Biblioteca Multimediale Marxista
Edizioni «Lotta Continua»
1972
Sommario
Introduzione
Padroni corruttori e poliziotti corrotti
Chi paga e chi è pagato. Le date e i protagonisti del dossier Fiat
«Rimessione». L'espediente per affossare i processi che danno fastidio
Giovanni Colli: il complice
Ecco i poliziotti corrotti. (Elenco di alcuni dipendenti Fiat)
Quello che dovranno pagare
Introduzione:
Pubblichiamo in questo opuscolo tutta la documentazione in nostro possesso sullo
"spionaggio Fiat", quale risulta dai fascicoli sequestrati dal pretore
Guariniello il 5 agosto 1971 negli uffici della Fiat, e che ora si trovano a
Napoli. Da questi atti emerge un dato preciso ed inequivocabile: la Fiat aveva
(ed ha) il pieno e totale controllo su tutte le "forze dell'ordine"
di Torino. Ricevevano infatti dalla Fiat assegni mensili o emolumenti una tantum
i prefetti e i questori (compreso il famigerato Guida) che via via si sono succeduti
a Torino negli ultimi anni, il capo-gabinetto della Questura dott. Stabile,
i capi dell'Ufficio Politico della Questura dott. Bessone e dott. Romano, il
capo regionale del SID (ex Sifar) Ten. Col. Stettermajer, il capo del nucleo
investigativo dei Carabinieri Col. Astolfi, più 150 circa tra agenti
e funzionari della P.S. e dei C.C. Insomma tutti, proprio tutti coloro che avevano
la responsabilità della politica repressiva a Torino erano alle dipendenze
della famiglia Agnelli. Tutte le montature poliziesche, gli arresti arbitrari,
le false testimonianze, le aggressioni contro operai e studenti di questi ultimi
anni portano dunque impresso il marchio della Fiat. Sempre dagli atti del processo
risultano direttamente responsabili di corruzione tre fra i massimi dirigenti
della Fiat: l'ing. Bono, vice-presidente della Fiat; l'ing. Garino ex-direttore
del personale Fiat e l'ing. Gioia, Direttore Generale della Fiat. Avevamo sempre
saputo che il potere dei capitalisti e il potere dello stato sono tutt'uno e
non avevamo mai mancato di denunciare il potere assoluto e dispotico che la
Fiat esercita su tutta la città. Lo slogan "poliziotti servi dei
padroni" che tante volte ha risuonato per le strade di Torino in questi
anni nasceva da una semplice constatazione dei fatti, che chiunque avrebbe potuto
compiere. Lo sapevano perfettamente le migliaia di operai che vivono ogni giorno
il sistema di sfruttamento della Fiat, che conoscono le sue spie e che tante
volte sono stati aggrediti, anche dentro la fabbrica, dalla polizia accorsa
in difesa del capitale. E non si tratta di una storia nuova. Le 150.000 schede,
che il pretore Guariniello ha trovato negli uffici della Fiat, sono il risultato
di una rete di spionaggio che risale agli anni '50, al periodo della gestione
Valletta. Fra le persecuzioni di allora contro i militanti della Fiom, i licenziamenti
di rappresaglia, i reparti confino, la caccia sistematica all'operaio di sinistra
di quegli anni e l'attuale vicenda dello spionaggio Fiat vi è una precisa
continuità. E le rivelazioni attuali non fanno che confermare le denunce
che già allora, a più riprese, furono fatte contro i metodi fascisti
e polizieschi della Fiat. Ciò nonostante le attuali rivelazioni sul "dossier
Fiat" sono un fatto nuovo e estremamente importante. Oggi dire che la polizia
è serva del padrone, non è più soltanto una giusta affermazione
ideologica sui rapporti che intercorrono fra capitale ed istituzioni statali,
non e più solo un giudizio politico sul comportamento delle forze di
Polizia, ma è un dato di fatto indiscutibile, di fronte a cui nessuno
può tirarsi indietro. Non solo, ma attraverso questi dati, oggi possiamo
avere una coscienza più precisa di quelle che sono le trame del potere
in una società borghese. Conoscere i nomi dei corrotti e dei corruttori
significa per noi conoscere meglio i nostri nemici ed offrire alle masse elementi
più concreti per combatterli.
Padroni corruttori e poliziotti corrotti
Tutta la vicenda del "dossier Fiat" ha offerto uno spaccato molto
eloquente delle varie forze politiche e sociali. La documentazione che presentiamo
in questo opuscolo sulle reazioni della stampa e dei partiti alle rivelazioni
sulla Fiat parla da sé. Abbiamo visto (ancora una volta!) come tutta
la stampa italiana è sotto il bavaglio della Fiat e non solo "La
Stampa", serva per eccellenza, ma anche giornali che come l' "Espresso",
si danno arie di spregiudicatezza. Abbiamo visto il Procuratore Generale di
Torino Giovanni Colli tentare in tutti i modi di affossare il processo, evitando
di incriminare, come sarebbe stato suo dovere, le persone che risultavano colpevoli
dagli atti. Abbiamo visto il governo, per bocca del sottosegretario agli Interni
on. Sarti dichiarare in parlamento di "non sapere niente". Forse mai
si era realizzata una barriera di silenzio cosi compatta fra tutte le forze
padronali, un'omertà così stretta e così estesa da far
impallidire qualsiasi mafioso. E' un'altra utile indicazione per capire cos'è
il mondo dei padroni. Ma abbiamo visto anche tutta la reticenza con cui il PCI
ha affrontato la questione. Lo sforzo costante dell' "Unità"
è stato quello di circoscrivere la portata delle rivelazioni al solo
fatto dello spionaggio, e se si è accennato di sfuggita alla corruzione
dei pubblici funzionari, è stato soltanto per dire che essi erano pagati
per fornire illegalmente informazioni alla Fiat; guardandosi bene dal rivelare
i nomi, perché altrimenti ci si sarebbe subito resi conto che si trattava
di ben altro, e cioè del controllo realizzato dalla Fiat su tutto l'apparato
poliziesco di Torino. Ma certe verità sono troppo pericolose. Aprire
uno scandalo prima delle elezioni presidenziali che coinvolge da una parte la
Polizia, I 'Esercito, il Ministero degli Interni e lo stesso governo e dall'altro
la massima potenza economica del capitalismo italiano, avrebbe significato per
il PCI trovarsi in difficoltà nella complessa manovra di inserimento
nell'area di governo che stava portanto avanti con iniziative sempre più
spregiudicate. Per contrattare con gli altri partiti l'affossamento del divorzio,
per offrirsi alla DC come interlocutore responsabile, anche per la presidenza
della Repubblica, il PCI aveva bisogno che le acque restassero calme. Niente
scandali. Nessun potente sotto accusa. D'altra parte come si faceva a denunciare
padroni e governo e nello stesso tempo mettersi d'accordo con loro. Oggi, dopo
l'elezione di Leone con i voti fascisti, il riportare a galla il "dossier
Fiat" sarà necessario al P.C.I. esclusivamente per dare una mano
di rosso alle tesi congressuali. E non si tratta di un atteggiamento nuovo.
Tutti ci ricordiamo come il P.C.I. continuò ad "esprimere forti
perplessità sul suicidio di Pinelli" quando ormai in tutte le piazze
si gridava: "Calabresi sei un assassino", e come avallò le
tesi di Guida, Calabresi e Amati sulla responsabilità di Valpreda all'indomani
della strage di stato, guardandosi bene in entrambi i casi dall'aprire una campagna
di massa contro i poliziotti assassini ed i fascisti autori della strage. Ma
anche allora la situazione era "critica", occorreva addormentare le
masse con la promessa di riforme e garantire ai padroni il sostegno della produttività.
Lo sforzo dei revisionisti è stato (allora come ora) quello di nascondere
la verità, che pure essi conoscevano (e meglio di noi!) e cioè
di privare i proletari di quegli strumenti che avrebbero loro permesso di affrontare
l'avversario di classe con maggior chiarezza e determinazione. Il risultato
di tutto questo, del silenzio ermetico e mafioso dei borghesi, così come
della reticenza interessata dei revisionisti è che oggi a Torino la maggior
parte degli interessati (operai, studenti, proletari) che leggono "La Stampa"
o l' "Unità" ignorano completamente quello che il pretore Guariniello
ha trovato negli uffici della Fiat. "La città deve sapere".
Così era intitolata l'assemblea tenuta sabato 13 novembre al Teatro Alfieri
di Torino. Peccato che alla folla che stipava il teatro ci si sia ben guardati
di "far sapere" qualcosa. Emilio Pugno, segretario della Camera del
Lavoro di Torino, ha sì proclamato a gran voce: "fuori i nomi!",
ma ha accuratamente evitato di dirli lui, che certo li conosce meglio di noi
e può disporre di informazioni migliori delle nostre. Ma a Pugno interessano
le riforme, non la verità. A noi interessa la verità. Perché
siamo comunisti e pensiamo che la verità è sempre rivoluzionaria.
Perché vogliamo che le masse imparino a riconoscere fino in fondo i loro
nemici, sappiano come si muovono, conoscano gli interessi che li uniscono. Perché
abbiamo decine di compagni che sono stati arrestati, processati e sbattuti in
galera (ora possiamo ben dirlo) dalla Fiat e di fronte alla nuova escalation
della repressione che ci si prospetta, non possiamo perdere l'occasione di denunciare
a tutti qual'è la vera natura di questa politica repressiva, chi la muove
e chi ne trae profitto.
Gli obiettivi della nostra campagna sul "dossier Fiat" sono chiari:
- vogliamo che il processo ritorni a Torino, in modo che la classe operaia della
Fiat possa controllarne lo svolgimento; e pronunciare le condanne;
- vogliamo che siano condannati per corruzione e messi in galera l'lng. Bono,
I'lng. Garino e l'lng. Gioia, tutti i funzionari di P.S., gli ufficiali del
C.C. e dei SID, e tutti gli altri agenti che figurano nel fascicolo processuale;
nonché il Procuratore Generale dott. Colli per omissione di atti d'ufficio;
- vogliamo la revisione di tutti i processi in cui hanno testimoniato poliziotti
corrotti dalla Fiat e la liberazione immediata di tutti i compagni che sono
in carcere;
- vogliamo che la Fiat paghi tutti i licenziati e gli arrestati per rappresaglia
in base ai dati raccolti dalle spie di Agnelli dal '45 ad oggi.
