Biblioteca Multimediale Marxista
1. - La forza strategica del partito
La concezione del partito è strettamente legata al rifiuto
di una dogmatica separazione fra lotta economica e lotta politica della classe
operaia. Questa separazione nega il significato strategico della lotta della
classe operaia contro il modo di produzione capitalista. Essa appiattisce la
lotta quotidiana delle masse proletarie a una funzione di difesa contrattuale,
di espansione organizzativa, di preparazione alla politica, e concentra nel
partito la strategia.
Essa conduce a una concezione ideologica della coscienza di classe, separandola
dalla sua radice nei rapporti di produzione. Negare che il comunismo coincida
col processo reale attraverso il quale il proletariato lotta per l'abolizione
dello stato di cose esistente, equivale a negare la autonomia di classe come
una prerogativa delle masse, e ridurla a una prerogativa del partito.
La forza strategica del partito rivoluzionario consiste viceversa nel suo giusto
rapporto con l'autonomia della classe operaia; la sua necessità storica
consiste nella necessità ineliminabile di una direzione tattica della
lotta proletaria per il comunismo nello scontro per la conquista e l'esercizio
del potere politico.
2. - Il partito di avanguardia e la linea di massa
Questa concezione del partito consente una giusta risposta
all'alternativa fra il partito di militanti di professione e il partito di massa.
Il partito di militanti di professione corrisponde a una rigida definizione
ideologica della coscienza rivoluzionaria, e a una concezione del processo rivoluzionario
che lo identifica in ultima istanza con il processo insurrezionale, identificando
la direzione del partito con la direzione sull'insurrezione. In questo modello
storico, il partito appare come il necessario strumento di mediazione —
attraverso il programma — di interessi di classe relativamente indipendenti
o opposti, per assicurare alla classe operaia l'alleanza di classi e strati
maggioritari della popolazione, in un momento di precipitazione della crisi
del sistema di dominazione borghese.
Questo modello di partito è inadeguato in una fase storica che vede una
profonda modificazione nella composizione di classe, nelle forme storiche di
organizzazione della classe, nel modo di manifestarsi della crisi capitalistica.
Nella composizione di classe, dove il fenomeno più rilevante è
la crescita quantitativa (e qualitativa) della classe operaia di fabbrica e
del lavoro salariato, accompagnata da una progressiva perdita di indipendenza
degli strati sociali intermedi.
Nelle forme storiche di organizzazione della classe, in cui si manifesta in
modo contraddittorio il peso di un patrimonio lunghissimo di lotte sindacali
e politiche e di trasformazioni rivoluzionarie, dall'ottobre sovietico alla
conquista proletaria del potere in numerose zone del mondo; il rapporto fra
partito rivoluzionario e classe si confronta perciò, e in modo determinante,
col peso dell'organizzazione storica, sindacale e politica, della classe.
Infine, nel modo di manifestarsi della crisi capitalista, che ne rende più
controllata e prolungata la precipitazione, e impedisce un suo rapido sbocco
insurrezionale, aprendo con ciò stesso la possibilità di un ricongiungimento
fra lotta quotidiana e scopo finale, fra i momenti che una volta venivano separati
e definiti come programma minimo e programma massimo, e dunque la possibilità
di una progressiva crescita e radicamento dell'organizzazione rivoluzionaria
nella lotta di classe, nella lotta per la unificazione del proletariato.
3. - Il punto d'approdo revisionista del partito di massa
La concezione revisionista del partito di massa rappresenta
il punto di approdo della degenerazione del partito di quadri professionali.
Essa convive ambiguamente col primo, esprimendo per un lungo periodo la contraddittoria
compresenza di un'ipotesi cospirativo-insurrezionale con un'ipotesi pacifica
ed elettorale (si pensi alla storia del PCI, alla linea del « doppio binario
», alla stretta del '48). Priva di un'autonomia strategica, cioè
di una giusta teoria della classe operaia e del comunismo, l'ipotesi insurrezionale
si alimenta di una pura autonomia tattica; essa è strategicamente subalterna
allo stalinismo e alla sua versione togliattiana, e non va oltre un'azione di
resistenza alla trasformazione elettoralistica del partito; una volta sconfitta
sul suo terreno, quello della tattica, è destinata a scomparire politicamente,
e a riaffiorare come puro deposito settario.
In virtù di questa debolezza strategica, che trova una relativa corrispondenza
nella struttura e nella coscienza della classe operaia di quel periodo, trionfa
una concezione socialdemocratica ed elettoralista del partito di massa, capace,
pur tra fortissime contraddizioni, di raccogliere e di deviare su un terreno
rigidamente democratico-borghese e interclassista la forte spinta politica delle
grandi masse. In questa concezione viene ripudiata la funzione di avanguardia
del partito proletario e il suo rapporto con l'autonomia di classe, cioè
una giusta linea di massa rivoluzionaria.
Si esprime, in questa concezione dell'organizzazione, la compiuta evoluzione
socialdemocratica del partito comunista, che continua a conservare la sua denominazione
e l'uso di una continuità storica e ideologica per una serie di fattori,
primo e più importante fra i quali è la forza politica della classe
operaia, e le condizioni invalicabili che essa impone a chi ne assume e ne deve
conservare la rappresentanza. (Una carta geografica della presenza e della forza
dei partiti comunisti in Europa offre un indice distorto ma significativo della
dislocazione della forza politica del-la classe operaia).
4. - Il sostegno del compito dirigente del partito di classe
Il partito rivoluzionario è un partito di militanti
d'avanguardia. Esso organizza in forma attiva i militanti comunisti consapevoli
della necessità di una direzione politica della lotta di classe, della
lotta per la conquista della maggioranza del proletariato alla rivoluzione,
della lotta per il potere.
Il ruolo di avanguardia del partito dipende strettamente della sua linea di
massa. La coscienza di classe è il frutto della lotta di classe. Il partito
trae materialmente la sua forza strategica dalla capacità di vivere la
vita e la lotta delle masse, di raccoglierne le indicazioni, di analizzarle
alla luce della teoria marxista, di ricondurle nella lotta delle masse. Il partito
non è il portatore della coscienza politica ma lo strumento per armare
la coscienza politica della classe e dei suoi membri più avanzati verso
la vittoria rivoluzionaria.
Il partito nasce e affonda le sue radici dove nasce e affonda le sue radici
la lotta e la coscienza di classe, e dove si formano le avanguardie del proletariato:
in primo luogo nella fabbrica.
