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Le Tesi


SULLA QUESTIONE DELL'INTERNAZIONALE

1. - L'internazionalismo è presente nelle condizioni di esistenza del proletariato sin dal suo nascere, ed è un contenuto strategico permanente delle lotte della classe operaia.
Nessuna distorsione nazionalista, xenofoba, razzista imposta dalla borghesia al proletariato nei punti o nei periodi in cui esso è più debole o sconfitto ha mai potuto piegare o cancellare in modo duraturo questo contenuto di fondo.
Quanto più sviluppate sono le forze produttive del capitale, quanto più esteso è il suo dominio, con tanta maggior forza e chiarezza emerge dai movimenti di lotta della classe operaia la tendenza comunista e internazionalista.

La Prima Internazionale

2. - La Prima Internazionale fondata da Marx fu lo strumento dell'affermazione teorica di questa tendenza presente nelle lotte e della sua diffusione nel movimento.
Il suo grande ruolo, riconosciutole da Lenin, fu quello di avere definitivamente acquisito al movimento operaio la superiorità di una teoria della classe operaia, la teoria di Marx, che la oppone strategicamente al capitale e su di essa fonda la possibilità pratica del comunismo.
La prima Internazionale non fu strumento di direzione politica immediata del proletariato verso la presa del potere, non venne concepita come partito.
Neppure l'esperienza della Comune di Parigi, che produsse un salto nel pensiero di Marx sulla questione della rivoluzione politica, della presa del potere e della dittatura del proletariato, poté trasformare il ruolo della Prima Internazionale nel senso di adeguarlo a compiti di direzione tattica della lotta di classe. La grande lezione teorica e politica che essa trasse dalla storia della Comune rimase consegnata al futuro del movimento.

La Seconda Internazionale

3. - Il ruolo della Internazionale come strumento di affermazione della strategia, indipendentemente dalla necessità della tattica, si esaurì con la Prima Internazionale. Dopo di allora non fu più riproposto, né sarebbe stato possibile. L'internazionale rinacque nel 1889 come emanazione di un partito, la Socialdemocrazia tedesca; attorno all'autorità e alla dottrina di quel partito si raccolse il movimento operaio europeo — e in forma assai più indiretta quello americano.
La continuità con l'Internazionale di Marx era solo apparente. La Seconda Internazionale accolse sin dalla sua fondazione i capisaldi teorici del partito tedesco.
Nacque sotto il segno di una concezione che sostituiva alla teoria della classe operaia la teoria delle forze produttive e degli stadi, e che da essa derivava i compiti del proletariato. Nella teoria delle forze produttive era la premessa della separazione tra « lotta politica » e « lotta economica », tra partito e sindacato, tra « programma massimo » e « programma minimo », tra « compiti di ogni giorno » e « scopo finale ». Alla affermazione puramente ideologica e di principio del primato della politica, corrispose il suo distacco dalla lotta di classe e la reale egemonia del più gretto economismo.
Come la maggior parte dei partiti ad essa aderenti, la Seconda Internazionale si costituì come espressione di un ridotto settore del proletariato (quello « organizzabile » e organizzato a partire dalla sua posizione di maggior forza contrattuale nel processo di produzione, dalla professione e dal mestiere) e della rigida esclusione della massa dequalificata e non organizzata, considerata incapace di perseguire con successo i propri interessi immediati e quindi inabile alla lotta politica.
Il problema dell'unità del proletariato venne inglobato nel ruolo del partito in quanto tale, concepito come totalità astratta, oppure venne rinviato ai tempi lunghi del « programma massimo », al socialismo.
Mentre la pratica dell'organizzazione alimentava incessantemente la tendenza alla revisione teorica del marxismo, alla soppressione dello stesso concetto della rivoluzione, il cosiddetto « centro ortodosso » della Seconda Internazionale, incapace di ricercare nella classe operaia le ragioni della propria adesione al marxismo, la fondò esclusivamente sulla teoria del ciclo e sul suo fatalistico corollario: la tesi radicale del crollo. Secondo questa tesi, alla lunga fase di lento sviluppo che avrebbe preparato la crisi catastrofica del capitalismo corrispondeva il compito di accumulare forze attraverso la lotta economica e il « lavoro minuto di organizzazione, in cui scompariva ogni rapporto con la questione della presa del potere, rinviata all'« ora X », alla battaglia risolutiva che sarebbe seguita al crollo.
La tattica, in questa concezione, smarrisce ogni legame con il problema della rivoluzione, diviene « tattica quotidiana », strumento di pura gestione e autoconservazione della forza accumulata nel corso degli anni, in un rapporto parassitario e difensivo con la classe e le sue lotte: o si identifica con la tattica parlamentare, rivolta ad ottenere la sanzione legislativa dei risultati della lotta economica.
In entrambi i casi si muove tutta nell'ambito dell'economia capitalistica e del quadro istituzionale democratico-borghese, in maniera totalmente subalterna.

