Biblioteca Multimediale Marxista
Scritto nel giugno-luglio 1905.
Pubblicato per la prima volta in opuscolo a Ginevra nel luglio 1905.
PREFAZIONE
Nel momento in cui la rivoluzione è in atto è molto difficile
seguire gli avvenimenti, i quali forniscono una quantità estremamente
grande di materiali nuovi che permettono di dare un giudizio sulle parole
d'ordine tattiche dei partiti rivoluzionari. Il presente opuscolo è
stato scritto prima degli avvenimenti di Odessa* - *si allude all'insurrezione
della corazzata Principe Potiomkin [Nota dell'autore all'edizione dei 1907]
-. Abbiamo già osservato nel Proletari (n.9, La rivoluzione istruisce)2
che questi avvenimenti hanno obbligato persino quei socialdemocratici che
avevano creato la teoria dell'insurrezione-processo, e respingevano la propaganda
della parola d'ordine del governo rivoluzionario provvisorio, a passare, o
a cominciare a passare, di fatto dalla parte dei loro oppositori. La rivoluzione
senza dubbio istruisce con una rapidità e profondità che sarebbero
inverosimili in epoche pacifiche di sviluppo politico. E, ciò che è
particolarmente importante, istruisce non solo i dirigenti, ma anche le masse.
Non v'è alcun dubbio che la rivoluzione insegnerà alle masse
operaie russe il socialdemocratismo. La rivoluzione confermerà nella
pratica il programma e la tattica della socialdemocrazia, rivelando la vera
natura delle differenti classi sociali, il carattere borghese della nostra
democrazia e le vere aspirazioni delle masse contadine che sono rivoluzionarie
in senso democratico borghese, ma portano in sé, non l'idea della <
socializzazione >, bensì una nuova lotta di classe fra la borghesia
contadina e il proletariato rurale. Le vecchie illusioni del vecchio populismo,
che trapelano così manifestamente, per esempio, nel progetto di programma
del < partito dei socialisti-rivoluzionari >, sia nella questione dello
sviluppo del capitalismo in Russia, sia nelle questioni del democratismo della
nostra « società » e dell'importanza della vittoria completa
dell'insurrezione contadina, tutte queste illusioni la rivoluzione le farà
implacabilmente e definitivamente svanire. Essa darà alle differenti
classi il primo vero battesimo politico. Avendo mostrato il loro vero volto
non solo nei programmi e nelle parole d'ordine tattiche dei loro ideologi,
ma anche nell'azione politica aperta delle masse, queste classi usciranno
dalla rivoluzione con una fisionomia politica ben definita.
Che la rivoluzione ci istruirà e istruirà le masse popolari,
è cosa certa. Ma il problema che si pone oggi al partito politico che
lotta è quello di stabilire se saremo capaci di insegnare qualcosa
alla rivoluzione. Saremo noi capaci di utilizzare la nostra giusta dottrina
socialdemocratica, il nostro legame con la sola classe rivoluzionaria sino
in fondo, il proletariato, per dare alla rivoluzione un'impronta proletaria,
per portarla a una vittoria veramente decisiva, a fatti e non a parole, per
paralizzare l'instabilità, l'indecisione e il tradimento della borghesia
democratica?
Tutti i nostri sforzi devono tendere a questo scopo. Ma il raggiungimento
di questo scopo dipende, da un lato, dalla nostra giusta valutazione della
situazione politica, dal giusto contenuto delle nostre parole d'ordine tattiche,
e, dall'altro lato, dall'appoggio che la reale forza combattiva delle masse
operaie darà a queste parole d'ordine. Tutto il lavoro quotidiano,
sistematico, corrente, di tutte le organizzazioni e di tutti i gruppi del
nostro partito, il lavoro di propaganda, di agitazione e di organizzazione,
tende a rafforzare e a estendere i legami con le masse. Questo lavoro è
sempre necessario, ma nel momento della rivoluzione meno che in qualsiasi
altro può essere considerato sufficiente. In simile momento la classe
operaia si sente trascinata istintivamente verso l'azione rivoluzionaria aperta,
e noi dobbiamo saper determinare in modo giusto gli obiettivi di questa azione,
per poter quindi farli conoscere e comprendere nel modo più vasto.
Non si deve dimenticare che il pessimismo corrente a proposito del nostro
legame con le masse dissimula oggi, più che altro, idee borghesi circa
la funzione del proletariato nella rivoluzione. Non vi è dubbio che
abbiamo ancora molto lavoro da fare per educare e organizzare la classe operaia,
ma tutto sta ora nel sapere qual è la cosa più importante, dal
punto di vista politico, per questa educazione e per questa organizzazione.
I sindacati e le associazioni legali, oppure l'insurrezione armata, la creazione
di un esercito rivoluzionario e di un governo rivoluzionario? La classe operaia
si educa e si organizza negli uni e durante le altre. E l'una e l'altra cosa
sono evidentemente necessarie. Tuttavia oggi, nella presente rivoluzione,
tutto sta nello stabilire come principalmente la classe operaia verrà
educata e organizzata. Nei primi o durante le seconde?
Avrà la classe operaia la funzione di un ausiliario della borghesia,
potente per la forza del suo assalto contro l'autocrazia, ma impotente politicamente,
oppure avrà la funzione di egemone nella rivoluzione popolare? Da ciò
dipende l'esito della rivoluzione. I rappresentanti coscienti della borghesia
se ne rendono perfettamente conto. Appunto per questo l'Osvobozdenie loda
l'akimovismo, l’« economismo » nella socialdemocrazia, che
mette oggi in primo piano i sindacati e le associazioni legali. Appunto per
questo il signor Struve saluta (Osvobozdenie, n. 72) le tendenze di principio
dell'akimovismo nel neoiskrismo. Per questo si leva contro l'odiata ristrettezza
rivoluzionaria delle decisioni del III Congresso del Partito operaio socialdemocratico
russo.
Le giuste parole d'ordine tattiche della socialdemocrazia hanno ora, per la
direzione delle masse, un'importanza particolarmente grande. Nulla è
più pericoloso, in tempi rivoluzionari, che lo sminuire l'importanza
delle parole d'ordine tattiche strettamente conformi ai principi. L'Iskra,
per esempio, nel suo n. 104 passa di fatto dalla parte dei suoi oppositori
all'interno della socialdemocrazia, ma nello stesso tempo parla con disprezzo
delle parole d'ordine e delle decisioni tattiche che vanno oltre la realtà
esistente, che indicano il cammino su cui procede il movimento, con i suoi
rovesci, i suoi errori, ecc. Al contrario, l'elaborazione di decisioni tattiche
giuste ha una grandissima importanza per un partito che voglia dirigere il
proletariato in uno spirito rigorosamente conforme ai principi del marxismo,
e non semplicemente trascinarsi a rimorchio degli avvenimenti. Nelle risoluzioni
del III Congresso del Partito operaio socialdemocratico russo e della conferenza
degli elementi staccatisi dal partito * - * al III Congresso del Partito socialdemocratico
operaio russo (Londra, maggio 1905) parteciparono solo i bolscevichi. Alla
« conferenza » di Ginevra (tenuta nello stesso periodo), solo
i menscevichi, che spesso vengono chiamati in questo opuscolo « neoiskristi
», perché, continuando a pubblicare , essi avevano dichiarato,
per bocca di Trotski, il quale era allora un loro fautore, che tra la vecchia
e la nuova Iskra vi era un abisso [Nota dell'autore all'edizione del 1907].
- troviamo le espressioni piú esatte, piú meditate, piú
complete dei punti di vista tattici, che non furono enunciati casualmente
da qualche pubblicista, ma approvati da rappresentanti responsabili del proletariato
socialdemocratico. Il nostro partito sopravanza tutti gli altri perché
ha un programma preciso e accettato da tutti i suoi membri. Esso deve dare
agli altri partiti anche l'esempio di un'osservanza rigorosa delle proprie
risoluzioni tattiche, in contrapposto all'opportunismo della borghesia democratica
dell'Osvobozdenie e alla vuota frase rivoluzionaria dei socialisti-rivoluzionari,
i quali soltanto durante la rivoluzione si sono ricordati di presentare un
« progetto » di programma e di chiedersi per la prima volta se
quella che avveniva sotto i loro occhi era proprio una rivoluzione borghese.
Ecco perché riteniamo che il compito piú urgente della socialdemocrazia
rivoluzionaria è quello di studiare con cura le risoluzioni tattiche
del III Congresso del Partito operaio socialdemocratico russo e della conferenza,
di determinare quali deviazioni dai principi del marxismo vi si sono verificate
e di rendersi ben conto dei compiti concreti del proletariato socialdemocratico
nella rivoluzione democratica. Ed è questo l'oggetto a cui è
dedicato il presente opuscolo. Il controllo della nostra tattica dal punto
di vista dei principi del marxismo e degli insegnamenti della rivoluzione
è anche necessario per chiunque voglia effettivamente preparare l'unità
della tattica, come base della futura unificazione totale di tutto il Partito
operaio socialdemocratico russo, e non limitarsi a esortazioni verbali.
N. Lenin Luglio 1905.
1. LA QUESTIONE POLITICA ESSENZIALE
Nel momento rivoluzionario in cui viviamo è all'ordine del giorno
la questione della convocazione di un'Assemblea costituente popolare. Come
risolverla? Le opinioni sono contrastanti. Si delineano tre tendenze politiche.
Il governo zarista ammette che si devono convocare i rappresentanti del popolo,
ma non vuole in nessun caso ammettere che la loro assemblea sia popolare e
costituente. Secondo le informazioni della stampa sui lavori della Commissione
di Bulyghin3, pare che il governo consenta a convocare un'assemblea consultiva,
eletta senza libertà di agitazione e con un sistema elettorale rigorosamente
censitario o strettamente di casta. Il proletariato rivoluzionario, in quanto
è diretto dalla socialdemocrazia, esige che il potere passi completamente
all'Assemblea costituente; e a tal fine cerca di ottenere non soltanto il
suffragio universale e la piena libertà di agitazione, ma anche l'abbattimento
immediato del governo zarista e la sua sostituzione con un governo rivoluzionario
provvisorio. Ultima, la borghesia liberale, esprimendo i suoi desideri per
bocca dei capi del cosiddetto «partito democratico costituzionale»4
, non esige l'abbattimento del governo zarista, non avanza la parola d'ordine
del governo provvisorio e non insiste perché siano date garanzie reali
di elezioni completamente libere e regolari e perché l'assemblea dei
rappresentanti possa diventare veramente popolare e veramente costituente.
In sostanza, la borghesia liberale, che è l'unico appoggio sociale
serio della tendenza degli « osvobozdentsy », cerca di addivenire
a una transazione, la piú pacifica possibile, fra lo zar e il popolo
rivoluzionario, transazione, inoltre, che dovrebbe dare la maggior parte del
potere alla borghesia e la piú piccola al popolo rivoluzionario, al
proletariato e ai contadini.
Questa è, nel momento attuale, la situazione politica. Queste sono
le tre tendenze politiche principali corrispondenti alle tre principali forze
sociali della Russia odierna. Abbiamo già parlato piú di una
volta nel Proletari (nn. 3, 4, 5)5 del modo come gli « osvobozdentsy
» coprono con frasi pseudodemocratiche la loro politica equivoca, o
piuttosto, in termini piú semplici e piú espliciti, la loro
politica proditoria, di tradimento verso la rivoluzione. Vediamo ora come
i socialdemocratici tengono conto dei compiti del momento. Le due risoluzioni
approvate recentemente dal III Congresso del POSDR e dalla « conferenza
» degli elementi staccatisi dal partito sono un'eccellente documentazione
in proposito. E' estremamente importante stabilire quale di queste risoluzioni
tenga meglio conto della situazione politica attuale e determini piú
giustamente la tattica del proletariato rivoluzionario, e ogni socialdemocratico
che voglia adempiere con coscienza i suoi doveri di propagandista, di agitatore
e di organizzatore, deve esaminare questo problema con tutta l'attenzione
dovutagli, lasciando assolutamente da parte le considerazioni che a questo
problema sono estranee.
Per tattica di un partito s'intende il suo atteggiamento politico o il carattere,
l'orientamento e i metodi della sua attività politica. Il congresso
del partito approva delle risoluzioni tattiche per determinare esattamente
quale deve essere l'atteggiamento politico del partito, nel suo insieme, nei
confronti dei nuovi problemi o di fronte a una nuova situazione politica.
Una situazione nuova è stata creata dalla rivoluzione iniziatasi in
Russia, cioè dal contrasto totale, deciso ed aperto, tra l'immensa
maggioranza del popolo e il governo zarista. Il nuovo problema consiste nello
stabilire quali debbono essere i metodi pratici per convocare un'assemblea
veramente popolare e veramente costituente (dal punto di vista teorico, la
questione è stata risolta ufficialmente, da lungo tempo e prima di
tutti gli altri partiti, dalla socialdemocrazia nel suo programma). Se il
popolo è in disaccordo con il governo, e se le masse sono conscie della
necessità di instaurare un ordine nuovo, il partito che si è
posto il compito di rovesciare il governo deve necessariamente porsi la domanda
: con quale governo si dovrà sostituire il vecchio che deve essere
rovesciato? Un nuovo problema sorge : quello del governo rivoluzionario provvisorio.
Per dargli una risposta esauriente, il partito del proletariato cosciente
deve spiegare: I) l'importanza del governo rivoluzionario provvisorio nella
rivoluzione in corso e in tutta la lotta del proletariato in generale; 2)
il suo atteggiamento verso il governo rivoluzionario provvisorio; 3) le condizioni
precise per una partecipazione della socialdemocrazia a questo governo; 4)
le condizioni in cui si dovrà esercitare una pressione dal basso su
questo governo, cioè nel caso in cui la socialdemocrazia non vi sia
rappresentata. Sotto questo rapporto, l'atteggiamento politico del partito
potrà essere conforme ai principi, netto e fermo soltanto dopo che
si saranno chiariti tutti questi problemi.
Esaminiamo dunque come la risoluzione del III Congresso del POSDR risolve
questi problemi. Ecco il testo completo della risoluzione :
«Risoluzione sul governo rivoluzionario o provvisorio:
« Considerando :
« 1) che sia gli interessi immediati del proletariato che gli interessi
della sua lotta per gli scopi finali del socialismo richiedono una libertà
politica quanto piú possibile completa e, per conseguenza, la sostituzione
della forma autocratica di governo con la repubblica democratica;
«2) che in Russia la repubblica democratica può essere unicamente
il risultato di un'insurrezione vittoriosa del popolo, il cui organo sarà
costituito dal governo rivoluzionario provvisorio, il solo capace di assicurare
una completa libertà di agitazione elettorale e di convocare un'Assemblea
costituente, eletta sulla base del suffragio universale, uguale, diretto e
a scrutinio segreto, che esprima veramente la volontà del popolo;
« 3) che questa rivoluzione democratica in Russia, dato il regime sociale
ed economico vigente, non solo non indebolirà, ma, anzi, rafforzerà
il dominio della borghesia, che inevitabilmente tenterà, a un determinato
momento, senza arrestarsi di fronte a nulla, di togliere al proletariato russo
la maggior parte possibile delle conquiste del periodo rivoluzionario,
« il III Congresso del POSDR decide:
« a) è indispensabile diffondere nella classe operaia nozioni
concrete sul corso piú probabile della rivoluzione e sulla necessità
di formare, a un momento dato, un governo rivoluzionario provvisorio dal quale
il proletariato esigerà il soddisfacimento di tutte le rivendicazioni
immediate, politiche ed economiche, del nostro programma (programma minimo);
« b) a seconda del rapporto di forze e di altri fattori, che è
impossibile determinare anticipatamente con precisione, è ammissibile
la partecipazione dei rappresentanti del nostro partito al governo rivoluzionario
provvisorio per una lotta implacabile contro tutti i tentativi controrivoluzionari
e la difesa degli interessi specifici della classe operaia;
« c) le condizioni necessarie per questa partecipazione sono: un severo
controllo del partito sui suoi rappresentanti e la salvaguardia continua dell'indipendenza
della socialdemocrazia, che aspira a una completa rivoluzione socialista e
perciò appunto è irriducibilmente ostile a tutti i partiti borghesi;
« d) indipendentemente dalla possibilità o meno di una partecipazione
della socialdemocrazia a un governo rivoluzionario provvisorio, occorre propagandare
tra gli strati piú vasti del proletariato l'idea della necessità
di una pressione costante da parte del proletariato armato, e diretto dalla
socialdemocrazia, sul governo provvisorio, per salvaguardare, consolidare
ed estendere le conquiste della rivoluzione ».
2. QUALI INDICAZIONI CI DA' LA RISOLUZIONE
DEL III CONGRESSO DEL POSDR SUL GOVERNO
RIVOLUZIONARIO PROVVISORIO?
La risoluzione del III Congresso del POSDR, come ci dice il suo titolo, è
interamente ed esclusivamente dedicata alla questione del governo rivoluzionario
provvisorio. Ciò significa che la partecipazione dei socialdemocratici
al governo rivoluzionario provvisorio è qui inclusa come una parte
del problema. D'altro canto, nella risoluzione si parla esclusivamente del
governo rivoluzionario provvisorio, e di nient'altro; non si parla affatto,
cioè, per esempio, della « conquista del potere » in generale,
ecc. Ha avuto ragione il congresso di scartare quest'ultima questione e altre
simili? Non vi può essere alcun dubbio, poiché la situazione
politica della Russia non pone affatto all'ordine del giorno simili questioni,
mentre il popolo intiero ha posto all'ordine del giorno l'abbattimento dell'autocrazia
e la convocazione dell'Assemblea costituente. I congressi del partito devono
risolvere non i problemi sollevati, a torto o a ragione, da questo o quel
pubblicista, ma quelli che, date le condizioni del momento e il corso oggettivo
dello sviluppo sociale, hanno una seria importanza politica.
Quale importanza ha il governo rivoluzionario provvisorio per la rivoluzione
attuale e per la lotta generale del proletariato? La risoluzione del congresso
lo spiega, indicando, fin dal principio, la necessità di una «
libertà politica quanto piú possibile completa », sia
dal punto di vista degli interessi immediati del proletariato, sia dal punto
di vista degli « scopi finali del socialismo ». Ma una completa
libertà politica presuppone la sostituzione della repubblica democratica
all'autocrazia zarista, come già si è riconosciuto nel programma
del nostro partito. La logica e i nostri principi ci impongono di sottolineare,
nella risoluzione del congresso, la parola d'ordine della repubblica democratica,
poiché il proletariato, come combattente di avanguardia per la democrazia,
rivendica appunto la libertà completa; inoltre è tanto piú
opportuno sottolinearla in quanto, appunto nel momento attuale, i monarchici,
e precisamente il partito cosiddetto « democratico » costituzionale
o « della liberazione », si presentano sotto la bandiera della
« democrazia ». Per istituire una repubblica è assolutamente
necessaria un'assemblea di rappresentanti del popolo, necessariamente eletta,
inoltre, da tutto il popolo (sulla base del suffragio universale uguale, diretto
e a scrutinio segreto) e necessariamente costituente. È appunto ciò
che piú avanti riconosce la risoluzione del congresso. Ma essa non
si limita a ciò. Per istituire un nuovo regime « che esprima
veramente la volontà del popolo » non è sufficiente chiamare
costituente un'assemblea rappresentativa. Occorre che questa assemblea abbia
il potere e la forza di « costituire ». Conscia di questo fatto,
la risoluzione del congresso non si limita alla parola d'ordine formale dell'«
Assemblea costituente », ma vi aggiunge le condizioni concrete senza
le quali a questa assemblea sarà impossibile attuare il proprio compito.
E' assolutamente indispensabile indicare le condizioni necessarie perché
un'Assemblea costituente a parole possa diventare costituente di fatto; la
borghesia liberale, rappresentata dal partito monarchico costituzionale, travisa
infatti scientemente, come abbiamo piú volte osservato, la parola d'ordine
dell'Assemblea costituente popolare, riducendola a una vuota frase.
La risoluzione del congresso dice che soltanto un governo rivoluzionario provvisorio,
il quale inoltre sia l'organo dell'insurrezione popolare vittoriosa, può
assicurare la libertà completa di agitazione elettorale e convocare
un'assemblea che esprima realmente la volontà del popolo. È
giusta questa tesi? Chi pensasse di contestarla dovrebbe affermare che il
governo zarista può non tendere la mano alla reazione, può rimanere
neutrale nelle elezioni e adoperarsi affinché la volontà del
popolo venga veramente espressa. Simili affermazioni sono talmente assurde
che nessuno oserebbe sostenerle apertamente, ma appunto i nostri osvobozdentsy
le fanno passare di frodo sotto l'insegna liberale. L'Assemblea costituente
deve essere convocata da qualcuno, qualcuno deve assicurare la libertà
e la procedura regolare delle elezioni, qualcuno deve investire pienamente
quest'assemblea della forza e del potere, e solo un governo rivoluzionario,
organo dell'insurrezione, può con piena sincerità desiderarlo
e avere la forza di fare tutto il necessario per attuarlo. Il governo zarista
vi si opporrà inevitabilmente. Un governo liberale che abbia concluso
un mercato con lo zar e non si appoggi interamente sull'insurrezione popolare
non può volerlo sinceramente né attuarlo, anche se ne ha il
piú sincero desiderio. Quindi la risoluzione del congresso ci fornisce
l'unica parola d'ordine democratica giusta e pienamente conseguente.
Ma il giudizio sull'importanza del governo rivoluzionario provvisorio sarebbe
incompleto e falso se si perdesse di vista il carattere di classe della rivoluzione
democratica. La risoluzione aggiunge quindi che la rivoluzione rafforzerà
il dominio della borghesia. Ciò è inevitabile nel regime economico
e sociale attuale, cioè capitalistico. Ma il rafforzamento del dominio
della borghesia su un proletariato piú o meno libero politicamente
avrà necessariamente come risultato una strenua lotta fra di essi per
il potere; la borghesia farà tentativi disperati per « togliere
al proletariato le conquiste del periodo rivoluzionario ». Perciò,
lottando per la democrazia, primo fra tutti e alla testa di tutti, il proletariato
non deve dimenticare nemmeno per un istante le nuove contraddizioni che la
democrazia borghese cela in sé, né la nuova lotta.
Nella parte della risoluzione da noi esaminata l'importanza del governo rivoluzionario
provvisorio è stata quindi giudicata secondo il suo giusto valore sia
circa l'atteggiamento di questo governo verso la lotta per la libertà
e la repubblica, sia circa il suo atteggiamento verso l'Assemblea costituente,
sia circa il suo atteggiamento verso la rivoluzione democratica, che sgombra
il terreno per una nuova lotta di classe.
Ci si domanda quindi: quale deve essere in generale la posizione del proletariato
nei confronti del governo rivoluzionario provvisorio? A ciò la risoluzione
del congresso risponde innanzi tutto raccomandando apertamente al partito
di diffondere nella classe operaia la convinzione che il governo rivoluzionario
provvisorio è necessario. La classe operaia deve essere conscia di
questa necessità. Mentre la borghesia « democratica » lascia
nell'ombra la questione dell'abbattimento del governo zarista, noi dobbiamo
metterla in primo piano e insistere sulla necessità di un governo rivoluzionario
provvisorio. E non basta; dobbiamo esporre il programma d'azione di questo
governo, programma conforme alle condizioni oggettive del periodo storico
in cui viviamo e ai compiti della democrazia proletaria. Questo programma
è precisamente tutto il programma minimo del nostro partito, il programma
delle trasformazioni politiche ed economiche immediate, che sono, da un lato,
perfettamente realizzabili sulla base dei rapporti sociali ed economici attuali,
e, dall'altro lato, necessarie per fare un nuovo passo avanti, per realizzare
il socialismo.
La risoluzione spiega cosi con piena chiarezza il carattere del governo rivoluzionario
provvisorio e lo scopo che esso si propone. Per le sue origini e il suo carattere
essenziale, questo governo deve essere l'organo dell'insurrezione popolare.
Formalmente, è destinato ad essere lo strumento della convocazione
di una Assemblea costituente popolare. Per il contenuto della sua attività
deve realizzare il programma minimo della democrazia proletaria, la sola capace
di salvaguardare gli interessi del popolo insorto contro l'autocrazia.
Ci si potrebbe obiettare che il governo provvisorio, in quanto provvisorio,
non può attuare un programma positivo non ancora approvato da tutto
il popolo. Simile obiezione sarebbe unicamente un sofisma da reazionari e
da « autocrazionisti ». Non attuare nessun programma positivo
significherebbe tollerare l'esistenza di ordinamenti feudali di un'autocrazia
putrefatta. Soltanto un governo di traditori della causa della rivoluzione
e non un governo che sia l'organo dell'insurrezione popolare potrebbe tollerare
simili ordinamenti. Sarebbe una derisione proporre di rinunziare all'attuazione
effettiva della libertà di riunione sino a quando questa libertà
non venga riconosciuta dall'Assemblea costituente, sotto il pretesto che quest'ultima
potrebbe anche non riconoscere tale libertà! Eguale derisione sarebbe
pronunziarsi contro l'attuazione immediata del programma minimo da parte del
governo rivoluzionario provvisorio.