La direzione operaia nel partito trova il suo primo terreno di verifica nella
presenza del partito nella fabbrica, nella sua capacità di rendersi espressione,
e nello stesso tempo di essere strumento di direzione, dell'avanguardia operaia
di massa.
5. - L'« interno » e l'« esterno »
L'esperienza storica dimostra che nella concezione rigidamente
ideologica della coscienza si annida una rigida e unilaterale separazione tra
i membri del partito e le masse, tra l'« interno » e I'« esterno
» del partito.
Essa conduce ad affrontare e a risolvere burocraticamente le contraddizioni
nel partito separandole dalle contraddizioni nelle masse. L'esperienza del partito
comunista cinese rappresenta, a questo riguardo, la più efficace e coerente
risposta pratica alla degenerazione del partito bolscevico.
Alla radice di quella degenerazione sta una concezione che mette l’economia
al posto di comando, e che espropria le masse del loro ruolo di protagoniste
della lotta per il comunismo. La rivoluzione cinese ha saputo trarre i frutti
più fecondi dalla lunga durata del suo processo, da una lotta che «
dalle campagne è andata verso le città », e dalle lezioni
della vittoria, delle difficoltà e della degenerazione della rivoluzione
sovietica. Lo statuto approvato dal X congresso del PCC è l'esempio migliore
del rapporto organico tra partito e classe, ed è un riferimento fonda-mentale
per la nostra definizione statutaria.
La designazione dei membri del partito comunista cinese prevede l’intervento
attivo delle masse senza partito. Esso esemplifica una concezione sostanziale
e non formalmente disciplinare del centralismo democratico, che non regola solo
i rapporti interni al partito, ma anche e soprattutto il rapporto fra il partito
e le masse.
Questa concezione vale nella sua sostanza per ogni partito rivoluzionario, qualunque
sia la forma diversa che assume nelle particolari circostanze e situazioni in
cui esso agisce. Chiamare le masse a designare i membri del partito significa
per noi prima di tutto conquistare al partito quei proletari che esse riconoscono
come dirigenti nella loro lotta; e in secondo luogo sottoporre costantemente
alla verifica dell'azione di massa al giudizio delle masse i militanti che il
partito raccoglie per farne dei dirigenti della lotta di classe rivoluzionaria.
Questo rapporto vale per il partito nel suo insieme, per la sua linea politica,
per í suoi singoli membri. Alla corretta realizzazione di questo rapporto
è legata la capacità di lottare contro i metodi amministrativi
nel partito, contro le deformazioni ideologiche, avventuriste, opportuniste
della sua linea politica, contro il minoritarismo della sua visione politica.
Il compito fondamentale del partito rivoluzionario è costantemente l'attenzione
al rapporto fra una linea giusta e i bisogni e la coscienza della maggioranza
del proletariato.
6. - L'origine di « Lotta Continua »
Lotta Continua ha avuto un'origine diversa da quelle tradizionali,
da quelle della maggior parte delle altre formazioni di sinistra: in queste
formazioni, l'atto di nascita coincide con una definizione ideologica, con una
filiazione più o meno diretta — spesso nella forma della scissione
— dall'organizzazione revisionista (come avviene per le formazioni di
origine trotzkista, « marxista leninista », o neo-revisionista:
Avanguardia Operaia, partiti « m.1. », PDUP-Manifesto).
La diversità della nostra origine è quello che uno schema degenere
chiama « spontaneismo ». Essa ha corrisposto alla consapevolezza
che una esistenza non parassitaria del partito è saldamente vincolata
al suo rapporto con la lotta di classe; che il « nuovo » nel partito,
e il rapporto col vecchio », con la storia del movimento operaio, del
suo pensiero e della sua azione, è subordinato all'emergere del nuovo
nella classe operaia, nella sua composizione, nella sua lotta.
La nostra storia, tra errori e limiti molto forti, né è una dimostrazione.
Lotta Continua è nata come il partito della lotta di un reparto di avanguardia
della classe operaia, di una lotta che nella sua immediatezza e particolarità
conteneva, come un patrimonio cui attingere sulla base della teoria marxista,
un significato generale, un filo conduttore per il cammino dell'unità
del proletariato, per la formulazione del programma nel quale il processo di
unificazione politica del proletariato trova organicamente espressione.
A quella lotta, al suo carattere al tempo stesso particolare e universa-le,
noi abbiamo attinto nella nostra elaborazione teorica, e anche, concretamente,
nella costruzione della nostra organizzazione, dei suoi militanti.
7. - La nostra storia
Il 1969 non è stato l'anno zero dell'autonomia operaia
in Italia, né la vita politica dei singoli militanti che hanno concorso
alla formazione di Lotta Continua è cominciata solo nel 1969; e tuttavia
la nascita di Lotta Continua nel 1969 corrisponde in modo organico (e indubbiamente
parziale) a quello che è stato un vero e proprio balzo in avanti della
lotta e della coscienza della classe operaia.
La storia successiva di Lotta Continua non è stata affatto né
doveva essere la storia di una liberazione progressiva da un presunto peccato
originale « spontaneista ». Al contrario, altri modi di concepire
la costruzione del partito hanno costretto i loro fautori a un tortuoso sforzo
di liberazione dall'ideologismo e dal distacco dalle masse, compromettendone
o comunque ostacolandone seriamente la comprensione reale dell'autonomia di
classe.
Essa è stata invece la storia, tutt'altro che lineare, del superamento
di una interpretazione minoritaria del compito del partito rivoluzionario, della
conquista di una corretta concezione della tattica. Alla sua nascita, Lotta
Continua è stata la manifestazione immediata della riconquista esplicita
di un'autonomia strategica della parte più avanzata della classe operaia.
Più avanti, ha dovuto affrontare compiti nuovi; costruire la capacità
di superare l'immediatezza dell'affermazione dell'autonomia operaia, e accompagnarne
o orientarne il processo di consolidamento e di generalizzazione. Questo significava
per la classe operaia fare i conti con la propria composizione interna, con
le proprie differenze, col resto del proletariato, con le organizzazioni presenti
al suo interno: in una parola, con la propria storia. Un processo sociale di
dimensioni enormi si sviluppava secondo le leggi della contraddizione che regolano
il movimento reale: dall'affermazione dell'autonomia di classe da parte del
settore più avanzato della classe operaia, il frutto più limpido
del modo di produzione capitalista e al tempo stesso il più radicalmente
e universalmente ostile al modo di produzione capitalista, in una contraddizione
frontale con la direzione revisionista della classe operaia, alla conquista
di una più ampia unità, di una sintesi più avanzata.