La Terza Internazionale

4. - All'origine della rottura della Seconda Internazionale e della creazione dell'Internazionale Comunista vi furono la crisi imperialista sfociata nella guerra mondiale, l'allineamento dei partiti della Seconda Internazionale con le borghesie dei propri paesi e la rivoluzione d'ottobre.
Sulla necessità della conquista violenta del potere e della « dittatura del proletariato », cioè della distruzione dello stato borghese e della costituzione del proletariato in classe dominante, si fondò la discriminante principale fra le socialdemocrazie facenti capo alla II Internazionale e le forze rivoluzionarie che fecero riferimento al partito bolscevico, allo Stato sovietico, all'Internazionale Comunista. Tuttavia i capisaldi teorici della Socialdemocrazia, relativi alla teoria delle forze produttive, alla separazione tra lotta economica e lotta politica, non furono messi in causa dalla III Internazionale. Alla socialdemocrazia essa riconobbe il merito storico di avere raccolto grandi masse intorno alle organizzazioni del Movimento Operaio, di avere assolto al compito della accumulazione di un grande potenziale di forza durante gli anni precedenti la guerra. Il tradimento dei capi socialdemocratici fu visto nella loro rinuncia ad impiegare quella forza al momento opportuno, in dispregio delle solenni risoluzioni dei Congressi della Seconda Internazionale. Nel momento in cui la crisi e la guerra imperialista sembravano aver posto le condizioni per il passaggio da una fase all'altra, dalla accumulazione delle forze alla battaglia aperta, dalla « lotta economica » alla « lotta politica », la condotta dei capi riformisti fu vista come l'ostacolo principale sulla via della rivoluzione, giudicata come « tradimento » e in parte spiegata, in maniera astratta e riduttiva, come pura espressione degli interessi di una ristretta « aristocrazia operaia », chiamata a spartire alcuni privilegi marginali e quindi a subordinarsi all'imperialismo, a farsi portavoce dei suoi interessi allo interno della classe operaia.
La liberazione delle forze raccolte nel corso di tanti anni, che allo appuntamento della storia si presentavano disorientate e imprigionate dalla politica dei capi socialdemocratici, divenne il problema centrale, mai risolto, della rivoluzione in occidente. Un problema la cui soluzione, all’atto della fondazione dell'Internazionale comunista, nel momento in cui la parola d'ordine dell'insurrezione veniva posta all'ordine del giorno, non sembrò richiedere alcuna mediazione tattica. La precipitazione della crisi, vista come « crisi finale » del capitalismo, il collasso degli stati, la dispersione degli eserciti della borghesia, sembrarono porre le « condizioni oggettive » per l'attivizzazione immediata delle masse. Nella tendenza irresistibile alla formazione dei soviet sembrò possibile trascinare e conquistare alla direzione rivoluzionaria sia le masse organizzate nella socialdemocrazia e nei sindacati, sia i settori dispersi e non organizzati del proletariato. Unificazione del proletariato, conquista della maggioranza, presa del potere furono concepiti come tre momenti di un unico passaggio rivoluzionario.
Unica condizione da realizzare in corsa contro il tempo in tutti i paesi europei sembrò quella della creazione dello strumento, il partito, in grado di praticare la tattica dell'insurrezione, l'insurrezione come arte; unica minaccia all'esito dei processo, il pericolo che la rivoluzione scoppiasse « troppo presto », che le masse si lanciassero in avanti senza direzione, come avevano mostrato gli avvenimenti berlinesi del gennaio 1919.
All'interno di questa ipotesi l'Internazionale comunista nacque come partito mondiale dell'insurrezione, come tattica della guerra civile, attraverso una rottura violenta con la Socialdemocrazia, ma raccogliendone al-lo stesso tempo la matrice teorica.
Concepire l'Internazionale come partito, come direzione tattica unica e centralizzata della rivoluzione fu possibile a partire da una ipotesi che aveva come orizzonte l'Europa, e che vedeva il processo rivoluzionario in-vestire contemporaneamente, in condizioni rese omogenee dalla guerra, tutti i principali paesi europei: un processo del quale l'ottobre russo non doveva essere che il preludio.