E' un programma ingenuo? Certamente, non si è mai visto un padrone che
si mette a mordere un altro padrone. E non crediamo che sarà un tribunale
borghese a far giustizia dei padroni della Fiat, dei questori, dei prefetti,
dei magistrati, dei "dottori" della "politica" implicati
in questo sporco affare. Malgrado questo, noi vogliamo portarlo avanti perché
crediamo che a Torino esistano le forze per rompere i silenzi e le complicità,
per investire direttamente le masse del compito di giudicare e condannare i
loro sfruttatori. Ci rivolgiamo agli ex-partigiani, ai vecchi operai comunisti
che hanno conosciuto la repressione di Valletta e non sono disposti ad avallare
le nuove manovre della Fiat. Ci rivolgiamo agli studenti, perché mettano
all'ordine del giorno di tutte le loro assemblee la questione dello spionaggio
Fiat. E' un modo, per loro, di affrontare in maniera più diretta la realtà
che li circonda. Il loro contributo nella denuncia e nella propaganda è
decisivo per dare alla stessa un carattere di massa. Ma soprattutto ci rivolgiamo
alla classe operaia che è la naturale protagonista di tutta questa vicenda.
Per gli operai non c'è stata nessuna "rivelazione". Che la
polizia fosse al servizio di Agnelli, l'avevano sempre visto con i loro occhi.
La presenza nelle officine di spie camuffate da operai, gli attacchi repressivi
del padrone, le sospensioni e i licenziamenti sono cose che essi verificano
ogni giorno e che vedono come un concreto ostacolo alla loro possibilità
di lottare e di organizzarsi in fabbrica. Legare lo "scandalo Fiat"
alle concrete condizioni con cui gli operai si scontrano nelle officine è
il mezzo per far sì che la classe operaia sappia prendere nelle sue mani
tutta la questione dello spionaggio e mettere con le spalle al muro Agnelli,
le sue spie e i poliziotti suoi servi. C'è un'ultima cosa che vale la
pena di ricordare, Abbiamo parlato della continuità che esiste fra le
persecuzioni di Valletta negli anni '50 e quelle di Agnelli di oggi. Ma c'è
anche una grande differenza. Allora la Fiat poteva agire impunemente contro
una classe operaia divisa e frantumata, diseducata ideologicamente dalle organizzazioni
del movimento operaio che nel dopoguerra avevano fatto di tutto per restituire
ad Agnelli la sua potenza economica intatta, basandosi sui modelli del produttivismo
staliniano. Ora è tutto l'opposto. Dalle grandi lotte del '69 ad oggi
la classe operaia ha conquistato una nuova forza autonoma ed ha saputo mantenersi
all'attacco. Ai miti revisionisti di collaborazione ha opposto la coscienza
della sua totale estraneità al mondo e agli interessi del padrone. Il
suo modello non è più l'operaio stakanovista che si spremeva come
un limone per produrre sempre di più, ma sono le masse degli operai cinesi
che considerano la politica più importante della produzione. Le tensioni
attualmente presenti nella Fiat contro gli aumenti di produzione, la distribuzione
delle pause, l'assegnazione discriminata delle categorie sono la prova che la
classe operaia non è uscita disarmata da questi tre anni di lotte. Ed
è certo grazie a questo clima politico che un pretore si è permesso
di fare quello che finora nessuno si era mai sognato, di andare cioè
a mettere le mani dentro i santuari della Fiat. Quando la magistratura milanese
ha aperto il procedimento per omicidio contro Calabresi, a due anni dall'assassinio
del compagno Pinelli, Calabresi era già stato accusato e processato centinaia
di volte nelle piazze, nelle fabbriche e nelle scuole. E' stata la dimostrazione
che è possibile condurre una campagna d'opinione con l'appoggio e la
partecipazione attiva delle masse e che in questo modo è possibile rompere
la congiura del silenzio dei borghesi e dei revisionisti. E' per questo che
diciamo: padroni corruttori e poliziotti corrotti in galera! Giustizia proletaria
contro gli sfruttatori!
Chi paga e chi è pagato
Le date e i protagonisti della storia del Dossier Fiat
I FASE: CATERINO CERESA
24 settembre 1970: Una spia licenziata senza "giusta causa".
Il signor Ceresa Caterino cita la Fiat dinanzi alla sezione lavoro della Pretura
di Torino. Ceresa chiede al pretore di dichiarare illeggittimo il suo licenziamento,
avvenuto il 5 marzo 1970, per "carenza degli estremi della giusta causa
o del giustificato motivo". La Fiat si oppone e il processo ha inizio.
La Fiat afferma che Ceresa era "un semplice fattorino". Ceresa sostiene
di aver svolto, per diciassette anni, dall'agosto del 1953, sempre le mansioni
della spia.
16 giugno 1971: La carriera della spia Ceresa: dalla motoretta alla fuoriserie,
l'ascesa; dalla fuoriserie al treno, la decadenza.
Il pretore, dopo aver predisposto le indagini istruttorie su "tutto quanto
è oggetto della controversia", cioè sulle esatte funzioni
del Ceresa, convoca le parti per l'udienza conclusiva. E qui viene fuori tutto
o quasi tutto. Ceresa racconta, i suoi capi confermano. La spia aveva iniziato
a svolgere il suo mestiere come sottufficiale dei carabinieri. Nell'agosto del
1953 il commendatore Sante Losi, un altro ex poliziotto, lo arruola nel "Sifar"
della Fiat aumentandogli lo stipendio e promettendogli una brillante carriera.
Nascevano allora, negli anni più bui della razionalizzazione capitalistica,
negli anni degli eccidi di Scelba e di De Gasperi, negli anni del centrismo
e di papa Pacelli, i "Servizi Generali" della Fiat. La creatura prediletta
di Valletta, lo strumento della più bieca reazione antioperaia, una mostruosa
centrale di spionaggio politico e di ricatto della cui attività dovevano
fare le spese migliaia e migliaia di compagni operai della FIOM e del PCI. E
l'infaticabile animatore del SIFAR vallettiano in quei primi anni è proprio
il commendator Losi con il suo collaboratore Ceresa. Losi, ormai spia in pensione,
e il suo successore come capo-spia, l 'ex-colonnello dell'aviazione Secondo
Cellerino, pilota personale di Agnelli, testimoniano davanti al pretore sulle
funzioni del Ceresa. E confermano integralmente tutta la storia della carriera
della spia. Aveva iniziato girando in motoretta il Ceresa a svolgere indagini
"sulle referenze, le assunzioni, le promozioni, le lettere anonime e il
chiarimento di situazioni particolarmente importanti per l'azienda, l'accertamento
delle assenze abusive dal lavoro, e, nell'ambito delle referenze, l'accertamento
delle tendenze politiche dell'interessato". (E' Cellerino che parla). Ceresa,
con i suoi giri, si conquistò la stima dei suoi capi così da essere
ritenuto "un elemento particolarmente valido cui erano affidati lavori
di delicatezza e di responsabilità". E' sempre Cellerino che parla
e che aggiunge, con una certa fierezza "ma vi erano elementi anche migliori
di lui, quali il Chessa e il Bobolo". Venne quindi il suo turno di usufruire
per svolgere il suo lavoro di un'automobile di servizio. In auto Ceresa estese
il suo raggio d'azione. Nuovi paesi, nuove città, nuove persone, non
più "l'accertamento delle assenze abusive dal lavoro" da controllare
ma "le anomale tendenze psichiche" del dottor M.E.L. a Passerano Marmorito,
la "relazione amorosa di M.M. e C.L." a Chiavari. Insomma Ceresa nella
versione di spia-voyeur è giunto ai vertici della sua carriera. E comincia
lenta e inarrestabile la decadenza. Ceresa, nell'inverno del 1969, viene comandato
per una indagine a Milano. Deve però usare il treno e non la sua fedele
"automobile di servizio". Per Ceresa è una mazzata in fronte:
si sente declassato e si rifiuta di obbedire. O in macchina o niente Milano.
Cellerino non si impressiona: prende la spia, ormai in disgrazia, e lo sbatte
in ufficio a "battere a macchina i cartellini" per le spiate: lo mette
insomma, (sono sempre parole di Cellerino anche queste) "insieme agli anziani
e ai meno capaci". Ceresa a modo suo lotta. Da ruffiano, cioè. Va
dal direttore della divisione personale, cavalier Ferrero, ma viene mandato
al diavolo. Allora si rivolge, sempre in cerca di protezione, al suo ex-benefattore
Sante Losi. Dopo un colloquio tra Losi e un dirigente del servizio centrale
amministrativo e assunzioni operai Fiat, tale Negri, gli viene proposto di dare
le dimissioni con un milione di buona uscita o di passare come operaio al "Servizio
Centrale Assunzioni" con mansioni "analoghe a quelle dianzi espletate".
Ceresa ribadisce il suo concetto: spia d'accordo, ma mai come operaio. E rifiuta
la proposta. E la Fiat, il 5 marzo 1970, lo licenzia.
Inserzione sulla STAMPA di Torino: la Fiat cerca nuove spie
12 luglio 1971: Ceresa, licenziato e condannato, esce dalla scena. Entra al
suo posto come imputato Agnelli.
Il pretore di Torino, Converso, sezione lavoro, pronuncia la sentenza che dà
torto al Ceresa e ragione, nella vertenza specifica, all'ingegner Gaudenzio
Bono, vice-presidente e amministratore della Fiat. Contemporaneamente però
il pretore trasmette un rapporto al pretore penale su quanto è emerso
dal processo indagini sui privati svolte senza licenza, corruzione di pubblici
ufficiali (perché era impensabile che tutte le informazioni che Ceresa
aveva detto di raccogliere si potessero avere senza un appoggio diretto di polizia
e carabinieri). Alla base del ragionamento del pretore c'era l'accertata differenza
tra i Servizi Generali e il Servizio Centrale Assunzioni della Fiat. Se si fosse
trattato semplicemente di prendere informazioni sui nuovi assunti Ceresa avrebbe
dovuto lavorare presso il Servizio Centrale Assunzioni, che questo compito aveva.