La forma che ha assunto si è legata, in modo non gradualistico, al carattere
prolungato della crisi borghese e del processo rivoluzionario.
In questo processo, anche Lotta Continua ha dovuto fare i conti con l'analisi
delle classi, con la storia del proletariato, con il peso della sua storia passata
nella sua storia presente, commettendo gravi errori e rischiando gravi conseguenze
nel rapporto con le masse.
La forza strategica, il legame e la comprensione dell'autonomia operaia, ha
rischiato di rovesciarsi in una gravissima debolezza tattica. A quella forza
strategica era dovuta la giusta e tempestiva comprensione della natura della
crisi capitalista, del fallimento dell'alleanza riformista fra capitale avanzato
e movimento operaio, della continuità della lotta operaia oltre la chiusura
dell'autunno caldo. A quella debolezza tattica era dovuta la previsione che
il processo della generalizzazione dell'autonomia operaia, dell'unificazione
del proletariato, avrebbe dovuto scavalcare le mediazioni con l'organizzazione
storica del proletariato, e che dunque a Lotta Continua spettasse senza mediazioni
di stimolare e dirigere quel processo. In ritardo sullo stesso sviluppo reale
del movimento di classe, Lotta continua ha rischiato di interpretare riduttivamente
l'autonomia di classe, identificandone l'espressione politica ampia e multiforme
con la sua posizione e, al limite, con la sua organizzazione, e dunque di mettere
al primo posto l'organizzazione, e di oscillare verso tentazioni burocrati-che
o militariste.
La rettifica di questi errori ha preso le mosse da un ritorno paziente alla
classe operaia, all'analisi e alla riflessione metodica sulla dinamica delle
sue lotte e della sua organizzazione, al rapporto con quella dinamica. Il nostro
congresso nazionale è un punto di arrivo di questi anni di costruzione
del partito all'interno del movimento di classe. Nella comprensione generale
del rapporto fra strategia e tattica si fonda la possibilità di autonomia
nella costruzione del partito.
8. - I militanti del partito
Alle nostre origine, c'è una coincidenza organica, perfino
fisica, fra i compagni dirigenti della lotta operaia e proletaria, e i militanti
dell'organizzazione. E la lotta di massa che designa nei fatti i militanti di
Lotta Continua, anche se il reclutamento naturale nella lotta di massa non è
il solo (esistono anche allora singoli compagni che si raccolgono per altre
strade nell'organizzazione). La fonte di legittimazione di quei compagni e dell'organizzazione
sono « fisiologicamente » le masse.
Rispetto a quella prima fase, e attraverso una evoluzione ormai lunga, il reclutamento
dei militanti si è profondamente modificato. Ancora oggi — e questo
è un elemento decisivo per il carattere del partito — un numero
molto alto di nuovi compagni proviene dalla lotta, dal tirocinio e dalla candidatura
fondamentale nella direzione della lotta di massa. Ma moltissimi altri compagni
arrivano all'organizzazione diversamente, sulla scorta di esperienze individuali,
dell'interesse o dell'adesione alla nostra linea politica, in alcuni casi da
una milizia precedente nel movimento operaio, spesso, soprattutto i più
giovani, senza o con assai scarse esperienze di lotta. Questi compagni divengono
militanti di un partito di avanguardia che vuole esercitare una direzione rivoluzionaria
della lotta di classe. La fonte di legittimazione politica di questi compagni
non sono le masse, bensì il partito, Lotta Continua. In ciò si
esprime una contraddizione politica che deve essere affrontata correttamente
e con modestia. Non è un problema di scuola quadri, o lo è solo
in via secondaria. La più importante, la più insostituibile scuola
per i militanti rivoluzionari è la lotta di classe. Questo non può
significare in alcun modo che le porte del partito si chiudono a chiunque non
sia passato attraverso la esperienza della lotta di massa, e da essa sia stato
designato come militante di avanguardia. Ciò trasformerebbe il partito
in un organismo asfittico e parassitario. Al contrario, il partito deve, lungi
dal rilasciare patenti di dirigenti rivoluzionari, saper essere il tramite fra
i suoi membri e la scuola delle masse.
Ogni militante ha il diritto di esigere dall'organizzazione che la sua formazione
politica avvenga nel vivo del lavoro di massa. Qui, e non altrove, sta essenzialmente
la questione della « candidatura », altrimenti ridotta a una pura
procedura burocratica, o alla pur necessaria esigenza di vigilanza. La candidatura
coincide con un'attività specifica di formazione, nel lavoro di massa,
dei compagni che entrano nell'organizzazione per essere dei dirigenti rivoluzionari.
Di fronte a ogni suo nuovo membro è l'insieme del partito che deve sentirsi
candidato alla riuscita della sua formazione.
9. - Dove si forma il partito
Il giudizio e la partecipazione attiva delle masse devono essere
costantemente ricercati e sollecitati, con uno sforzo specifico. Devono essere
combattuti i punti di vista che considerano le masse come oggetto passivo dell'azione
del partito, o nella migliore delle ipotesi come suoi giudici finali. La partecipazione
attiva delle masse alla costruzione della linea politica non può sempre
avvenire nella forma della riunione nelle nostre sedi. Dobbiamo imparare a costruire
il partito tra le masse, a riconoscere come militanti quei proletari che tra
le masse portano avanti esplicitamente la nostra linea, a dare loro strumenti
per consolidare il rapporto con l'organizzazione, senza pretendere di imporgli
la strada obbligata delle nostre sedi. L'indicazione data perché il dibattito
congressuale sia aperto, parta dai luoghi di lavoro e di vita delle masse, coinvolga
attivamente il maggior numero di proletari, anche se non in modo formale, anche
senza pretendere di passare attraverso la lettura delle tesi, ma spiegando e
facendo discutere i problemi che vengono trattati nelle tesi, questa indicazione
non vale solo per il nostro congresso, ma vale quotidianamente per l'azione
politica del partito.
Una concezione settaria e parrocchiale della vita del partito non ha alcuna
legittimità teorica e pratica. Vi sono compagni preoccupati che tutto
ciò annulli l'autonomia del partito: è come essere preoccupati
che l'aria tolga autonomia a chi la respira. Ci sono compagni che pensano che
la linea « dalle masse alle masse » designi solo il rapporto fra
base e vertice del partito e non il rapporto fra classe e partito. Ci sono compagni
che temono che la discussione interna nel partito ne venga deviata.
In realtà, la democrazia e la creatività del partito dipendono
vitalmente dal rapporto con le masse.