La crisi dell'Internazionale Comunista

5. - La crisi di quella ipotesi; la ricerca, rimasta incompiuta e poi dispersa, di una diversa dimensione della tattica, di un diverso modo di impostare, con le tesi sul fronte unito, i problemi dell'unificazione del proletariato e della conquista della maggioranza, misero in evidenza, nel corso degli anni seguenti, i limiti della concezione strategica sulla quale l'Internazionale Comunista era nata, limiti che essa aveva ereditato dalla socialdemocrazia classica e che nel periodo anteriore alla guerra avevano con-sentito la coesistenza, nell'ambito della Seconda Internazionale, di rivoluzionari e riformisti.
In un quadro di sconfitta delle forze rivoluzionarie, di pesanti condizionamenti oggettivi e di contraddizioni di classe nell'URSS, e di scontro politico all'interno del partito bolscevico, questi limiti riemersero e a loro volta influirono sia su quel processo storico che aveva investito la società sovietica, fino a mutarne il segno proletario e socialista, sia sulla degenerazione in senso revisionista dei partiti comunisti dell'Europa occidentale (e più ancora di quelli latino-americani). In essi, l'abolizione del problema della rivoluzione, la visione dello stato come strumento neutrale, l'accettazione dell'economia capitalistica si affermeranno via via a partire dalla distinzione in due tempi del processo della lotta di classe (distinzione che autorizza a far cadere le discriminanti classiste per una lunga fase, rimandando, isolando, e in sostanza « neutralizzando » il problema della rivoluzione); si affermeranno a partire dalla separazione fra lotta politica e lotta economica, dalla riduzione della lotta politica a propaganda, e poi pressione interna al quadro istituzionale democratico — borghese, e della lotta economica a pura difesa contro lo sfruttamento capitalistico.
Questo processo di degenerazione non fu lineare né inevitabile (altra fu la via che seppero battere i compagni cinesi, anche in contrasto con la direzione della I.C.); esso si manifestò inoltre con oscillazioni drammatiche delle direttive tattiche imposte dal centro del Comintern, primi sintomi di una involuzione che condusse ad assumere la « difesa dell'URSS » come discriminante strategica rispetto alla socialdemocrazia, e la politica estera di Stalin come obiettivo da assecondare senza riserve. Ancora una volta, come nella II Internazionale, — anche se in maniera meno aperta — l'involuzione in senso revisionista aveva immediate conseguenze di negazione sostanziale dell'internazionalismo proletario.