Notiamo infine che, assegnando al governo rivoluzionario provvisorio il compito
di attuare il programma minimo, la risoluzione elimina con ciò stesso
le idee, assurde e semianarchiche sull'attuazione immediata del programma
massimo, sulla conquista del potere per la rivoluzione socialista. Il grado
di sviluppo economico della Russia (condizione oggettiva) e il grado di coscienza
e di organizzazione delle grandi masse del proletariato (condizione soggettiva,
legata indissolubilmente a quella oggettiva) rendono impossibile l'emancipazione
immediata e completa della classe operaia. Solo degli uomini ignorantissimi
possono ignorare il carattere borghese della rivoluzione democratica in corso;
solo gli ottimisti più ingenui possono dimenticare che le masse degli
operai conoscono ancora ben poco degli scopi del socialismo e dei mezzi per
realizzarlo. Ma noi siamo tutti convinti che l'emancipazione degli operai
non può essere che opera degli operai stessi; quando le masse non sono
coscienti e organizzate, preparate e educate da una lotta di classe aperta
contro tutta la borghesia non si può nemmeno parlare della rivoluzione
socialista. E alle obiezioni anarchiche, secondo cui noi dilazioneremmo la
rivoluzione socialista, risponderemo: no, non la dilazioniamo, ma facciamo
il primo passo verso di essa col solo mezzo possibile e attraverso il solo
cammino sicuro, e precisamente attraverso il cammino della repubblica democratica.
Chi vuol marciare verso il socialismo per un cammino che non sia la democrazia
politica, arriverà inevitabilmente a conclusioni assurde e reazionarie,
sia dal punto di vista economico che politico. Se degli operai, venuto il
momento, ci domanderanno: perché non dovremmo applicare il programma
massimo? risponderemo loro ricordando che le masse del popolo, animate da
uno spirito democratico, sono ancora estranee al socialismo, che le contraddizioni
di classe sono ancora poco sviluppate e che i proletari sono ancora disorganizzati.
Organizzate dunque centinaia di migliaia di operai in tutta la Russia, fate
sì che milioni di uomini nutrano simpatia per il nostro programma!
Provatevici, non limitandovi a frasi anarchiche, sonore ma vuote, e vedrete
subito che quest'opera di organizzazione e la diffusione di questa educazione
socialista non sono possibili se non si attuano nel modo più completo
le trasformazioni democratiche.
Proseguiamo. Dopo aver spiegato l'importanza del governo rivoluzionario provvisorio
e l'atteggiamento del proletariato verso di esso, si affacciano le seguenti
domande: la nostra partecipazione a questo governo (azione dall'alto) è
ammissibile e in quali condizioni? Quale dev'essere la nostra azione dal basso?
La risoluzione dà risposte precise a queste due domande. Essa dichiara
categoricamente che, in linea di principio, la partecipazione della socialdemocrazia
a un governo rivoluzionario provvisorio (in un periodo di rivoluzione democratica,
in un periodo di lotta per la repubblica) è ammissibile. Con tale dichiarazione
noi ci separiamo definitivamente dagli anarchici, che in linea di principio
rispondono a questa domanda in senso negativo, e dai codini della socialdemocrazia
(del genere di Martynov e dei neoiskristi), che volevano spaventarci con la
prospettiva di una situazione che renderebbe tale partecipazione inevitabile.
Con questa dichiarazione il III Congresso del POSDR ha definitivamente respinto
l'idea della nuova Iskra secondo cui la partecipazione dei socialdemocratici
a un governo rivoluzionario provvisorio sarebbe una variante di millerandismo,
sarebbe, in linea di principio, inammissibile, poiché vorrebbe dire
consacrare il regime borghese, ecc.
Ma l'ammissibilità in linea di principio, naturalmente non risolve
ancora il problema dell'utilità pratica. In quali condizioni questa
nuova forma di lotta, la lotta « dall'alto », riconosciuta dal
congresso del partito, è utile? È ovvio che è impossibile
parlare oggi delle condizioni concrete, come per esempio dei rapporti di forza,
ecc., e la risoluzione rinuncia quindi a determinare in anticipo queste condizioni.
Nessuna persona ragionevole si sobbarcherà al compito di predire qualcosa
sul problema che ci interessa nel momento attuale. Si possono e si devono
definire il carattere e gli scopi della nostra partecipazione. Ed è
ciò che fa la risoluzione, indicando due scopi di tale partecipazione:
1) lotta implacabile contro tutti i tentativi controrivoluzionari e 2) difesa
degli interessi specifici della classe operaia. Nel momento in cui i liberali
borghesi cominciano a parlare insistentemente della psicologia della reazione
(cfr. la edificantissima Lettera aperta del signor Struve nel n. 72 dell'Osvodozdenie),
cercando di intimorire il popolo rivoluzionario e di indurlo a far delle concessioni
all'autocrazia, è particolarmente opportuno che il partito del proletariato
ricordi qual è l'obiettivo della guerra impegnata oggi contro la controrivoluzione.
I grandi problemi della libertà politica e della lotta di classe vengono
risolti in definitiva soltanto con la forza, e dobbiamo adoprarci per preparare,
organizzare questa forza e impiegarla attivamente non soltanto per la difensiva,
ma anche per l'offensiva. Il lungo periodo di reazione politica quasi ininterrotta,
che regna in Europa dai tempi della Comune di Parigi, ci ha troppo assuefatti
all'idea di un'azione solo « dal basso », ci ha troppo abituati
ad avere a che fare con una lotta unicamente difensiva. Noi siamo indubbiamente
entrati oggi in una nuova epoca, si è iniziato un periodo di sconvolgimenti
politici e di rivoluzioni. In un periodo come quello che attraversa la Russia
non ci è permesso di limitarci ai vecchi stampi. Bisogna propagandare
l'idea dell'azione dall'alto, bisogna prepararci alle più energiche
azioni offensive, bisogna studiare le condizioni per queste azioni e le loro
forme. La risoluzione del congresso pone in primo piano due di queste condizioni:
una concerne l'aspetto formale della partecipazione della socialdemocrazia
a un governo rivoluzionario provvisorio (controllo rigoroso del partito sui
suoi rappresentanti), l'altra il carattere stesso di questa partecipazione
(non perdere di vista un solo istante gli scopi della rivoluzione socialista
integrale).
Dopo aver così spiegato da tutti i punti di vista la politica del partito
nell'azione « dall'alto » — questo nuovo mezzo di lotta
sinora quasi sconosciuto — la risoluzione prevede anche il caso in cui
non ci sia dato agire dall'alto : noi abbiamo in tutti i casi il dovere di
agire dal basso sul governo rivoluzionario provvisorio. Per esercitare questa
pressione dal basso il proletariato deve essere armato — giacché
in un periodo rivoluzionario le cose giungono molto presto alla guerra civile
aperta — e diretto dalla socialdemocrazia. L'obiettivo della sua pressione
armata è : « salvaguardia, consolidamento ed estensione delle
conquiste della rivoluzione », delle conquiste cioè, che, dal
punto di vista degli interessi del proletariato, devono consistere nell'attuazione
di tutto il nostro programma minimo.
Con ciò terminiamo il breve esame della risoluzione del III Congresso
sul governo rivoluzionario provvisorio. Come il lettore vede, questa risoluzione
spiega e l'importanza di questo nuovo problema e l'atteggiamento del partito
del proletariato nei suoi confronti e la politica del partito sia nell'interno
che al di fuori del governo rivoluzionario provvisorio.
Esaminiamo ora la risoluzione corrispondente della « conferenza ».
3. CHE COS'E' LA « VITTORIA DECISIVA DELLA RIVOLUZIONE SULLO ZARISMO
»?
La risoluzione della « conferenza » è dedicata alla questione
« della conquista del potere e della partecipazione al governo provvisorio
»*. - * il lettore potrà ristabilire il testo completo di questa
risoluzione servendosi delle citazioni date nelle pagine 400, 403, 407, 431,
e 433 di questo opuscolo6 [Nota dell'autore all'edizione del 1907]. In questo
modo di porre la questione già si cela, come abbiamo rilevato, della
confusione. Da un lato, essa è posta in modo ristretto: si parla soltanto
della nostra partecipazione al governo provvisorio e non dei compiti del partito
in generale circa il governo rivoluzionario provvisorio. Dall'altro lato,
si confondono due questioni del tutto diverse : quella della nostra partecipazione
a una delle fasi della rivoluzione democratica e quella della rivoluzione
socialista. Infatti la « conquista del potere » da parte della
socialdemocrazia è precisamente la rivoluzione socialista, e non può
essere null'altro se si usano queste parole nel loro senso proprio e abituale.
Ma se si interpretano nel senso della conquista del potere non per la rivoluzione
socialista, ma per la rivoluzione democratica, non avrebbe nessun senso parlare
non dico della partecipazione al governo rivoluzionario provvisorio, ma nemmeno
della « conquista del potere » in generale. Si vede che i nostri
« conferenti » non sapevano troppo bene essi stessi di che cosa
dovevano parlare : della rivoluzione democratica o della rivoluzione socialista.
Coloro che hanno seguito le pubblicazioni sull'argomento sanno che fu il compagno
Martynov a inaugurare questa confusione di idee nelle sue famose Due dittature.
I neoiskristi non si ricordano molto volentieri del modo in cui la questione
fu posta (ancora prima del 9 gennaio) in quello scritto, che .è un
modello di codismo; però l'influenza ideologica da esso esercitata
sulla conferenza non può essere messa in dubbio.
Ma lasciamo da parte il titolo della risoluzione. Il suo contenuto ci rivela
errori incomparabilmente piú profondi e gravi. Ecco la prima parte
della risoluzione:
« La vittoria decisiva della rivoluzione sullo zarismo può essere
contrassegnata o dalla costituzione di un governo provvisorio, risultato dell'insurrezione
popolare vittoriosa, o dall'iniziativa rivoluzionaria di questo o quell'organismo
rappresentativo, il quale deciderebbe, sotto la diretta pressione rivoluzionaria
del popolo, di organizzare un'Assemblea costituente popolare ».
Ci si dice dunque che la vittoria decisiva della rivoluzione sullo zarismo
può essere, sia l'insurrezione vittoriosa, sia... la decisione presa
da un organismo rappresentativo di organizzare l'Assemblea costituente! Che
cosa è questo? Come ciò può avvenire? La vittoria decisiva
può essere segnata dalla « decisione » di organizzare l'Assemblea
costituente? E una simile « vittoria » la si mette a fianco della
costituzione di un governo provvisorio, « risultato dell'insurrezione
popolare vittoriosa »!! La conferenza non si è accorta che l'insurrezione
popolare vittoriosa e la costituzione di un governo provvisorio significano
la vittoria effettiva della rivoluzione, mentre la « decisione »
di organizzare l'Assemblea costituente significa la vittoria della rivoluzione
unicamente a parole.
La conferenza dei menscevichi-neoiskristi cade nello stesso errore in cui
cadono sempre i liberali, gli osvobozdentsy. Costoro chiacchierano a vuoto
dell'Assemblea « costituente » e chiudono pudicamente gli occhi
sul fatto che la forza e il potere restano nelle mani dello zar; essi dimenticano
che per « costituire » bisogna averne la forza. La conferenza
ha egualmente dimenticato che da una decisione » di rappresentanti,
chiunque essi siano, all'applicazione di questa decisione il cammino è
lungo. La conferenza ha egualmente dimenticato che, fino a quando il potere
rimane nelle mani dello zar, tutte le decisioni di rappresentanti, chiunque
essi siano, resteranno chiacchiere misere, vuote, quali furono le «
decisioni » del parlamento di Francoforte, ben noto nella storia della
rivoluzione tedesca del 1848. Rappresentante del proletariato rivoluzionario,
Marx, nella sua Nuova gazzetta renana, sferzava con acerbi sarcasmi gli «
osvobozdentsy » liberali di Francoforte appunto perché pronunciavano
belle parole, approvavano ogni sorta di « risoluzioni » democratiche,
« istituivano » ogni sorta di libertà, ma di fatto lasciavano
il potere nelle mani del re, non organizzavano la lotta armata contro le forze
militari di cui quest'ultimo disponeva. E mentre gli osvobozdentsy di Francoforte
chiacchieravano, il re attendeva il momento propizio, consolidava le sue forze
militari, e la controrivoluzione, che si appoggiava su una forza reale, sconfisse
definitivamente i democratici insieme con tutte le loro belle « decisioni
».
La conferenza ha identificato con la vittoria decisiva ciò a cui precisamente
manca la condizione decisiva per la vittoria. Come mai dei socialdemocratici,
i quali accettano il programma repubblicano del nostro partito, sono potuti
cadere in un simile errore? Per comprendere questo fatto strano è necessario
richiamarsi alle. decisioni del III Congresso sulla parte che si era staccata
dal partito *. - * citiamo il testo completo di questa risoluzione: «
Il congresso costata che nel POSDR, dal tempo della sua lotta contro l'economismo,
si sono conservate delle sfumature apparentate, in diversa misura e sotto
diversi aspetti, con l'economismo e caratterizzate da una tendenza comune
a sminuire la funzione dell'elemento cosciente nella lotta proletaria e a
subordinarlo all'elemento spontaneo. Per ciò che concerne l'organizzazione,
i rappresentanti di queste sfumature formulano teoricamente il principio dell'organizzazione-processo,
che non corrisponde a un'azione metodica del partito; in pratica essi applicano,
in una molteplicità di casi, il sistema dell'infrazione alla disciplina
di partito; in altri casi, rivolti agli elementi meno coscienti del partito,
fanno propaganda per una larga applicazione del principio elettivo, senza
tener conto delle condizioni oggettive della realtà russa, e si sforzano
di scalzare le uniche basi di collegamento di partito attualmente possibili.
Nelle questioni tattiche manifestano il desiderio di ridurre l'ampiezza dell'attività
del partito, si pronunziano contro una tattica rigorosamente indipendente
nei riguardi dei partiti liberali, borghesi, contro la possibilità
e l'utilità per il nostro partito di assumere la funzione di organizzatore
nell'insurrezione popolare, contro la partecipazione del partito al governo
rivoluzionario democratico provvisorio, quali che siano le condizioni.
« Il congresso invita tutti i membri dei partito a continuare ovunque
un'energica lotta ideologica contro queste deviazioni parziali dai principi
della socialdemocrazia rivoluzionaria; ma nello stesso tempo considera ammissibile
che persone le quali condividono in misura piú o meno grande queste
opinioni facciano parte di organizzazioni del partito, a condizione che riconoscano
i congressi e lo statuto del partito e si sottomettano senza alcuna riserva
alla disciplina del partito» [Nota dell'autore all'edizione del 1907].
Questa risoluzione costata la sopravvivenza, nel nostro partito, di diverse
tendenze « apparentate con l'economismo ». I nostri « conferenti
» (non per nulla infatti sono ideologicamente diretti da Martynov) dissertano
sulla rivoluzione con la stessa mentalità con cui gli economisti dissertavano
sulla lotta politica o sulla giornata lavorativa di otto ore. Gli economisti
facevano immediatamente funzionare la « teoria degli stadi »:
1) lotta per i diritti, 2) agitazione politica, 3) lotta politica; oppure
1) giornata lavorativa di dieci ore, 2) di nove ore, 3) di otto ore. I risultati
di questa « tattica-processo » sono a tutti sufficientemente noti.
Ora ci si propone di dividere per benino in anticipo anche la rivoluzione
in stadi: 1) lo zar convoca un organismo rappresentativo; 2) questo organismo
rappresentativo, sotto la pressione del « popolo », « decide
» di organizzare l'Assemblea costituente; 3) ... sul terzo stadio i
menscevichi non si sono ancora messi d'accordo; hanno dimenticato che la pressione
rivoluzionaria del popolo urta contro la pressione controrivoluzionaria dello
zarismo e che perciò o la « decisione » resta inattuata
oppure, ancora una volta, è la vittoria o la disfatta dell'insurrezione
popolare che decide le cose. La risoluzione della conferenza assomiglia, come
si rassomigliano due gocce d'acqua, al seguente ragionamento degli economisti:
la vittoria decisiva degli operai può essere segnata sia dalla realizzazione
rivoluzionaria della giornata lavorativa di otto ore, sia dal dono della giornata
lavorativa di dieci ore e dalla « decisione » di passare alla
giornata lavorativa di nove ore... È esattamente la stessa cosa.
Forse ci si farà osservare che gli autori della risoluzione non intendevano
identificare la vittoria dell'insurrezione e la « decisione »
di un organismo rappresentativo convocato dallo zar; che essi volevano unicamente
preconizzare la tattica del partito in questo o in quel caso. Risponderemo:
1) il testo della risoluzione chiama, esplicitamente e in modo inequivoco,
la decisione di un organismo rappresentativo « vittoria decisiva della
rivoluzione sullo zarismo ». Forse ciò è dovuto a una
redazione trascurata, forse si può correggerla basandosi sui verbali,
ma sino a quando non è corretta il senso di questa redazione può
essere uno solo, e questo senso è per intiero nello spirito degli osvobozdentsy.
2) Il corso delle idee, eguale a quello degli « osvobozdentsy »,
in cui sono caduti gli autori della risoluzione, appare con ancor maggiore
rilievo negli altri scritti dei neoiskristi. Così l'organo del comitato
di Tiflis, Il socialdemocratico (pubblicato in georgiano; è stato incensato
nel n. 100 dell'Iskra), in un articolo intitolato Lo « zemsky sobor
» e la nostra tattica, giunge sino a dire che la « tattica »
che « fa dello zemski sobor [sulla convocazione del quale, aggiungiamo
noi, non sappiàmo ancora nulla di preciso!] il centro della nostra
azione, ci è molto piú vantaggiosa» della « tattica
» dell'insurrezione armata e della costituzione di un governo rivoluzionario
provvisorio. Ritorneremo piú avanti su questo articolo. 3) Non si può
avere nulla contro una discussione preliminare della tattica che il partito
dovrà seguire sia nel caso che la rivoluzione vinca, sia nel caso che
sia sconfitta, sia nel caso che l'insurrezione divampi, sia nel caso che l'insurrezione
non riesca a divampare e a diventare una forza potente. E’ possibile
che il governo zarista riesca a convocare un'assemblea rappresentativa allo
scopo di concludere una transazione con la borghesia liberale. La risoluzione
del III Congresso, prevedendolo, parla apertamente di « politica ipocrita
», di « pseudodemocratismo », di « forme caricaturali
di rappresentanza popolare, del genere del cosiddetto zemski sobor »
*. - * ecco il testo di questa risoluzione sull'atteggiamento del partito
verso la tattica del governo alla vigilia della rivoluzione:
« Considerando che il governo per mantenersi in vita nel periodo rivoluzionario
che attraversiamo, pur aggravando le misure abituali di repressione volte
principalmente contro gli elementi coscienti del proletariato, al tempo stesso
1) cerca, mediante concessioni e promesse di riforme, di corrompere politicamente
la classe operaia e di allontanarla così dalla lotta rivoluzionaria,
2) dà, con lo stesso scopo, alla sua politica ipocrita di concessioni
forme pseudodemocratiche, cominciando dall'invito fatto agli operai di eleggerei
loro rappresentanti alle commissioni e alle conferenze, per finire con la
creazione di forme caricaturali di rappresentanza popolare del genere del
cosiddetto zemski sobor, 3) organizza i cosiddetti centoneri e aizza contro
là rivoluzione tutti, in generale, gli elementi reazionari, incoscienti
o accecati dall'odio di razza o di religione che vi sono nel popolo,
« il III Congresso del POSDR decide di invitare tutte le organizzazioni
del partito:
« a) sottolineare nella propaganda e nell'agitazione, da un lato, il
carattere forzato delle concessioni del governo e, dall'altro lato, l'impossibilità
assoluta per l'autocrazia di concedere riforme che possano soddisfare il proletariato,
denunciando al tempo stesso lo scopo che il governo si propone con le concessioni;
« b) a utilizzare la campagna elettorale per spiegare agli operai il
vero significato di queste misure del governo e a dimostrare la necessità,
per il proletariato. di convocare con mezzi rivoluzionari un'Assemblea costituente
eletta a suffragio universale, uguale, diretto e a scrutinio segreto;
« c) a organizzare il proletariato per l'applicazione immediata, con
mezzi rivoluzionari, della giornata lavorativa di otto ore e di altre rivendicazioni
urgenti della classe operaia;
« d) a organizzare la resistenza armata contro le azioni dei centoneri
e in generale di tutti gli elementi reazionari comandati dal governo »
[Nota dell'autore all'edizione del 1907]. Ma è un fatto che tutte queste
cose non sono state dette nella risoluzione sul governo rivoluzionario provvisorio
perché non hanno nulla a che vedere con esso. In questo caso si respinge
in secondo piano il problema dell'insurrezione e della costituzione di un
governo rivoluzionario provvisorio, lo si modifica, ecc. Ma non si tratta
oggi del fatto che sono possibili combinazioni di ogni genere, che sono possibili
la vittoria e la disfatta, cammini diritti e tortuosi. Si tratta del fatto
che per un socialdemocratico è inammissibile portare la confusione
nell'idea che gli operai si fanno sul cammino effettivamente rivoluzionario,
è inammissibile chiamare, alla maniera degli osvobozdentsy, vittoria
decisiva ciò a cui manca la condizione principale per la vittoria.
Forse non si otterrà di colpo nemmeno la giornata lavorativa di otto
ore; forse, per giungervi, dovremo seguire un lungo cammino tortuoso; ma che
direste di colui che chiamasse vittoria degli operai uno stato di impotenza,
di debolezza, che rendesse il proletariato incapace di opporsi agli indugi,
alle dilazioni, ai mercanteggiamenti, al tradimento e alla reazione? E' possibile
che la rivoluzione russa finisca con un « aborto costituzionale »,
come disse una volta il Vperiod * -* giornale che si stampava a Ginevra; iniziò
le sue pubblicazioni nel gennaio 1905, come organo della frazione bolscevica
del partito. Dal gennaio al maggio ne uscirono 18 numeri. Dal mese di maggio
il Proletari, organo centrale del POSDR, sostituí il Vperiod in virtù
di una decisione del III Congresso del POSDR. A questo congresso, che si tenne
nel mese di maggio a Londra, i menscevichi non si fecero vedere avendo organizzato
la loro « conferenza » a Ginevra [Nota dell'autore all'edizione
del 1907 ]., ma ciò potrebbe forse giustificare il socialdemocratico
che, alla vigilia della lotta decisiva, chiamasse questo aborto una «
vittoria decisiva sullo zarismo »? E' anche possibile che, nel peggiore
dei casi, non soltanto non conquisteremo la repubblica, ma la Costituzione
sarà essa stessa una Costituzione fantasma, una Costituzione «
alla Scipov »7 ma per un socialdemocratico sarebbe forse perdonabile
attenuare la nostra parola d'ordine sulla repubblica?
Certo i neoiskristi non vi sono ancora giunti. Ma sino a qual punto lo spirito
rivoluzionario li abbia abbandonati, sino a qual punto una sterile casistica
dissimuli loro gli attuali compiti di lotta, risalta con particolare evidenza
dal fatto che nella loro risoluzione essi hanno dimenticato precisamente di
parlare della repubblica! Incredibile, ma vero. Le diverse risoluzioni della
conferenza confermano, ripetono, commentano, studiano nei loro particolari
tutte le parole d'ordine della socialdemocrazia; non vi si dimentica nemmeno
l'elezione, da parte degli operai, degli starosta e dei delegati negli stabilimenti;
ma nella risoluzione sul governo rivoluzionario provvisorio non si è
trovato il modo di ricordare la repubblica. Parlare della « vittoria
> dell'insurrezione popolare, della costituzione di un governo provvisorio,
senza dire che questi « provvedimenti » e atti hanno un rapporto
con la conquista della repubblica, significa scrivere delle risoluzioni non
per dirigere la lotta del proletariato, ma per marciare zoppicando alla coda
del movimento proletario.
Concludiamo. La prima parte della risoluzione, in primo luogo, non ha spiegato
affatto l'importanza del governo rivoluzionario provvisorio dal punto di vista
della lotta per la repubblica e della garanzia della convocazione di un'Assemblea
realmente costituente e rappresentante realmente tutto il popolo; in secondo
luogo, ha seminato una vera confusione nella coscienza democratica del proletariato,
identificando la vittoria decisiva della rivoluzione sullo zarismo con uno
stato di cose in cui manca appunto la condizione principale per una vera vittoria.