Se questo rapporto manca o si attenua, se il partito non raccoglie e trasmette
sistematicamente la voce delle masse, è condannato a morire o a paralizzarsi.
Qui è la forza ineguagliabile del partito rivoluzionario, capace di ascoltare,
capire, parlare con centinaia di migliaia e milioni di uomini e donne.
Il partito non può essere chiuso nelle sue sedi, nel suo gergo, in un
suo ritmo di lavoro, di discussione e di vita lodevole ma anche pericolosamente
deformante; né può essere chiuso in una definizione negativa dei
militanti, identificati con chi fa a pieno tempo vita di partito, o con chi
adempie a una serie di obblighi. Nella definizione statutaria del militante
il più elementare dei diritti e dei doveri è quello di contribuire
attivamente, sulla base del lavoro di massa, alla costruzione della linea politica
e delle decisioni del partito.
Non vi è niente — o quasi niente: l'unico confine rigido è
segnato dalla vigilanza — di ciò che si discute nel partito, che
non possa essere discusso fra le masse.
Il militante del partito si riconosce in una pratica collettiva, in una concezione
strategica, in una linea tattica, nella disciplina del centralismo democratico,
per moltiplicare la forza del proprio lavoro rivoluzionario tra le masse, per
costruirgli una prospettiva di vittoria; questo non lo innalza sulle masse,
né lo allontana da esse, ma moltiplica le ragioni del suo impegno, della
sua fiducia nelle masse. Spesso, dietro la pigrizia nell'applicazione della
linea di massa, nella sollecitazione alla partecipazione creativa e al giudizio
delle masse, c'è l'incertezza, l'insicurezza nel possesso della linea
politica, dei suoi termini organici. E un problema che il partito deve affrontare,
e che ciascun militante deve affrontare a sua volta, senza aspettare, senza
aver paura del giudizio delle masse, senza pensare che la discussione riguardi
solo il partito, e fuori di esso debba esserci solo l'agitazione e la propaganda.
10. - Il reclutamento
Si deve considerare con la massima cura il problema del reclutamento.
Troppo spesso si dissolve il problema del reclutamento in quello dell'azione
politica generale e dell'intervento nelle lotte, nell'implicita convinzione
che il reclutamento di nuovi compagni sia il frutto spontaneo dell'azione politica
generale o dell'intervento nelle lotte. Questo è un errore, tanto dannoso
quanto è preziosa la conquista di ogni nuovo militante.
Oggi è impensabile una coincidenza immediata tra politicizzazione delle
avanguardie di classe e loro reclutamento in Lotta Continua. Dal '69 ad oggi,
molte cose sono cambiate, e questi cambiamenti portano il segno della forza
di classe. I canali di impegno politico delle avanguardie operaie si sono moltiplicati,
hanno aperto varchi nelle organizzazioni tradizionali, hanno investito i consigli,
í gruppi, e una vasta rete organizzativa di base. L'adesione alla nostra
organizzazione dipende sempre di più dalla comprensione dei termini generali
della nostra linea, ed esige dunque come condizione precisa la più ampia
e metodica discussione e chiarificazione della nostra linea tra le avanguardie
di massa, aprendo un dibattito che si allarghi ai problemi di fondo, alla questione
della possibilità e delle con-dizioni della vittoria rivoluzionaria.
Reclutare politicamente nuovi compagni, allargare non solo la simpatia e il
consenso di massa alle nostre posizioni, ma le file del nostro partito, è
una verifica decisiva della giustezza della nostra linea. In ogni lotta, in
ogni situazione di massa, noi dobbiamo saper analizzare specificamente la composizione
politica del proletariato, individuare i settori di avanguardia e gli stessi
singoli militanti che possono e devono essere conquistati non solo alla linea
politica, ma alla milizia di partito.
La scelta di non alimentarsi parassitariamente o demagogicamente di un'«
area rivoluzionaria » ecletticamente definita, deve andare di pari passo
con l'attenzione al rafforzamento delle file del partito, al reclutamento dei
militanti di partito. Ogni tendenza minoritaria e aristocraticista dev'essere
combattuta e battuta.
11. - Il centralismo democratico
I rapporti interni al partito sono regolati dal centralismo
democratico.
L'adesione cosciente a una disciplina collettiva segna una fondamentale demarcazione
fra i militanti del partito e chi non ne ha ancora riconosciuto, o ne nega,
la necessità rivoluzionaria.
Il centralismo democratico si oppone alla radice a ogni concezione del partito
come federazione di correnti diverse e indipendenti, o come organo di opinione.
Il centralismo democratico stabilisce la più ampia libertà nel
processo di discussione e di decisione politica, la più rigorosa unità
nell'azione e nell'applicazione della linea politica. Il centralismo democratico
subordina la volontà del singolo a quella collettiva, la minoranza alla
maggioranza, l'organismo inferiore a quello superiore, liberamente eletto.
Il centralismo democratico, lungi dal negare il dissenso e la contraddizione,
vede in essi una molla essenziale della vita e della creatività politica
del partito, e una manifestazione della lotta di classe in seno al proletariato.
« Andare controcorrente » non è l'affermazione tollerante
e per-missiva di un « diritto », ma l'affermazione di un dovere.
Che ciò si realizzi non dipende dallo statuto ma dal rapporto con la
realtà sociale, dalla capacità di sviluppare in modo critico il
processo di conoscenza collettiva della realtà sociale.
Il dovere di « andare controcorrente » nella conoscenza delle proprie
forze, delle forze del nemico, nell'elaborazione della linea di azione, non
può essere riferito all'azione stessa, alla applicazione della linea.
In questa fase vige il centralismo più rigoroso, senza il quale l'organizzazione
non sarebbe un'organizzazione di lotta e di combattimento.
Fuori da questo metodo, capace di sviluppare al massimo l'autonomia e il decentramento
dell'iniziativa dei singoli militanti e delle rispettive strutture dell'organizzazione,
e insieme di assicurarne la concentrazione della forza, il partito è
disarmato sia nei confronti della sua azione tra le masse in una situazione
legale, sia, e più direttamente, nei confronti della sua vita e della
sua azione tra le masse in una situazione di scontro frontale o di illegalità.
Il rifiuto delle correnti organizzate e permanenti è la conseguenza di
questa concezione del partito, della sua unità, democrazia interna, capacità
di azione.