La realtà era quindi che i Servizi Generali erano una vera e propria
centrale di spionaggio a tutti i livelli con fini di ricatto e di controllo
politico su centinaia di migliaia di persone operai e non operai della Fiat.
Se le parole di Ceresa facevano pensare al funzionamento di uno schedario esteso
alla vita privata e alle opinioni politiche degli schedati. La parola quindi
spettava al pretore penale. La prima fase si chiude.
PERSONAGGI E INTERPRETI DELLA I FASE
Caterino Ceresa - spia della Fiat
Cellerino Mario - spia della Fiat
Botolo Edoardo - spia della Fiat
Maria Raffaele - spia della Fiat
Addis Giuseppino - spia della Fiat
Iriano Vito - spia della Fiat
Losi Sante - commendatore, capo delle spie Fiat
Cellerino Secondo - capo delle spie Fiat
Bono Gaudenzio - vicepresidente della Fiat
Ferrero - cavaliere, direttore della divisione personale
Negri - dirigente del servizio centrale amministrativo e assunzioni operai Fiat.
Chessa - spia Fiat
Converso Angelo - pretore del lavoro
II FASE: GIANNI AGNELLI
25 luglio 1971: la bomba è innescata, la notizia di un affare che può
diventare clamoroso arriva ai giornali. L'Unità esce con un articolo
dal titolo Gli spioni del monopolio Fiat, e annuncia che la sentenza del pretore
Converso "conferma" che alla Fiat si indaga sui dipendenti e su coloro
che hanno rapporti con l'impresa. In fondo all'articolo, a chiusura, è
scritto: "Un'ultima considerazione va fatta sulla collaborazione che questo
ufficio di spionaggio della Fiat non può non aver avuto con organi dello
stato, come la polizia e i carabinieri". La bomba è solo innescata.
Perché non farla scoppiare subito?
5 agosto 1971: un pretore coraggioso, una cassaforte, una perquisizione.
Il pretore che riceve l'incartamento dal pretore Converso, è il professor
Raffaele Guariniello. Egli capisce subito che le rilevazioni del Ceresa sono
troppo circostanziate per non essere vere; comunque per esserne certo gli resta
da fare una sola cosa: andare negli uffici di questi benedetti Servizi Generali
e prendere visione diretta degli schedari. Il momento è ben scelto. La
Fiat è in ferie, Torino è semideserta. Via Giacosa, palazzo Fiat.
Guariniello arriva di buon mattino accompagnato da un cancelliere e da un ufficiale
giudiziario. Un attacco di panico travolge i pochi sbigottiti funzionari Fiat
che sono al lavoro. Il dossier è lì. Nessuno aveva pensato a far
sparire il materiale compromettente: l'arroganza del potere che non può
neppure immaginare una ingerenza nei suoi affari. Allineati in bell'ordine ci
sono da destra a sinistra:
i fascicoli degli schedati, operai, giornalisti, professori, dirigenti, industriali,
uomini politici di ogni livello.
i fascicoli dei corrotti, poliziotti, carabinieri, questori, ecc. tutta gente
pagata dalla Fiat oltre che per spiare, per arrestare, picchiare, ricattare
compagni, operai, militanti della sinistra. E anche questo lo vedremo meglio
in seguito.
I fascicoli degli informatori periferici, messi comunali, parroci di paese,
ecc. (C'era un messo comunale che chiedeva un aumento di 5 mila lire all'anno
su uno stipendio di 10.000 lire all'anno: Cellerino gli risponde di no "per
ragioni di bilancio". Sono oltre 150.000 schede su cui è scrupolosamente
annotato tutto. Accanto ai nomi dei poliziotti corrotti c'è l'indicazione
delle somme versate, il motivo della corruzione, copia degli assegni firmati
da alti dirigenti Fiat, ecc. Per portarle via tutte ci vorrebbero dei camion.
Guariniello prende quelle che può e se ne torna in Pretura. Alla cassaforte
incriminata vengono apposti i sigilli giudiziari.
15-18 agosto l'incontro di Antagnod.
Nei giorni immediatamente successivi alla perquisizione, dagli uffici di via
Giacosa si assiste ad un febbrile via vai di indaffarati fattorini che portano
via casse voluminose. Sono i dossier e le schede che Guariniello, non avendoli
potuti portar via, aveva posto sotto sequestro. E' un reato previsto dal codice
penale (art. 334), ma la magistratura non se ne accorge. Si muove il capo della
Fiat in persona. Ad Antagnod, un paesino della Val d'Aosta, c'è un "vertice"
tra il presidente della repubblica Giuseppe Saragat, il procuratore generale
di Torino, Giovanni Colli, e il presidente della Fiat, Giovanni Agnelli. Viene
approntato in quella sede un complesso gioco delle parti che dovrebbe riuscire
a soffocare lo "scandalo". Gianni Agnelli pone la candidatura di Cellerino
a capro espiatorio e baderà alle coperture "politiche" della
vicenda, Colli curerà la parte tecnico-giuridica. Contemporaneamente
Guariniello, avendo ravvisato nel materiale sequestrato gli estremi per reati
ben più gravi di quelli che sono di competenza del pretore, trasmette
gli atti alla procura della repubblica, perché proceda alla fase istruttoria.
La pratica viene immediatamente affidata al dott. Piscopo; viene rubricata col
n. 23042/71; per essa risultano imputati del reato di cui agli articoli 134
e 140 del testo unico di pubblica sicurezza, il Cellerino e il gruppo di spie
che svolgevano le stesse mansioni del Ceresa. Le norme citate stabiliscono che
senza licenza del prefetto non è possibile svolgere alcuna attività
di tipo investigativo. Minimizzare è l'imperativo categorico in Procura
sin dal primo momento. Anche se non si capisce perché, se i reati sono
soltanto quelli in rubrica, la pratica non e più nelle mani del pretore.
PERSONAGGI E INTERPRETI DELLA II FASE
Giuseppe Saragat - presidente
Giovanni Agnelli - presidente
Giovanni Colli - procuratore generale
Raffaele Guariniello - pretore penale
Diego Novelli - giornalista dell'Unità
Piscopo Gerardo - procuratore
PROCURA DELLA REPUBBLICA - TORINO
N. 10081/71 Torino 29 novembre 1971
IL PROCURATORE DELLA REPUBBLICA
letta la dichiarazione con cui Montana Calogero si costituisce parte civile
nel procedimento penale portante il n. 10081/71 del registro generale di questa
Procura, a carico di Cellerino Mario e altri quali indiziati del reato di cui
agli artt. 134-140 T.U.L.P.S. (investigazione e raccolta di informazioni per
conto di privati senza licenza del Prefetto) e art. 326 C.P. (rivelazione di
segreti d'ufficio). Preso atto che la costituzione, come si legge testualmente
nel relativo atto sottoscritto dal Montana, avviene: "al fine, di ottenere,
quale licenziato per rappresaglia politica dalla Soc. Fiat il risarcimenito
dei danni materiali conseguenti al reato"; considerato che la pretesa risarcitoria
del Montana si fonda su un fatto del tutto diverso di quello oggetto del procedimento
nel quale egli si costituisce, fatti che col primo non hanno nemmeno in astratto,
alcun rapporto né diretto, né indiretto, né immediato,
né mediato; ritenuto pertanto che il Montana appare assolutamente privo
di legittimazione alla azione civile che pretende esercitare in questo processo
e che di conseguenza la sua costituzione deve essere dichiarata inammissibile
P.Q.M.
visti gli articoli 22-99 C.P.P. dichiara inammissibile la costituzione di parte
civile di Montana Calogero nel procedimento penale 10081/71 a carico di Cellerino
Mario ed altri. Ordina che copia del presente provvedimento venga notificato
al Montana elettivamente domiciliato presso l'avv. Bianca Guidetti Serra in
Torino, via S. Dalmazio, 24.
IL S. PROCURATORE DELLA REPUBBLICA
dott. Gerardo Piscopo
III FASE: GIOVANNI COLLI
6 settembre 1971 : Il mezzo per affossare tutto è stato trovato: il procuratore
chiede la rimessione.
La procura trova il mezzo per affossare tutto o per lo meno per trasferire il
processo ad altra sede. Il "patto di Antagnod" comincia a dare i suoi
frutti. La trovata si chiama rimessione e la norma è quella dell'art.
55 c.p.p. sulla legittima suspicione. Infatti il procuratore della repubblica
dott. Rosso trasmette gli atti alla procura generale con la richiesta di rimessione.
Riportiamo le motivazioni addotte dal dott. Rosso per giustificare la rimessione
del procedimento ad altra sede (è una notizia che solo Lotta Continua
finora ha dato):
1) Non è possibile incriminare i massimi dirigenti della Fiat, cioè
di un complesso industriale che dà lavoro e benessere a tutta la nazione.
2) Queste notizie potrebbero suscitare uno stato di agitazione tra le masse
operaie della Fiat e i gruppi extraparlamentari che ritengono di essere sorvegliati
dalla Fiat.
3) Si rischiano di incriminare i buoni rapporti di collaborazione fra magistratura
e forze dell'ordine, indispensabili, in questo periodo, per la quantità
e la qualità degli appartenenti alle forze di polizia giudiziaria compromessi.
Da questo documento risulta tanto la corruzione dei poliziotti, quanto la responsabilità
dei massimi dirigenti della Fiat, ma nessuno di loro è incriminato. Da
questo momento tutti gli atti istruttori vengono sospesi, benchè la legge
(art. 57 c.p.p.) dica espressamente che la richiesta di rimessione "non
sospende l'istruzione o il giudizio". Ora tutto il dossier è nelle
mani di Colli.
22 settembre 1971: Lotta Continua comincia a tirar fuori i nomi dei poliziotti
corrotti.