4. LA LIQUIDAZIONE DEL REGIME MONARCHICO
E LA REPUBBLICA
Passiamo alla parte seguente della risoluzione:
« ... Nell'uno e nell'altro caso questa vittoria sarà l'inizio
di una nuova fase dell'epoca rivoluzionaria.
« Il compito che le condizioni obiettive dello sviluppo sociale assegnano
spontaneamente a questa nuova fase è quello di liquidare definitivamente
— nel processo della lotta che gli elementi della società borghese
politicamente liberata conducono gli uni contro gli altri, per i loro interessi
sociali e per il possesso diretto del potere — il regime delle caste
e della monarchia.
« Il governo provvisorio che si impegnasse a realizzare gli obiettivi
di questa rivoluzione, borghese per il suo carattere storico, dovrebbe, quindi,
regolando la lotta reciproca tra le classi antagoniste della nazione che si
sta liberando, non soltanto fare avanzare il processo rivoluzionario, ma anche
combattere quei suoi fattori che minacciano le basi del regime capitalistico
».
Soffermiamoci su questo brano che forma una parte a sé della risoluzione.
L'idea principale contenuta nei ragionamenti da noi citati coincide con quella
esposta nel punto 3 della risoluzione del congresso. Ma, confrontando i passaggi
corrispondenti delle due risoluzioni, salta immediatamente agli occhi la differenza
radicale che esiste tra di esse. La risoluzione del congresso, la quale definisce
in due parole la base economica e sociale della rivoluzione, trasferisce tutta
l'attenzione sulla lotta nettamente determinata delle classi per conquiste
determinate, e mette in primo piano gli obiettivi della lotta del proletariato.
La risoluzione della conferenza, descrivendo in modo prolisso, nebuloso e
confuso la base economica e sociale della rivoluzione, parla in termini molto
vaghi della lotta per conquiste determinate e lascia assolutamente nell'ombra
gli obiettivi della lotta del proletariato. La risoluzione della conferenza
parla della liquidazione del vecchio regime nel processo della lotta che elementi
della società conducono gli uni contro gli altri. La risoluzione del
congresso dice che noi, partito del proletariato, dobbiamo effettuare questa
liquidazione; che si può realmente liquidare il vecchio regime soltanto
istituendo una repubblica democratica; che questa repubblica noi la dobbiamo
conquistare; che ci batteremo per essa e per una libertà completa non
soltanto contro l'autocrazia, ma anche contro la borghesia, quando essa tenterà
(e lo farà certamente) di strapparci le nostre conquiste. La risoluzione
del congresso chiama alla lotta una classe determinata, assegnandole un obiettivo
immediato nettamente definito. La risoluzione della conferenza ragiona sulla
lotta che le diverse forze conducono le une contro le altre. Una delle risoluzioni
esprime la psicologia della lotta attiva, l'altra quella della contemplazione
passiva; l'una è da cima a fondo un appello all'attività viva,
l'altra, una casistica priva di vita. Ambedue dichiarano che la rivoluzione
in corso non è per noi che una prima tappa, che sarà seguita
da una seconda; ma da ciò l'una deduce che bisogna quindi percorrere
questa prima tappa piú rapidamente e liquidarla quindi piú rapidamente,
conquistare la repubblica, schiacciare implacabilmente la controrivoluzione
e preparare il terreno per la seconda tappa. L'altra si profonde, per così
dire, in descrizioni prolisse di questa prima tappa e (scusatemi l'espressione
volgare) spreme faticosamente le idee in proposito. La risoluzione del congresso
prende come preambolo o primo postulato le vecchie ma eternamente nuove idee
del marxismo (sul carattere borghese della rivoluzione democratica) per dedurne
i compiti progressivi della classe di avanguardia, che combatte al tempo stesso
per la rivoluzione democratica e per quella socialista. La risoluzione della
conferenza non va piú in là del semplice preambolo, rimasticandolo
e rimuginandoci sopra.
Questa è appunto la differenza che divide da lungo tempo le due ali
del marxismo russo : l'ala dei ragionatori a vuoto e quella combattiva nei
tempi del marxismo legale, l'ala economica e quella politica nell'epoca in
cui il movimento di massa era ai suoi albori. Dal giusto postulato del marxismo
sulle profonde radici economiche della lotta di classe in generale e della
lotta politica in particolare, gli economisti deducevano questa originale
conclusione: che era necessario voltare le spalle alla lotta politica e trattenerne
lo sviluppo, restringerne l'ampiezza, diminuirne i compiti. I politici, al
contrario, deducevano dagli stessi postulati tutt'altra conclusione, e precisamente:
quanto piú la nostra lotta ha oggi profonde radici, in modo tanto piú
ampio, piú audace, piú deciso e offensivo dobbiamo noi condurla
La stessa discussione sta oggi di fronte a noi, in circostanze del tutto nuove
e sotto un'altra forma. Dalle premesse che la rivoluzione democratica non
è ancora affatto una rivoluzione socialista, che essa non « interessa
» affatto soltanto i nullatenenti, che le sue radici affondano nelle
necessità e nei bisogni ineluttabili di tutta la società borghese,
deduciamo la conclusione che la classe di avanguardia deve porre i suoi compiti
democratici con tanta maggiore audacia e tanto piú nettamente deve
enunciarli sino in fondo, deve avanzare la parola d'ordine diretta della repubblica,
propagandare l'idea della necessità di un governo rivoluzionario provvisorio
e della necessità di schiacciare implacabilmente la controrivoluzione.
I nostri oppositori neoiskristi deducono da queste stesse premesse che non
è necessario enunciare sino in fondo le conclusioni democratiche, che
si può fare a meno di avanzare, tra le parole d'ordine pratiche, quella
della repubblica, che è ammesso non propagandare la necessità
di un governo rivoluzionario provvisorio, che la decisione di convocare l'Assemblea
costituente può essere considerata anch'essa come una vittoria decisiva,
che il compito di lottare contro la controrivoluzione può non essere
formulato come un compito attivo, ma essere affogato in un richiamo nebuloso
(e formulato in modo inesatto, come vedremo ben presto) al « processo
della lotta reciproca ». Questo non è un linguaggio di uomini
politici, è il linguaggio di topi di biblioteca!
Con quanta maggior attenzione esaminerete le singole formulazioni della risoluzione
della nuova Iskra, con tanta maggior evidenza vi appariranno le particolarità
principali da noi indicate. Ci si parla, ad esempio, del « processo
della lotta che gli elementi della società borghese politicamente liberata
conducono gli uni contro gli altri. Ricordandoci l'argomento della risoluzione
(il governo rivoluzionario provvisorio), ci domandiamo pieni di meraviglia:
se è necessario parlare del processo della lotta reciproca, come si
può non parlare degli elementi che rendono schiava politicamente la
società borghese? Credono forse i « conferenti » che, avendo
essi presupposto la vittoria della rivoluzione, siffatti elementi siano già
spariti? Una simile idea sarebbe, in generale, un assurdo, e, in particolare,
una grandissima ingenuità politica, una miopia politica. Dopo la vittoria
della rivoluzione sulla controrivoluzione non sparirà, ma al contrario
comincerà inevitabilmente una nuova lotta ancora piú aspra.
Dedicando la nostra risoluzione all'analisi dei compiti che la vittoria della
rivoluzione ci assegnerà, abbiamo il dovere di prestare grande attenzione
al compito di respingere gli assalti controrivoluzionari (e l'abbiamo fatto
nella risoluzione del congresso) e non di affogare questi compiti politici,
immediati, urgenti, attuali, di un partito combattivo, in considerazioni generali
su ciò che avverrà dopo l'epoca rivoluzionaria in cui viviamo
e ciò che avverrà quando già esisterà una'«
società politicamente liberata ». Proprio come gli economisti
si richiamavano alle verità generali della subordinazione della politica
all'economia per nascondere la loro incomprensione dei compiti politici del
momento, così i neoiskristi invocano le verità generali della
lotta intestina in una società politicamente liberata per nascondere
la loro incomprensione dei compiti rivoluzionari immediati che la liberazione
politica di questa società ci assegna.
Prendete l'espressione: « liquidare definitivamente il regime delle
caste e della monarchia ». Liquidare definitivamente il regime monarchico
vuol dire in russo istituire la repubblica democratica. Ma questa espressione
è troppo semplice e troppo chiara per il nostro eccellente Martynov
e per i suoi ammiratori. Essi vogliono assolutamente « approfondire
», dirla in modo piú « dotto ». Da un lato, ne risulta
la pretesa ridicola di voler ponzare pensieri profondi. Dall'altro lato, invece
di una parola d'ordine si ha tutta una descrizione, invece di un buon appello
che inciti ad andare avanti si ha un malinconico colpo d'occhio retrospettivo.
Si direbbe che davanti a noi non vi siano uomini vivi che vogliono lottare
immediatamente, subito, per la repubblica, ma delle mummie fossilizzate, le
quali, sub specie aeternitatis, analizzano la questione dal punto di vista
del plusquam perfectum.
Proseguiamo: « ... il governo provvisorio... che si impegnasse a realizzare
i compiti di questa... rivoluzione borghese... ». E' qui che si vede
subito come i nostri « conferenti » si siano lasciati sfuggire
la questione concreta sorta davanti ai dirigenti politici del proletariato.
Di fronte alla questione dei governi successivi che adempiranno i compiti
della rivoluzione borghese in generale, la questione concreta del governo
rivoluzionario provvisorio è sparita dal loro campo visuale. Se volete
studiare la questione dal punto di vista « storico », l'esempio
di un qualsiasi paese europeo vi mostrerà che appunto una serie di
governi niente affatto « provvisori » realizzarono i compiti storici
della rivoluzione borghese; che persino dei governi che avevano riportato
la vittoria sulla rivoluzione furono tuttavia costretti a realizzare i compiti
storici della rivoluzione sconfitta. Ma quello che si chiama « governo
rivoluzionario provvisorio » non è affatto ciò di cui
parlate: così si chiama il governo dell'epoca rivoluzionaria che sostituisce
immediatamente il governo abbattuto e si appoggia sull'insurrezione del popolo,
e non su qualsiasi organismo rappresentativo emanante dal popolo. Il governo
rivoluzionario provvisorio è l'organo della lotta per la vittoria immediata
della rivoluzione, per la repressione immediata dei tentativi controrivoluzionari,
e niente affatto un organo destinato a realizzare i compiti storici della
rivoluzione borghese in generale. Lasciamo, signori, ai futuri storici l'incarico
di determinare in una futura Russkaia Starinà quali compiti della rivoluzione
borghese avremo assolto noi o questo o quel governo; non sarà troppo
tardi neanche fra trent'anni. Noi invece dobbiamo dare oggi delle parole d'ordine,
indicare praticamente quale lotta si deve condurre per la repubblica e per
far partecipare nel modo piú energico il proletariato a questa lotta.
Per le stesse ragioni anche gli ultimi passaggi della parte citata della risoluzione
non sono soddisfacenti. E' molto infelice, o per lo meno maldestra, l'espressione
affermante che il governo provvisorio dovrebbe « regolare » la
lotta reciproca tra le classi antagoniste; non si addice a dei marxisti servirsi
di una siffatta formula liberale nello stile dell'Osvobozdenie, la quale offre
il destro di pensare che siano ammissibili dei governi i quali « regolino
» la lotta di classe, invece di esserne lo strumento... Il governo dovrebbe
« non soltanto fare avanzare il processo rivoluzionario, ma anche combattere
quei suoi fattori che minacciano le basi del regime capitalistico ».
Uno di questi « fattori » è precisamente il proletariato,
in nome del quale parla la risoluzione! Invece di dire come il proletariato
deve in questo momento « fare avanzare il processo rivoluzionario »
(al di là dei limiti che gli vorrebbe assegnare la borghesia costituzionalista),
invece di consigliare di prepararsi con un determinato metodo alla lotta contro
la borghesia quando quest'ultima si rivolgerà contro le conquiste della
rivoluzione, invece di ciò ci si offre una descrizione generale del
processo, senza dir nulla degli obiettivi concreti della nostra attività.
Il modo in cui i neoiskristi espongono le loro idee ci fa ricordare l'apprezzamento
che Marx dava (nelle sue celebri «tesi» su Feuerbach) del vecchio
materialismo estraneo alla dialettica. I filosofi, diceva Marx, hanno solo
interpretato il mondo in modi diversi, si tratta però di mutarlo8.
I neoiskristi possono anch'essi descrivere e spiegare discretamente il processo
della lotta che si svolge davanti ai loro occhi, ma sono assolutamente incapaci
di enunciare una parola d'ordine giusta per questa lotta. Marciando con zelo,
ma dirigendo male, ignorando la funzione attiva, di dirigenti e di guida,
che possono e debbono avere nella storia i partiti che hanno capito le condizioni
materiali della rivoluzione e si sono messi alla testa delle classi progressive,
essi sviliscono la concezione materialistica della storia.
5. COME SI DEVE « FAR AVANZARE LA RIVOLUZIONE » ?
Citiamo il brano successivo della risoluzione:
« In queste condizioni, la socialdemocrazia deve cercare di mantenere
per tutta la durata della rivoluzione una posizione che meglio le assicuri
la possibilità di far avanzare la rivoluzione, che non le leghi le
mani nella lotta contro la politica inconseguente e interessata dei partiti
borghesi, e la salvaguardi dal pericolo di dissolversi nella democrazia borghese.
«La socialdemocrazia non deve quindi porsi il compito di impadronirsi
del potere o di condividerlo in un governo provvisorio, ma deve rimanere il
partito di estrema opposizione rivoluzionaria ».
Il consiglio di prendere una posizione che meglio assicuri la possibilità
di far avanzare la rivoluzione ci piace immensamente. Una cosa sola vorremmo:
che questo consiglio fosse seguito da un'indicazione precisa sul modo come
la socialdemocrazia, proprio in questo momento, nella situazione politica
attuale, in questa epoca di dicerie, di ipotesi, di conversazioni e di progetti
di convocazione dei rappresentanti popolari, deve far avanzare la rivoluzione.
Può nel momento presente far avanzare la rivoluzione colui che non
comprende il pericolo della teoria degli osvobozdentsy sull'« accordo»
del popolo con lo zar? Colui che chiama vittoria la sola « decisione
» di convocare l'Assemblea costituente, colui che non si propone il
compito di propagandare attivamente l'idea della necessità di un governo
rivoluzionario provvisorio, colui che lascia nell'ombra la parola d'ordine
della repubblica democratica? In realtà questi uomini fanno marciare
indietro la rivoluzione perché sono rimasti, nel campo della politica
pratica, al livello della posizione degli osvobozdentsy. A che vale riconoscere
un programma il quale esige che si sostituisca all'autocrazia una repubblica,
quando in una risoluzione tattica che definisce i compiti attuali e immediati
del partito nel momento della rivoluzione manca la parola d'ordine della lotta
per la repubblica? La posizione degli osvobozdentsy , la posizione della borghesia
costituzionalista, non è forse attualmente caratterizzata appunto dal
fatto che viene considerata come una vittoria decisiva la decisione di convocare
un'Assemblea costituente popolare, ma vengono prudentemente passati sotto
silenzio il governo rivoluzionario provvisorio e la repubblica? Per fare avanzare
la rivoluzione, per condurla cioè al di là dei limiti che la
borghesia monarchica le ha assegnato, bisogna enunciare attivamente, sottolineare
e mettere in primo piano delle parole d'ordine che escludano l'« inconseguenza
» della democrazia borghese. Tali parole d'ordine, nel momento attuale,
si riducono sostanzialmente a due: 1) governo rivoluzionario provvisorio e
2) repubblica. Infatti la parola d'ordine dell'Assemblea costituente popolare
è stata fatta sua dalla borghesia monarchica (cfr. il programma dell'«
Unione per la liberazione »), e ripresa precisamente per escamoter la
rivoluzione, impedirne la vittoria completa, perché la grande borghesia
possa concludere con lo zarismo una transazione da mercanti. E noi vediamo
che di queste due parole d'ordine, le uniche capaci di far avanzare la rivoluzione,
la conferenza dimentica completamente quella della repubblica e considera
quella del governo rivoluzionario provvisorio identica alla parola d'ordine
dell'Assemblea costituente popolare formulata dagli osvobozdentsy, chiamando
l'una e l'altra « vittoria decisiva della rivoluzione»!
Sì, è questo il fatto incontestabile, di cui, ne siamo certi,
si servirà come pietra miliare il futuro storico della socialdemocrazia
russa. Una conferenza dei socialdemocratici nel maggio 1905 approva una risoluzione
che contiene belle parole sulla necessità di far avanzare la rivoluzione
democratica, ma che di fatto la fa marciare all'indietro e non va, in realtà,
al di là delle parole d'ordine democratiche della borghesia monarchica.
I neoiskristi ci muovono volentieri l'accusa di ignorare che il proletariato
corre il pericolo di dissolversi nella democrazia borghese. Vorremmo vedere
chi avrebbe il coraggio di giustificare questa accusa basandosi sul testo
delle risoluzioni approvate dal III Congresso del POSDR! Risponderemo ai nostri
oppositori: svolgendo la sua attività nel seno della società
borghese, la socialdemocrazia non può partecipare alla vita politica
senza marciare, in questo o quel caso particolare, a fianco della democrazia
borghese. Ma la differenza fra noi e voi è, in questo caso, che noi
marciamo a fianco della borghesia rivoluzionaria e repubblicana senza fonderci
con essa, mentre voi marciate a fianco della borghesia liberale e monarchica,
senza fondervi, nemmeno voi, con essa. Ecco come stanno le cose.
Le vostre parole d'ordine tattiche, lanciate a nome della conferenza, coincidono
con quelle del partito « democratico costituzionale », cioè
con quelle del partito della borghesia monarchica, e voi, inoltre, non avete
notato, non vi siete resi conto di questa coincidenza; il che fa si che vi
troviate in realtà a rimorchio degli osvobozdentsy.
Le nostre parole d'ordine tattiche, lanciate a nome del III Congresso del
POSDR, coincidono con quelle della borghesia rivoluzionaria democratica e
repubblicana. Questa borghesia e questa piccola borghesia non si sono ancora
organizzate in Russia in un grande partito popolare*. - * i « socialisti-rivoluzionari
» sono piuttosto un gruppo di intellettuali terroristi che non l'embrione
di un simile partito, benché il significato obiettivo dell'attività
di questo gruppo si riduca appunto alla realizzazione dei compiti della borghesia
rivoluzionaria e repubblicana. Ma solo chi non comprende nulla di ciò
che avviene oggi in Russia può dubitare che già esistano i germi
di questo partito. È nostra intenzione dirigere (nel caso che la grande
rivoluzione russa si svolga con successo) non soltanto il proletariato organizzato
dal partito socialdemocratico, ma anche questa piccola borghesia capace di
marciare al nostro fianco.
Con la sua risoluzione la conferenza cade inconsciamente al livello della
borghesia liberale e monarchica. Con la sua risoluzione il congresso del partito
eleva scientemente al suo livello gli elementi della democrazia rivoluzionaria
atti alla lotta e non alla funzione di sensale.
Questi elementi sono soprattutto numerosi fra i contadini. Senza commettere
nessun grave errore possiamo, procedendo alla suddivisione dei gruppi sociali
importanti sulla base delle loro tendenze politiche, identificare la democrazia
rivoluzionaria e repubblicana con la massa contadina, naturalmente nello stesso
senso, con le stesse riserve e alle stesse condizioni sottintese con cui si
può identificare la classe operaia con la socialdemocrazia. In altre
parole, possiamo formulare le nostre conclusioni nei termini seguenti : con
le sue parole d'ordine politiche, che coinvolgono gli interessi di tutta la
nazione*- *non parliamo delle parole d'ordine particolari per i contadini,
alle quali sono dedicate apposite risoluzioni. -, la conferenza cade inconsciamente,
nel momento della rivoluzione, al livello della massa dei grandi proprietari
fondiari. Con le sue parole d'ordine politiche, che coinvolgono gli interessi
di tutta la nazione, il congresso del partito eleva la massa dei contadini
a un livello rivoluzionario. A chi ci accuserà, per queste nostre conclusioni,
di avere una predilezione per i paradossi, lanceremo la sfida: si cerchi dunque
di confutare questa tesi: se non avremo la forza di portare a termine la rivoluzione,
se essa finirà, come desiderano gli osvobozdentsy, con una «
vittoria decisiva » unicamente sotto la forma di una assemblea rappresentativa
convocata dallo zar, e che potrebbe essere chiamata costituente soltanto per
derisione, allora sarà una rivoluzione nella quale l'elemento grandi
proprietari fondiari e grande borghesia avrà il predominio. Al contrario,
se ci sarà dato di vivere una rivoluzione veramente grande, se la storia
non permetterà che questa volta. essa si riduca a un « aborto
», se avremo la forza di portarla a termine, sino alla vittoria decisiva,
non come comprendono questa vittoria l'Osvobozdenie e la nuova Iskra, allora
sarà una rivoluzione nella quale l'elemento contadino e proletario
avrà il predominio.
Forse qualcuno dirà che ammettendo l'idea di questo predominio si nega
il carattere borghese della rivoluzione imminente. E' del tutto possibile,
se si considera l'abuso che fa l'Iskra di questo concetto. Non è quindi
affatto superfluo soffermarsi su questo problema.
6. DA QUALE PARTE VIENE IL PERICOLO CHE IL
PROLETARIATO SI TROVI AD AVERE LE MANI LEGATE
NELLA LOTTA CONTRO LA BORGHESIA
INCONSEGUENTE?
I marxisti sono assolutamente convinti del carattere borghese della rivoluzione
russa. Che vuol dire ciò? Vuol dire che le trasformazioni democratiche
nel regime politico e le trasformazioni nel campo sociale ed economico, diventate
per la Russia una necessità, non soltanto non significheranno di per
sé il crollo del capitalismo, il crollo del dominio della borghesia,
ma, al contrario, sbarazzeranno effettivamente per la prima volta il terreno
per uno sviluppo largo e rapido, europeo e non asiatico, del capitalismo,
renderanno per la prima volta possibile il dominio della borghesia come classe.
I socialisti-rivoluzionari non possono comprendere questa idea, perché
ignorano l'abbiccì delle leggi dello sviluppo della produzione mercantile
capitalistica e non vedono che persino il trionfo completo dell'insurrezione
contadina, persino una nuova ripartizione di tutte le terre conforme agli
interessi e al desiderio dei contadini (la « ripartizione egualitaria
» o qualcosa di analogo) non sopprimeranno affatto il capitalismo, ma,
al contrario, daranno un nuovo impulso al suo sviluppo ed affretteranno la
differenziazione di classe nella massa contadina stessa. Non comprendendo
questa verità, i socialisti-rivoluzionari sono gli inconsci ideologi
della piccola borghesia. Per la socialdemocrazia è di grande importanza,
non soltanto dal punto di vista teorico, ma anche dal punto di vista politico-pratico,
insistere su questa verità, giacché di qui deriva l'obbligo
di salvaguardare la completa autonomia di classe del partito del proletariato
nell'attuale movimento « democratico generale ».
Ma non ne consegue affatto che la rivoluzione democratica (borghese per il
suo contenuto sociale ed economico) non abbia per il proletariato un immenso
interesse. Non ne consegue affatto che la rivoluzione democratica non possa
svolgersi sia in una forma vantaggiosa soprattutto per il grande capitalista,
per il magnate della finanza, il grande proprietario- fondiario « illuminato
», sia in una forma vantaggiosa per il contadino e per l'operaio.
I neoiskristi comprendono in modo radicalmente errato il senso, il significato
della categoria: rivoluzione borghese. Nei loro ragionamenti si affaccia costantemente
l'idea che la rivoluzione borghese sia una rivoluzione che possa dare soltanto
ciò che è vantaggioso alla borghesia. Eppure nulla è
più errato di una siffatta idea. La rivoluzione borghese è una
rivoluzione che non esce dal quadro del regime economico e sociale borghese,
vale a dire capitalistico. La rivoluzione borghese esprime la necessità
di sviluppo del capitalismo: non soltanto essa non distrugge le basi del capitalismo,
ma, anzi, le allarga e le approfondisce. Questa rivoluzione esprime quindi
gli interessi non soltanto della classe operaia, ma anche di tutta la borghesia.
Poiché nel regime me capitalistico il dominio della borghesia sulla
classe operaia è cosa inevitabile, si può dire con pieno diritto
che la rivoluzione borghese esprime non tanto gli interessi del proletariato
quanto quelli della borghesia. Ma è assolutamente assurda l'idea che
la rivoluzione borghese non esprima affatto gli interessi del proletariato.