Il confronto e la lotta politica nel partito non possono essere affrontati in
termini amministrativi, né tantomeno regolati da una casistica di garanzie
giuridico-formali, che riproducono il modello della libertà formale della
borghesia, e sono il baluardo più fragile contro la degenerazione della
linea politica e del rapporto del partito con le masse. Il confronto e la lotta
politica nel partito devono essere regolati dal principio della ricerca dell'unità
su una linea politica giusta, che è il frutto della contraddizione. La
democrazia non è un diritto, ma un dovere; non è un fine, ma un
mezzo irrinunciabile.
Nei casi in cui la contraddizione è antagonistica, la sintesi non è
una questione di persuasione, bensì di forza. Ciò avviene di fronte
agli agenti del nemico, ai provocatori e agli infiltrati; di fronte a chi conduca
nel partito una lotta di opposizione attraverso la strada vigliacca dell'intrigo,
della cospirazione frazionista, del colpo di mano; di fronte a chi boicotti
ostinatamente l'applicazione della linea del partito.
12. - L'eclettismo nella costruzione del partito: la concezione «istituzionale»
La costruzione del partito procede attraverso la crescita della
lotta di classe e l'influenza della lotta di classe sulle organizzazioni che
ne esprimono la direzione.
Negli anni scorsi il problema della costruzione del partito rivoluzionario ha
ricevuto due risposte fondamentali. Una metteva al primo posto non la classe,
ma la sua organizzazione storica, e vedeva la nascita del partito come il prodotto
di una trasformazione o di una rottura all'interno dell'organizzazione storica
del movimento operaio. Ignorando l'autonomia della lotta di classe, o considerandola
subalterna rispetto ai suoi riflessi nell'organizzazione tradizionale del movimento
operaio, questa risposta metteva al primo posto una soluzione istituzionale
al problema della fondazione del partito, da attuarsi attraverso ipotesi come
il « recupero » del partito riformista, l'entrismo, la scissione
o la conquista di quote di controllo nel sindacato.
La seconda risposta di fondo, in cui stanno le premesse alla nascita di Lotta
Continua, non ignora il peso delle modificazioni nell'organizzazione istituzionale
della classe operaia, ma le fonda, e fonda la possibilità del partito
sulle trasformazioni nella struttura, nella lotta e nella coscienza della classe.
Il rifiuto di autoproclamarsi in partito e il rifiuto di impegnare le nuove
energie rivoluzionarie in una lotta interna al movimento operaio organizzato
si sono tradotti in un lungo periodo di costruzione di un rapporto con le masse,
di stimolo all'espressione autonoma della classe. La scelta di andare alle fabbriche
significava allora il capovolgimento di una vecchia e stantia tradizione politica
e restituiva alla classe, fuori dal filtro delle sue consolidate rappresentanze
politico-sindacali, il ruolo di protagonista.
Oggi si assiste a un relativo consolidamento di una serie di organizzazioni
a sinistra del PCI insieme con la scomparsa di altre, e d'altra parte a una
rilevante tenuta del controllo maggioritario sul proletariato da parte dei PCI,
e infine a una profonda e contraddittoria trasformazione nel ruolo e nella dimensione
dell'organizzazione sindacale, oltre che a uno sconvolgimento nelle organizzazioni
di massa un tempo cardinali per il « collateralismo » democristiano.
Ma ancora oggi nelle ipotesi sulla costruzione del partito si confrontano in
forma nuova quelle due vecchie risposte di fondo: quella « istituzionale
» e quella che mette al primo posto il rapporto diretto con la classe.
Vi sono organizzazioni, come il PDUP-Manifesto e Avanguardia Operaia, che fondano
esplicitamente la loro teoria della costruzione del partito sulle modificazioni
nello schieramento istituzionale della sinistra, dal PSI al PCI, al sindacato,
alla « sinistra cattolica », alle stesse maggiori organizzazioni
extraparlamentari, ormai esse stesse sufficientemente stabili e « istituzionalizzate
».
La condizione e la forza del futuro partito rivoluzionario è, più
o meno esplicitamente, identificata in queste concezioni con un processo di
trasformazione istituzionale, di volta in volta definito come « profondo
rimescolamento della sinistra », « aggregazione », «
unificazione » eccetera.
Al contrario, la condizione e la forza del partito rivoluzionario risiedono
nello sviluppo della lotta di massa, nella maturazione e nella formazione di
nuove avanguardie, nella loro crescente conquista di un punto di vista di partito.
Per una lunga fase almeno, il rafforzamento quantitativo e politico del partito
dipenderà dal suo rapporto diretto con la lotta di massa e con le sue
avanguardie, e non da un processo di unificazione o di federazione di organizzazioni
diverse, e tanto meno da una « rifondazione in tutta la sinistra »,
se per sinistra si intende uno schieramento istituzionale.
Schematicamente, fra noi e queste organizzazioni appare esattamente rovesciato
il rapporto fra strategia e tattica — e questo rinvia alla concezione
stessa dell'autonomia operaia, del comunismo.
In queste organizzazioni viene praticato sempre, e spesso teorizzato, il più
spregiudicato atteggiamento di flessibilità tattica sul terreno che in
realtà definisce la strategia, quello dell'autonomia operaia, della concezione
della crisi; e, viceversa, una concezione « strategica » di quello
che in realtà è il terreno della tattica, del rapporto con l'organizzazione
revisionista e riformista.
13. - Le modificazioni nel PCI
E' esclusa l'ipotesi di una trasformazione del PCI in un partito
rivoluzionario: questa ipotesi urta frontalmente contro la natura del revisionismo
e della sua contraddizione con la linea rivoluzionaria. Le modificazioni nella
linea del PCI, indotte da condizioni interne o internazionali, non possono andare
oltre i limiti di un indurimento tattico del conflitto col sistema di rappresentanza
politica della borghesia. Assai poco credibile è l'ipotesi di una consistente
spaccatura verticale del PCI, né legata a condizionamenti internazionali
(è del tutto improbabile che una svolta di politica estera del PCUS si
traduca nella promozione sovietica di una scissione nel PCI) né di fronte
a una eventualità di collaborazione governativa, che lascerebbe il più
ampio spazio alla composizione delle differenziazioni interne. E necessario
sottolineare la inesistenza, all'interno del quadro dirigente del PCI, non di
differenziazioni interne anche profonde, ma di un'alternativa strategica.