Romano, Bessone, Astolfi, Stettermajer, sono i primi nomi di poliziotti e carabinieri
che figuravano sul libro-paga di Agnelli. Ad una conferenza stampa svoltasi
in sede i compagni di Lotta Continua informano sugli estremi dell'intera vicenda,
precisano le funzioni antioperaie dei poliziotti corrotti, restituiscono alle
sue esatte dimensioni l'episodio: non si tratta cioè di spionaggio aziendale.
E' anche questo, ma è soprattutto la sistematica corruzione operata dalla
Fiat per garantirsi la fedeltà dei poliziotti e impiegarli negli scioperi,
nelle manifestazioni contro i compagni. E i poliziotti pagati, non a caso, sono
sempre stati presenti in tutte le più mostruose montature poliziesche
contro i nostri compagni. Il comunicato stampa di Lotta Continua si conclude
"invitando gli organi d'informazione a seguire la vicenda, denunciando
i tentativi di insabbiamento del processo già in atto". Lo stesso
giorno L'Unità pubblica la notizia dell'avvenuto sequestro. Parla però
ancora e solo di spionaggio aziendale.
23 settembre 1971: La congiura del silenzio.
I giornali italiani tacciono. Nessuno accenna alle informazioni di Lotta Continua.
L'Unità fa eccezione: Coinvolti esponenti di organi di polizia e di settori
dell'apparato dello Stato? è il sottotitolo, dove il punto interrogativo
cancella i nomi fatti dai compagni di Lotta Continua, così come i poliziotti
avevano per tutta la notte tentato di cancellare i manifesti con i nomi dei
corrotti che Lotta Continua aveva affisso in tutta la città. Un volantino
distribuito in tutte le fabbriche, un'edizione straordinaria di Torino in mano
ai proletari con tutte le rivelazioni e i nomi informano gli operai e i proletari
dei quartieri, spaccando il complice silenzio di tutta la stampa borghese. Per
l'Unità la conferenza stampa di Lotta Continua non c'è stata.
C'è solo un riferimento indiretto tragico nel suo involontario umorismo;
"Non siamo alla ricerca del colpo giornalistico sensazionale, bensì
alla ricerca della verità e non intendiamo prestarci a nessuna manovra
scandalistica che potrebbe in qualsiasi modo favorire operazioni tendenti ad
insabbiare o portare sulla pista sbagliata tutte le indagini in corso da parte
della magistratura". Il Manifesto riporta ampi stralci della nostra conferenza
stampa ma tace sui nomi.
24 settembre 1971: La velina di Agnelli è arrivata: i giornali italiani
parlano.
Si assiste ad un fatto incredibile. I quotidiani italiani, sempre attenti a
differenziarsi, esaltati dalla concorrenza o dalla linea o dalla tradizione
del giornale, questa volta parlano dello stesso argomento in toni monotonamente
uguali. Stesse parole addirittura, oltre che stesse argomentazioni, e stesse
citazioni. Doglio, il capo dell'ufficio stampa della Fiat, ha la soddisfazione
di vedersi un suo articolo riprodotto fedelmente da tutti i principali giornali
italiani. Citiamo solo La Stampa per ovvie ragioni. Anche qui titolo con punto
interrogativo: Quali accertamenti possono compiere le aziende per assumere il
personale? E' un titolo che è già passato alla storia del giornalismo.
Per il resto il giornale della Fiat si astiene dall'entrare nel merito della
questione, riconfermando tutta la sua fiducia al dott. Colli. Pudicamente ricorda
che gli "aspetti del problema sono molteplici" e che forse queste
benedette indagini sui dipendenti potevano essere svolte in base ad un decreto
del luglio 1941 rivolto alle industrie belliche. Dei poliziotti pagati, neanche
parlarne naturalmente. A fianco, con una faccia tosta che rasenta la stupidità,
il giornale riportava con tono compiaciuto la notizia della negoziante Antonia
Boscolo denunciata dal pretore di Moncalieri per "aver messo sulla bilancia
insieme al prosciutto due fogli di carta senza sottrarne il peso" ! I deputati
comunisti presentano sui fatti un'interrogazione ai ministri dell'interno e
del Lavoro. L'Associazione giuristi democratici di Torino elabora un violento
documento d'accusa alla Procura della città. Il silenzio è rotto;
l'affare non potrà essere comunque più insabbiato. Il segreto
istruttorio rimane l'ultima trincea per chi tentava di affossare il caso: vi
si schierano il dott. La Marca della Procura di Torino, la direzione della Fiat,
tutti i giornali italiani per quanto riguarda i nomi dei poliziotti corrotti.
25 settembre 1971: Arriva un ennesimo dottor Calabrese
Il dottor Calabrese, del Ministero dell'interno, arriva a Torino. Si chiude
nello studio di Colli e vi rimane per oltre tre ore. Apprenderemo poi, per bocca
del sottosegretario agli interni Sarti, che l'ispettore non è riuscito
a scoprire niente perchè il tutto era ricoperto dal segreto istruttorio.
Un altro! Astolfi e Stettermejer scompaiono da Torino, trasferiti. Il giornale
di Lotta Continua viene denunciato per violazioni sulla legge della stampa;
nessuno dei poliziotti indicati come corrotti si sogna di sporgere querela.
L'Avanti!, l'Unità e il Manifesto sono gli unici giornali a tornare sull'argomento.
L'Unità polemizza con La Stampa, sulla paternità delle rivelazioni
che hanno fatto scoppiare la bomba; dice testualmente: "La Stampa come
la maggior parte dei giornali italiani (compreso purtroppo l'Avanti!) ha accreditato
ad un gruppetto della cosidetta sinistra extraparlamentare l'iniziativa della
denuncia dello scandalo, versione per la verità rifiutata dagli stessi
giovanotti (sic!) di Lotta continua, che in una conferenza stampa svoltasi ieri
l'altro hanno subito precisato che partivano dalle rivelazioni dell'Unità".
Ed ecco citata, dopo tre giorni, per la prima volta, la nostra conferenza stampa:
fatto un piccolo sforzo se ne poteva fare un altro e citare anche i nomi dei
poliziotti! Presa di posizione anche delle segreterie nazionali FIOM-FIM-UILM,
che in una nota chiedono alla Magistratura di portare a fondo le indagini su
quello che si ostinano a chiamare spionaggio aziendale.
26 settembre 1971: E' già pronta la via d'uscita? Scaricare tutto su
Cellerino?
Solo l'Unità e il Manifesto parlano ancora della cosa. Gli altri quotidiani
si preoccupano di dimenticare. L'Unità tace sempre sui nomi; parla della
repressione antioperaia degli anni '50 in una visione tutta interna alla Fiat.
Al Consiglio nazionale della DC, apertosi in quei giorni, ad una richiesta di
chiarimenti di Donat-Cattin, Restivo risponde anticipando la tesi difensiva
della Fiat: nessuna corruzione di pubblici ufficiali, ma un unico corrotto,
il Cellerino, che si sarebbe intascate le somme giustificandone la scomparsa
con fantomatici mandati di pagamento ad altrettanto fantomatici poliziotti.
La strategia di Antagnod comincia a dare i suoi frutti. Il colloquio Restivo
Donat-Cattin è strettamente privato.
3 ottobre 1971: Il sottosegretario Pennachini a Torino.
Il suo viaggio avviene in un momento in cui gli ambienti giudiziari e politici
della città sono infestati dalle voci più assurde e contradditorie
sulle persone coinvolte nello scandalo, con nomi di magistrati, di politici,
di sindacalisti, quasi tutti inventati, tanto da far pensare ad una centrale
ben organizzata che agisca per intorbidire le acque speculando sul vergognoso
silenzio di chi sa i nomi veri e tace. Incontro con Donat-Cattin all'inaugurazione
del Salone della Tecnica e lungo ennesimo colloquio con Colli di Pennachini.
I giornali tacciono tutti. L'Espresso, che esce proprio in quei giorni dedica
al fatto una colonna di piombo dal titolo spiritoso di "Poliziotti in tuta".
Sono anche di quei giorni le telefonate della Fiat alla Gazzetta del Popolo
il cui tono sinteticamente era questo: "Silenzio sulla faccenda; ricordatevi
che state attraversando un momento economico molto difficile e noi possiamo
aiutarvi". Cosa nostra. Accuse alla Fiat vengono rivolte dai magistrati
riuniti nel convegno di Chianciano su Giustizia e Potere.
4 ottobre 1971: Corrispondenza Colli - Donat-Cattin.
Le voci sui corrotti hanno assunto una direzione unica: Donat-Cattin e la sua
corrente. Si gioca a far le vittime? Comunque Donat-Cattin scrive a Colli per
chiedere che sia fatta risultare la sua completa estraneità alla vicenda.
Colli non risponde neppure. Che i nomi di Guariniello riguardano solo poliziotti
lo sanno ormai tutti, e l' intervento del ministro è, volendo essere
buoni, superfluo. Silenzio di tomba sui giornali.
9 ottobre 1971: Un altro nome: Marcello Guida.
Crolla ancora una volta il tentativo di passare sotto silenzio l'intera vicenda.
Lotta Continua, in un suo comunicato stampa, aggiunge agli altri nomi già
fatti, quello dell'ex-questore di Milano, Marcello Guida. I compagni annunciano
che si costituiranno parte civile contro la Fiat, ritenendola la mandante di
tutte le montature poliziesche che hanno colpito a Torino i militanti e gli
operai e i cui cardini sono da sempre stati proprio Romano, Bessone, e soci
(v.v. docum. p. 20-21). Interrogazione al parlamento di due deputati del MPL.
10 ottobre 1971. Ma nessuno ne parla. Nessun giornale riporta un solo accenno
alle nuove rivelazioni di Lotta Continua, ad eccezione del Manifesto, dell'Avanti!
che si chiede: "Sono queste accuse motivate da elementi di prova o piuttosto
soltanto un mezzo per imporre la revisione dei processi in cui sono accusati
e condannati molti militanti del movimento? ".
14 ottobre 1971: Il fascicolo va in Cassazione.
Colli trasmette il fascicolo alla Corte di Cassazione con la richiesta di rimessione,
aggiungendo una sua nota in cui "aderisce" alla richiesta già
avanzata dal procuratore della repubblica dott. Rosso Severino il 6 settembre.