Questa idea assurda si riduce o alla vecchia teoria populista affermante che
la rivoluzione borghese è contraria agli interessi del proletariato
e che noi, quindi, non abbiamo bisogno della libertà politica borghese:
Oppure si riduce all'anarchismo, che condanna qualsiasi partecipazione del
proletariato alla politica borghese, alla rivoluzione borghese, al parlamentarismo
borghese. Nel campo teorico essa dimentica i principi elementari del marxismo
circa l'inevitabilità dello sviluppo del capitalismo sulla base della
produzione mercantile. Il marxismo insegna che una società basata sullo
produzione mercantile e che effettua scambi con le nazioni capitalistiche
civili, deve essa stessa, a un determinato stadio del suo sviluppo, imboccare
il cammino del capitalismo. Il marxismo ha definitivamente rotto con le fantasticherie
dei populisti e degli anarchici, secondo i quali, ad esempio, la Russia potrebbe
evitare lo sviluppo capitalistico, uscire dal capitalismo, o saltarlo con
un mezzo qualsiasi, eccetto quello della lotta di classe sul terreno e nel
quadro di questo stesso capitalismo.
Tutte queste tesi del marxismo sono state dimostrate e spiegate con minuta
analisi, sia in generale sia in modo particolare per ciò che concerne
la Russia. E da esse deriva che l'idea di cercare la salvezza per la classe
operaia ovunque, eccetto che nello sviluppo ulteriore del capitalismo, è
una idea reazionaria. In paesi come la Russia, la classe operaia soffre non
tanto per il capitalismo quanto per l'insufficienza del suo sviluppo. La classe
operaia è quindi assolutamente interessata allo sviluppo più
largo, più rapido, più libero del capitalismo. L'eliminazione
di tutti i residui del passato, che ostacolano lo sviluppo largo, libero e
rapido del capitalismo, torna assolutamente a suo vantaggio. La rivoluzione
borghese è appunto una rivoluzione che spazza via con la maggiore risolutezza
i residui del passato, i residui del feudalesimo (fra i quali è compresa
non soltanto l'autocrazia, ma anche la monarchia), che assicura nel modo più
completo lo sviluppo più largo, libero e rapido del capitalismo.
La rivoluzione borghese presenta quindi per il proletariato i più grandi
vantaggi. La rivoluzione borghese è assolutamente necessaria, nell'interesse
del proletariato. Quanto più sarà completa e decisiva, quanto
più sarà conseguente, tanto più il successo del proletariato,
nella sua lotta contro la borghesia per il socialismo, sarà garantito.
Questa conclusione potrà sembrare nuova, strana e paradossale unicamente
a coloro che ignorano l'abbiccì del socialismo scientifico. E da questa
conclusione deriva tra l'altro la tesi che la rivoluzione borghese è,
in un certo senso, più vantaggiosa per il proletariato che per la borghesia.
Ecco in quale senso precisamente la seguente affermazione è incontestabile:
è vantaggioso per la borghesia appoggiarsi contro il proletariato,
su alcuni residui del passato, ad esempio sulla monarchia, sull'esercito permanente,
ecc. E’ vantaggioso per la borghesia che la rivoluzione borghese non
spazzi via troppo risolutamente tutti i residui del passato, ma ne lasci sussistere
qualcuno; in altre parole, che la rivoluzione non sia del tutto conseguente
e non si compia fino in fondo, non sia risoluta e implacabile. I socialdemocratici
esprimono spesso questa idea in modo alquanto diverso, dicendo che la borghesia
tradisce se stessa, tradisce la causa della libertà, è incapace
di democratismo conseguente. Per la borghesia è più vantaggioso
che le necessarie trasformazioni sulla via della democrazia borghese si compiano
più lentamente, più gradualmente, più prudentemente,
meno risolutamente, mediante riforme e non con una rivoluzione; che con queste
riforme si proceda nel modo più cauto possibile verso « rispettabili
» istituti del feudalesimo (la monarchia, ad esempio); che queste trasformazioni
contribuiscano il meno possibile a sviluppare l'azione rivoluzionaria, l'iniziativa
e l'energia della plebe, ossia dei contadini e, soprattutto, degli operai.
Perché, altrimenti, sarebbe tanto più facile per gli operai
« passare il fucile da una spalla all'altra » , come dicono i
francesi, ossia rivolgere contro la borghesia stessa le armi che la rivoluzione
borghese fornirebbe loro, la libertà che essa darebbe, gli istituti
democratici sorti sul terreno sbarazzato dal feudalesimo.
Per la classe operaia, al contrario, è più vantaggioso che le
necessarie trasformazioni sulla via della democrazia borghese si realizzino
precisamente mediante la rivoluzione e non con le riforme, perché la
via delle riforme è la via degli indugi, delle tergiversazioni, della
morte lenta e dolorosa delle parti incancrenite dell'organismo nazionale.
Di questa cancrena il proletariato e i contadini soffrono per primi e più
di tutti. La via della rivoluzione è la via dell'operazione chirurgica
più rapida, meno dolorosa per il proletariato, quella che consiste
nell'amputare risolutamente le parti cancrenose, è la via del minimo
di concessioni e di cautela verso la monarchia e i suoi istituti infami, abietti
e cancrenosi, il cui fetore appesta l'atmosfera.
Non è dunque soltanto in considerazione della censura o per folle paura
che la nostra stampa liberale borghese deplora l'eventualità di una
via rivoluzionaria, teme la rivoluzione e ne agita lo spauracchio davanti
agli occhi dello zar, si preoccupa di evitare la rivoluzione, striscia e si
prosterna nella speranza di ottenere misere riforme e poter proseguire sulla
via riformatrice. Questo non è soltanto il punto di vista delle Russkie
Viedomosti, del Syn Otiecestva, della Nascia Gizn, dei Nasci Dni, ma è
anche quello dell'Osvobozdenie, illegale, libero. La situazione stessa della
borghesia come classe genera inevitabilmente, nella società capitalistica,
la sua inconseguenza nella rivoluzione democratica. Il proletariato come classe,
per la sua stessa situazione, è costretto ad essere conseguentemente
democratico. La borghesia guarda indietro, temendo il progresso democratico
che minaccia di accrescere le forze del proletariato. Il proletariato non
ha nulla da perdere fuorché le sue catene, ma ha, con la democrazia,
da guadagnare un mondo intiero. Quindi, quanto più la rivoluzione borghese
è conseguente nelle sue trasformazioni democratiche, tanto meno si
limita a ciò che è utile unicamente alla borghesia. Quanto più
la rivoluzione borghese è conseguente, tanto più assicura vantaggi
al proletariato e ai contadini nella rivoluzione democratica.
Il marxismo insegna al proletariato non ad appartarsi dalla rivoluzione borghese,
a mostrarsi indifferente, ad abbandonarne la direzione alla borghesia, ma,
al contrario, a parteciparvi nel modo più energico, a lottare nel modo
più risoluto per una democrazia proletaria conseguente, per condurre
a termine la rivoluzione. Non possiamo uscire dal quadro democratico borghese
della rivoluzione russa, ma possiamo allargarlo a proporzioni immense; possiamo
e dobbiamo lottare nei limiti di questo quadro nell'interesse del proletariato,
per i suoi bisogni immediati e per le condizioni che preparano le sue forze
per la futura vittoria completa. Vi è democrazia borghese e democrazia
borghese. Anche il monarchico zemets, fautore di una camera alta, che «
reclama » il suffragio universale e al tempo stesso conclude in sordina
un accordo segreto con lo zarismo, per una Costituzione monca, è un
democratico borghese. E il contadino che, le armi alla mano, marcia contro
i grandi proprietari fondiari e i funzionari e propone con un « candore
repubblicano » di « cacciare lo zar » * - * cfr. Osvobozdenie,
n. 71, p. 337, nota 2. - , è anch'egli un democratico borghese. Il
regime democratico borghese può essere quello che esiste in Germania
e quello che esiste in Inghilterra; quello che esiste in Austria e quello
che esiste in America o in Svizzera. Bel marxista sarebbe colui che, nell'epoca
delle rivoluzioni democratiche, non si accorgesse della differenza di grado
e del carattere diverso di questa o quell'altra forma di democrazia e si limitasse
a « filosofeggiare » per dimostrare che alla fin fine si tratta
sempre di una « rivoluzione borghese », dei frutti di una «
rivoluzione borghese »!
E questo è proprio il caso dei nostri saccenti neoiskristi, i quali
menan vanto della loro miopia. Essi si limitano appunto a dissertare sul carattere
borghese della rivoluzione nel momento in cui bisogna saper discernere la
differenza tra le due democrazie borghesi: rivoluzionaria repubblicana e monarchica
liberale, senza parlare poi della differenza tra il democratismo borghese
inconseguente e il democratismo proletario conseguente. Essi si accontentano
— come se fossero veramente diventati degli « uomini chiusi in
un astuccio »9 — di propositi malinconici sul « processo
della lotta reciproca tra le classi antagoniste » quando si tratta di
dare una direzione democratica alla rivoluzione attuale, di sottolineare le
parole d'ordine democratiche d'avanguardia in contrapposto alle parole d'ordine
traditrici del signor Struve e soci; di additare nettamente, in modo reciso,
gli obiettivi immediati della lotta veramente rivoluzionaria del proletariato
e dei contadini, in contrapposto alla mediazione liberale dei proprietari
fondiari e dei fabbricanti. Ecco qual è la sostanza della questione
che a voi, signori, è sfuggita: la nostra rivoluzione terminerà
con una vittoria realmente grandiosa o semplicemente con un miserabile compromesso,
arriverà sino alla dittatura democratica rivoluzionaria del proletariato
e dei contadini o « esaurirà le sue forze » in una Costituzione
liberale alla Scipov?
Può parere a prima vista che ponendo tale questione ci si allontani
dal nostro tema principale. Ma soltanto a prima vista. In realtà appunto
qui è la radice del dissenso di principio, che già ora si è
nettamente delineato, tra la tattica socialdemocratica del III Congresso del
Partito operaio socialdemocratico russo e la tattica fissata alla Conferenza
dei neoiskristi. Questi ultimi hanno fatto oggi, non più due, ma tre
passi indietro, risuscitando — nel risolvere problemi infinitamente
più complessi, più importanti e più vitali per il partito
operaio, quelli della tattica da seguire nel momento della rivoluzione —
gli errori dell'economismo. Ecco perché dobbiamo soffermarci con grande
attenzione sull'analisi di questo problema.
Il passo della risoluzione dei neoiskristi da noi citato dice che la socialdemocrazia
corre il pericolo di legarsi le mani nella lotta contro la politica incoerente
della borghesia e di dissolversi nella democrazia borghese. L'idea di questo
pericolo passa come un filo rosso in tutti gli scritti specificamente neoiskristi,
questa idea è il vero fulcro della posizione di principio nella scissione
del nostro partito (dal momento in cui, in questa scissione, i dissensi personali
sono completamente passati in secondo piano di fronte al ritorno all'economismo).
E riconosciamo senz'altro che questo pericolo effettivamente esiste, che soprattutto
oggi, nel momento in cui la rivoluzione russa è al suo culmine, questo
pericolo è diventato particolarmente serio. A noi, teorici o —
come di me stesso preferirei piuttosto dire — pubblicisti della socialdemocrazia,
incombe il compito urgente, e di estrema responsabilità, di indagare
da che parte viene realmente questo pericolo, Poiché i nostri dissensi
non sono sorti nella discussione per sapere se questo pericolo esista, o no,
ma se esso sia dovuto a ciò che vien chiamato codismo della «
minoranza » o a ciò che viene chiamato rivoluzionarismo della
« maggioranza ».
Per eliminare false interpretazioni e malintesi, facciamo notare anzitutto
che il pericolo di cui parliamo risiede nel lato oggettivo e non in quello
soggettivo del problema, non nella posizione formale che la socialdemocrazia
prenderà nel corso della lotta, ma nell'esito materiale di tutta la
lotta rivoluzionaria che attualmente si svolge. Non si tratta di sapere se
questi o quei gruppi socialdemocratici vorranno dissolversi nella democrazia
borghese o se essi se ne renderanno o no conto. Non è di questo che
si parla. Noi non sospettiamo nessun socialdemocratico di avere un simile
desiderio, e del resto non è affatto dei desideri che si tratta. E
neanche di sapere se per tutta la durata della rivoluzione questi o quei gruppi
socialdemocratici manterranno nei confronti della democrazia borghese la loro
indipendenza formale, la loro fisionomia, il loro carattere particolare. Essi
possono, non soltanto proclamarla questa « indipendenza », ma
mantenerla formalmente, e nondimeno può loro accadere di trovarsi con
le mani legate nella lotta contro l'inconseguenza della borghesia. Il bilancio
politico finale della rivoluzione può essere che la socialdemocrazia,
pur conservando la sua « indipendenza » formale e un'esistenza
propria come organizzazione, come partito, si trovi in realtà a essere
dipendente, incapace di dare agli avvenimenti l'impronta della sua indipendenza
proletaria e risulti talmente debole che, in generale, in fin dei conti, in
ultima analisi, la sua «dissoluzione» nella democrazia borghese
diventi tuttavia un fatto storico.
Ecco qual è il vero pericolo. Ed ora vediamo da qual parte esso ci
minaccia: dalla deviazione della socialdemocrazia verso destra, rappresentata
dalla nuova Iskra, come noi pensiamo, o dalla deviazione a sinistra, rappresentata
dalla «maggioranza», dal Vperiod, ecc., come pensano i neoiskristi.
La soluzione di questo problema, come già abbiamo detto, dipende dalla
combinazione oggettiva dell'azione delle diverse forze sociali. Il carattere
di queste forze è stato determinato in teoria dall'analisi marxista
della realtà russa; oggi viene determinato praticamente dall'azione
aperta dei gruppi e delle classi nel corso della rivoluzione. Orbene, tutta
l'analisi teorica fatta dal marxismo molto tempo prima dell'epoca in cui viviamo
e tutte le osservazioni pratiche concernenti lo svolgersi degli avvenimenti
rivoluzionari ci dimostrano che le condizioni obiettive rendono possibili
due vie e due esiti della rivoluzione russa. La trasformazione democratica
borghese del regime economico e politico della Russia è inevitabile
e certa. Nessuna forza al mondo potrebbe impedire questa trasformazione. Ma
l'azione combinata delle forze che compiono questa trasformazione può
dar luogo a due risultati o a due forme di questa trasformazione. Una delle
due: 1) o tutto finirà con la « vittoria decisiva della rivoluzione
sullo zarismo », o 2) mancheranno le forze per una vittoria decisiva,
e tutto finirà con un compromesso tra lo zarismo e gli elementi più
« incoerenti » e più « cupidi » della borghesia.
La varietà infinita dei particolari e delle combinazioni possibili,
che a nessuno è dato di prevedere, si riduce, insomma, all'uno o all'altro
di questi due esiti.
Esaminiamo ora questi esiti, dapprima dal punto di vista del loro significato
sociale e, quindi, dal punto di vista della situazione della socialdemocrazia
(del suo « dissolversi » o delle « mani legate »)
nel caso dell'uno o dell'altro esito.
Che cosa significa « vittoria decisiva della rivoluzione sullo zarismo
» ? Abbiamo già visto che i neoiskristi impiegano questa espressione
senza comprenderne neppure il significato politico immediato. E sembra comprendano
ancor meno il contenuto di classe di questo concetto. Ma noi marxisti non
dobbiamo lasciarci montare la testa dalle parole: « rivoluzione »
o « grande rivoluzione russa », da cui si lasciano montare la
testa molti democratici rivoluzionari (del tipo di Gapon). Dobbiamo farci
un'idea esatta delle reali forze sociali che stanno di fronte allo «
zarismo » (forza perfettamente reale e perfettamente comprensibile a
tutti) e che sono capaci di riportare su di esso una « vittoria decisiva
». Queste forze non possono essere né la grande borghesia, né
i grandi proprietari fondiari, né i fabbricanti, né la «
società » che segue gli osvobozdentsy. Noi vediamo che costoro
la vittoria decisiva non la vogliono neppure. Sappiamo che, per la loro situazione
sociale, sono incapaci di sostenere una lotta decisiva contro lo zarismo:
la proprietà privata, il capitale, la terra sono una palla troppo pesante
al loro piede perché siano capaci di sostenere una lotta decisiva.
Essi hanno troppo bisogno dello zarismo, col suo apparato poliziesco e burocratico,
le sue forze militari rivolti contro il proletariato e i contadini, per poter
aspirare alla distruzione dello zarismo. No, la forza capace di riportare
una « vittoria decisiva sullo zarismo » può essere unicamente
il popolo, vale a dire il proletariato e i contadini, se si considerano le
grandi forze principali e si ripartisce fra gli uni e gli altri la piccola
borghesia rurale e urbana (anch'essa « popolo »). « La vittoria
decisiva della rivoluzione sullo zarismo » è la dittatura democratica
rivoluzionaria del proletariato e dei contadini. I neoiskristi non potranno
sfuggire a questa conclusione, indicata da molto tempo dal Vperiod. Nessun
altro potrà riportare la vittoria decisiva sullo zarismo.
E questa vittoria sarà precisamente una dittatura, ossia dovrà
necessariamente poggiare sulla forza armata, sull'armamento delle masse, sull'insurrezione
e non su questi o quegli organismi costituiti « per vie legali »,
« pacifiche ». Non può essere che una dittatura, perché
alla realizzazione delle trasformazioni assolutamente e immediatamente necessarie
al proletariato e ai contadini i grandi proprietari fondiari, la grande borghesia
e lo zarismo opporranno una resistenza disperata. Senza la dittatura sarebbe
impossibile spezzare questa resistenza, respingere gli attacchi della controrivoluzione.
Non sarà però evidentemente una dittatura socialista, ma una
dittatura democratica, che non potrà intaccare (senza che la rivoluzione
abbia percorso varie tappe intermedie) le basi del capitalismo. Essa potrà,
nel migliore dei casi, procedere a una ridistribuzione radicale della proprietà
fondiaria a vantaggio dei contadini; applicare a fondo un democratismo conseguente,
fino alla proclamazione della repubblica; sradicare, non soltanto dalla vita
delle campagne, ma anche da quella delle fabbriche, tutte le sopravvivenza
del dispotismo asiatico; cominciare a migliorare seriamente le condizioni
degli operai, ad elevare il loro tenore di vita, ed infine — last but
not least 10 — estendere l'incendio rivoluzionario all'Europa. Questa
vittoria non farà ancora affatto della nostra rivoluzione borghese
una rivoluzione socialista; la rivoluzione democratica non uscirà direttamente
dal quadro dei rapporti sociali ed economici borghesi; ma nondimeno questa
vittoria avrà un'importanza immensa per lo sviluppo futuro della Russia
e di tutto il mondo. Nulla aumenterà maggiormente l'energia rivoluzionaria
del proletariato mondiale, nulla accorcerà tanto il suo cammino verso
la vittoria completa quanto questa vittoria decisiva della rivoluzione cominciata
in Russia.
Quanto questa vittoria sia probabile, è un'altra questione. Non siamo
affatto inclini a un ottimismo facilone, non dimentichiamo affatto la difficoltà
estrema che questo compito presenta, ma andando alla battaglia dobbiamo volere
la vittoria e saper indicare il vero cammino che vi conduce. Le tendenze capaci
di condurre a questa vittoria indubbiamente esistono. È vero che la
nostra influenza, l'influenza socialdemocratica sulle masse del proletariato,
è ancora molto, molto insufficiente, l'azione rivoluzionaria esercitata
sulla massa contadina è infima, la dispersione, la mancanza di cultura,
l'ignoranza del proletariato, e soprattutto dei contadini, sono ancora terribilmente
grandi. Ma la rivoluzione raggruppa e educa rapidamente. Ogni suo passo in
avanti risveglia le masse e le attrae, con una forza irresistibile, precisamente
verso il programma rivoluzionario, l'unico che esprima completamente e in
modo conseguente i loro interessi reali e vitali.
Una legge meccanica dice che la reazione è eguale all'azione. Nella
storia, la forza distruttrice di una rivoluzione dipende in non lieve misura
dalla forza e dalla durata della repressione che le aspirazioni alla libertà
hanno subito, dipende dalla profondità dell'antagonismo tra la «
sovrastruttura » arcaica della società e le forze vive dell'epoca
moderna. Anche la situazione politica internazionale appare sotto molti rapporti
eccezionalmente favorevole alla rivoluzione russa. L'insurrezione degli operai
e dei contadini è già cominciata; essa è frazionata,
spontanea, debole, ma dimostra indubbiamente e incontestabilmente la presenza
di forze che possono condurre una lotta decisa e marciano verso una vittoria
decisiva.
Se queste forze saranno troppo scarse, lo zarismo farà in tempo a concludere
la transazione che già preparano, da due parti, i signori Bulyghin
e i signori Struve. Tutto finirà allora con una Costituzione monca
o persino — nel peggiore dei casi — con una parodia di Costituzione.
Anche ciò sarà, sì, una « rivoluzione borghese
», ma un aborto, un parto prematuro, una cosa bastarda. La socialdemocrazia
non si fa illusioni: essa conosce la perfida natura della borghesia e non
si scoraggerà nemmeno nei giorni più grigi di una prosperità
costituzionale borghese « alla Scipov », non cesserà il
suo lavoro tenace, paziente, metodico per educare il proletariato in uno spirito
classista. Questo esito sarebbe più o meno simile a quello di quasi
tutte le rivoluzioni democratiche dell'Europa del XIX secolo, e lo sviluppo
del nostro partito seguirebbe allora un sentiero arduo, difficile, lungo,
ma noto e già battuto.
Ci si chiede ora : in quale di queste due eventualità la socialdemocrazia
si troverebbe ad avere le mani legate di fronte a una borghesia inconseguente
e cupida e si troverebbe di fatto « dissolta » o quasi nella democrazia
borghese?
E’ sufficiente porre chiaramente la questione per rispondervi senza
un attimo di esitazione.
Se la borghesia riuscirà a far fallire la rivoluzione russa mediante
un compromesso con lo zarismo, la socialdemocrazia si troverà appunto
ad avere le mani legate di fronte a una borghesia inconseguente, si troverà
dissolta nella « democrazia borghese », il proletariato non riuscirà
cioè a dare decisamente alla rivoluzione la sua impronta, a regolare
in modo proletario o, come disse una volta Marx, « alla plebea »,
i conti con lo zarismo.
Se la rivoluzione riuscirà ad avere una vittoria decisiva, regoleremo
i conti con lo zarismo alla giacobina o, se volete, alla plebea.
« Tutto il terrore francese - scriveva Marx nel 1848 nella celebre Neue
Rheinische Zeitung - non fu altro che un mezzo plebeo per regolare i conti
con i nemici della borghesia, con l'assolutismo, il feudalesimo e lo spirito
piccolo-borghese » (cfr. Marx, Nachlass, edizione Mehring, vol. III,
p. 211). Hanno mai pensato a queste parole di Marx coloro che, nell'epoca
della rivoluzione democratica, agitano davanti agli occhi degli operai socialdemocratici
russi lo spauracchio del « giacobinismo »?
I girondini della socialdemocrazia russa contemporanea, i neoiskristi, non
si fondono con gli osvobozdentsy, ma, per il carattere delle parole d'ordine
da essi lanciate, si mettono di fatto al loro rimorchio. E gli osvobozdentsy,
cioè i rappresentanti della borghesia liberale, vogliono regolare i
conti con l'autocrazia in modo anodino, mediante riforme, facendo delle concessioni,
senza offendere l'aristocrazia, la nobiltà, la Corte, con prudenza
e senza rotture, con cortesia e gentilezza, da signori, mettendosi i guanti
bianchi (come quelli che il signor Petrunkevic — in un ricevimento ai
« rappresentanti del popolo » [ ? ] dato da Nicola il sanguinario
— prese in prestito da un lanzichenecco. Cfr. il n. 5 del Proletari
11).
I giacobini della socialdemocrazia contemporanea — i bolscevichi, i
vperiodisti, i fautori del congresso o del Proletari, non so più come
chiamarli — vogliono elevare, con le loro parole d'ordine, la piccola
borghesia rivoluzionaria e repubblicana, e specialmente i contadini, al livello
del democratismo conseguente del proletariato, senza che questo perda affatto
la sua fisionomia di classe. Vogliono che il popolo, cioè il proletariato
e i contadini, regoli i conti con lo zarismo e l'aristocrazia « alla
plebea », sterminando implacabilmente i nemici della libertà,
reprimendo con la forza la loro resistenza, non facendo alcuna concessione
al maledetto passato di schiavitù, di asiatismo, di oltraggio all'essere
umano.
Ciò non significa, s'intende, che noi vorremmo imitare ad ogni costo
i giacobini del 1793 e fare nostre le loro idee, il loro programma, le loro
parole d'ordine, il loro metodo di azione. Niente affatto. Noi non abbiamo
un vecchio programma, ma uno nuovo, il programma minimo del Partito operaio
socialdemocratico russo. Abbiamo una parola d'ordine nuova, la dittatura democratica
rivoluzionaria del proletariato e dei contadini. Avremo anche, se vivremo
abbastanza per assistere alla vera vittoria della rivoluzione, nuovi metodi
di azione, conformi al carattere e ai fini del partito della classe operaia,
che aspira a un'integrale rivoluzione socialista. Con questo parallelo intendiamo
semplicemente osservare che i rappresentanti della classe d'avanguardia del
XX secolo, i rappresentanti del proletariato, vale a dire i socialdemocratici,
si dividono in due ali (opportunistica e rivoluzionaria), così come
i rappresentanti della classe d'avanguardia del XVIII secolo, i rappresentanti
della borghesia, si dividevano in girondini e giacobini.