Infine, l'ipotesi di una precipitazione della crisi nel rapporto tra il PCI
e le masse, sul piano dell'influenza politica, organizzativa ed elettorale,
è perlomeno altrettanto improbabile. Al contrario, nella situazione presente,
caratterizzata dalla crisi democristiana, dalla enorme sensibilità antifascista
e dalla rivendicazione di massa di una trasformazione del regi-me politico,
è fortemente operante la tendenza opposta, che vede contraddittoriamente
indebolirsi il controllo sostanziale del PCI sulla lotta e sugli obiettivi della
classe operaia, ma rafforzarsi il riferimento organizzativo ed elettorale del
PCI stesso. L'ingresso del PCI al governo non basterebbe, di per sé,
a rovesciare rapidamente questa situazione: al contrario, esso dilaterebbe questa
tendenza contraddittoria.
L'ipotesi di un rovesciamento della forza maggioritaria del PCI, e di una stessa
rottura interna al suo apparato dirigente, è dunque subordinata a una
situazione di aperta guerra civile, o comunque a una situazione in cui sia cresciuta
e si sia fatta evidente nella lotta delle masse un'alternativa organizzativa
generale.
Ciò contraddice la possibilità di guardare ecletticamente al processo
di costruzione del partito rivoluzionario come a un « rimescolamento generale
della sinistra ».
14. - La concezione dell'aggregazione
Altrettanto equivoca è una concezione della costruzione
del partito come « aggregazione » di componenti autonome e complementari
(tra cui una « componente cristiana » concepita grottescamente dai
fautori dell'aggregazione come la portavoce di una « trasformazione nelle
coscienze » da aggiungere a un marxismo ridotto alla « trasformazione
nelle cose »).
Queste posizioni, che riproducono specularmene la vecchia e strumentale teoria
revisionista dell'alleanza tra le « grandi componenti popolari »
— cattolica, socialista e comunista — servono solo a oscurare i
termini reali del problema che il partito rivoluzionario si trova di fronte:
rafforzare la direzione dell'autonomia di classe nella coscienza e nelle lotte
delle grandi masse, raccoglierne e organizzarne nel partito le avanguardie più
consapevoli, sollecitarne la crescita organizzativa alla base, fare leva sulla
divaricazione fra linea revisionista e necessità di mantenere la rappresentanza
delle masse per sviluppare la dimensione generale della lotta di classe.
La conquista della maggioranza del proletariato da parte del partito rivoluzionario,
assai prima di diventare capacità di centralizzazione e di guida diretta
della maggioranza del proletariato, deve passare attraverso una lunga fase di
scontro politico per conquistare la maggioranza del proletariato a una linea
rivoluzionaria. Il terreno di questa conquista è, prima che quello del
partito, quello della lotta di massa, del suo programma; e quello dell'organizzazione
di massa, nelle forme che essa viene assumendo nello sviluppo delle lotte.
15. - I possibili sbocchi della crisi borghese in questa fase
Nella situazione di classe italiana sono contenute grosso modo,
in stretta dipendenza dall'evoluzione interna e internazionale, tre possibilità
di fondo, ciascuna delle quali può avere un'ampia varietà di realizzazioni.
La prima possibilità è quella di una ristabilizzazione del tradizionale
regime borghese, che arresti la crisi democristiana, e riconquisti un equilibrio
sociale rispettoso della democrazia borghese, attraverso una più o meno
profonda ristrutturazione economica e istituzionale: questa possibilità
ha come condizione la sconfitta profonda, o un ridimensionamento drastico della
forza operaia e proletaria e della stessa forza della sinistra revisionista.
E questa l'ipotesi a cui lavora oggi il settore più forte del grande
capitale, e dietro di lui il grande capitale finanziario europeo e un'ala importante
dello schieramento americano.
La seconda possibilità è quella di una precipitazione (per ragioni
interne o internazionali o per tutte e due) della crisi del regime democristiano
e un suo sbocco reazionario esplicito. Se l'offensiva reazionaria riuscisse
a imporsi alla risposta di massa, oppure se ne venisse rapidamente liquidata,
o anche, sconfitta dopo una fase più o meno lunga di guerra civile, in
tutte e tre queste ipotesi l'esito della lotta certamente modificherebbe i rapporti
di forza relativi tra il partito rivoluzionario e l'organizzazione revisionista,
ma non ne modificherebbe i termini assoluti: il punto di approdo anche negli
ultimi due casi non potrebbe essere in termini immediati né la conquista
del potere e l'instaurazione della dittatura proletaria, guidata dal partito
rivoluzionario, né la restaurazione del regime statale che avrebbe come
suo asse di governo la sinistra riformista e revisionista.
La terza possibilità è quella del fallimento della ristabilizzazione
borghese e della sconfitta della scelta reazionaria, e di una trasformazione
del regime istituzionale, imposta dalla forza della lotta di classe, attraverso
la sconfitta definitiva della DC e la formazione di un nuovo governo di sinistra.
Questo genere di previsioni ha un carattere necessariamente relativo. Tuttavia
esse valgono a esemplificare l'impossibilità di fondare la costruzione
del partito e della sua linea tattica sia su una ipotesi opportunista di trasformazione
dell'organizzazione revisionista e riformista, sia su una ipotesi avventurista
(tipica di una posizione militarista, anche se non esplicitata) di scomparsa
dell'organizzazione revisionista e di conquista del potere per via diretta,
senza il superamento di una fase intermedia, da parte del partito rivoluzionario.
Non a caso nella prima posizione i compiti di avanguardia del partito scompaiono,
e nella seconda scompare la linea di massa.
Il ruolo d'avanguardia del partito, la sua iniziativa autonoma, la sua capacità
di sostenere con tutto il suo peso e senza riserve le tendenze giuste all'interno
delle masse impongono all'insieme del partito la capacità di cogliere
in ogni momento il rapporto fra direzione rivoluzionaria ed autonomia, in una
fase in cui il rapporto fra l'autonomia di classe e l'organizzazione maggioritaria
della classe non si presenta in modo statico, subisce modificazioni profonde
e contraddittorie, segnate comunque nel loro insieme dal crescere della divaricazione
strategica fra linea revisionista e programma delle masse; in una fase in cui
il processo di unificazione del proletariato avviene all'interno di uno scontro
di classe acutissimo, in cui già sono presenti rabbiosi tentativi di
reazione da parte della borghesia e, al tempo stesso, la sua volontà
di costruire le condizioni per un'offensiva reazionaria più radicale.
16. – I rapporti con le altre forze che lavorano alla costruzione del partito
La strada maestra della costruzione del partito non sta dunque
nell'aggregazione o nella unificazione o nel rimescolamento di forze organizzate
ma nel radicamento del partito nel proletariato, nel reclutamento delle sue
avanguardie più coscienti, nella conquista della maggioranza a una giusta
linea di lotta, nella conquista della maggioranza nell'organizzazione di massa
alla linea rivoluzionaria.