E' dunque passato più di un mese da quando Colli ha ricevuto il fascicolo.
Perchè tanto tempo? Che cosa sperava di raggiungere il Procuratore Generale?
Nel frattempo nessun altro atto istruttorio è stato compiuto. Il procedimento
continua ad essere a carico di Cellerino e delle altre spie; dei dirigenti Fiat
e dei poliziotti corrotti nessuna menzione, benchè essi risultino incriminabili
dagli atti. Sedici righe su una colonna è tutto lo spazio che l'Unità
dedica alla manovra. Più doviziosa d'informazioni La Stampa che esce
con un altro titolo da storia del giornalismo: Gli atti sull'investigazione
privata trasmessi alla Corte di Cassazione. E nel sottotitolo: I sette dipendenti
Fiat passibili di ammenda sino a 240 mila lire. I "sette dipendenti "
sono le sette spie dei servizi generali, colleghi di Ceresa.
25 ottobre 1971: La pratica per la rimessione va avanti.
Il procuratore generale presso la Corte di Cassazione, Ilari, dà parere
favorevole alla remissione associandosi alle richieste già formulate
da Rosso e da Colli. L'udienza per discutere la richiesta viene fissata per
il 3 dicembre.
29 ottobre 1971: Il Governo non ne sa niente.
Emilio Pugno, segretario della Camera del Lavoro di Torino, parla dalle colonne
dell'Unità, rompendo il pesante silenzio della sua organizzazione: "Noi
dei sindacati - afferma Pugno - lanciamo una sfida nei confronti di coloro che
intendono con subdole manovre e volgari falsità cercare di favorire l'insabbiamento
delle indagini". "Fuori i nomi - continua Pugno - i nomi di tutti
: gli eventuali questori, prefetti, ufficiali dei carabinieri, dei delatori...
". E' una sortita violenta di cui si stenta a capire, come per la lettera
a Colli di Donat-Cattin, il senso, visto che di sindacalisti nelle schede sequestrate
da Guariniello non ce ne sono, e tutti lo sanno. L'affare giunge alla Camera.
Il sottosegretario Sarti e il ministro Donat-Cattin rispondono alle interrogazioni
presentate dal PCI, MPL, Manifesto, PSI, ecc.. Il sottosegretario Sarti annuncia
che il governo non sa niente e non può sapere niente perchè tutti
i documenti sequestrati sono coperti dal segreto istruttorio. Donat-Cattin dal
canto suo afferma che la Fiat con il suo Servizio Assunzioni e con i suoi sette
dipendenti incriminati ha violato lo statuto dei lavoratori e dichiara che è
stata data disposizione affinchè i moduli di assunzione fossero compilati
in modo conforme alle nuove disposizioni di legge e affinchè la Fiat
ritenesse abrogato il famoso decreto del 1941 sulle industrie belliche. Basta
così. Nel corso del dibattito parlamentare un solo nome viene fatto,
quello di Guida ad opera del comunista Spagnoli (sull'Unità niente).
I compagni del Manifesto parlano degli incontri segreti tra Umberto Agnelli
e personaggi reazionari e fascisti con scopi non ben definiti; partecipano a
queste riunioni Vittorino Chiusano, dell'ufficio stampa della Fiat, Scardia,
sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione, Scassellati, della
fondazione Agnelli, Claudio Vitalone, della Procura di Roma, Garino, vice-direttore
della Fiat, del giornalista Mimmo Scarano e del giovane industriale fascista,
Lorenzo Vallarino Gancia. Sono i soli risultati del dibattito parlamentare.
Restivo, che pure aveva ricevuto dal prefetto Casu un assegno della Fiat che
provava la tentata corruzione ai danni del funzionario e che quindi cose da
dire ne aveva anche per conoscenza diretta, non partecipa neanche alla seduta.
30 ottobre 1971: Si parla dello spionaggio aziendale, ma dei poliziotti corrotti
no.
I giornali italiani riferiscono con abbondanti particolari del dibattito parlamentare.
Nei titoli e negli articoli si insiste però con monotonia sullo spionaggio
aziendale. L'Unità giudica "importante che le conferme siano venute
ieri, piene e circostanziate da esponenti governativi nel dibattito di Montecitorio".
E' Luca Pavolini che scrive. La voce repubblicana parla ancora di "presunto
servizio investigativo". Per la Nazione il tutto è un "duro
attacco alla Fiat del ministro del lavoro"
3 novembre 1971: Agnelli al Salone.
Un'altra conferma importante sulla veridicità delle notizie giunge all'Unità
che le pubblica con grande rilievo, è nientemeno che la testimonianza
di Gianni Agnelli. Agnelli al Salone dell'auto ammette lo spionaggio Fiat è
il titolo trionfale su quattro colonne. Agnelli, in una conferenza stampa, aveva
detto: "bisogna distinguere tra l'attività svolta dall'ufficio personale
prima dell'approvazione dello statuto dei diritti dei lavoratori e dopo".
"Pur nella sua sinteticità quella di Agnelli è un'ammissione
importante, in quanto riconosce se non altro la validità delle accuse
mosse alla direzione della Fiat". E' il testuale commento dell'Unità
a quelle dichiarazioni! Eppure il PCI era già a conoscenza di un altro
gravissimo fatto: l'assunzione di operai meridionali nelle fabbriche FIAT tramite
il MSI torinese, nella persona di uno dei più noti picchiatori e consiglieri
comunali del MSI, Ugo Martinat.
12 novembre 1971: Conferenza stampa di Lotta Continua. Altri nomi con le cifre
della corruzione. E i nomi dei corruttori.
Le delibere di pagamento rilasciate a ufficiali di polizia e dei carabinieri
con le motivazioni "per collaborazione durante gli scioperi" o "per
collaborazione durante le manifestazioni" sono controfirmate dall'ingegner
Bono, dall'ing. Gioia e dal dott. Garino. La struttura completa del Sifar della
Fiat si basava su due uffici: i Servizi generali e il Servizio delibere, uno
di carattere esecutivo l'altro decisionale, con lo scopo preciso di avvicinare
pubblici funzionari e personalità politiche per corromperli. Vengono
precisati e i compensi e le modalità di pagamento dei poliziotti corrotti
al cui elenco si aggiunge il capo-gabinetto della Questura di Torino dott. Stabile
con quasi tutti i questori succedutisi a Torino nel dopoguerra, alcuni prefetti,
il comandante della legione territoriale dei carabinieri, alti ufficiali, giù
giù sino ai semplici agenti per un totale di 150 nomi. Nessun giornale
(tranne il Manifesto) riprende queste dichiarazioni.
13 novembre 1971: Assemblea popolare al teatro Alfieri. Quattromila proletari
al processo contro Agnelli.
La manifestazione ha come titolo "La città deve sapere". Il
compagno Luciano Parlanti di Lotta Continua è l'unico a fornire i nomi
e le cifre tra gli applausi dei compagni operai. Era questo che la città
voleva sapere. L'assemblea compatta si scioglie con la parola d'ordine processo
a Torino, l'unica giustizia è quella proletaria.
3 dicembre 1971: La I sezione penale della Cassazione, presidente il dott. Giovanni
Rosso, accoglie la richiesta di Colli e assegna il processo, per gravi motivi
di ordine pubblico, alla Procuira della Repubblica di Napoli. L'indomani i giornali
italiani, tutti i giornali italiani, si muovono con un'unica parola d'ordine:
"minimizzare". 22 righe e il titolo su una colonna è lo spazio
che l'Unità dedica alla notizia. Gli altri si adeguano.
PERSONAGGI E INTERPRETI DELLA III FASE
Romano Aldo - poliziotto pagato da Agnelli
Bessone Ermanno - poliziotto pagato da Agnelli
Settermajer Enrico - poliziotto pagato da Agnelli
Astolfi Alessandro - poliziotto pagato da Agnelli
Stabile - poliziotto pagato da Agnelli
Perris - poliziotto pagato da Agnelli
Guida Marcello - poliziotto pagato da Agnelli
Doglio Sandro - giornalista pagato da Agnelli
Rosso Severino - magistrato della procura della Repubblica
Ilari - magistrato
Calabrese - dottore, ispettore del ministero degli interni
Sarti - sottosegretario al ministero dell'Interno
Restivo - ministro degli interni
Donat-Cattin - ministro del lavoro
Pugno Emilio - sindacalista
Spagnoli Ugo - deputato PCI
Garino - dirigente Fiat silurato o in via di esserlo
Gioia Niccolò - dirigente Fiat silurato o in via di esserlo
Bono Gaudenzio - dirigente Fiat silurato o in via di esserlo
Giovanni Rosso - presidente della I Sezione Penale
A QUESTA CRONOLOGIA MANCA UNA DATA, LA DATA DEL GIORNO IN CUI SI TERRA' IL DEFINITIVO
PROCESSO POPOLARE CONTRO AGNELLI E I SUOI COMPLICI.
