali dominanti si oppone alla linea del rovesciamento materiale
di quei rapporti sociali. Si esprime nella lotta antifascista, dove la linea
della delega o della pressione sullo stato si oppone alla linea della pratica
di massa della lotta antifascista. Si esprime sul terreno della democrazia,
dove la linea della razionalizzazione delle istituzioni statali si oppone alla
linea dell'alternativa di classe al loro potere, come avviene esemplarmente
sul problema delle forze armate, della organizzazione di massa nella vigilanza
antigolpista e contro il terrorismo nero, nella mobilitazione di massa contro
la strategia della, tensione. Si esprime sul terreno elettorale, dove la linea
del baratto fra democrazia borghese e autonomia di classe si oppone alla linea
della rottura del regime statuale borghese.
Il problema della forza ha il suo centro in questo scontro irriducibile fra
due linee, che investe, a partire dalla fabbrica, ogni terreno della vita sociale.
L'analisi dello sviluppo della lotta di classe e della crisi dello stato in
Italia in questi anni mostra esemplarmente questo itinerario. Fuori di esso,
il problema della forza e dell'iniziativa del partito sul terreno della forza
non ha alcuna prospettiva di soluzione. Ogni concezione separata di questo problema,
ben lungi dal caratterizzare un ruolo di avanguardia, manifesta una inaccettabile
dissociazione fra forma e sostanza, un rovesciamento caricaturale del processo
rivoluzionario, un'estraneità completa alla dinamica reale dell'armamento
politico e materiale del proletariato.
Sull'opposto versante, ogni concezione, tipica dell'opportunismo massimalista,
che separi i contenuti di programma della lotta di massa dal loro rapporto,
politico e organizzativo, con l'esercizio della forza e con la natura in ultima
istanza militare dello scontro fra le classi, abdica al ruolo del partito rivoluzionario,
si pone alla coda del revisionismo, e facilita il cammino della reazione borghese.
12 - Il problema delle forme di lotta
Il marxismo è estraneo a ogni feticismo delle forme di lotta, e a ogni pretesa di ancorarne la scelta e l'uso a un'astratta valutazione di principio; il marxismo ancora la valutazione delle forme di lotta all'unica condizione del loro rapporto con la situazione storica concreta.