I nostri rapporti con le altre organizzazioni minoritarie della sinistra devono
perciò ricevere una maggiore attenzione, in una duplice direzione: quella
della ricerca più serrata e metodica dell'unità d'azione su una
linea giusta, anche se limitata, in tutte le circostanze in cui questo è
possibile; quella della battaglia politica più intransigente e netta
sul terreno della linea generale, della concezione del processo rivoluzionario.
Non dobbiamo sottovalutare questa battaglia, in una situazione che ci vede impegnati
in una articolazione difficile e complessa della nostra linea politica.
17. - La formazione dei quadri
La natura della sua origine, la concezione del rapporto fra
teoria e pratica, ha salvaguardato Lotta Continua da uno scolasticismo burocratico
nella formazione dei militanti, ma ha reso più complesso e impegnativo
il lavoro di studio e di conquista di una formazione omogenea. Superare sempre
meglio i limiti su questo terreno è un'esigenza dettata non solo dall'efficacia
del lavoro di massa, ma dalla continuità stessa del partito.
Pur in uno spazio di tempo estremamente limitato si manifesta nell'organizzazione
una differenza generazionale influente, essenzialmente fra due tipi di compagni:
quelli che si sono formati politicamente prima dell'esistenza di Lotta Continua,
e che ne hanno vissuto fin dall'inizio la storia, e quelli che si formano in
Lotta Continua. Nei primi compagni c'è un patrimonio comune di conoscenze,
idee, comportamenti, che è sopratutto il frutto di una lunga esperienza
comune.
In questa esperienza comune, nell'omogeneità politica da essa prodotta,
nella solidarietà profonda, sta una grossa forza dell'organizzazione,
che può tuttavia agire come un limite e un ritardo dell'organizzazione
nel suo insieme. Quel tipo di omogeneità, legata naturalmente a un'esperienza
di azione e di discussione comune ricca ma al tempo stesso consentita dalla
sua limitatezza oggettiva, dalla dimensione di una piccola organizzazione, non
è consentita in un'organizzazione con una dimensione nazionale, che raccoglie
migliaia e migliaia di militanti.
L'omogeneità e la vitalità dell'organizzazione è messa
in forse, e comunque impoverita, da una situazione in cui la continuità
e la storia della sua linea e della sua azione sono il « patrimonio non
scritto » di chi le ha vissute direttamente.
Se questo ritardo non fosse colmato completamente, ne sarebbe limitata l'autonomia
dei militanti del partito, ne sarebbe atrofizzata la ricchezza e l'ampiezza
della direzione politica, ne sarebbe minacciata la continuità. La formazione
politica dei militanti deve rispondere a questi problemi; educare i quadri significa
moltiplicare la forza del partito, c la forza della linea del partito tra le
masse. I compagni cinesi dicono: « formare milioni di successori ».
Il congresso è una tappa molto importante in questa direzione. Attraverso
il congresso, non si realizza solo una verifica più ampia e precisa della
nostra linea politica, bensì il passaggio, nelle regole statutarie di
funzionamento interno ma più ancora nei principi cui esse si ispirano,
a un quadro di « certezza » di tutti i militanti sulla vita del
partito. Tanto maggiore importanza ha la conquista collettiva di questa certezza
nell'eventualità del passaggio a una situazione in cui la legalità
del lavoro rivoluzionario sia soppressa o drasticamente limitata. In quella
situazione, la capacità di autonomia dei compagni che fanno parte di
un'unica organizzazione centralizzata è chiamata molto più fortemente
in causa. L'accumulazione politica che noi realizziamo oggi è decisiva
rispetto a quella prospettiva.
Di questo problema fa parte la necessità che tendenzialmente tutti i
compagni, e in modo irrinunciabile tutti i compagni dirigenti, curino la loro
formazione rispetto al complesso di problemi politici e organizzativi che riguardano
la natura politico-militate della lotta. Questa necessità deriva dalla
natura dei compiti del partito. Un militante che non curi la sua formazione
su questi problemi non riuscirebbe a occupare il suo posto nell'organizzazione
nel momento in cui la contraddizione principale si presentasse nella sua forma
militare.
18. - Le strutture organizzate
Il Congresso nazionale, svolto attraverso un dibattito collettivo
e organico, e la verifica e la rielezione di tutti gli organismi dirigenti ad
ogni livello, ha anche il compito di unificare definitivamente la composizione
e il funzionamento delle strutture dell'organizzazione.
La struttura organizzativa primaria del nostro partito è la cellula di
fabbrica, o di un altro luogo di lavoro o di massa, di caserma, di scuola.
In ogni nostro intervento dev'essere dedicata la massima cura alla costituzione
delle cellule di partito: esse sono la base fondamentale della nostra presenza
tra le masse. Le cellule di partito fanno capo alle sezioni territoriali; tuttavia
devono sviluppare al massimo un'attività indipendente. Soprattutto, le
cellule non devono essere concepite come una suddivisione interna alla vita
di sezione.
La massima cura va dedicata alla capacità delle cellule di svolgere la
loro attività politica, compresa la discussione politica, nei luoghi
di lavoro e non nei locali della sezione. Questo è indispensabile per
coinvolgere più ampi settori di massa nell'attività politica delle
cellule, e per allargare la capacità di direzione, di radicamento, di
autonomia e di reclutamento. Questa indicazione va applicata senza esitazioni:
bastano due compagni per costituire una cellula in fabbrica o in una scuola
o in una caserma o in un ufficio. Ciascuna cellula deve avere un responsabile
politico. All'interno di ciascuna cellula, dev'essere definita con la massima
cura la responsabilità specifica di ogni militante rispetto ai compiti
politici e organizzativi. L'adesione di nuovi militanti al partito viene decisa
dalla assemblea della cellula e ratificata dal comitato direttivo della sezione.
Ogni nuovo militante dev'essere presentato agli altri compagni nella assemblea
della cellula.
La struttura di coordinamento e di direzione delle cellule e dell'intervento
territoriale in un quartiere, in un paese, in una zona politicamente omogenea,
è la sezione. La costituzione di sezioni territoriali dev'essere curata
dovunque esistano le garanzie minime di continuità della presenza politica.
Ciascun militante di Lotta Continua, qualunque incarico ricopra, dev'essere
iscritto in una sezione e partecipare della sua vita. L'assemblea congressuale
di sezione elegge un comitato direttivo in proporzione al numero dei suoi membri.