IL PROCURATORE GENERALE
Con atto in data 28 settembre 1971 il Proc. Gen.le presso la Corte d'Appello
di Torino chiedeva, ai sensi dell'art. 55 p.p. del c.p.p. che codesta Corte
disponesse la rimessione del procedimento a carico di Cellerino Mario e altri
imputati di reati di cui agli artt. 134 e 140 del T.U.L.P.S. e dell'art. 326
C.P. dagli organi giudiziari di Torino a quelli di altra sede. Nella richiesta
si faceva presente che nel corso di un giudizio civile davanti alla sezione
lavoro della Pretura di Torino, il magistrato aveva rilevato elementi che potrebbero
costituire gli estremi dei reati di cui sopra, donde la necessità, ai
fini dell'art. 3 del c. di p.p., di farne rapporto al p.m. Il proc. della Repubblica,
ritenuto che per i fatti emersi si profilavano eventuali responsabilità
penali a carico di un ten. Colonnello dei C.C., di due vicequestori e di altri
funzionari di p.s., operanti in quella sede, nonché nei confronti dei
massimi dirigenti della Fiat, con la probabilità dell'insorgenza di agitazioni
di piazza, di reazioni in campo sindacale che potrebbero sfociare anche in manifestazioni
violente; che, inoltre, per la qualità e la quantità degli appartenenti
alle forze di polizia giudiziaria, da eventualmente incriminare, si sarebbero
gravemente compromessi i rapporti tra l'autorità giudiziaria e le forze
di polizia, proponeva la rimessione del procedimento ad altre sedi. Ciò
premesso, non può revocarsi in dubbio alla stregua delle considerazioni
dianzi esposte, l'opporrtunità che tanto l'istruzione, quanto il giudizio
siano rimessi ad altro giudice, di sede diversa da quella di Torino. E' infatti
di diretta e diuturna constatazione dello stato di tensione che permane nell'ambiente
sindacale, soprattutto a Torino, e delle frequenti agitazioni delle masse operaie
che presumono, a torto o a ragione, di essere controllate nella loro vita privata
da organi del padronato in collusione con le forze di polizia. Sulla scorta,
pertanto, della costante giurisprudenza di cotesta Corte nella interpretazione
dell'art. 55 del c. di p.p., la cui costituzionalità è affermata
e ribadita dalla C. Cost. si ritiene necessario accogliere la richiesta del
P.G. di Torino, sia per gravi motivi di turbamento dell'ordine pubblico, sia
per legittimo sospetto.
P.Q.M.
Si chiede che la Corte, in accoglimento della richiesta, voglia rimettere l'istruzione
e il giudizio, nel procedimento de quo, ad un altro giudice di diversa sede.
Roma, 25-10-197l
O. Ilari sost.
"RIMESSIONE"
L' espediente per affossare i processi che danno fastidio
Ogni volta che i padroni rimangono impantanati nelle loro leggi impariamo delle
nuove parole. Così quando l'assassino Calabresi si è trovato alle
strette nel processo contro Lotta Continua abbiamo imparato "ricusazione",
"legittima suspicione". Ora che è Agnelli a trovarsi inguaiato
impariamo "rimessione". Tutte parole che nascondono formulette con
le quali la classe dominante riesce a sfuggire alle maglie della sua giustizia.
Cosa vuol dire rimessione? Il codice dice "per gravi motivi di ordine pubblico
o per legittimo sospetto sulla richiesta del procuratore generale presso la
corte d'appello o presso la corte di cassazione questa può rimettere
l'istruzione o il giudizio da uno ad altro giudice di sede diversa". In
parole povere, se a Torino c'è un processo che scotta, con la rimessione
lo si può spedire a Campobasso o a Caltanissetta. Il che vuol dire semplicemente
che si esercita la giustizia in nome del popolo, ma che questo deve essere tenuto
il più all'oscuro possibile e il più lontano possibile. Quando
si tratta di cose che lo riguardano direttamente e per le quali può assumere
in prima persona il ruolo di accusatore. Pensiamo al processo per i fatti del
29 maggio ed alla bestiale campagna di stampa del giornale di Agnelli. Allora
non solo non c'è stata rimessione, ma il processo è stato fatto
per direttissima e così il processo intimidatorio dei 43. La rimessione
scatta solo quando ci sono di mezzo i padroni o le forze repressive dello stato,
basta pensare al processo per l'omicidio di Giacomo Matteotti o, più
vicino a noi, quello contro gli assassini del Vajont, che invece di essere giudicati
di fronte alla popolazione di Longarone, che essi avevano sterminato, poterono
farsi processare all 'Aquila. E difatti furono tutti assolti o condannati a
pena molto lievi.
Giovanni Colli: Il complice
"Per quanto più direttamente mi concerne, posso dire di aver fatto...
tutto quanto ho saputo e potuto per tutelare questi fedeli servitori dello stato...
" (G. Colli, "Relazione per l'inaugurazione dell'anno giudiziario
1971", 12-1-1971 ). Non c'è da dubitare che per l'avvenire il procuratore
generale potrà, anche con maggior enfasi, vantarsi di questa tutela.
E' invece motivo di dubbio se avrà la faccia tosta di ripetere: "[
La Procura Generale ha promosso ] inflessibilmente l'azione penale contro tutti
coloro che hanno violato la legge, chiunque essi fossero, per qualunque motivo
avessero agito o qualunque fosse la legge violata". (G. Colli, op. cit.).
E' sempre pericoloso fare delle dichiarazioni di carattere così generale,
specie da parte di chi non nasconde che "in realtà non si tratta
di leggi, ma di rapporti di forza" (G. Colli, intervista con l'Espresso,
ottobre 1971 ). D'altra parte "il diritto non è meccanica, ma arte.
C'è chi la possiede e chi no, ci sono varie misure nel possederla e la
misura muta in ogni individuo col progredire della sua vita, con lo svolgersi
della sua avventura umana. Quel che conta è che il giudice cui manchi
quell'arte, non è un giudice, ma ma un burocrate o un rivoluzionario"
( G. Colli, "Scelte politiche e interpretazioni della legge", 1968,
p. l29). Di quanto sia svariata la misura, in cui Colli possiede l'arte del
diritto, nel corso della sua vita non c'interessa molto. Anzi ci permettiamo
di dubitare che dal tempo dei duelli per questioni d'onore nel periodo dei GUF,
passando attraverso il giuramento di fedeltà alla repubblica di Salò,
al titolo nobiliare arraffato al volo nel 1946 all' areoporto di Ciampino, fino
ad arrivare alla tutela dei gran capi Fiat e dei poliziotti corrotti, la misura
della sua arte sia cambiata. Mandato a Torino nel giugno del 1970 a scuotere
la "sonnolenta" Procura Generale, Colli ha immediatamente iniziato
a caratterizzare la sua azione con una serie continua di processi politici di
cui era ed è l'ispiratore, l'istigatore, se non addirittura come nel
caso Stettermajer-Senatore (vedi la scheda personale di Stettermajer) l'agente
provocatore. D'altro canto, appoggiandosi al giornale di Agnelli e alla violenta
e artificiale campagna contro la delinquenza, sollecita un rafforzamento della
polizia ed un inasprimento delle pene. A chi gli chiede il perchè dell'accentuarsi
della campagna repressiva, si limita a vantare una maggiore efficienza e a dire
"si applica la legge". Abbiamo così una prima faccia dell'uomo;
da una parte ci sono le leggi che il solerte magistrato applica, anche se fasciste,
perchè tocca ai politici cambiarle, però questo vale solo a senso
unico in quanto se le leggi, per pura combinazione, bisogna applicarle contro
i padroni e i poliziotti, allora valgono criteri politici. Non si può
incrinare la collaborazione tra polizia e magistratura incriminando 150 poliziotti,
non si può dire a 150.000 operai Fiat che la polizia li scheda per conto
di Agnelli, non si può far sapere che i poliziotti, che picchiano e arrestano
ai cortei e agli scioperi, non lo fanno per dovere, ma per vile denaro. Colli
stende così un velo di protezione su tutto, ed è per questo che,
vedendo qual è stato in questi ultimi tempi il comportamento di poliziotti
e carabinieri, sempre più provocatorio e repressivo a senso unico, possiamo
dire con Giovanni Colli: "La persuasione, che si è diffusa nel mondo
della delinquenza della quasi certa impunità... rappresenta, a nostro
giudizio, una delle cause del diffondersi della criminalità e del carattere
di aperta sfida alla legge che essa è venuta assumendo". (G. Colli,
"Relazione per l'inaugurazione dell'anno giudiziario 1971" , 12-1-1971).
Ecco i poliziotti corrotti
(Elenco di alcuni dipendenti Fiat)
MARCELLO GUIDA. Riceveva dalla Fiat circa 1.000.000 all'anno (sotto le voci
"aiuto in una manifestazione", "aiuto durante uno sciopero").
La sua carriera: uomo di fiducia di Mussolini, è stato direttore del
carcere per prigionieri politici di Ventotene, dove sono morti diversi antifascisti.
Dopo la guerra fa il questore.
A Torino ce lo ricordiamo aver comandato le cariche contro il corteo di studenti
medi davanti alla facoltà di Architettura, con inaudita violenza. Allora
si parlò di una studentessa uccisa, ci furono interrogazioni in parlamento.
(20 novembre '68).
Ordina la carica contro un corteo antifascista di solidarietà con la
Grecia. (8 maggio '69).
Organizza, prepara e comanda personalmente le cariche e i rastrellamenti contro
un corteo operaio autonomo in corso Traiano. Ne seguono scontri per otto ore,
ci sono centinaia di feriti, molti gravi. L'ordine è di arrestare (e
far licenziare) quanti più operai possibile. L'attacco avviene al culmine
di una lotta operaia autonoma che dura da 50 giorni. (3 luglio '69). In corso
Traiano Marcello Guida viene ferito in fronte da una pietra. Pochi giorni dopo
viene trasferito a Milano. In tutte le occasioni riferite l'organizzatore materiale
della violenza poliziesca è il vice questore Voria che si è meritato
l'appellativo di nazista dai proletari di Torino.
A Milano: giovedì 6 novembre '69: Guida fa attaccare un corteo operaio
che manifesta davanti alla Fiat di corso Sempione. Sabato 19 novembre '69: provoca
un corteo dell'Unione dei Comunisti Italiani durante uno sciopero generale per
la casa, in via Larga. Escono operai da un comizio sindacale al Teatro Lirico,
vengono caricati. Seguono ore di scontri. Muore l'agente di P.S. Annarumma.
In serata Guida viene cacciato dalle caserme di P.S. in rivolta. Lunedì
15 dicembre '69: Questura di Milano. Calabresi, Mucilli, Lograno, Panessa assassinano
Giuseppe Pinelli durante un interrogatorio. Marcello Guida è il complice
principale. E' il primo ad arrivare all'ospedale Fatebenefratelli dove impone
la presenza di un poliziotto al capezzale di Pinelli. Poche ore dopo dichiara
il falso alla TV: "era fortemente indiziato, il suo alibi era crollato"
. Poi aggiunge: "Vi giuro: non l'abbiamo ucciso noi". Pochi mesi dopo
viene promosso ad incarichi ministeriali e trasferito a Roma.