Le condizioni di un nuovo internazionalismo

6. - Nessuna delle condizioni che resero possibile nel 1919 ai bolscevichi concepire l'Internazionale come strumento della tattica, partito mondiale della rivoluzione, è ripetibile nelle condizioni di oggi.
Di qui deriva il carattere sempre più astratto e ideologico che assume il richiamo al modello originario della Terza Internazionale, richiamo che pure è stato per decenni, prima e dopo la seconda guerra mondiale, una sorta di esito obbligato di ogni posizione che, nell'occidente capitalistico, muovesse dalla critica delle tendenze opportuniste e revisioniste che si erano imposte alla direzione dei partiti comunisti.
Sono la massiccia ripresa delle lotte operaie negli anni più recenti e l'emergere di una nuova crisi del dominio imperialista nel mondo che hanno posto le premesse per il recupero da parte delle avanguardie rivoluzionarie di una autonomia strategica dal revisionismo e per una nuova pratica dell'internazionalismo proletario.
La forma che ha assunto la crisi dell'imperialismo, e la forza strutturale e politica della classe operaia, oggi in tutto il mondo incomparabilmente maggiore che in ogni altro periodo della storia del capitalismo, sono gli elementi nuovi che assumono un rilievo decisivo. La crisi dello imperialismo, pur nella tendenza alla moltiplicazione e alla generalizzazione dei conflitti, è destinata a conservare per un periodo probabilmente lungo un andamento strisciante, senza precipitare in una nuova guerra mondiale. D'altro lato, la forza del proletariato sempre più tende ad esprimersi come autonomia relativa dalle « condizioni oggettive », cioè dai tempi e dai modi di estrinsecazione della crisi. Ogni posizione economicista che faccia dipendere in modo automatico i movimenti della classe operaia dalle variazioni del ciclo capitalistico viene sempre più chiaramente smentita dai fatti.
Su questi elementi si fondano anche le principali differenze tra i pro-cessi rivoluzionari che si affermano in questa fase, e quelli del periodo successivo alle due guerre mondiali nei paesi dell'occidente; la possibilità per i settori di avanguardia della classe operaia di procedere sul terreno della unificazione politica del proletariato ben prima della precipitazione esterna della crisi; la possibilità per il partito rivoluzionario di gettare profonde radici nelle masse, consentendo al movimento di utilizzare le contraddizioni del nemico a livello nazionale e internazionale, e di dominare lo stesso rapporto che le lega alle organizzazioni maggioritarie revisioniste.

Processo rivoluzionario e stato nazionale

7. - Questa prospettiva, che si fa strada in forme e con tempi diversi da paese a paese e nelle varie zone del mondo, non consente alcuna ipotesi di direzione centralizzata della lotta di classe a livello internazionale.
Ciò non va nel senso di deprimere, ma anzi di esaltare in maniera corretta i contenuti internazionali della lotta proletaria.
E possibile oggi individuare in embrione il formarsi di un ciclo di lotte internazionali, sostenuto dal processo di crescente circolazione e omogeneizzazione dei contenuti strategici dell'autonomia operaia. In particolare, la forza strutturale della classe operaia, la sua rigidità sia sul terreno salariale sia rispetto al rifiuto della razionalità produttiva capitalista e della ristrutturazione, se da una parte sono alla radice della crisi capitalista internazionale, dall'altra parte nel pieno della crisi tendono ad esaltare i propri contenuti politici direttamente antagonistici al comando capitalistico e ad investire l'intera area capitalistica industrializzata.
Va però al tempo stesso affermato che l'unificazione del proletariato internazionale e dei contenuti strategici si articola e si misura con lo ambito nazionale, rispetto ai contenuti della tattica, al problema della conquista della maggioranza e della presa del potere. In particolare, il modello dei singoli stati nazionali, il carattere dell'organizzazione maggioritaria del proletariato, il ruolo del sindacato, la stratificazione delle classi danno un segno specifico al conflitto tra classe operaia e stato allo interno dei singoli stati nazionali, segnano tempi e modi del processo rivoluzionario, impongono al partito rivoluzionario di misurarsi con la propria specifica rivoluzione.
E questa ragione di fondo, non semplicemente l'immaturità soggettiva delle forze rivoluzionarie o, genericamente, la disomogeneità di con-dizioni in cui esse si trovano ad operare che rende infondata l'ipotesi di una nuova Internazionale, direzione centralizzata della lotta di classe mondiale. Il raggio di azione del partito, l'ambito entro cui esso può esercitare la direzione tattica (e in cui è quindi pensabile il centralismo) è destinato a rimanere un ambito nazionale, sinché lo stato nazionale permarrà quale centro nevralgico di organizzazione del potere della borghesia e sinché la prospettiva della rivoluzione dovrà misurarsi con le singole realtà nazionali.
In questo quadro va rilevato come sia oggi estremamente accelerata la tendenza della borghesia a farsi tramite più o meno diretto dello imperialismo, abbandonando l'esigenza dell'indipendenza e della sovranità nazionale. Anche laddove la borghesia nazionale mantenga alcuni margini di autonomia, questi scompaiono rapidamente in una situazione di acutizzazione dello scontro fra le classi. La stessa indipendenza e sovranità nazionale, quindi, elementi decisivi del processo rivoluzionario nelle singole realtà nazionali, non sono perseguibili attraverso l'alleanza fra la borghesia (o strati di essa) e il proletariato, ma attraverso l'approfondimento della crisi istituzionale dello stato borghese, l'offensiva anticapitalistica delle masse. In quest'ultima istanza, esse sono garantite solamente dalla capacità proletaria di innescare un processo rivoluzionario e di difenderlo con le armi.