Il comitato direttivo della sezione divide fra i suoi membri le responsabilità
politiche e organizzative. Il comitato direttivo della sezione elegge una segreteria
collegiale, e al suo interno un responsabile generale della segreteria.
L'assemblea congressuale dei delegati dei congressi di sezione di una città
elegge, in proporzione ai suoi membri, un comitato direttivo cittadino; questo
elegge una segreteria collegiale, e al suo interno un responsabile generale
della segreteria cittadina. L'assemblea congressuale provinciale elegge un direttivo
provinciale, e un responsabile della segreteria, che si affianca alla segreteria
della città capoluogo o politicamente più importante.
L'assemblea congressuale provinciale elegge i delegati al congresso nazionale.
In ciascuna struttura, a partire dalle sezioni, dev'essere cura dei compagni
di coordinare il lavoro politico in settori diversi attraverso commissioni con
un responsabile definito, designato in seno al comitato direttivo.
L'assemblea congressuale nazionale dei delegati elegge il comitato nazionale,
sulla base di un criterio che contemperi la proporzionalità con la composizione
del partito nelle diverse zone e con l'esigenza di rappresentanza politica di
ogni zona del paese. Il comitato nazionale elegge una segreteria nazionale,
all'interno della quale un compagno assume la responsabilità generale.
Il comitato nazionale designa inoltre í responsabili nazionali delle
commissioni.
Nella composizione del comitato nazionale, la presenza maggioritaria di militanti
operai e proletari interni a situazioni di lavoro e di vita delle masse, e di
compagne donne costituisce un impegno decisivo e una verifica fondamentale del
legame di massa e della linea del partito.
Il Congresso nazionale decide in modo irrevocabile la distribuzione di incarichi
particolari ai compagni, sulla base di una valutazione politica delle esigenze
del partito, che in ultima istanza prevale sulle opzioni personali dei compagni.
Fra un congresso nazionale e l'altro, questa come ogni altra prerogativa congressuale
compete al Comitato nazionale.
19. - I militanti a pieno tempo
Il partito si avvale dell'attività di compagni impegnati a pieno tempo
nell'organizzazione, sia in compiti di direzione politica che nel lavoro di
apparato (redazione, distribuzione, amministrazione).
Il lavoro dei militanti a pieno tempo è indispensabile alla vita stessa
dell'organizzazione. Spetta al partito, nelle sue varie istanze, decidere sulla
professionalizzazione dei militanti, e provvedere al loro sostentamento (1).
Essa non implica alcuna modificazione del loro rapporto con l'organizzazione;
non comprende alcuna forma contrattuale borghese ed è strettamente dipendente
dal giudizio del partito sulla sua necessità e opportunità politica.
Il contributo finanziario del partito a singoli militanti in nessun caso dev'essere
superiore a un normale salario operaio. Esso deve essere pubblico, e garantire
in qualunque circostanza l'autonomia politica dei compagni che lo ricevono,
come dell'intera organizzazione.
20. - Il finanziamento
Il problema del finanziamento della vita del partito è
un problema cruciale. Esso non è un problema settoriale; al contrario,
è un terreno di verifica essenziale della forza e della vitalità
del partito. Un partito rivoluzionario è vitale se riesce a garantire
un grado sufficiente di autofinanziamento. Ciò rinvia, ben prima che
alle attività specifiche destinate a sostenere materialmente la vita
dell'organizzazione, a una giusta applicazione anche su questo terreno della
linea di massa. La fonte principale del finanziamento del partito non può
che essere nelle masse. La continuità di questo aspetto del lavoro di
massa è una condizione decisiva di vitalità del partito.
Il problema della diversità di condizioni economiche dei militanti del
partito non può essere risolto in termini rigidamente amministrativi.
Tuttavia ogni militante che viva in condizioni economiche privilegiate deve
favorire la discussione e la decisione collettiva sul suo contributo alla vita
dell'organizzazione. La scelta di non applicare un astratto rigore egualitario
è in ogni caso incompatibile con la volontà eventuale di condurre
una vita da ricchi. La milizia rivoluzionaria non è il monachesimo, ma
ancor meno è un hobby per signori. (In un colloquio del '64 Mao discute
con alcuni interlocutori dell'ultimo imperatore della Cina, Hsuan Tung, detronizzato
nel 1911, fantoccio dei giapponesi in Manciuria nel '37, « rieducato »
dopo la liberazione.
« Kang Sheng: l'imperatore Hsuan Tung è venuto a presentare gli
auguri per l'anno nuovo.
Presidente Mao: Dobbiamo unirci molto bene con l'imperatore Hsuan Tung. Egli
fu un tempo il nostro capo. Il salario mensile di Hsuan Tung, poco più
di cento yuan, è troppo basso: quest'uomo è un imperatore »...).
(Nello statuto del partito comunista cinese si dice: « Dobbiamo essere
modesti e giudiziosi, lavorare duramente e condurre una vita semplice, opporci
risolutamente al privilegio »).
21. - Il giornale
Il giornale quotidiano è il principale strumento materiale
di direzione e di organizzazione politica del partito. A questo giudizio deve
uniformarsi l'atteggiamento di ogni membro e di ogni istanza del partito nei
confronti del giornale.
La sua sopravvivenza materiale va garantita in primo luogo all'interno del lavoro
di massa, investendo di questo problema i proletari, così come la collaborazione
stessa al giornale non è un fatto personale di qualche redattore, ma
un fatto politico in cui impegnare le avanguardie migliori delle lotte.
(1) Oggi i compagni che ricevono un salario o un contributo finanziario dall'organizzazione,
al centro o nelle sedi, sono poco meno di 100. Si tratta di compagni che svolgono
a pieno tempo un'attività di direzione politica senza avere altre fonti
di sussistenza, di compagni che svolgono a pieno tempo un lavoro di apparato
(redazione del giornale, distribuzione, amministrazione, ecc.). Nessuno di questi
compagni riceve cifre superiori a un normale salario operaio: la maggior parte
di questi compagni riceve cifre inferiori alla metà di un normale salario
operaio.
Il congresso nazionale riceverà, all'interno di un complessivo rendiconto
finanziario, una relazione dettagliata su questo aspetto del finanziamento.
E' necessario che l'intera organizzazione ne sia informata e si pronunci sulla
necessità di rafforzare l'attenzione e la cura di questo problema. Esso
rappresenta una esemplificazione particolare della dipendenza stretta tra la
crescita del finanziamento del partito e l'espansione della sua azione.