Il proletariato non si troverà ad avere le mani legate nella sua lotta
contro la borghesia inconseguente unicamente nel caso di una vittoria completa
della rivoluzione democratica; soltanto in questo caso, non « si dissolverà
» nella democrazia borghese, ma tutta la rivoluzione porterà
un'impronta proletaria o, più esattamente, proletaria e contadina.
In poche parole, perché il proletariato non si trovi ad avere le mani
legate nella lotta contro la democrazia borghese inconseguente, deve essere
abbastanza cosciente e forte per elevare i contadini alla coscienza rivoluzionaria,
per dirigere la loro offensiva e attuare così di propria iniziativa
una democrazia proletaria conseguente.
Ecco come si pone la questione, risolta in modo così infelice dai neoiskristi,
del pericolo di trovarsi ad avere le mani legate nella lotta contro la borghesia
inconseguente. La borghesia sarà sempre inconseguente. Nulla di più
ingenuo e di più sterile che il voler presentare delle condizioni o
delle clausole* - * come volle fare Starover nella sua risoluzione annullata
dal III Congresso e come tenta di fare la conferenza in una risoluzione non
meno infelice. - che, una volta soddisfatte, permetterebbero di considerare
la democrazia borghese come un'amica sincera del popolo. Solo il proletariato
può combattere in modo conseguente per la democrazia. Ma potrà
vincere soltanto se le masse contadine si uniranno alla sua lotta rivoluzionaria.
Se il proletariato non avrà forze sufficienti, la borghesia si troverà
alla testa della rivoluzione democratica e le darà un carattere inconseguente
ed interessato. Per impedirlo non vi è altro mezzo all'infuori della
dittatura democratica rivoluzionaria del proletariato e dei contadini.
Veniamo così alla conclusione certa, che appunto la tattica della nuova
Iskra, per il suo significato obiettivo, porta acqua al mulino della democrazia
borghese. La propaganda di forme di organizzazione indefinite — che
arrivano sino al plebiscito, sino al principio della possibilità di
un accordo, sino al distacco delle pubblicazioni del partito dal partito —,
la limitazione dei compiti dell'insurrezione armata, la confusione delle parole
d'ordine politiche generali del proletariato rivoluzionario con quelle della
borghesia monarchica, la deformazione delle condizioni della « vittoria
decisiva della rivoluzione sullo zarismo », tutto ciò, preso
insieme, è appunto la politica del codismo in un momento rivoluzionario,
politica che disorienta il proletariato, lo disorganizza e introduce la confusione
nel suo spirito, svilisce la tattica della socialdemocrazia invece di indicare
l'unica via che porta alla vittoria e raggruppare attorno alla parola d'ordine
del proletariato tutti gli elementi del popolo rivoluzionari e repubblicani.
Per confermare questa conclusione, alla quale l'analisi della rivoluzione
ci ha portato, accingiamoci a trattare la stessa questione da altri punti
di vista. Vediamo anzitutto come la tattica della nuova Iskra viene illustrata
nel Socialdemocratico georgiano da un menscevico sempliciotto, ma sincero.
Vediamo, quindi, chi effettivamente, nella situazione politica attuale, utilizza
le parole d'ordine della nuova Iskra.
.
7. LA TATTICA DELL'« ELIMINAZIONE DEI CONSERVATORI DAL GOVERNO »
L'articolo dell'organo del « comitato » menscevico di Tiflis (Il
socialdemocratico, n. 1) citato più sopra è intitolato Lo «zemski
sobor» e la nostra tattica. L'autore non ha ancora completamente dimenticato
il nostro programma e avanza la parola d'ordine della repubblica, ma fa le
seguenti riflessioni a proposito della tattica:
« Per raggiungere questo scopo [la repubblica] si possono indicare due
vie: o non prestare nessuna attenzione allo zemski sobor che sta per essere
convocato dal governo, e, le armi alla mano, colpire quest'ultimo, creare
un governo rivoluzionario e convocare l'Assemblea costituente. Oppure proclamare
che lo zemski sobor è il centro della nostra azione, esercitando, le
armi alla mano, una pressione sulla sua composizione e sulla sua attività
e costringerlo con la forza a dichiararsi Assemblea costituente, o per mezzo
suo convocare l'Assemblea costituente. Queste due tattiche differiscono nettamente
l'una dall'altra. Vediamo quale delle due è per noi piú vantaggiosa
».
Ecco in che modo i neoiskristi russi esponevano le idee incarnate in seguito
nella risoluzione che abbiamo analizzato. Notate che ciò fu scritto
prima di Zusima, quando il « progetto » di Bulyghin non era ancora
venuto alla luce. Persino i liberali avevano perso la pazienza ed esprimevano
la loro sfiducia sulle colonne della stampa legale; e il socialdemocratico
neoiskrista dimostrava di essere più fiducioso dei liberali. Egli dichiara
che lo zemski sobor « sta per essere convocato », e la sua fede
nello zar è tale che propone di fare di questo zemski sobor (o forse
di una « Duma » o di « un'assemblea consultiva »?),
che non esiste ancora, il centro della nostra azione. Più sincero,
più schietto degli autori della risoluzione approvata dalla conferenza,
il nostro compagno di Tiflis non considera le due « tattiche »
(da lui esposte con un candore inimitabile) identiche, ma dichiara la seconda
« più vantaggiosa ». Ascoltate:
« Prima tattica. Come sapete la rivoluzione imminente è una rivoluzione
borghese; essa tende cioè a una trasformazione del presente regime
alla quale sono interessati non soltanto il proletariato, ma anche l'intiera
società borghese. Tutte le classi, persino gli stessi capitalisti,
si oppongono al governo. In un certo senso il proletariato in lotta e la borghesia
in lotta marciano insieme e attaccano insieme, da due parti differenti, l'autocrazia.
Il governo qui è completamente isolato e privo delle simpatie della
società. Perciò è facilissimo abbatterlo. Tutto il proletariato
russo non è ancora abbastanza cosciente ed organizzato per potere,
da solo, fare la rivoluzione. Se del resto lo potesse, farebbe una rivoluzione
proletaria (socialista) e non una rivoluzione borghese. È dunque nel
nostro interesse che il governo rimanga senza alleati, non riesca a dividere
l'opposizione, né a legare a sé la borghesia e ad isolare il
proletariato... ».
E' dunque nell'interesse del proletariato che il governo zarista non riesca
a separare la borghesia e il proletariato! Non è forse per errore che
il giornale georgiano è stato chiamato Il socialdemocratico invece
di Osvobozdenie? E notate quale impareggiabile filosofia della rivoluzione
democratica! Non vediamo forse con i nostri propri occhi come il povero compagno
di Tiflis ha completamente smarrito la strada interpretando in modo casistico
e codino il concetto: « rivoluzione borghese »? Egli discute sul
possibile isolamento del proletariato nella rivoluzione democratica e dimentica...
un piccolo particolare... i contadini! Fra gli alleati possibili del proletariato
egli conosce e trova di suo gusto gli zemtsy grandi proprietari fondiari,
ma i contadini non lì conosce. E questo nel Caucaso! Ebbene, non avevamo
ragione di dire che la nuova Iskra, con i suoi ragionamenti, scende al livello
della borghesia monarchica invece di elevare sino a sé, in qualità
di alleati, i contadini rivoluzionari ?
«...In caso contrario la disfatta del proletariato e la vittoria del
governo sono inevitabili. Ma è appunto ciò a cui vuole arrivare
l'autocrazia. Non v'è alcun dubbio che essa attirerà dalla sua
parte, nel suo zemski sobor, i rappresentanti della nobiltà, degli
zemstvo, delle Dume cittadine, delle università e di altri istituti
borghesi. Cercherà di ammansirli con piccole concessioni e, in tal
guisa, di cattivarseli. Così rafforzata, dirigerà tutti i suoi
colpi contro il popolo lavoratore, rimasto isolato. Nostro compito è
prevenire una soluzione così infelice. Ma è possibile farlo
seguendo il primo cammino? Supponiamo di non aver prestato nessuna attenzione
allo zemski sobor, ma di aver cominciato a prepararci per l'insurrezione e
di esser scesi un bel giorno armati nelle strade per la lotta. Ed ecco davanti
a noi due nemici invece di uno: il governo e lo zemski sobor. Noi ci preparavamo,
e frattanto essi avevano avuto il tempo di intendersi, di concludere un accordo,
di elaborare una Costituzione a loro vantaggiosa e si erano divisi il potere.
Questa è una tattica veramente vantaggiosa per il governo, e noi dobbiamo
respingerla con la massima energia... ».
Questo si chiama parlar chiaro! Bisogna rinunciare risolutamente alla «
tattica » che prepara l'insurrezione, perché « frattanto
» il governo verrebbe a una transazione con la borghesia! E' forse possibile
trovare nei vecchi scritti dell'« economismo » più incallito
qualcosa che si avvicini a un tal modo di coprir di vergogna la socialdemocrazia
rivoluzionaria? Che qua e là scoppino insurrezioni, disordini fra gli
operai e fra i contadini è un fatto. Lo zemski sobor è una vuota
promessa di Bulyghin. E Il socialdemocratico di Tiflis decide: rinunciare
alla tattica che prepara l'insurrezione e attendere che vi sia un «
centro d'azione », lo zemski sobor...
« ... La seconda tattica consiste invece nel sorvegliare lo zemski sobor
per non lasciargli la possibilità di agire a suo piacimento e di accordarsi
col governo * - * di quale mezzo disponete dunque per privare i membri dello
zemski sobor della loro volontà? Forse di una speciale carta di tornasole?
-.
Noi sosteniamo lo zemski sobor nella misura in cui esso lotta contro l'autocrazia,
e lo combattiamo nei casi in cui si accorda con l'autocrazia con un intervento
energico e con l'uso della forza dividiamo i deputati * - * dio santissimo!
Eccola, la tattica « approfondita »! La forza per batterci nelle
strade ci manca, ma possiamo « dividere i deputati con l'uso della forza
». Sentite, compagno di Tiflis, mentire si può, ma bisogna avere
il senso della misura... -, uniamo a noi i radicali, eliminiamo dal governo
i conservatori, e facciamo prendere così a tutto lo zemski sobor il
cammino della rivoluzione. Grazie a questa tattica il governo rimarrà
costantemente isolato, l'opposizione sarà forte e diventerà
più facile l'istituzione di un regime democratico ».
Ma sì, ma sì! Vengano ora a dirci che noi esageriamo l'evoluzione
dei neoiskristi verso una delle più volgari varietà dell'economismo!
È proprio una cosa del genere della famosa polvere moschicida: acchiappate
la mosca, cospargetela di polvere ed essa creperà. Dividere con l'uso
della forza i deputati dello zemski sobor, «eliminare dal governo i
conservatori », e tutto lo zemski sobor prenderà il cammino della
rivoluzione... E senza nessuna insurrezione armata « giacobina »,
senza sforzo, gentilmente, quasi alla parlamentare, « esercitando una
pressione » sui membri dello « zemski sobor ».
Povera Russia! Di te si dice che porti sempre dei cappelli fuori moda, che
l'Europa ha smesso. Non abbiamo ancora un parlamento, neppure Bulyghin ce
l'ha promesso, ma di cretinismo parlamentare ne abbiamo a profusione.
« ... Come deve aver luogo quest'intervento? Prima di tutto esigeremo
che lo zemski sobor venga eletto a suffragio universale, eguale, diretto e
a scrutinio segreto. Mentre verrà proclamato * - * nell'Iskra? - questo
regime elettorale, la libertà completa d'agitazione — cioè
la libertà di riunione, di parola, di stampa, l'inviolabilità
degli elettori e degli eletti e la liberazione di tutti i detenuti politici
— dovrà essere consacrata dalla legge * - * da Nicola? -. Le
elezioni dovranno essere fissate per una data più lontana possibile,
perché ci sia dato un margine di tempo sufficiente per informare e
preparare il popolo. Dato che l'elaborazione del regolamento riguardante la
convocazione dello zemski sobor è stata affidata a una commissione
presieduta dal ministro degli interni, Bulyghin, dobbiamo esercitare una pressione
anche su questa commissione e sui suoi membri * - * ecco che cosa significa
la tattica: «Eliminare dal governo i conservatori»! -. Se la commissione
di Bulyghin si rifiuterà di soddisfare le nostre rivendicazioni * -
* impossibile! Con una tattica cosí giusta e così profondamente
meditata! - e darà il diritto di eleggere i deputati soltanto agli
abbienti, dovremo allora intervenire in queste elezioni, costringere, con
mezzi rivoluzionari, gli elettori a dare il loro voto ai candidati di avanguardia,
e nello zemski sobor rivendicare un'Assemblea costituente. Dobbiamo, infine,
senza trascurare nessun mezzo, con manifestazioni, scioperi e, se sarà
necessario, con l'insurrezione, obbligare lo zemski sobor a convocare l'Assemblea
costituente o a proclamarsi tale. Il proletariato armato dovrà essere
il difensore dell'Assemblea costituente e tutti e due * - * il proletariato
armato e i conservatori «eliminati dal governo»? - marceranno
verso la repubblica democratica.
Tale è la tattica socialdemocratica, ed essa sola ci assicurerà
la vittoria ».
Non pensi il lettore che queste incredibili castronerie siano un semplice
saggio dovuto alla penna di un neoiskrista irresponsabile e senza influenza.
No, no, sono state scritte nell'organo di tutto un comitato di neoiskristi,
quello di Tiflis. Peggio ancora. Queste castronerie hanno la completa approvazione
dell'« Iskra ». Nel n. 100 di questo giornale leggiamo infatti
a proposito del Socialdemocratico:
« Il n. 1 è redatto con uno stile vivace e con talento. Vi si
sente la mano esperta e abile di un redattore-scrittore... Si può dire
senza tema di sbagliare che il giornale adempirà brillantemente il
compito che si è posto ».
Si! Se questo compito consiste nel dimostrare a tutti in modo evidente la
completa decomposizione ideale della tendenza neoiskrista, allora, invero,
è stato assolto « brillantemente ». Nessuno avrebbe saputo
dimostrare con piú « vivacità, talento e abilità
» come i neoiskristi siano caduti al livello dell'opportunismo borghese
liberale.
8. L'« OSVOBOZDENIE » E IL NEOISKRISMO
Passiamo ad un'altra evidente conferma del significato politico del neoiskrismo.
Nell'articolo meraviglioso, eccellente, oltremodo istruttivo, Come ritrovare
se stesso (Osvobozdenie, n. 71), il signor Struve parte in guerra contro il
« rivoluzionarismo del programma » dei nostri partiti estremi.
Il signor Struve è soprattutto scontento di me* - * « Confrontato
col rivoluzionarismo dei signori Lenin e soci, il rivoluzionarismo della socialdemocrazia
dell'Europa occidentale, quello di Bebel, e persino di Kautsky, è opportunismo;
ma anche le basi di questo rivoluzionarismo già mitigato sono state
intaccate e corrose dalla storia ». L'attacco è forte, ma il
signor Struve ha torto di pensare che mi si possa fare impunemente ogni sorta
di accuse. Mi basta lanciargli una sfida che egli non sarà mai in grado
di accettare. Dove e quando ho chiamato « opportunismo » il rivoluzionarismo
di Bebel e di Kautsky? Dove e quando ho preteso di creare nella socialdemocrazia
internazionale una tendenza particolare, non identica a quella di Bebel e
di Kautsky? Dove e quando sono apparsi dissensi tra me da una parte, e Bebel
e Kautsky dall'altra che per la loro gravità si avvicinassero almeno
in una certa misura a quelli che sorsero tra Bebel e Kautsky, per esempio
sulla questione agraria a Breslavia13? Tenti il signor Struve di rispondere
a queste tre domande.
Da parte nostra diremo ai nostri lettori: la borghesia liberale si serve,
sempre e dappertutto, del metodo che consiste nel persuadere, in un determinato
paese, i propri seguaci che i socialdemocratici di quel paese sono i più
irragionevoli, mentre i loro compagni del paese vicino sono dei « docili
ragazzini ». La borghesia tedesca ha citato come esempio, centinaia
di volte, ai Bebel e ai Kautsky i socialisti francesi, quei « docili
ragazzini ». La borghesia francese portava recentemente ad esempio ai
socialisti francesi il «docile ragazzino» Bebel. Vecchio metodo,
signor Struve! Soltanto dei bambini e degli ignoranti abboccheranno all'amo.
La completa solidarietà della socialdemocrazia rivoluzionaria internazionale
in tutte le grandi questioni di programma e di tattica è un fatto assolutamente
incontestabile -.
Quanto a me, sono estremamente contento del signor Struve: non avrei potuto
desiderare un miglior alleato nella lotta contro il risorto economismo dei
neoiskristi e contro la completa mancanza di principi dei « socialisti-rivoluzionari
». Del modo in cui il signor Struve e l'Osvobozdenie hanno praticamente
dimostrato lo spirito reazionario degli « emendamenti » fatti
al marxismo nel progetto di programma dei socialisti-rivoluzionari, parleremo
in qualche altra occasione. Del servizio devoto, onesto ed effettivo, che
il signor Struve mi ha reso ogni volta che ha approvato in via di principio
i neoiskristi, abbiamo già parlato ripetutamente * - * ricordiamo al
lettore che l'articolo Quello che non bisogna fare (Iskra, n. 52) fu salutato
a suon di grancassa dall'Osvobozdenie come una « svolta significativa
» verso lo spirito di conciliazione nei riguardi degli opportunisti.
L'Osvobozdenie approvò in modo particolare principi della nuova Iskra
in una nota sulla scissione dei socialdemocratici russi. A proposito dell'opuscolo
di Trotski, I nostri compiti politici, l'Osvobozdenie rilevò l'analogia
delle idee di questo autore con le idee espresse nel passato, oralmente e
per iscritto, dai seguaci del Raboceie Dielo, Kricevski, Martynov, Akimov
(cfr. il foglio Un liberale servizievole pubblicato dal Vperiod). L'Osvobozdenie
salutò la pubblicazione dell'opuscolo di Martynov Due dittature (cfr.
la nota apparsa nel n. 9 del Vperiod). Finalmente le tardive rimostranze di
Starover circa la vecchia parola d'ordine della vecchia Iskra, « prima
delimitarsi, poi unirsi », sono state accolte con particolare simpatia
dall'Osvobozdenie. -, ma ne parleremo oggi ancora una volta.
Nell'articolo del signor Struve vi è tutta una serie di dichiarazioni
interessantissime, sulle quali possiamo soffermarci soltanto di sfuggita.
Egli si accinge a « creare una democrazia russa appoggiandosi non sulla
lotta delle classi, ma sulla loro collaborazione »; inoltre, «
gli intellettuali socialmente privilegiati » (del tipo della «
nobiltà colta », alla quale il signor Struve fa delle grandi
riverenze con la grazia di un... lacchè veramente mondano) porteranno
il peso della loro « posizione sociale » (il peso del sacco di
scudi) a questo partito « non classista ». Il signor Struve esprime
il desiderio di far conoscere alla gioventù la falsità del «
luogo comune radicale, secondo cui la borghesia si sarebbe spaventata e avrebbe
venduto il proletariato e la causa della libertà ». (Ci felicitiamo
con tutto il cuore per questo desiderio. Niente confermerà meglio questo
« luogo comune » marxista che la guerra dichiaratagli dal signor
Struve. Fate pure, signor Struve, non rimandate alle calende greche l'esecuzione
del vostro magnifico progetto!).
Per trattare il nostro tema è importante sapere quali sono le parole
d'ordine pratiche contro le quali combatte nel momento attuale questo rappresentante
della borghesia russa, dotato di un fiuto politico così sicuro e che
reagisce alle minime variazioni del tempo. Anzitutto, la parola d'ordine del
repubblicanismo. Il signor Struve è fermamente convinto che questa
parola d'ordine sia « incomprensibile ed estranea alle masse del popolo
» (egli dimentica di aggiungere che è comprensibile, ma non vantaggiosa
alla borghesia!). Saremmo curiosí di vedere quale risposta darebbero
al signor Struve gli operai nei nostri circoli politici e nelle nostre riunioni!
O forse che gli operai non sono popolo? E i contadini? Secondo il signor Struve,
in essi vi è talvolta un « repubblicanismo ingenuo » («
cacciare lo zar »), ma la borghesia liberale pensa che questo repubblicanismo
ingenuo sarà sostituito non da un repubblicanismo cosciente, ma da
un monarchismo cosciente! ça dépend, signor Struve, questo già
dipende dalle circostanze. Tanto lo zarismo che la borghesia non possono non
opporsi a un miglioramento radicale delle condizioni dei contadini a scapito
delle terre dei grandi proprietari, e la classe operaia non può non
sostenere i contadini.
In secondo luogo, il signor Struve afferma che « nella guerra civile
l'aggressore' avrà sempre torto ». Questa idea è molto
vicina alle tendenze della nuova Iskra, di cui abbiamo parlato più
sopra. Certo, non diremo che nella guerra civile sia sempre vantaggioso attaccare;
no, talvolta la tattica difensiva è obbligatoria per un certo periodo
di tempo. Ma enunciare una tesi come quella di Struve per applicarla alla
Russia del 1905 significa appunto mostrarci un frammento di « luogo
comune radicale » (« la borghesia si spaventa e vende la causa
della libertà »). Chi non vuole oggi attaccare l'autocrazia,
la reazione, chi non si prepara a questo attacco, chi non lo propaganda si
attribuisce a torto il nome di fautore della rivoluzione.
Il signor Struve condanna le parole d'ordine: « clandestinità
» e « sommossa » (questa « insurrezione in miniatura
»). Il signor Struve disdegna l'una e l'altra, dal punto di vista del
« contatto con le masse »! Gli domanderemo se può dirci
dove si fa la propaganda della sommossa, per esempio nel Che fare?, questo
scritto di un rivoluzionario estremo, secondo il suo modo di vedere? In quanto
alla «clandestinità» è forse grande la differenza
tra noi e il signor Struve? Non collaboriamo tutti e due a giornali «
illegali », introdotti « clandestinamente » in Russia ad
uso dei gruppi « segreti » dell'« Unione per la liberazione
» e del POSDR? Le nostre riunioni operaie sono spesso « clandestine
», confessiamo questo peccato. E le assemblee dei signori osvobozdentsy?
Avete di che vantarvi, signor Struve, davanti agli spregevoli fautori della
spregevole clandestinità?
E’ vero che uno dei lavori richiedenti una rigorosa clandestinità
è quello del rifornimento di armi agli operai. Qui il signor Struve
tiene un linguaggio più chiaro. Ascoltate. « Per ciò che
concerne l'insurrezione armata, o la rivoluzione dal punto di vista tecnico,
unicamente la propaganda del programma democratico fra le masse può
creare le condizioni sociali e psicologiche che l'insurrezione armata esige.
Quindi, anche ponendosi dal punto di vista, che io non condivido, il quale
considera l'insurrezione armata come il coronamento inevitabile dell'attuale
lotta per la liberazione, la cosa essenziale, più necessaria è
di far penetrare le idee di trasformazione democratica tra le masse ».
Il signor Struve cerca di eludere il problema. Egli parla dell'inevitabilità
dell'insurrezione invece di dire che essa è necessaria per la vittoria
della rivoluzione. L'insurrezione impreparata, spontanea e dispersa è
già cominciata. Nessuno può garantire in modo assoluto che sboccherà
in una vera e propria insurrezione popolare armata, giacché ciò
dipende dallo stato delle forze rivoluzionarie (che possono essere valutate
soltanto nel corso della lotta stessa), dall'atteggiamento del governo e della
borghesia e da diverse altre circostanze che è impossibile prevedere
con esattezza. Parlare di inevitabilità nel senso della certezza assoluta
di un avvenimento concreto, certezza verso la quale si orientano le parole
del signor Struve, è cosa inutile. Se volete essere fautore della rivoluzione,
dovete dire se l'insurrezione è necessaria per la vittoria della rivoluzione,
se è necessario propagandarla attivamente, diffonderne l'idea, prepararla
immediatamente e con grande energia. Il signor Struve non può non comprendere
questa differenza; egli infatti non cerca, per esempio, di nascondere la necessità
indiscutibile, per un democratico, del suffragio universale dietro la questione
discutibile e non essenziale, per ogni uomo politico, della conquista inevitabile
di questo suffragio nel corso della presente rivoluzione. Eludendo la questione
della necessità dell'insurrezione, il signor Struve scopre le radici
più profonde della posizione politica della borghesia liberale. In
primo luogo, la borghesia preferisce mettersi d'accordo con l'autocrazia invece
di schiacciarla, e in ogni caso fa ricadere tutto il peso della lotta armata
sulle spalle degli operai (questo in secondo luogo). Ecco qual è il
significato reale della tendenza del signor Struve a eludere la questione.