TENENTE COLONNELLO ENRICO STETTERMAJER capo del nucleo speciale dei carabinieri
di Torino (SID, ex SIFAR). Non era tenuto in gan conto dalla Fiat : si offre
personalmente di occuparsi del settore esercito. Viene pagato 150.000 al mese,
ma ha l'ardore del neofita. E' infatti il protagonista di una delle montature
poliziesche più clamorose. Giovedì 6 maggio arresta personalmente
il compagno Fulvio Senatore (25 anni, studente) con l'accusa di spionaggio militare
(pene: da 3 a 16 anni di carcere). Al giudice istruttore confida con orgoglio:
"E' il primo esponente di Lotta Continua coinvolto in un caso di attività
spionistica". Stettermajer si serve di un soldato (Gaudina Mario, 20 anni,
genovese, elettricista, ex iscritto al MSI, ora di un gruppo di destra) per
montare la provocazione. Il Gaudina dovrebbe consegnare una busta con notizie
compromettenti al Senatore. L'appostamento è pronto, ma Senatore non
accetta la busta. Stettermajer lo arresta lo stesso. (Stettermajer affermerà
in istruttoria di essersi confidato con alcuni magistrati, e in particolare
con il procuratore generale Giovanni Colli e questo gli aveva detto che se si
trovava la busta addosso il gioco era fatto). Pazienza, Stettermajer si è
sbagliato. Fulvio Senatore resta in carcere tre mesi, poi viene assolto per
inattendibilità del teste di accusa (Gaudina). La montatura è
così scoperta e smascherata (se ne è occupato anche l'Espresso
- ottobre 71 ), ma Colli ora vuole ricorrere in appello contro Senatore. Si
vede che la busta non è più necessaria. Stettermajer in questa
azione agiva d'accordo non solo con la procura generale, ma anche con i suoi
superiori di Roma. Il caso, se riuscito, avrebbe avuto grossa risonanza. In
quel momento infatti il Borghese, lo Specchio, Candido, il Secolo d'Italia e
altri giornali fascisti insistevano sulle "attività sovversive"
di Lotta Continua nelle caserme e chiedevano a gran voce lo scioglimento della
nostra organizzazione. Peccato Enrico Stettermajer resta a 150.000 lire mensili.
Ora è trasferito e irreperibile.
BESSONE ERMANNO, capo della squadra politica di Torino e ROMANO ALDO, commissario
della squadra politica di Torino. Ricevono regolarmente dalle 250 alle 400.000
lire mensili l'uno. Sono sempre presenti a tutte le manifestazioni, gli scioperi,
i picchetti. Conoscono tutti, sono gli organizzatori delle schedature della
questura e sono sempre presenti in tutte le montature poliziesche contro i compagni.
In particolare sono presenti (Romano) nell'arresto dei compagni Sofri, Mochi
e Derossi in seguito ad una manifestazione davanti al Municipio delle famiglie
di via Sansovino (novembre '70). I compagni restano in carcere tre mesi prima
di essere riconosciuti completamente estranei ai fatti. Sono presenti alle Porte
Palatine il 29 maggio '71 (Bessone e Romano). Viene attaccato un corteo operaio,
seguono scontri per cinque ore. Ci sono 56 arresti, 13 compagni stanno ancora
scontando due anni di carcere. L'ordine delle cariche parte dal dottor Bessone
che esegue con tempismo manageriale le richieste del suo superiore avv. Cuttica
della Fiat. (Cuttica il giorno stesso sulle colonne della Stampa del suo dipendente
Ronchey invita alla repressione contro Lotta Continua). Bessone e Romano sono
seri, colti, pacati e signorili. Il secondo però nasconde una doppia
vita: lo si può vedere spesso nei night club torinesi dove mangia, beve
e se la spassa coi soldi della Fiat, in veste di play-boy. Ma anche lì
non deve essere tutto chiaro: una sera del novembre '70 mentre rincasa a tarda
ora, gli sparano sei colpi di pistola. Non lo prendono. L'inchiesta per tentato
omicidio viene prontamente archiviata. Ora è a riposo e non si vede più
in giro.
ASTOLFI ALESSANDRO, colonnello dei carabinieri. Fa parte del SID. Pagato dalla
Fiat una tantum. Alle sue dipendenze il falso operaio dell' OSA Lingotto, Salvatore
Cieri, infiltrato in Lotta Continua con il compito di proporre armi. Citiamo
testualmente la dichiarazione che la spia Salvatore Cieri ha reso davanti alla
pretura di Torino il l2-10-'71 in cui saltano fuori anche altri nomi interessanti.
"...Io da due anni sono dipendente Fiat ed oltre al lavoro come operaio
sono stato 'confidente' della Fiat e della polizia. In particolare il mio compito
era di controllare il movimento politico di 'Lotta Continua'. Il mio compito
era di riferire al cap. Porta, capo sezione dei sorveglianti. Ero pagato a parte
per questo lavoro. Per quanto concerne il mio lavoro con la Fiat ho avuto anche
rapporti col sig. Motta Fabrizio della sede di corso Marconi. Tutte le sere
alle 18,10 ho appuntamento con il sig. Motta davanti alla Banca in Piazza Carducci.
Sono stato aggregato a questo servizio dal Caposquadra Sig. Di Giacomo in relazione
ad un furto che era avvenuto nel mio reparto. Ogni prestazione era retribuita
a parte "a fondo perso". In particolare era mia possibilità
entrare e uscire dalla Fiat quando volevo. Svolgevo analogo lavoro per la polizia
ed in particolare ero in contatto con la squadra politica per cui potevo rivolgermi
loro in ogni momento. Fornivo loro tutto il materiale di "Lotta Continua".
Avevo contatti con il dott. Bellofiore, ma ero pagato da un certo Franco della
squadra politica. Avevamo pattuito L. 30.000 ogni giorno 10 del mese. Non firmavo
ricevute. Poiché non era regolare nei pagamenti ed era già quattro
mesi che fornivo lettere intestate a Lotta Continua e nominativi, gli chiesi
il pagamento. Circa due mesi fa dissi loro che non intendevo continuare perché
non mantenevano le promesse... Per quanto concerne i miei rapporti coi Carabinieri,
preciso che fornivo loro le stesse notizie, passando in Via Giolitti tutti i
giorni. Mi forniscono somme di denaro e materiale (macchina fotografica). A
questo proposito, anche la Fiat mi aveva fornito un registratore Grundig, tascabile,
per eventuali registrazioni sul finanziamento di Lotta Continua. Ho avuto tre
colloqui con il Col. Alessandro Astolfi, col cap. Formato, col maresciallo Savoia
e col maresciallo Conca Mario e la mia collaborazione continua tutt'oggi. Sono
stato nel Meridione, mandato da Lotta Continua visitando le varie sedi e prendendo
nominativi. Tutto ciò d'accordo con i Carabinieri a cui ho consegnato
il materiale. Firmato: Cieri Salvatore"
Questi i nomi con cui noi abbiamo personalmente un conto aperto. La lista dei
questori coinvolti è però più lunga e con tutti costoro
la classe operaia ha un conto aperto da PERRIS a DE NARDIS (trasferito in questi
giorni a Roma, chiamato dal nuovo presidente della Repubblica a dirigere la
polizia del Quirinale).
Ecco i poliziotti corrotti
(Elenco di alcuni dipendenti Fiat)
MARCELLO GUIDA. Riceveva dalla Fiat circa 1.000.000 all'anno (sotto le voci
"aiuto in una manifestazione", "aiuto durante uno sciopero").
La sua carriera: uomo di fiducia di Mussolini, è stato direttore del
carcere per prigionieri politici di Ventotene, dove sono morti diversi antifascisti.
Dopo la guerra fa il questore.
A Torino ce lo ricordiamo aver comandato le cariche contro il corteo di studenti
medi davanti alla facoltà di Architettura, con inaudita violenza. Allora
si parlò di una studentessa uccisa, ci furono interrogazioni in parlamento.
(20 novembre '68).
Ordina la carica contro un corteo antifascista di solidarietà con la
Grecia. (8 maggio '69).
Organizza, prepara e comanda personalmente le cariche e i rastrellamenti contro
un corteo operaio autonomo in corso Traiano. Ne seguono scontri per otto ore,
ci sono centinaia di feriti, molti gravi. L'ordine è di arrestare (e
far licenziare) quanti più operai possibile. L'attacco avviene al culmine
di una lotta operaia autonoma che dura da 50 giorni. (3 luglio '69). In corso
Traiano Marcello Guida viene ferito in fronte da una pietra. Pochi giorni dopo
viene trasferito a Milano. In tutte le occasioni riferite l'organizzatore materiale
della violenza poliziesca è il vice questore Voria che si è meritato
l'appellativo di nazista dai proletari di Torino.
A Milano: giovedì 6 novembre '69: Guida fa attaccare un corteo operaio
che manifesta davanti alla Fiat di corso Sempione. Sabato 19 novembre '69: provoca
un corteo dell'Unione dei Comunisti Italiani durante uno sciopero generale per
la casa, in via Larga. Escono operai da un comizio sindacale al Teatro Lirico,
vengono caricati. Seguono ore di scontri. Muore l'agente di P.S. Annarumma.
In serata Guida viene cacciato dalle caserme di P.S. in rivolta. Lunedì
15 dicembre '69: Questura di Milano. Calabresi, Mucilli, Lograno, Panessa assassinano
Giuseppe Pinelli durante un interrogatorio. Marcello Guida è il complice
principale. E' il primo ad arrivare all'ospedale Fatebenefratelli dove impone
la presenza di un poliziotto al capezzale di Pinelli. Poche ore dopo dichiara
il falso alla TV: "era fortemente indiziato, il suo alibi era crollato"
. Poi aggiunge: "Vi giuro: non l'abbiamo ucciso noi". Pochi mesi dopo
viene promosso ad incarichi ministeriali e trasferito a Roma.