L'esempio della Cina e del Vietnam

8. - Tutti i processi rivoluzionari che si .sono affermati nel mondo nel secondo dopoguerra, in Asia come in Europa e in America Latina (Cina, Vietnam, Jugoslavia, Cuba, Albania), al di là dei modelli di organizzazione politica e sociale cui hanno dato luogo, mostrano come tratto comune l'autonomia dell'avanguardie politiche che li hanno guidati non solo da ogni centro di direzione internazionale, ma anche da ogni schema tattico prestabilito. L'esempio della rivoluzione cinese e del suo rapporto con il Comintern e con il suo surrogato postbellico, il Cominform, è il più evidente.
In Cina l'autonomia della direzione del processo rivoluzionario si è fondata, in modo via via più chiaro, sul recupero di una autonomia strategica rispetto agli schemi della tradizione terzinternazionalista, a partire dal rifiuto della teoria delle forze produttive e dalla affermazione della supremazia della politica sull'economia, che ha consentito di approfondire, anche dopo la presa del potere, il legame del partito con le masse e il carattere decisivo dell'intervento delle masse nelle contraddizioni in seno alla direzione del partito e dello stato.
Con questo carattere della rivoluzione cinese non può essere senza rapporto il rifiuto del partito comunista cinese di costruirsi in centro di organizzazione di una nuova Internazionale; rifiuto che, ben lungi dal rappresentare il sintomo di una deviazione nazionalista, non tende ad ostacolare bensì a favorire lo sviluppo della rivoluzione nel mondo.
La rivoluzione vietnamita costituisce rispetto a questo stesso problema l'esempio più luminoso di una cosciente applicazione dell'internazionalismo proletario. A partire dalla conduzione della lotta di classe e della guerra rivoluzionaria nel proprio paese, il partito vietnamita ha mostrato una straordinaria capacità di orientare e muovere forze rivoluzionarie in tutto il mondo, di determinare e non semplicemente subire gli schieramenti internazionali, di conoscere e utilizzare le contraddizioni del nemico in tutto il mondo, di saper imporre agli stessi alleati la condizione della propria autonomia. Se oggi nel mondo le forze rivoluzionarie hanno maturato una concezione nuova dell'internazionalismo, ciò è dovuto in grande misura all'esempio del Vietnam.