Ecco perché egli indietreggia, sfuggendo al problema della necessità
dell'insurrezione per occuparsi delle sue condizioni « sociali e psicologiche
» e della « propaganda » preliminare. Esattamente come i
chiacchieroni borghesi del 1848 si occupavano nel parlamento di Francoforte
di redigere risoluzioni, dichiarazioni, decisioni, di fare la « propaganda
di massa » e di preparare le « condizioni sociali e psicologiche
» in un momento in cui si trattava di respingere l'attacco delle forze
armate del governo, in cui il movimento « aveva condotto alla necessità
» di una lotta armata, in cui la sola azione esercitata dalla parola
(cento volte indispensabile nel periodo preparatorio) era diventata una vile
inerzia e una codardia borghese, così il signor Struve sfugge alla
questione dell'insurrezione coprendosi con vuote frasi. Il signor Struve ci
mostra all'evidenza ciò che molti socialdemocratici si ostinano a non
vedere, e precisamente che l'ora della rivoluzione differisce dalle ore abituali,
comuni, dalle ore che preparano la storia, appunto perché lo stato
d'animo, l'effervescenza, la convinzione delle masse devono tradursi e si
traducono in azione.
Il rivoluzionarismo volgare non comprende che la parola è anch'essa
azione: questa affermazione è incontestabile, se applicata alla storia
in generale e alle epoche storiche durante le quali non v'è azione
politica aperta delle masse, che nessun putsch può sostituire e suscitare
artificialmente. Il codismo dei rivoluzionari non comprende che quando l'ora
della rivoluzione è suonata, quando la vecchia « superstruttura
» si sfascia da tutte le parti, quando l'azione aperta delle classi
e delle masse, che stanno edificandosi una nuova sovrastruttura, è
diventata un fatto, quando la guerra civile è cominciata, accontentarsi,
come nel passato, della « parola », senza formulare con chiarezza
la parola d'ordine di passare all'« azione », evitare l'azione
adducendo le « condizioni psicologiche » e la « propaganda
» in generale, significa cadere in una morta e sterile teoria, nella
casistica, oppure abbandonare la rivoluzione e tradirla. I chiacchieroni della
borghesia democratica di Francoforte offrono per esempio storico indimenticabile
di questo tradimento o di questa stolta casistica.
Volete che vi spieghiamo, con esempi presi dalla storia del movimento socialdemocratico
della Russia, la differenza che esiste tra il rivoluzionarismo volgare e il
codismo dei rivoluzionari? Vi daremo questa spiegazione. Ricordate gli anni
1901-1902, così vicini ancora, ma che ci sembrano ormai appartenere
ad un lontano passato. Le dimostrazioni erano cominciate. Il rivoluzionarismo
volgare si era messo a gridare all'« assalto » (Raboceie Dielo);
erano stati pubblicati « manifestini cruenti » (di provenienza
berlinese, se la memoria non mi tradisce); si attaccava la « mania letteraria
» e la scarsa praticità dell'idea che si potesse svolgere l'agitazione
in tutta la Russia per mezzo di un giornale (Nadezdin 14). Il codismo dei
rivoluzionari predicava invece la tesi che « la lotta economica è
il miglior mezzo per l'agitazione politica ». Quale fu l'atteggiamento
della socialdemocrazia rivoluzionaria? Essa attaccò le due tendenze.
Condannò la tattica del putsch e le grida all'assalto, poiché
tutti vedevano chiaramente, oppure avrebbero dovuto vedere, che l'azione aperta
delle masse era un compito del domani. Condannò il codismo e formulò
nettamente persino la parola d'ordine dell'insurrezione armata di tutto il
popolo, non nel senso di un appello diretto (il signor Struve fra i nostri
appelli di quell'epoca non ne avrebbe trovato uno che chiamasse alla «
sommossa »), ma come una conclusione necessaria, come una « propaganda
» (di cui il signor Struve si è ricordato soltanto ora; arriva
sempre con un ritardo di qualche anno, il nostro egregio signor Struve!),
nel senso della preparazione di quelle stesse condizioni « sociali e
psicologiche » di cui i rappresentanti della smarrita borghesia mercanteggiatrice
parlano oggi « con malinconia e a sproposito ». Allora la situazione
obiettiva poneva realmente in primo piano la propaganda e l'agitazione, l'agitazione
e la propaganda. Allora il lavoro per creare un giornale politico per tutta
la Russia, la cui pubblicazione settimanale sembrava un ideale, poteva essere
presentato (e così lo presentava Che fare?) come il fulcro della preparazione
dell'insurrezione. Allora le parole d'ordine: agitazione di massa invece di
azioni armate immediate, preparazione delle condizioni sociali e psicologiche
necessarie per l'insurrezione invece della tattica del putsch erano le uniche
parole d'ordine giuste che la socialdemocrazia rivoluzionaria poteva avanzare.
Queste parole d'ordine sono oggi sorpassate dagli avvenimenti, il movimento
è andato avanti, esse sono diventate del ciarpame, degli stracci, buoni
soltanto per coprire l'ipocrisia dell'Osvobozdenie e il codismo della nuova
Iskra!
O forse sbaglio? Forse la rivoluzione non è ancora cominciata? L'ora
dell'azione politica aperta delle classi non è ancora venuta? La guerra
civile non c'è ancora, e la critica delle armi non deve forse già
ora diventare il necessario, indispensabile successore, erede, esecutore testamentario,
dell'arma della critica, non ne deve coronare l'opera?
Guardatevi in giro, affacciatevi alla finestra del vostro studio per rispondere
a queste domande. Il governo non ha esso stesso cominciato la guerra civile
sparando dappertutto su masse di cittadini pacifici e inermi? Forse che i
centoneri armati non agiscono come « argomento » dell'autocrazia?
La borghesia — persino la borghesia — non ha forse riconosciuto
la necessità di una milizia civile? Il signor Struve, il signor Struve
stesso, di un ordine e di una moderazione ideale, non dice forse (ahimè,
lo dice solo per dire qualcosa!) che « il carattere aperto delle azioni
rivoluzionarie » (vedete come siamo adesso!) «è oggi una
delle condizioni più importanti per esercitare un'influenza educatrice
sulle masse popolari»?
Chi ha occhi per vedere non può avere dubbi sul modo in cui la questione
dell'insurrezione armata deve essere oggi posta dai fautori della rivoluzione.
Vediamo dunque i tre modi in cui la questione viene posta dagli organi della
stampa libera più o meno capaci di influenzare le masse.
Primo modo. La risoluzione del III Congresso del Partito operaio socialdemocratico
russo * - * ecco il testo in extenso:
« Considerando.
1) che il proletariato, essendo per la sua situazione la classe più
avanzata e l'unica classe rivoluzionaria conseguente, è per ciò
stesso chiamato ad avere una funzione dirigente nel movimento generale democratico
rivoluzionario in Russia;
2) che questo movimento ha già oggi portato alla necessità di
un'insurrezione armata;
3) che la partecipazione del proletariato sarà inevitabilmente la più
energica e determinerà le sorti della rivoluzione in Russia;
4) che il proletariato può avere una funzione dirigente in questa rivoluzione
soltanto se raggruppato in una forza politica unica e indipendente, sotto
la bandiera del Partito operaio socialdemocratico, che lo guida nella sua
lotta, non soltanto dal punto di vista ideologico, ma anche dal punto di vista
pratico;
5) che soltanto se il proletariato adempierà questa funzione può
garantirsi le condizioni più vantaggiose nella lotta per il socialismo
contro le classi abbienti della Russia democratica borghese,
il III Congresso del POSDR riconosce che il compito di organizzare il proletariato
per la lotta diretta contro l'autocrazia mediante l'insurrezione armata è,
nell'attuale momento rivoluzionario, uno dei compiti più importanti
e più urgenti del partito.
Il congresso incarica quindi tutte le organizzazioni del partito:
a) di spiegare al proletariato, con la propaganda e l'agitazione, non soltanto
il significato politico della imminente insurrezione armata, ma anche i suoi
aspetti organizzativi e pratici;
b) di spiegare con questa propaganda e agitazione la funzione degli scioperi
politici di massa, che possono avere una grande importanza all'inizio o nel
corso stesso dell'insurrezione;
c) di prendere i provvedimenti più energici per armare il proletariato
ed elaborare il piano dell'insurrezione armata e della direzione immediata
di quest'ultima, creando all'occorrenza, secondo i bisogni, gruppi particolari
di militanti del partito [Nota dell'autore all'edizione del 1907].-
È stato riconosciuto e proclamato a gran voce che il movimento rivoluzionario
democratico generale ha già condotto alla necessità di un'insurrezione
armata. L'organizzazione del proletariato per l'insurrezione è stata
messa all'ordine del giorno come uno dei compiti principali, essenziali e
necessari per il partito. Le misure più energiche saranno prese per
armare il proletariato e garantire la possibilità della direzione immediata
dell'insurrezione.
Secondo modo. La dichiarazione di principio, fatta nell'Osvobozdenie dal «capo
dei costituzionalisti russi» (così la Frankfurter Zeitung, organo
molto influente della borghesia dell'Europa occidentale, ha chiamato or non
è molto il signor Struve), oppure capo della borghesia progressiva
russa. Egli non condivide l'idea che l'insurrezione è inevitabile.
Il lavoro clandestino e la sommossa sono metodi specifici di un rivoluzionarismo
irragionevole. Il repubblicanismo è un metodo che serve a stordire.
L'insurrezione armata non è in realtà che una questione tecnica,
mentre la propaganda di massa e la preparazione delle condizioni sociali e
psicologiche è «la cosa più importante, più necessaria
».
Terzo modo. La risoluzione della conferenza neoiskrista. Il nostro compito
è di preparare l'insurrezione. La possibilità di un'insurrezione
secondo un piano è esclusa. Le condizioni favorevoli all'insurrezione
sono create dalla disorganizzazione del governo, dalla nostra propaganda,
dalla nostra organizzazione. Solo allora i « preparativi tecnici della
battaglia possono acquistare un'importanza più o meno seria ».
Ed è tutto? È tutto. L'insurrezione è diventata necessaria?
I dirigenti neoiskristi del proletariato non lo sanno ancora. Organizzare
il proletariato per una lotta immediata è un compito improrogabile?
Per essi ciò non è ancora chiaro. Nessun bisogno di invitare
a prendere le misure più energiche; molto piú importante (nel
1905 e non nel 1902) è spiegare a grandi linee le condizioni in cui
queste misure « possono » acquistare un significato « più
o meno serio »...
Lo vedete ora, compagni neoiskristi, dove vi ha condotto il vostro voltafaccia
verbo il martynovismo? Capite che la vostra filosofia politica non è
che una nuova edizione di quella dell'Osvobozdenie? Che vi trovate (vostro
malgrado, inconsciamente) a rimorchio della borghesia monarchica? Capirete
ora che, ripetendo cose vecchie e perfezionandovi nella casistica, avete perso
di vista che — per usare i termini indimenticabili dell'indimenticabile
articolo di Piotr Struve — « il carattere aperto delle azioni
rivoluzionarie è oggi una delle condizioni più importanti per
esercitare un'influenza educatrice sulle masse popolari »?
9. CHE COSA VUOL DIRE ESSERE UN PARTITO DI
ESTREMA OPPOSIZIONE DURANTE LA RIVOLUZIONE?
Ritorniamo alla risoluzione sul governo provvisorio. Abbiamo dimostrato che
la tattica dei neoiskristi non fa avanzare la rivoluzione — come essi
avrebbero voluto ottenere con la loro risoluzione —, ma la fa retrocedere.
Abbiamo dimostrato che appunto questa tattica lega le mani alla socialdemocrazia
nella lotta contro la borghesia inconseguente e non le impedisce di dissolversi
nella democrazia borghese. È comprensibile che dalle false premesse
della risoluzione debba scaturire una conclusione falsa: « La socialdemocrazia
non deve quindi porsi lo scopo di impadronirsi del potere o di condividerlo
in un governo provvisorio, ma deve rimanere il partito di estrema opposizione
rivoluzionaria ». Osservate la prima metà di questa conclusione,
riferentesi agli scopi da raggiungere. Pongono i neoiskristi all'attività
della socialdemocrazia lo scopo della vittoria decisiva della rivoluzione
sullo zarismo? Si, lo pongono. Essi non sanno formulare in termini giusti
le condizioni della vittoria decisiva, cadono nella formula degli osvobozdentsy,
ma questo scopo se lo pongono. In seguito: associano essi l'idea del governo
provvisorio con l'insurrezione? Si, la associano in modo diretto, dichiarando
che il governo provvisorio « è il risultato dell'insurrezione
popolare vittoriosa ». Infine, si pongono essi lo scopo di dirigere
l'insurrezione? Sì; come il signor Struve, essi evitano di riconoscere
la necessità e l'urgenza dell'insurrezione, ma al tempo stesso dichiarano,
a differenza del signor Struve, che « la socialdemocrazia tende a sottoporla
[l'insurrezione] alla sua influenza e alla sua direzione e ad utilizzarla
nell'interesse della classe operaia ».
Come tutto ciò è logico, non è vero? Ci poniamo lo scopo
di sottoporre l'insurrezione delle masse proletarie e non proletarie alla
nostra influenza, alla nostra direzione, e di utilizzarla nei nostri interessi.
Ci poniamo, dunque, lo scopo di dirigere, durante l'insurrezione, sia il proletariato
che la borghesia rivoluzionaria e la piccola borghesia (« gruppi non
proletari »), vale a dire di « dividere » la direzione dell'insurrezione
tra la socialdemocrazia e la borghesia rivoluzionaria. Ci poniamo come scopo
la vittoria dell'insurrezione, vittoria che deve condurre alla costituzione
di un governo provvisorio (« risultato dell'insurrezione popolare vittoriosa
»). Quindi... quindi non dobbiamo porci lo scopo di impadronirci del
potere o di condividerlo in un governo rivoluzionario provvisorio!!
I nostri amici non riescono in nessun modo a venirne a capo. Essi oscillano
tra il punto di vista del signor Struve, che evita di parlare dell'insurrezione,
e quello della socialdemocrazia rivoluzionaria, che invita a mettere mano
a questo compito immediato. Essi oscillano tra l'anarchismo, che condanna
per principio, come un tradimento verso il proletariato, ogni partecipazione
al governo rivoluzionario provvisorio, e il marxismo, che esige questa partecipazione,
a condizione che la socialdemocrazia eserciti un'influenza predominante sull'insurrezione
* - * cfr. il Proletari, n. 3, Il governo rivoluzionario provvisorio, secondo
articolo15 -.
Essi non hanno nessuna posizione indipendente: né quella del signor
Struve, che augura un compromesso con lo zarismo, e deve quindi sfuggire e
sguisciare quando si tratta dell'insurrezione; né quella degli anarchici,
che condannano qualsiasi azione « dall'alto » e qualsiasi partecipazione
alla rivoluzione borghese. I neoiskristi confondono la transazione con lo
zarismo e la vittoria sullo zarismo. Vogliono partecipare alla rivoluzione
borghese. Sono andati un po' più avanti delle Due dittature di Martynov.
Acconsentono persino a dirigere l'insurrezione del popolo, per poi rinunziare
a questa direzione subito dopo la vittoria (oppure, forse, immediatamente
prima della vittoria?), cioè in modo da non usufruire dei frutti della
vittoria, e da lasciarli tutti, per intiero, alla borghesia. È ciò
che essi chiamano : « utilizzare l'insurrezione negli interessi della
classe operaia »...
Non vi è alcun bisogno di soffermarci più a lungo su questo
pasticcio. Sarà più utile ricercarne l'origine nella formula
che dice: « rimanere il partito di estrema opposizione rivoluzionaria
»...
Ci troviamo di fronte a una delle note tesi della socialdemocrazia internazionale
rivoluzionaria. È una tesi perfettamente giusta. Essa è diventata
un luogo comune per tutti gli avversari del revisionismo o dell'opportunismo
nei paesi parlamentari. Ha acquistato il diritto di cittadinanza, quale risposta
legittima e necessaria al « cretinismo parlamentare », al millerandismo,
al bernsteinismo, al riformismo italiano nello spirito di Turati. I nostri
bravi neoiskristi hanno imparato a memoria questa tesi meravigliosa e la applicano
con uno zelo… assolutamente fuor di proposito. Essi introducono le categorie
della lotta parlamentare in risoluzioni redatte per condizioni in cui non
vi è nessun parlamento. La nozione di «opposizione» —
espressione e riflesso di una situazione politica nella quale nessuno parla
seriamente dell'insurrezione — viene assurdamente applicata a una situazione
nella quale l'insurrezione è cominciata e in cui tutti i fautori della
rivoluzione pensano alla direzione dell'insurrezione, e ne parlano. Il desiderio
di « rimanere » al punto di prima, di limitarsi cioè all'azione
« dal basso », è espresso con pompa e fracasso nel momento
stesso in cui la rivoluzione pone il problema della necessità, se l'insurrezione
sarà vittoriosa, di agire dall'alto.
No, i nostri neoiskristi non hanno decisamente fortuna! Persino quando enunciano
una tesi socialdemocratica giusta, non la sanno applicare in modo giusto.
Essi non hanno pensato che le nozioni e i termini della lotta parlamentare
mutano e si trasformano nei loro contrari quando la rivoluzione è cominciata
e non esiste il parlamento, quando c'è la guerra civile, quando avvengono
esplosioni insurrezionali. Non hanno pensato che, in determinate condizioni,
gli emendamenti vengono proposti mediante le manifestazioni di strada, le
interpellanze vengono fatte mediante l'offensiva dei cittadini armati, l'opposizione
al governo si realizza mediante l'abbattimento violento del governo.
Simili al noto eroe dei nostri racconti popolari, che ripeteva i buoni consigli
proprio nel momento in cui erano meno opportuni, i nostri ammiratori di Martynov
ripetono gli insegnamenti del pacifico parlamentarismo nel momento in cui
essi stessi costatano l'inizio di vere e proprie operazioni militari. Nulla
è più ridicolo che questo modo di enunciare con aria di importanza
la parola d'ordine « estrema opposizione » in una risoluzione
che comincia col parlare della « vittoria decisiva della rivoluzione
» e dell'« insurrezione popolare »!
Ma riflettete dunque, signori: che cosa vuol dire essere l’« estrema
opposizione » in un'epoca insurrezionale? Vuol dire accusare il governo
o abbatterlo? Vuol dire votare contro il governo o sconfiggere le sue forze
militari in una battaglia aperta? Vuol dire rifiutargli i crediti o impadronirsi
con mezzi rivoluzionari del Tesoro per soddisfare coi suoi fondi i bisogni
dell'insurrezione, per armare gli operai e i contadini, per convocare l'Assemblea
costituente? Non cominciate dunque a comprendere, signori, che il concetto
di « estrema opposizione » esprime unicamente azioni negative:
accusare, votare contro, rifiutare? E perché? Perché in questo
concetto è compresa soltanto la lotta parlamentare e, per di più,
in un'epoca in cui nessuno si pone come scopo immediato della lotta la «
vittoria decisiva ». Non incominciate dunque a comprendere che sotto
questo rapporto tutto cambia in modo radicale dal momento in cui il popolo
politicamente oppresso passa risolutamente all'offensiva su tutta la linea,
in una strenua lotta per la vittoria ?
Gli operai ci chiedono: bisogna mettersi energicamente all'opera, a quest'opera
urgente che è l'insurrezione? Come fare perché l'insurrezione
cominciata sia vittoriosa? Come utilizzare la vittoria? Quale programma si
potrà e si dovrà allora realizzare? Gli approfonditori del marxismo,
i neoiskristi, rispondono: rimanere il partito di estrema opposizione rivoluzionaria...
Ebbene, non avevamo forse ragione di chiamare questi paladini dei virtuosi
del filisteismo?
10. LE « COMUNI RIVOLUZIONARIE »
E LA DITTATURA DEMOCRATICA RIVOLUZIONARIA
DEL PROLETARIATO E DEI CONTADINI
La conferenza dei neoiskristi non si è mantenuta sulla posizione anarchica
alla quale era giunta la nuova Iskra (esclusivamente « dal basso »
e non « dal basso e dall'alto »). Ammettere l'insurrezione e non
ammettere la sua vittoria e la partecipazione al governo rivoluzionario provvisorio
: l'assurdità era troppo evidente. La risoluzione della conferenza
ha quindi introdotto delle clausole e delle restrizioni nella soluzione del
problema proposta da Martynov e da Martov. Esaminiamo queste clausole esposte
nella parte seguente della risoluzione :
« Questa tattica [« rimanere il partito di estrema opposizione
rivoluzionaria »] naturalmente non esclude affatto l'opportunità
di una presa parziale, episodica del potere e la formazione di comuni rivoluzionarie
in questa o quella città, in questa o quella regione, unicamente per
contribuire all'estendersi dell'insurrezione e alla disorganizzazione del
governo ».
Se è così, vuol dire che in via di principio, vengono ammesse
azioni non soltanto dal basso, ma anche dall'alto. Vuol dire che la tesi esposta
da L. Martov nel suo noto articolo pubblicato nell'Iskra (n. 93) viene respinta
e per contro viene accettata come giusta la tattica del giornale Vperiod:
non soltanto « dal basso », ma anche « dall'alto ».
Inoltre, la presa del potere (anche se parziale, episodica, ecc.) presuppone,
evidentemente, la partecipazione non solo della socialdemocrazia e non solo
del proletariato, perché il proletariato non è l'unico interessato
alla rivoluzione democratica e non è il solo a parteciparvi attivamente,
perché l'insurrezione è « popolare », come è
detto all'inizio della risoluzione che stiamo esaminando, perché anche
« gruppi non proletari » (espressione della risoluzione dei conferenti
sull'insurrezione) — cioè anche la borghesia — vi partecipano.
Dunque, il principio secondo cui qualsiasi partecipazione dei socialisti al
governo rivoluzionario provvisorio, insieme con la piccola borghesia, è
un tradimento verso la classe operaia, è gettato a mare dalla conferenza,
come voleva il Vperiod. Un « tradimento » non cessa di essere
tradimento perché l'atto che lo costituisce è parziale, episodico,
regionale, ecc. L'identificazione della partecipazione al governo rivoluzionarlo
provvisorio con il volgare jauressismo è così gettata a mare
dalla conferenza, come voleva il Vperlod 16. Un governo non cessa di essere
un governo perché il suo potere, invece di estendersi a numerose città,
si limita a una sola città, perché invece di estendersi a numerose
regioni si limita a una sola regione, perché ha un nome piuttosto che
un altro. L'impostazione teorica della questione, che la nuova Iskra ha tentato
di dare, è stata quindi abbandonata dalla conferenza.
Vediamo se le restrizioni da essa poste alla formazione — oggi ammessa
in via di principio — di governi rivoluzionari e alla partecipazione
a questi governi sono razionali. In che cosa la nozione di « episodico
» differisca dalla nozione di « provvisorio », non lo sappiamo.
Temiamo che la parola straniera e «nuova» serva unicamente a mascherare
l'assenza di un'idea chiara. Ciò sembra « più profondo
», ma effettivamente non è che più oscuro e più
confuso. In che cosa l'« opportunità » della « presa
del potere » parziale, in una città o in una regione, differisce
da quella della partecipazione al governo rivoluzionario provvisorio di tutto
lo Stato? Non vi è forse tra le «città» una città
come Pietroburgo, nella quale avvennero fatti come quelli del 9 gennaio? Non
vi è forse tra le regioni una regione come il Caucaso, che è
più grande di molti Stati? I compiti (che una volta turbavano la nuova
Iskra) — che fare delle prigioni, della polizia, del Tesoro, ecc. ecc.
— non sorgeranno forse di fronte a noi con la «presa del potere
» anche in una sola città, e tanto più in una regione?
Nessuno vorrà negare, certamente, che se le forze non saranno sufficienti,
se il successo dell'insurrezione non sarà completo, se la vittoria
non sarà decisiva, saranno possibili dei governi rivoluzionari provvisori
parziali, in singole città, ecc. Ma che c'entra tutto questo, signori
? Non siete proprio voi che parlate, all'inizio della vostra risoluzione,
della « vittoria decisiva della rivoluzione », della « insurrezione
popolare vittoriosa »? ? Da quando in qua i socialdemocratici si assumono
il compito degli anarchici: disperdere l'attenzione e sminuzzare gli scopi
del proletariato? Orientarlo verso ciò che è « particolare
», e non generale, unico, organico e completo? Presupponendo la «
presa del potere » in una città, voi stessi parlate di «
estendere l'insurrezione », anche ad un'altra città, osiamo credere,
a tutte le città, possiamo sperare. Le vostre conclusioni, signori,
sono incerte e casuali, contraddittorie e confuse come le vostre premesse.