TENENTE COLONNELLO ENRICO STETTERMAJER capo del nucleo speciale dei carabinieri
di Torino (SID, ex SIFAR). Non era tenuto in gan conto dalla Fiat : si offre
personalmente di occuparsi del settore esercito. Viene pagato 150.000 al mese,
ma ha l'ardore del neofita. E' infatti il protagonista di una delle montature
poliziesche più clamorose. Giovedì 6 maggio arresta personalmente
il compagno Fulvio Senatore (25 anni, studente) con l'accusa di spionaggio militare
(pene: da 3 a 16 anni di carcere). Al giudice istruttore confida con orgoglio:
"E' il primo esponente di Lotta Continua coinvolto in un caso di attività
spionistica". Stettermajer si serve di un soldato (Gaudina Mario, 20 anni,
genovese, elettricista, ex iscritto al MSI, ora di un gruppo di destra) per
montare la provocazione. Il Gaudina dovrebbe consegnare una busta con notizie
compromettenti al Senatore. L'appostamento è pronto, ma Senatore non
accetta la busta. Stettermajer lo arresta lo stesso. (Stettermajer affermerà
in istruttoria di essersi confidato con alcuni magistrati, e in particolare
con il procuratore generale Giovanni Colli e questo gli aveva detto che se si
trovava la busta addosso il gioco era fatto). Pazienza, Stettermajer si è
sbagliato. Fulvio Senatore resta in carcere tre mesi, poi viene assolto per
inattendibilità del teste di accusa (Gaudina). La montatura è
così scoperta e smascherata (se ne è occupato anche l'Espresso
- ottobre 71 ), ma Colli ora vuole ricorrere in appello contro Senatore. Si
vede che la busta non è più necessaria. Stettermajer in questa
azione agiva d'accordo non solo con la procura generale, ma anche con i suoi
superiori di Roma. Il caso, se riuscito, avrebbe avuto grossa risonanza. In
quel momento infatti il Borghese, lo Specchio, Candido, il Secolo d'Italia e
altri giornali fascisti insistevano sulle "attività sovversive"
di Lotta Continua nelle caserme e chiedevano a gran voce lo scioglimento della
nostra organizzazione. Peccato Enrico Stettermajer resta a 150.000 lire mensili.
Ora è trasferito e irreperibile.
BESSONE ERMANNO, capo della squadra politica di Torino e ROMANO ALDO, commissario
della squadra politica di Torino. Ricevono regolarmente dalle 250 alle 400.000
lire mensili l'uno. Sono sempre presenti a tutte le manifestazioni, gli scioperi,
i picchetti. Conoscono tutti, sono gli organizzatori delle schedature della
questura e sono sempre presenti in tutte le montature poliziesche contro i compagni.
In particolare sono presenti (Romano) nell'arresto dei compagni Sofri, Mochi
e Derossi in seguito ad una manifestazione davanti al Municipio delle famiglie
di via Sansovino (novembre '70). I compagni restano in carcere tre mesi prima
di essere riconosciuti completamente estranei ai fatti. Sono presenti alle Porte
Palatine il 29 maggio '71 (Bessone e Romano). Viene attaccato un corteo operaio,
seguono scontri per cinque ore. Ci sono 56 arresti, 13 compagni stanno ancora
scontando due anni di carcere. L'ordine delle cariche parte dal dottor Bessone
che esegue con tempismo manageriale le richieste del suo superiore avv. Cuttica
della Fiat. (Cuttica il giorno stesso sulle colonne della Stampa del suo dipendente
Ronchey invita alla repressione contro Lotta Continua). Bessone e Romano sono
seri, colti, pacati e signorili. Il secondo però nasconde una doppia
vita: lo si può vedere spesso nei night club torinesi dove mangia, beve
e se la spassa coi soldi della Fiat, in veste di play-boy. Ma anche lì
non deve essere tutto chiaro: una sera del novembre '70 mentre rincasa a tarda
ora, gli sparano sei colpi di pistola. Non lo prendono. L'inchiesta per tentato
omicidio viene prontamente archiviata. Ora è a riposo e non si vede più
in giro.
ASTOLFI ALESSANDRO, colonnello dei carabinieri. Fa parte del SID. Pagato dalla
Fiat una tantum. Alle sue dipendenze il falso operaio dell' OSA Lingotto, Salvatore
Cieri, infiltrato in Lotta Continua con il compito di proporre armi. Citiamo
testualmente la dichiarazione che la spia Salvatore Cieri ha reso davanti alla
pretura di Torino il l2-10-'71 in cui saltano fuori anche altri nomi interessanti.
"...Io da due anni sono dipendente Fiat ed oltre al lavoro come operaio
sono stato 'confidente' della Fiat e della polizia. In particolare il mio compito
era di controllare il movimento politico di 'Lotta Continua'. Il mio compito
era di riferire al cap. Porta, capo sezione dei sorveglianti. Ero pagato a parte
per questo lavoro. Per quanto concerne il mio lavoro con la Fiat ho avuto anche
rapporti col sig. Motta Fabrizio della sede di corso Marconi. Tutte le sere
alle 18,10 ho appuntamento con il sig. Motta davanti alla Banca in Piazza Carducci.
Sono stato aggregato a questo servizio dal Caposquadra Sig. Di Giacomo in relazione
ad un furto che era avvenuto nel mio reparto. Ogni prestazione era retribuita
a parte "a fondo perso". In particolare era mia possibilità
entrare e uscire dalla Fiat quando volevo. Svolgevo analogo lavoro per la polizia
ed in particolare ero in contatto con la squadra politica per cui potevo rivolgermi
loro in ogni momento. Fornivo loro tutto il materiale di "Lotta Continua".
Avevo contatti con il dott. Bellofiore, ma ero pagato da un certo Franco della
squadra politica. Avevamo pattuito L. 30.000 ogni giorno 10 del mese. Non firmavo
ricevute. Poiché non era regolare nei pagamenti ed era già quattro
mesi che fornivo lettere intestate a Lotta Continua e nominativi, gli chiesi
il pagamento. Circa due mesi fa dissi loro che non intendevo continuare perché
non mantenevano le promesse... Per quanto concerne i miei rapporti coi Carabinieri,
preciso che fornivo loro le stesse notizie, passando in Via Giolitti tutti i
giorni. Mi forniscono somme di denaro e materiale (macchina fotografica). A
questo proposito, anche la Fiat mi aveva fornito un registratore Grundig, tascabile,
per eventuali registrazioni sul finanziamento di Lotta Continua. Ho avuto tre
colloqui con il Col. Alessandro Astolfi, col cap. Formato, col maresciallo Savoia
e col maresciallo Conca Mario e la mia collaborazione continua tutt'oggi. Sono
stato nel Meridione, mandato da Lotta Continua visitando le varie sedi e prendendo
nominativi. Tutto ciò d'accordo con i Carabinieri a cui ho consegnato
il materiale. Firmato: Cieri Salvatore"
Questi i nomi con cui noi abbiamo personalmente un conto aperto. La lista dei
questori coinvolti è però più lunga e con tutti costoro
la classe operaia ha un conto aperto da PERRIS a DE NARDIS (trasferito in questi
giorni a Roma, chiamato dal nuovo presidente della Repubblica a dirigere la
polizia del Quirinale).
Quello che dovranno pagare
I conti che intendiamo presentare ad Agnelli sono piuttosto salati.
Operai licenziati. Non disponiamo dei dati complessivi degli operai licenziati
dalla Fiat per rappresaglia in questi ultimi anni. Comunque solo fra i militanti
e gli operai vicini a Lotta Continua, e soltanto nello stabilimento di Mirafiori,
vi sono stati dal 1969 ad oggi 106 operai licenziati per motivi politici. Per
alcuni di essi è in corso la causa per la riassunzione davanti al Pretore
di Torino. In seguito agli scioperi autonomi avvenuti all'interno della Mirafiori
il 29 ottobre 1969 cento operai, cioè tutti i più combattivi che
avevano assunto posizioni dirigenti nel corso della lotta, furono sospesi a
tempo indeterminato. Riassunti dopo un mese di lotte, furono trasferiti in altre
sezioni Fiat, in reparti isolati dove potessero essere innocui. Tutti gli operai
che sono stati arrestati nel corso di manifestazioni politiche, sono stati immediatamente
licenziati dalla Fiat e non sono stati più riassunti anche se messi in
libertà provvisoria o assolti al processo. La motivazione che la Fiat
adduce in questi casi è "assenza ingiustificata" (sic!). Così
è stato per i compagni Raffaele Lotrecchio, Romano Sandri, Vinicio Sussarello
e Italo Giliotti arrestati dopo gli scontri del 29 maggio 1971; così
i compagni Rocco Grieco e Aldo Zinno arrestati nel corso della lotta dei pendolari
della linea Torino-Asti nel luglio 1971.
Processi e montature poliziesche. Non stiamo qui a ricordare quanti compagni
sono finiti in galera a Torino grazie all'azione con giunta Fiat-questura-Sid-magistratura.
Ci basta ricordare le montature più clamorose: Il 15 novembre 1970 i
compagni Sofri, Derossi, Mochi e De Candia furono messi in carcere per una manifestazione
a cui non avevano partecipato. Sono dovuti rimanere tre mesi dentro prima che
il Tribunale riconoscesse la montatura della polizia e li mandasse assolti.
Sul caso del compagno Senatore abbiamo parlato nella scheda sul col. Stettermajer.
Nel giugno 1971 tre operai della Fiat Lingotto sono stati arrestati per dei
picchetti di un anno prima e sono stati liberati solo agli inizi di novembre.
Il processo per direttissima contro i 56 compagni arrestati negli scontri del
29 maggio 1971 ha fatto epoca per la sua conduzione fascista e per la durezza
delle condanne. Tredici di loro sono ancora in carcere per scontare delle pene
fino a due anni. Torino è poi famosa per i reati d'opinione. Il primo
processo che si è concluso, quello per i nostri volantini contro i capi-reparto
della Fiat, è terminato con la condanna di 1 anno e 5 mesi per i compagni
Viale e Baldelli. Ad iniziarlo era stato l'ing. Gioia Direttore Generale della
Fiat, che, con una lettera indirizzata alla Procura di Torino, richiedeva la
nostra incriminazione e specificava i reati da applicarci. Gioia è uno
dei tre dirigenti Fiat che devono finire in galera per corruzione.