La necessità del confronto e del collegamento fra le forze rivoluzionarie

9. - Il rifiuto della ipotesi di una nuova Internazionale non indebolisce quindi in nessun modo la necessità e la possibilità di una pratica internazionalista, che è sempre più patrimonio delle masse, né la necessità della solidarietà militante, del sostegno e dell'aiuto reciproco tra organizzazioni rivoluzionarie.
In alcune situazioni, il livello dello scontro raggiunto tra proletariato e imperialismo, tale da travalicare l'ambito dei singoli stati nazionali, permette, anzi impone un coordinamento tra le stesse scelte tattiche, un'unità d'azione organica (come in Indocina, nel Cono Sud dell’America Latina, nei paesi dell'Africa Australe, tra le forze rivoluzionarie dei paesi arabi, ecc.).
La conoscenza approfondita delle condizioni in cui ciascuna forza si colloca e opera, il confronto sui temi strategici e sui principi della tattica, la ricerca di una progressiva omogeneità politica e capacità di consultazione e di coordinamento, divengono tanto più importanti quanto più l'aggressività del nemico comune accompagna la crisi del suo dominio. In questo quadro cresce anche l'esigenza di costruire ambiti unitari e stabili per il confronto e il coordinamento politico tra organizzazioni rivoluzionarie di diversi paesi.
Non si tratta di prospettare soluzioni istituzionali, cartelli e schieramenti delle varie organizzazioni rivoluzionarie che si sovrappongano meccanicamente all'attuale frammentazione e disomogeneità reale, ma occorre proporre, precisare e praticare impegni comuni.
E indispensabile avviare il confronto su alcuni grandi temi: una corretta lettura del marxismo, calata nell'analisi materiale della realtà; la teoria della crisi come dato permanente del capitale e il suo attuale carattere prolungato: i principi generali della tattica ed il rapporto con le organizzazioni revisioniste o comunque maggioritarie della classe nei singoli paesi, in relazione alla composizione ed alla storia della classe operaia nazionale.
Al tempo stesso, la più stretta unità d'azione deve essere perseguita in grandi campagne internazionali, legate alle scadenze politiche generali che maggiormente unifichino le condizioni di lotta nei vari stati nazionali.
Questa esigenza si pone con particolare acutezza all'interno della area europea e mediterranea, un'area nella quale confluiscono e si concentrano attorno alla contraddizione principale tutte le contraddizioni della fase presente: tra i due blocchi, tra capitale europeo e americano, tra zone avanzate e zone arretrate, ecc.
In Europa la classe operaia ha subito nel periodo tra le due guerre le più gravi sconfitte di tutta la sua storia, e nel secondo dopoguerra un attacco pesantissimo, passato attraverso una gigantesca operazione di divisione e smembramento materiale, oltre che per la distruzione sistematica delle sue avanguardie politiche. Una operazione che negli altri paesi europei ha potuto incidere molto più a fondo che in Italia, e che è ancor oggi tra le cause della frantumazione e della disomogeneità delle avanguardie sorte negli anni più recenti.
Tuttavia vi sono oggi le condizioni per cominciare a superare questa realtà. A partire dallo stesso retroterra sul quale si è fondato lo sviluppo capitalistico dell'Europa occidentale dopo la guerra, sono andati maturando i presupposti per l'avvio di un processo di unificazione del proletariato su basi infinitamente più ampie che in qualsiasi altro periodo della storia. La formazione e il consolidamento di un unico mercato della forza lavoro nell'area europea e mediterranea costituisce la base materiale di questo processo. L'uso della mano d'opera immigrata, che è stata in mano al capitale l'arma più potente di repressione, controllo, divisione e ghettizzazione del proletariato, si è sempre più logorato negli ultimi anni e tende a rovesciarsi nel suo contrario, nella leva principale per la ricomposizione politica della classe operaia. L'immissione dei proletari immigrati nei settori portanti, la loro crescente insostituibilità nei punti chiave della produzione, accresce il peso specifico della componente immigrata e la forza complessiva della classe operaia multinazionale, favorisce la circolazione dei contenuti dell'autonomia e delle esperienze più avanzate di lotta e di organizzazione, tende a bloccare o a rendere precario l'uso padronale del mercato del lavoro come esercito di riserva e valvola di sicurezza in funzione anticrisi.
Alla crescente omogeneità dei contenuti e delle forme della lotta operaia si accompagna, nei paesi dell'Europa meridionale (Portogallo, Spagna, Italia, Grecia, Turchia) un processo di disgregazione profonda del dominio borghese che si manifesta con la crisi o il crollo dei regimi che tale dominio hanno esercitato nei passati decenni. Pur con le caratteristiche specifiche che questo processo presenta in ciascun paese, esso tende a creare in tutta l'area dell'Europa mediterranea condizioni favorevoli allo sviluppo della rivoluzione.