Il III Congresso del POSDR ha dato una risposta chiara ed esauriente al problema
del governo rivoluzionario provvisorio in generale. Questa risposta vale anche
per tutti i governi provvisori parziali. La risposta della conferenza mette
invece artificiosamente e arbitrariamente in rilievo una parte del problema
e cerca di evitare, senza riuscirvi, il problema nel suo insieme, seminando
così la confusione.
Che cosa vuol dire « comuni rivoluzionarie »? Differisce questa
nozione da quella di « governo rivoluzionario provvisorio », e
se sì, in che cosa? I signori conferenti lo ignorano essi stessi. L'idea
confusa che essi hanno della rivoluzione li porta, come spesso accade, alla
vuota frase rivoluzionaria. Sì, il termine « comune rivoluzionaria
», adoperato in una risoluzione di rappresentanti della socialdemocrazia,
è una frase rivoluzionaria e nulla più. Marx ha più volte
criticato frasi di tal genere, in cui termini « affascinanti »,
appartenenti ad un passato che non si ripeterà, nascondono i compiti
dell'avvenire. Il fascino di un termine che ha avuto la sua funzione storica
si trasforma in simili casi in orpello vuoto e nocivo, in un gingillo. Dobbiamo
far comprendere, in modo chiaro e non ambiguo, agli operai e a tutto il popolo
perché vogliamo instaurare un governo rivoluzionario provvisorio e
quali sono precisamente le trasformazioni che realizzeremo se l'insurrezione
popolare già iniziata sarà vittoriosa, se eserciteremo sul potere
un'influenza decisiva all'indomani stesso della vittoria. Ecco le questioni
che si pongono ai dirigenti politici.
Il III Congresso del POSDR risponde a queste questioni con piena chiarezza,
dando il programma completo di queste trasformazioni : il programma minimo
del nostro partito. La parola « comune », invece, non dà
nessuna risposta; confonde unicamente i cervelli con un suono lontano o...
vuoto. Più ci è cara, mettiamo, la Comune di Parigi del 1871,
meno ci è permesso citarla con leggerezza, senza esaminare i suoi errori
e le condizioni particolari in cui si svolse. Il farlo significherebbe seguire
l'esempio assurdo dei blanquisti derisi da Engels, che si genuflettevano (nel
loro «manifesto» del 1874) davanti ad ogni atto della Comune 17.
Che cosa dirà il conferente all'operaio che gli domanderà che
cos'è questa « comune rivoluzionaria » menzionata nella
risoluzione? Potrà dirgli soltanto che sotto questo nome la storia
conosce un governo operaio che allora non sapeva e non poteva distinguere
gli elementi della rivoluzione democratica da quelli della rivoluzione socialista,
che confondeva i compiti della lotta per la repubblica con i compiti della
lotta per il socialismo, che non seppe risolvere un importante problema, quello
di un'offensiva militare energica contro Versailles, che commise l'errore
di non impadronirsi della Banca di Francia, ecc. In una parola, se voi citate
nella vostra risposta la Comune di Parigi o un'altra qualsiasi, dovrete rispondere:
fu un governo come il nostro non deve essere. Buona risposta, non c'è
che dire! Passando sotto silenzio il programma pratico del partito e dando
a sproposito lezioni di storia in una risoluzione, non si dà forse
prova di pedanteria scolastica e d'impotenza rivoluzionaria? Non rivela forse
ciò precisamente l'errore che si è tentato invano di attribuirci
e che consiste nel confondere la rivoluzione democratica e la rivoluzione
socialista, tra le quali nessuna « comune » è mai riuscita
a fare una distinzione?
L'estendersi dell'insurrezione e la disorganizzazione del governo sono rappresentati
come gli « unici » scopi del governo provvisorio (chiamato tosi
a sproposito comune). Nel senso letterale il termine « unico »
elimina tutti gli altri scopi, ed è un rigurgito dell'assurda teoria
del « soltanto dal basso ». Con questa eliminazione si dà
una nuova prova di miopia e d'irriflessione. La « comune rivoluzionaria
», vale a dire il potere rivoluzionario, anche se instaurato in una
sola città, dovrà adempiere inevitabilmente (sia pur temporaneamente,
« parzialmente, episodicamente ») tutti i compiti di uno Stato,
e nascondere la testa sotto l'ala sarebbe qui il colmo dell'insensatezza.
Questo potere dovrà istituire per legge la giornata lavorativa di otto
ore, creare l'ispezione operaia nelle fabbriche, stabilire l'insegnamento
generale e gratuito, far eleggere i magistrati, costituire dei comitati contadini,
ecc., in una parola, dovrà immancabilmente realizzare tutta una serie
di riforme. Far rientrare queste riforme nel concetto « contribuire
all'estendersi dell'insurrezione » vorrebbe dire giocare con le parole
e aumentare scientemente la confusione dove ci vuole un'assoluta chiarezza.
La parte conclusiva della risoluzione dei neoiskristi non ci offre nuovo materiale
per criticare i principi dell'« economismo » risuscitato nel nostro
partito, ma illustra, sotto un aspetto alquanto diverso, ciò che è
stato detto più sopra.
Ecco questa parte:
«In un solo caso la socialdemocrazia dovrebbe, di sua iniziativa, orientare
i propri sforzi verso la presa del potere e mantenerlo il più a lungo
possibile; nel caso, appunto, che la rivoluzione si estendesse ai paesi avanzati
dell'Europa occidentale, nei quali le condizioni necessarie alla realizzazione
del socialismo sono giunte ad una certa [?] maturità. In questo caso
il limitato quadro storico della rivoluzione russa potrebbe trovarsi considerevolmente
ampliato, e sarebbe possibile imboccare la via delle trasformazioni socialiste.
« Intendendo con la sua tattica di mantenere il partito socialdemocratico,
durante tutto il periodo rivoluzionario, nella posizione di partito di estrema
opposizione rivoluzionaria nei confronti di tutti i governi che si seguiranno
nel corso della rivoluzione, la socialdemocrazia può prepararsi nel
modo migliore anche a utilizzare il potere, se quest'ultimo cadrà [
? ? ] nelle sue mani ».
L'idea principale è qui quella enunciata più volte dal Vperiod,
il quale affermava che non dobbiamo temere (come Martynov teme) la vittoria
completa della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica, cioè
la dittatura democratica rivoluzionaria del proletariato e dei contadini,
poiché questa vittoria ci permetterà di sollevare l'Europa;
e il proletariato socialista europeo, dopo aver abbattuto i1 giogo della borghesia,
ci aiuterà a sua volta a fare la rivoluzione socialista. Ma guardate
come questo pensiero è peggiorato nell'esposizione dei neoiskristi!
Non ci soffermeremo sui particolari: sull'idea assurda che il potere possa
« cadere » nelle mani di un partito cosciente che considera la
presa del potere come una tattica nociva; sul fatto che in Europa le condizioni
necessarie al socialismo hanno raggiunto non solo una certa maturità,
ma la maturità in generale; sull'altro fatto che nel programma del
nostro partito non si menziona nessuna trasformazione socialista, ma soltanto
la rivoluzione socialista. Consideriamo la differenza essenziale, fondamentale,
tra il pensiero del Vperiod e quello della risoluzione. Il Vperiod assegnava
al proletariato rivoluzionario della Russia un compito attivo: vincere nella
lotta per la democrazia e approfittare di questa vittoria per estendere la
rivoluzione all'Europa. La risoluzione non comprende il nesso che esiste tra
la nostra « vittoria decisiva » (non nel senso della nuova Iskra)
e la rivoluzione in Europa, e parla quindi non dei compiti del proletariato,
delle prospettive della sua vittoria, ma di una sola possibilità in
generale: « nel caso che la rivoluzione si estendesse »... Il
Vperiod indicava in modo chiaro e preciso — e queste indicazioni sono
state incluse nella risoluzione del III Congresso del POSDR — in quale
modo precisamente si poteva e doveva « utilizzare il potere governativo
» nell'interesse del proletariato, tenendo conto di ciò che è
possibile realizzare immediatamente, nella fase attuale dello sviluppo sociale,
e di ciò che bisogna realizzare per prima cosa, come premessa democratica
della lotta per il socialismo. Anche qui la risoluzione si trascina disperatamente
alla coda, dicendo: « può prepararsi ad utilizzare », ma
non sa dire come può, come deve prepararsi e come dovrà utilizzare
il potere. Siamo certi, per esempio, che i neoiskristi « possono prepararsi
ad utilizzare » la situazione di dirigenti nell'interno del partito;
ma, invero, l'esperienza che sinora hanno fatto di questa utilizzazione e
la loro preparazione non danno molte speranze sulla trasformazione di questa
possibilità in realtà...
Il Vperiod ha detto in termini precisi in che cosa consiste precisamente la
« possibilità reale di mantenere il potere nelle proprie mani
»: nella dittatura democratica rivoluzionaria del proletariato e dei
contadini, nella loro forza come massa concorde, capace di vincere tutte le
forze della controrivoluzione, nell'inevitabile coincidenza dei loro interessi
quando si tratta di compiere trasformazioni democratiche. Anche qui la risoluzione
della conferenza non dà nulla di positivo; elude soltanto la questione.
Non si deve forse far dipendere la possibilità di mantenere il potere
in Russia dalla composizione delle forze sociali nella Russia stessa e dalle
condizioni in cui la rivoluzione democratica avviene oggi da noi? La vittoria
del proletariato in Europa (e dall'estendersi della rivoluzione in Europa
alla vittoria del proletariato vi è ancora una certa distanza) non
susciterà forse la lotta controrivoluzionaria spietata della borghesia
russa? La risoluzione dei neoiskristi non parla affatto di questa forza controrivoluzionaria,
l'importanza della quale è tenuta nel dovuto conto nella risoluzione
del III Congresso del POSDR. Se nella lotta per la repubblica e per la democrazia
non potessimo poggiare, oltre che sul proletariato, anche sui contadini, sarebbe
impossibile « mantenere il potere nelle proprie mani ». Ma se
non è impossibile, se la « vittoria decisiva sullo zarismo »
ci apre questa possibilità, dobbiamo dirlo ed invitare attivamente
a trasformare questa possibilità in realtà; dobbiamo lanciare
parole d'ordine pratiche, non soltanto nel caso che la rivoluzione si estenda
all'Europa, ma anche per farla estendere all'Europa. I codini della socialdemocrazia
si servono dell'argomento del « limitato quadro storico della rivoluzione
russa » unicamente per dissimulare una concezione limitata dei compiti
di questa rivoluzione democratica e della funzione di avanguardia del proletariato
in questa rivoluzione!
Una delle obiezioni contro la parola d'ordine: « dittatura democratica
rivoluzionaria del proletariato e dei contadini » è che la dittatura
presuppone un'« unica volontà » (Iskra, n. 95), mentre
il proletariato e la piccola borghesia non possono avere una volontà
unica. Questa obiezione è inconsistente, poiché è fondata
su una interpretazione astratta, « metafisica » del concetto di
« unica volontà ». La volontà può essere
unica su un dato problema e non esserlo su un altro. L'assenza di unità
nelle questioni del socialismo e nella lotta per il socialismo non esclude
l'unità di volontà nei problemi del democratismo e nella lotta
per la repubblica. Dimenticarlo vorrebbe dire dimenticare la differenza logica
e storica tra la rivoluzione democratica e la rivoluzione socialista. Dimenticarlo
vorrebbe dire dimenticare il carattere popolare della rivoluzione democratica:
se essa è « popolare » vuol dire che esiste un'«
unica volontà », nella misura appunto in cui questa rivoluzione
soddisfa i bisogni e le necessità di tutto il popolo. Al di là
dei limiti del democratismo non si può parlare di una volontà
unica del proletariato e della borghesia contadina. Tra di loro la lotta di
classe è inevitabile, ma sul terreno della repubblica democratica sarà
una lotta popolare, la più vasta e la più profonda, per il socialismo.
La dittatura democratica rivoluzionaria dei proletariato e dei contadini,
come tutto ciò che esiste nel mondo, ha un passato e un avvenire. Il
suo passato è l'autocrazia, la servitù della gleba, la monarchia,
il privilegio. Nella lotta contro questo passato, nella lotta contro la controrivoluzione,
è possibile « unire » le « volontà »
del proletariato e dei contadini, perché esiste tra loro un'unità
di interessi.
Il suo avvenire è la lotta contro la proprietà privata, è
la lotta del salariato contro il padrone, è la lotta per il socialismo.
In questo caso la volontà unica è impossibile * - * lo sviluppo
del capitalismo, ancor più ampio e rapido quando esiste la libertà,
porrà inevitabilmente termine a questa volontà unica: il che
accadrà tanto prima, quanto prima saranno schiacciate la controrivoluzione
e la reazione -.
Qui non abbiamo piú davanti a noi il cammino che va dall'autocrazia
alla repubblica, ma il cammino che va dalla repubblica democratica piccolo-borghese
al socialismo.
Certo, in una situazione storica concreta si intrecciano elementi del passato
ed elementi dell'avvenire; i due cammini si confondono. Il lavoro salariato
e la sua lotta contro la proprietà privata esistono anche sotto l'autocrazia;
nascono anche nel regime della servitù della gleba. Ma ciò non
ci impedisce affatto di separare, dal punto di vista logico e storico, le
grandi fasi di sviluppo. Non contrapponiamo noi tutti la rivoluzione borghese
alla rivoluzione socialista? Non insistiamo, senza riserve, sulla necessità
di distinguerle rigorosamente l'una dall'altra? E si può forse negare
che singoli elementi parziali dell'una e dell'altra si intreccino nella storia?
L'epoca delle rivoluzioni democratiche in Europa non ha forse conosciuto differenti
movimenti emtentativi socialisti? E la futura rivoluzione socialista in Europa
non avrà forse ancora molto e molto da fare per la democrazia?
Il socialdemocratico non deve dimenticare mai, nemmeno per un istante, che
la lotta di classe del proletariato per il socialismo, contro la borghesia
e contro la piccola borghesia, siano pure le più democratiche e repubblicane,
è inevitabile. Questo è indubbio. Da ciò discende la
necessità assoluta di un partito socialdemocratico distinto e indipendente,
rigorosamente classista. Da ciò discendono il carattere provvisorio
della nostra tesi, « combattere insieme » con la borghesia, l'obbligo
di sorvegliare da vicino l'« alleato come un nemico », ecc. Anche
tutto ciò non può far sorgere il minimo dubbio. Ma sarebbe cosa
ridicola e reazionaria dedurne che bisogna dimenticare, ignorare o disdegnare
i compiti che, anche se temporanei e provvisori, sono nel momento attuale
urgenti. La lotta contro l'autocrazia è per i socialisti un compito
temporaneo e provvisorio, ma voler ignorare questo compito o disdegnarlo vorrebbe
dire tradire il socialismo e servire la reazione. La dittatura democratica
rivoluzionaria del proletariato e dei contadini è indubbiamente, per
i socialisti, un compito temporaneo e provvisorio, ma voler ignorare questo
compito nell'epoca della rivoluzione democratica sarebbe cosa veramente reazionaria.
I compiti politici concreti debbono essere posti in un ambiente concreto.
Tutto è relativo, tutto passa, tutto si trasforma. La socialdemocrazia
tedesca non include nel suo programma la rivendicazione della repubblica.
In Germania la situazione è tale che questo problema potrebbe difficilmente
essere staccato nella pratica da quello del socialismo (benché nel
1891 Engels, nelle osservazioni sul progetto del programma di Erfurt 18, abbia
messo in guardia — anche nel confronti della Germania — contro
il pericolo di sottovalutare l'importanza della repubblica e della lotta per
la repubblica!). Nella socialdemocrazia russa il problema di eliminare dal
programma e dall'agitazione la rivendicazione della repubblica non è
nemmeno sorto, giacché da noi non si può nemmeno discutere dell'esistenza
di un legame indissolubile tra il problema della repubblica e quello del socialismo.
Il socialdemocratico tedesco del 1898, che non metteva in primo piano la questione
particolare della repubblica, era un fenomeno naturale che non suscitava meraviglia,
né meritava biasimo. Il socialdemocratico tedesco che nel 1848 avesse
lasciato nell'ombra la questione della repubblica sarebbe stato un vero traditore
della rivoluzione. La verità astratta non esiste. La verità
è sempre concreta.
Verrà un giorno in cui la lotta contro l'autocrazia russa avrà
termine e l'epoca della rivoluzione democratica sarà passata per la
Russia. Sarà allora ridicolo parlare di « volontà unica
» del proletariato e dei contadini, di dittatura democratica, ecc. Allora
penseremo direttamente alla dittatura socialista del proletariato. E ne parleremo
particolareggiatamente. Ma oggi il partito della classe di avanguardia non
può non tendere con la massima energia alla vittoria decisiva della
rivoluzione democratica sullo zarismo. E questa vittoria decisiva non è
altro che la dittatura democratica rivoluzionaria del proletariato e dei contadini.
Nota 19
1) Ricordiamo al lettore che nella polemica dell'Iskra contro il Vperiod la
prima si richiamava fra l'altro alla lettera di Engels a Turati, nella quale
Engels metteva in guardia il capo (futuro) dei riformisti italiani dal confondere
la rivoluzione democratica con la rivoluzione socialista 20. La rivoluzione
in Italia — scriveva Engels a proposito della situazione politica italiana
— sarà una rivoluzione piccolo-borghese, democratica, e non socialista.
L'Iskra accusava il Vperiod di essersi allontanato da un principio fissato
da Engels. L'accusa è ingiusta, poiché il Vperiod (n. 14) 21
in generale riconosceva pienamente che la teoria di Marx sulla distinzione
delle tre forze principali delle rivoluzioni del secolo XIX era giusta. Secondo
questa teo-ria contro il vecchio regime, l'autocrazia, il feudalesimo, la
servitù della gleba agiscono 1) la grande borghesia liberale; 2) la
piccola borghesia radicale; 3) il proletariato. La prima lotta soltanto per
una monarchia costituzionale; la seconda, per la repubblica democratica; il
terzo, per la rivoluzione socialista. Il socialista che confonde la lotta
piccolo-borghese per una rivoluzione democratica completa con la lotta proletaria
per la rivoluzione socialista corre il pericolo di fallire politicamente.
Questo ammonimento di Marx è del tutto giusto. Ma appunto per questo
la parola d'ordine delle « comuni rivoluzionarie » è errata:
le comuni che la storia conosce confondevano precisamente la rivoluzione democratica
con quella socialista. Invece la nostra parola d'ordine: dittatura democratica
rivoluzionaria del proletariato e dei contadini ci garantisce completamente
da questo errore. Riconoscendo il carattere assolutamente borghese della rivoluzione,
incapace di uscire immediatamente dal quadro di un rivolgimento puramente
democratico, la nostra parola d'ordine spinge avanti questo determinato rivolgimento,
cerca di fargli assumere le forme più vantaggiose per il proletariato
e, quindi, di utilizzarlo nella maggior misura possibile ai fini di un'ulteriore
lotta vittoriosa del proletariato per il socialismo.
11. RAPIDO CONFRONTO TRA ALCUNE RISOLUZIONI
DEL III CONGRESSO DEL POSDR
E DELLA « CONFERENZA »
La questione del governo rivoluzionario provvisorio, è, nel momento
attuale, al centro dei problemi tattici della socialdemocrazia. Non è
né possibile né opportuno soffermarsi così particolareggiatamente
sulle altre risoluzioni della conferenza. Ci limiteremo a parlare brevemente
di alcuni punti che confermano la differenza di principio, esaminata più
sopra, tra l'orientamento tattico delle risoluzioni del III Congresso del
POSDR e quello delle risoluzioni della conferenza.
Prendete la questione dell'atteggiamento verso la tattica del governo alla
vigilia della rivoluzione. Anche questa volta troverete una risposta esauriente
nella risoluzione del III Congresso del POSDR. Questa risoluzione tiene conto
di tutte le diverse condizioni e di tutti i diversi compiti di questo particolare
momento: denuncia dell'ipocrisia delle concessioni del governo, utilizzazione
delle « forme caricaturali di rappresentanza popolare », realizzazione
rivoluzionaria delle rivendicazioni urgenti della classe operaia (e innanzi
tutto della giornata lavorativa di otto ore), e infine resistenza ai centoneri.
Nelle risoluzioni della conferenza la questione è dispersa in parecchi
capitoli: la « resistenza alle oscure forze della reazione » è
menzionata soltanto nei « considerando » della risoluzione sull'atteggiamento
verso gli altri partiti. La partecipazione alle elezioni degli organismi rappresentativi
è esaminata separatamente dai « compromessi » dello zarismo
con la borghesia. Invece di fare appello all'applicazione, con mezzi rivoluzionari,
della giornata lavorativa di otto ore, una risoluzione apposita, dal titolo
sonoro: La lotta economica, non fa che ripetere (dopo parole altisonanti e
molto poco intelligenti « sul posto centrale che la questione operaia
ha nella vita sociale russa ») la vecchia parola d'ordine di agitazione
in favore di una « legge sulla istituzione della giornata lavorativa
di otto ore ». E' così evidente che nel momento attuale essa
è insufficiente, non basta piú, che è inutile dimostrarlo.
La questione dell'azione politica aperta. Il III Congresso si rende conto
che si dovrà cambiare radicalmente la nostra attività. Non si
può trascurare in nessun modo l'attività clandestina e lo sviluppo
dell'apparato illegale del partito: si farebbe il giuoco della polizia, e
ciò sarebbe in sommo grado vantaggioso per il governo. Ma non si può
non pensare fin d'ora anche ad un'azione aperta. Bisogna preparare immediatamente
quest'azione in forme adatte, e quindi preparare a tal fine un apparato particolare,
meno clandestino. Bisogna utilizzare le associazioni legali e semilegali per
farne, nella misura del possibile, dei punti di appoggio del futuro Partito
operaio socialdemocratico legale in Russia.
Anche qui la conferenza spezzetta la questione senza dare nessuna parola d'ordine
organica. Salta specialmente agli occhi il ridicolo incarico, dato alla commissione
di organizzazione, di preoccuparsi di « piazzare » dei pubblicisti
legali. Una decisione veramente assurda è quella di « sottomettere
alla nostra influenza i giornali democratici che si propongono lo scopo di
venire in aiuto al movimento operaio ». Questo scopo se lo propongono
tutti i nostri giornali liberali legali, che nella loro stragrande maggioranza
appartengono alla tendenza degli osvobozdentsy. Ma perché dunque l'Iskra
non comincia essa stessa a seguire il proprio consiglio e non ci mostra con
l'esempio come bisogna sottomettere l'Osvobozdenie all'influenza socialdemocratica?
Invece della parola d'ordine: utilizzare le associazioni legali per farne
dei punti di appoggio del partito, ci si dà dapprima un consiglio particolare
sulle associazioni prettamente « professionali » (partecipazione
obbligatoria dei membri del partito), e, in secondo luogo, il consiglio di
dirigere le « organizzazioni rivoluzionarie degli operai » = «
organizzazioni non cristallizzate » = « club operai rivoluzionari
». Come mai i « club » si trovano classificati tra le organizzazioni
non cristallizzate? Che cosa sono questi « club » ? Lo sa Allah!
Invece che a direttive chiare e precise, emanate dall'organo supremo del partito,
ci si trova di fronte ad abbozzi di idee, a brutte copie di note, buttate
giù da letterati. Non abbiamo nessun quadro d'insieme da cui risulti
che il partito incomincia a impostare tutta la sua attività su una
base assolutamente diversa.
Il congresso del partito e la conferenza impostano in modo radicalmente diverso
la « questione contadina ». Il congresso ha elaborato una risoluzione
« sull'atteggiamento verso il movimento contadino »; la conferenza,
« sul lavoro tra i contadini ». Nel primo caso è posto
in primo piano il problema: come dirigere tutto questo vasto movimento democratico
e rivoluzionario nell'interesse, comune a tutta la nazione, della lotta contro
lo zarismo. Nell'altro caso non si tratta che di « lavorare »
in un determinato strato della popolazione. Nel primo caso si enuncia la parola
d'ordine pratica centrale dell'agitazione: organizzazione immediata di comitati
contadini rivoluzionari per l'applicazione di tutte le trasformazioni democratiche.
Nell'altro la « rivendicazione della costituzione di comitati »
deve essere posta all'Assemblea costituente. Ma perché dobbiamo assolutamente
attendere quest'Assemblea costituente? Diventerà essa realmente costituente?
Sarà essa duratura se non si costituiranno prima in tutto il paese
i comitati contadini rivoluzionari? Tutti questi problemi sono sfuggiti alla
conferenza. In tutte le sue decisioni si riflette infatti l’idea generale
di cui abbiamo seguito lo sviluppo: nella rivoluzione borghese dovremmo fare
soltanto il nostro lavoro particolare, senza proporci di dirigere il movimento
democratico nel suo insieme, né di assumerne da soli la direzione.
Come gli economisti giungevano costantemente alla formula: ai socialdemocratici
la lotta economica, ai liberali la lotta politica, così i neoiskristi,
in tutto il corso dei loro ragionamenti, giungono a questa formula: a noi
un posticino modesto, lontano dalla rivoluzione borghese, alla borghesia la
realizzazione attiva di questa rivoluzione.
Non si può, infine, passare sotto silenzio nemmeno la risoluzione sull'atteggiamento
verso gli altri partiti. La risoluzione del III Congresso del POSDR parla
della necessità di smascherare qualsiasi genere di ristrettezza, di
limitatezza del movimento di liberazione borghese, senza avere l'ingenua pretesa
di enumerare, da un congresso all'altro, tutte le manifestazioni possibili
di questa ristrettezza e di stabilire una linea di demarcazione tra i buoni
e i cattivi borghesi. La conferenza, ripetendo l'errore di Starover, si ostina
a cercare questa linea e sviluppa la famosa teoria della « carta di
tornasole ». Starover partiva da un'idea molto buona : porre alla borghesia
condizioni più rigide. Aveva dimenticato soltanto una cosa: che qualsiasi
tentativo di differenziare anticipatamente i democratici borghesi i quali
meritano l'approvazione, l'intesa, ecc., da quelli che non le meritano conduce
a una « formula » che il corso degli avvenimenti getta subito
a mare e che apporta la confusione nella coscienza proletaria di classe. Il
centro di gravità passa dall'unione reale nella lotta alle dichiarazioni,
promesse e parole d'ordine. Starover riteneva che il « suffragio universale,
eguale, diretto e a scrutinio segreto » fosse la parola d'ordine fondamentale.
Non passarono nemmeno due anni, e la « carta di tornasole » si
dimostrò inefficace: gli osvobozdentsy fecero propria la parola d'ordine
del suffragio universale, e non solo non si avvicinarono alla socialdemocrazia,
ma al contrario si sforzarono, mediante questa parola d'ordine, di indurre
in errore gli operai e di distoglierli dal socialismo.
I neoiskristi pongono oggi « condizioni » ancor più «
rigide », « esigono » dai nemici dello zarismo « un
appoggio energico e non ambiguo [! ?] di qualsiasi azione decisiva del proletariato
organizzato », ecc., compresa la « partecipazione attiva all'autoarmamento
del popolo ». La linea di demarcazione è stata sensibilmente
spostata, eppure è di nuovo già invecchiata, è subito
apparso che non serviva a nulla. Perché manca, per esempio, la parola
d'ordine della repubblica? Come spiegare che i socialdemocratici « esigono
» dai democratici borghesi, nell'interesse « di una guerra rivoluzionaria
implacabile contro tutte le basi del regime monarchico e di casta »,
tutto ciò che si vuole all'infuori della lotta per la repubblica?
Che questa domanda non sia un cavillo, che l'errore dei neoiskristi sia d'una
importanza politica vitale, è ciò che attesta l'« Unione
per la liberazione della Russia » (cfr. Proletari n. 4 *) - * nel n.
4 del Proletari, apparso il 4 giugno 1905, era stato pubblicato un lungo articolo:
Una nuova Unione operaia rivoluzionaria 22. L'articolo riassume il contenuto
dell'appello lanciato da questa organizzazione, che aveva preso il nome di
« Unione per la liberazione della Russia » e si poneva il compito
di convocare l'Assemblea costituente mediante l'insurrezione armata. Quindi
l'articolo parla dell'atteggiamento che la socialdemocrazia deve avere verso
queste Unioni apartitiche. Ignoriamo assolutamente in che misura questa Unione
fosse reale e quale sia stata la sua sorte durante la rivoluzione [Nota dell'autore
all'edizione del 1907] -.
Questi « nemici dello zarismo » rispondono pienamente a tutte
le « esigenze » dei neoiskristi. Eppure abbiamo dimostrato che
lo spirito dell'Osvobozdenie regna nel programma (o nell'assenza di programma)
di questa « Unione » e che gli osvobozdentsy possono prenderla
facilmente a rimorchio. Alla fine della risoluzione la conferenza dichiara
tuttavia che « la socialdemocrazia combatterà, come nel passato,
contro i falsi amici del popolo, cioè contro tutti quei partiti politici,
i quali, sotto la bandiera liberale e democratica, si rifiutano di appoggiare
effettivamente la lotta rivoluzionaria del proletariato ». L'«
Unione per la liberazione della Russia » non soltanto non rifiuta, ma,
al contrario, propone calorosamente questo appoggio. È forse questa
una garanzia che i suoi capi, benché siano stati degli osvobozdentsy,
non siano dei « falsi amici del popolo »?
Voi vedete che, fabbricando in anticipo « condizioni » e presentando
« rivendicazioni », comiche per la loro terribile impotenza, i
neoiskristi si pongono di colpo in una situazione ridicola. Le loro condizioni
e le loro rivendicazioni appaiono insufficienti dall'istante in cui si tratta
di applicarle alla realtà viva. La loro corsa alle formule è
inutile, giacché con le sole formule non si riesce a cogliere tutte
le manifestazioni d'ipocrisia, d'incoerenza e di ristrettezza della democrazia
borghese. Non è della « carta di tornasole », né
delle forme, né delle rivendicazioni scritte e stampate, né
della delimitazione, stabilita a priori, tra gli « amici del popolo
» falsi e sinceri che si tratta, ma dell'unità reale della lotta,
della critica incessante alla quale i socialdemocratici debbono sottoporre
ogni passo « esitante » della democrazia borghese. Per «
raggruppare realmente tutte le forze sociali interessate alla trasformazione
democratica » non occorrono i « paragrafi » su cui la conferenza
ha lavorato così zelantemente e vanamente, ma la capacità di
lanciare parole d'ordine veramente rivoluzionarie. Occorrono parole d'ordine
che elevino al livello del proletariato la borghesia rivoluzionaria e repubblicana,
invece di abbassare i compiti del proletariato al livello della borghesia
monarchica. Si deve partecipare nel modo più energico all'insurrezione
e non ricorrere a pretesti casistici per sfuggire al compito impellente dell'insurrezione
armata.
12. LA RIVOLUZIONE DEMOCRATICA DIMINUIRA'
DI AMPIEZZA SE LA BORGHESIA
SE NE ALLONTANERA'?
Le righe precedenti erano già state scritte quando abbiamo ricevuto
le risoluzioni della Conferenza dei neoiskristi del Caucaso, pubblicate dall'Iskra.
Pour le bonne bouche (per un lieto fine) non avremmo potuto immaginare una
documentazione migliore.
La redazione dell'Iskra rileva giustamente: « Sul problema essenziale
della tattica la conferenza del Caucaso ha preso una decisione analoga»
(è la pura verità!) «a quella della conferenza di tutta
la Russia » (cioè neoiskrista)... « Il problema dell'atteggiamento
della socialdemocrazia verso il governo rivoluzionario provvisorio è
stato risolto dai compagni del Caucaso disapprovando pienamente il nuovo metodo
propagandato dal gruppo Vperiod e dai delegati del cosiddetto congresso che
vi hanno aderito ». « Bisogna riconoscere che la conferenza ha
dato una formulazione molto felice della tattica del partito proletario nella
rivoluzione borghese ».
Quel che è vero, è vero. Nessuno avrebbe potuto formulare in
modo più « felice » l'errore fondamentale dei neoiskristi.
Riproduciamo per intero questa formula, mettendo tra parentesi anzitutto i
fiori, e poi anche le frutta offerte alla fine.
Risoluzione della conferenza dei neoiskristi del Caucaso sul governo provvisorio:
« Ritenendo nostro compito utilizzare il momento rivoluzionario per
approfondire » (evidentemente, sarebbe stato bene aggiungere: approfondire
alla maniera di Martynov!) « la coscienza socialdemocratica del proletariato
» (soltanto per approfondire la coscienza e non per conquistare la repubblica?
Che «profonda» comprensione della rivoluzione!), « la conferenza,
allo scopo di garantire al partito la più completa libertà di
critica nei confronti del regime statale borghese in via di formazione »
(garantire la repubblica non è affar nostro! Garantire la libertà
di critica è la sola cosa che ci riguarda! Le idee anarchiche generano
anche un linguaggio anarchico: il regime « statale borghese »!),
« si pronunzia contro la costituzione di un governo provvisorio socialdemocratico
e contro la partecipazione a questo governo » (ricordatevi la risoluzione
bakunista citata da Engels, approvata dieci mesi prima della rivoluzione spagnuola:
cfr. Proletari, n. 3 "), « e ritiene che la cosa più razionale
sia esercitare una pressione dal di fuori » (dal basso e non dall'alto)
« sul governo provvisorio borghese per democratizzare nei limiti del
possibile [ ?! ] il regime statale. La conferenza ritiene che se i socialdemocratici
formassero un governo provvisorio o vi partecipassero, si avrebbe, da un lato,
il distacco dal partito socialdemocratico delle grandi masse del proletariato
da esso deluse, poiché la socialdemocrazia, nonostante la presa del
potere, non avrebbe la possibilità di soddisfare i bisogni impellenti
della classe operaia fino a quando non si fosse realizzato il socialismo »
(la repubblica non è un bisogno impellente! Nella loro innocenza gli
autori non si accorgono di usare un linguaggio puramente anarchico; parlano
come se negassero la partecipazione alle rivoluzioni borghesi!), e, «
dall'altro lato, le classi borghesi sarebbero costrette ad abbandonare la
causa della rivoluzione, la cui ampiezza verrebbe con ciò diminuita
».
Ecco dov'è il nocciolo della questione. Ecco dove le idee anarchiche
si intrecciano (come avviene sempre anche tra i bernsteiniani d'occidente)
col più puro opportunismo. Pensate dunque: non entrare nel governo
provvisorio perché la borghesia sarebbe costretta ad abbandonare la
causa della rivoluzione, la cui ampiezza verrebbe con ciò diminuita!
E qui già ci troviamo in presenza di tutta la filosofia neoiskrista,
nel suo aspetto puro e logico: giacché la rivoluzione è borghese,
dobbiamo inchinarci davanti alla banalità borghese e cederle il passo.
Se ci lasciamo guidare, non fosse che parzialmente, non fosse che per un solo
istante, dall'idea che la nostra partecipazione possa costringere la borghesia
ad abbandonare la rivoluzione, veniamo con ciò a cedere completamente
l'egemonia, nella rivoluzione, alle classi borghesi. Abbandoniamo completamente
il proletariato alla tutela della borghesia (riservandoci la nostra piena
« libertà di critica »!!), costringendo il proletariato
ad essere moderato e mite, perché la borghesia non si allontani. Castriamo
le esigenze più impellenti del proletariato, e precisamente le esigenze
politiche, che non sono mai state ben comprese dagli economisti e dai loro
epigoni; le castriamo perché la borghesia non si allontani. Passiamo
totalmente dal terreno della lotta rivoluzionaria per realizzare la democrazia,
nei limiti necessari al proletariato, al terreno del mercanteggiamento con
la borghesia, tradiamo i nostri principi, tradiamo la rivoluzione perché
la borghesia ci venda il suo libero consenso (« perché non si
allontani »).
In due brevi righe i neoiskristi del Caucaso hanno saputo esprimere tutta
la sostanza della tattica di tradimento della rivoluzione, di trasformazione
del proletariato in un miserabile tirapiedi delle classi borghesi. Ciò
che abbiamo dedotto più sopra dagli errori della nuova Iskra in quanto
tendenza, si erige ora davanti a noi come un principio chiaro e determinato:
a rimorchio della borghesia monarchica! Poiché la proclamazione della
repubblica costringerebbe (e costringe già; esempio: il signor Struve)
la borghesia ad allontanarsi, abbasso, dunque, la lotta per la repubblica.
Poiché ogni rivendicazione democratica del proletariato sostenuta energicamente
e fino in fondo costringe, sempre e ovunque, la borghesia ad allontanarsi,
nascondetevi dunque nelle vostre tane, compagni operai, agite soltanto dal
di fuori, non pensate ad utilizzare per la rivoluzione gli strumenti e i mezzi
del regime « statale borghese » e conservate la vostra «
libertà di critica ».
L'errore fondamentale nel modo stesso di comprendere il termine « rivoluzione
borghese » è qui venuto a galla. Il modo in cui Martynov o la
nuova Iskra «comprendono» questo termine conduce difilato al tradimento
e alla consegna della causa del proletariato nelle mani della borghesia.
Chi ha dimenticato il vecchio economismo, chi non lo studia o non lo ricorda,
ne comprende con difficoltà l'attuale rigurgito. Ricordatevi il Credo
24 bernsteiniano. Dalle concezioni e dai programmi « puramente proletari
» la gente deduceva: a noi, socialdemocratici, il problema economico,
la vera causa operaia, la libertà di criticare qualsiasi politicantismo,
il vero approfondimento del lavoro socialdemocratico. A loro, ai liberali,
la politica. Dio ci salvi dal cadere nel « rivoluzionarismo »:
ciò costringerebbe la borghesia ad allontanarsi! Chi rileggerà
il Credo o il supplemento al n. 9 della Rabociaia Mysl (settembre 1899) potrà
seguire tutto il corso di questo ragionamento.
Oggi il ragionamento è lo stesso, ma fatto su più ampia scala
ed applicato questa volta all'apprezzamento di tutta la «grande»
rivoluzione russa, resa, ahimè, banale e ridotta in anticipo a una
caricatura dai teorici del filisteismo ortodosso! A noi, socialdemocratici,
la libertà di critica, l'approfondimento della coscienza, l'azione
dal di fuori. A loro, alle classi borghesi, la libertà d'azione, un
campo libero per la direzione rivoluzionaria (si legga: liberale), la libertà
di fare « riforme » dall'alto.
Questi volgarizzatori del marxismo non hanno mai meditato sulle parole di
Marx circa la necessità di sostituire all'arme della critica la critica
delle armi'. Invocando invano il nome di Marx, in realtà essi redigono
delle risoluzioni tattiche assolutamente nello spirito dei chiacchieroni borghesi
di Francoforte, i quali criticavano liberamente l'assolutismo, approfondivano
la coscienza democratica senza capire che durante la rivoluzione si deve agire,
agire dall'alto e dal basso. Riducendo il marxismo a una vuota casistica,
essi hanno fatto dell'ideologia della classe rivoluzionaria d'avanguardia,
la più decisa e energica, l'ideologia dei suoi strati più arretrati,
che evitano i difficili compiti democratici e rivoluzionari e li riservano
ai signori Struve.
Se la socialdemocrazia entrerà nel governo rivoluzionario, le classi
borghesi abbandoneranno la causa della rivoluzione e la « sua ampiezza
ne sarà diminuita ».
Udite, operai russi: la rivoluzione avrà un'ampiezza maggiore se sarà
fatta — a meno che i socialdemocratici non li spaventino — dai
signori Struve, i quali non vogliono la vittoria sullo zarismo, ma una transazione
con esso. La rivoluzione avrà un'ampiezza maggiore se delle due soluzioni
possibili dai noi tracciate più sopra si realizzerà la prima,
cioè se la borghesia monarchica riuscirà a mettersi d'accordo
con l'autocrazia su una « Costituzione » alla Scipov!
I socialdemocratici che scrivono cose così vergognose in risoluzioni
destinate a servire di direttiva per tutto il partito, o che approvano quelle
« felici » risoluzioni, sono talmente accecati dal vacuo fraseggiare,
il quale ha svuotato il marxismo di tutto ciò che è vivo, che
non si avvedono come queste risoluzioni riducano a una vuota frase tutte le
altre loro giuste parole. Prendete un loro articolo qualsiasi nell'Iskra,
prendete persino il famoso opuscolo del nostro celebre Martynov, e vedrete
che vi si parla dell'insurrezione popolare, della necessità di condurre
a termine la rivoluzione, della tendenza ad appoggiarsi sugli strati più
bassi del popolo nella lotta contro la borghesia inconseguente. Ma tutte queste
belle cose si trasformano in una pietosa fraseologia dal momento in cui voi
accettate o approvate l'idea secondo cui l’« ampiezza della rivoluzione
» « diminuisce » se la borghesia se ne allontana. Una delle
due, signori: o dobbiamo cercare di fare la rivoluzione con il popolo e di
riportare la vittoria completa sullo zarismo, malgrado la borghesia inconseguente,
cupida e codarda; oppure non ammettiamo questo « malgrado », temiamo
che la borghesia « si allontani », e allora tradiamo il proletariato
e il popolo e li consegniamo alla borghesia, alla borghesia inconseguente,
cupida e codarda.
Non pensate di interpretare le mie parole a modo vostro. Non gridate che vi
si accusa di tradimento cosciente. No, voi, come i vecchi economisti —
che, attratti irresistibilmente e senza ritorno in basso, lungo la china dell'«
approfondimento » del marxismo, giunsero sino a farne del « filosofismo
» antirivoluzionario, senza anima e senza vita — siete inconsciamente
sempre più scivolati verso il pantano e ora eccovi affondati.
Da quali reali forze sociali dipende l'« ampiezza della rivoluzione
»? ci avete pensato, signori? Non occupiamoci per ora delle forze della
politica estera, delle combinazioni internazionali che hanno preso una piega
molto vantaggiosa per noi, ma che escludiamo tutte dal nostro esame, e a giusta
ragione, giacché quel che ci interessa sono le forze interne della
Russia. Esaminiamo queste forze sociali interne. Contro la rivoluzione si
ergono l'autocrazia, la Corte, la polizia, il corpo dei funzionari, l'esercito
e un pugno di aristocratici. Più l'indignazione nel popolo è
profonda, meno sicuro diventa l'esercito, più i funzionari esitano.
Proseguiamo. La borghesia nel suo complesso è oggi per la rivoluzione:
essa è prodiga di discorsi sulla libertà, parla sempre più
spesso in nome del popolo e persino in nome della rivoluzione * - * a questo
proposito è interessante la lettera aperta del signor Struve a Jaurès,
pubblicata recentemente da quest'ultimo nell'Humanité e dal signor
Struve nel n. 72 dell'Osvobozdenie -. Ma a noi marxisti la teoria insegna
— e l'osserviamo ogni giorno e ogni ora negli esempi fornitici dai nostri
liberali, zemtsy e osvobozdentsy — che la borghesia è per la
rivoluzione in modo inconseguente, cupido e codardo. La borghesia in massa
si schiererà inevitabilmente a fianco della controrivoluzione, dell'autocrazia,
contro la rivoluzione, contro il popolo, non appena saranno soddisfatti i
suoi interessi meschini ed egoistici, non appena « si sarà allontanata
» dal democratismo conseguente (e già oggi se ne allontana!).
Rimane il « popolo », rimangono cioè il proletariato e
i contadini: solo il proletariato è capace di marciare sino alla fine
con passo fermo, giacché esso va molto più in là della
rivoluzione democratica. Ecco perché il proletariato lotta nelle prime
file per la repubblica respingendo con disprezzo il consiglio, sciocco e indegno,
di tenere conto della possibile defezione della borghesia. La popolazione
contadina comprende una massa di elementi semiproletari accanto agli elementi
piccolo-borghesi. Anch'essa è quindi instabile, e il proletariato è
costretto a raggrupparsi in un partito rigorosamente classista. Ma l'instabilità
della popolazione contadina differisce in modo radicale dall'instabilità
della borghesia, perché nel momento attuale i contadini sono interessati
non tanto all'assoluto mantenimento della proprietà privata, quanto
alla confisca delle terre dei grandi proprietari, che è una delle forme
principali di questa proprietà. Senza diventare per questo socialisti,
senza cessare di essere dei piccoli borghesi, i contadini possono diventare
dei fautori decisi, e tra i più radicali, della rivoluzione democratica.
E lo diventeranno inevitabilmente, purché il corso degli avvenimenti
rivoluzionari, che li sta educando, non sia interrotto troppo presto dal tradimento
della borghesia e dalla disfatta del proletariato. A questa condizione i contadini
diventeranno certamente il baluardo della rivoluzione e della repubblica,
perché solo una rivoluzione completamente vittoriosa potrà dar
loro tutto nel campo delle riforme agrarie, tutto ciò che essi desiderano,
che sognano, che è loro veramente indispensabile (non per sopprimere
il capitalismo, come immaginano i « socialisti-rivoluzionari »,
ma per uscire dall'abiezione del semiasservimento, dalle tenebre dell'abbrutimento
e della servitù, per migliorare il loro tenore di vita, nella misura
in cui lo consentono i limiti dell'economia mercantile.
Ma non basta: i contadini sono legati alla rivoluzione non soltanto dalla
trasformazione agraria radicale, ma anche da tutti i loro interessi generali
e permanenti. Persino nella loro lotta contro il proletariato i contadini
hanno bisogno della democrazia, poiché il regime democratico è
l'unico capace di esprimere con precisione i loro interessi e dare ad essi,
che sono la massa, la maggioranza, la supremazia. Quanto più i contadini
saranno istruiti (e dai tempi della guerra contro il Giappone essi si istruiscono
con una rapidità di cui molti non li supponevano capaci, abituati com'erano
a misurare l'istruzione secondo gli anni passati sui banchi di scuola) tanto
più saranno, in modo conseguente e deciso, per una rivoluzione democratica
integrale, poiché la sovranità del popolo non costituisce per
essi, come per la borghesia, una minaccia, ma un vantaggio. La repubblica
democratica diventerà il loro ideale, appena cominceranno a sbarazzarsi
del loro monarchismo ingenuo, giacché il monarchismo cosciente della
borghesia mediatrice (con la Camera alta, ecc.) vuol dire per i contadini
la stessa servitù, la stessa oppressione, la stessa ignoranza, unicamente
coperte da una leggera verniciatura costituzionale all'europea.
Ecco perché la borghesia, come classe, cerca naturalmente e inevitabilmente
un rifugio sotto l'ala del partito monarchico liberale, mentre i contadini,
come massa, si mettono sotto la direzione del partito rivoluzionario e repubblicano.
Ecco perché la borghesia è incapace di condurre a termine la
rivoluzione democratica e i contadini sono capaci di condurre fino in fondo
la rivoluzione; e noi dobbiamo aiutarli con tutte le nostre forze.
Mi si obietterà: inutile dimostrarlo, è l'abbiccí, tutti
i socialdemocratici lo comprendono benissimo. No, coloro che hanno il coraggio
di dire che la rivoluzione « diminuirà d'ampiezza » quando
la borghesia se ne sarà allontanata non lo comprendono. Questa gente
ripete frasi del nostro programma agrario imparate a memoria senza capirne
il senso; altrimenti non temerebbe l'idea della dittatura democratica rivoluzionaria
del proletariato e dei contadini che sgorga necessariamente da tutta la concezione
marxista e dal nostro programma; altrimenti non limiterebbe l'ampiezza della
grande rivoluzione russa all'ampiezza assegnatale dalla borghesia. Le concrete
risoluzioni antimarxiste e antirivoluzionarie di questa gente eclissano le
loro frasi astratte prese in prestito dal marxismo rivoluzionario.
Chi comprende veramente la funzione dei contadini nella rivoluzione russa
vittoriosa non dirà mai che l'ampiezza della rivoluzione diminuirà
quando la borghesia se ne sarà allontanata. Poiché il vero slancio
della rivoluzione russa incomincerà veramente, raggiungerà veramente
la massima ampiezza rivoluzionaria possibile nell'epoca della rivoluzione
democratica borghese, solo quando la borghesia se ne sarà allontanata
e quando i contadini, a fianco del proletariato, assumeranno una funzione
rivoluzionaria attiva. Per essere condotta a termine in modo conseguente la
nostra rivoluzione democratica deve appoggiarsi su forze capaci di paralizzare
l'inevitabile inconseguenza della borghesia (ossia capaci precisamente di
« costringerla ad allontanarsi », ciò che temono nella
loro semplicità i seguaci caucasiani dell'Iskra).
Il proletariato deve condurre a termine la rivoluzione democratica legando
a sé la massa dei contadini, per schiacciare con la forza la resistenza
dell'autocrazia e paralizzare l'instabilità della borghesia. Il proletariato
deve fare la rivoluzione socialista legando a sé la massa degli elementi
semiproletari della popolazione, per spezzare con la forza la resistenza della
borghesia e paralizzare l'instabilità dei contadini e della piccola
borghesia. Tali sono i compiti del proletariato, compiti che i seguaci della
nuova Iskra presentano in modo tanto angusto in tutti i loro ragionamenti
e in tutte le loro risoluzioni sull'ampiezza della rivoluzione.
Non bisogna dimenticare una circostanza che si perde spesso di vista quando
si parla di quest'« ampiezza ». Non bisogna dimenticare che non
si tratta delle difficoltà che il problema presenta, ma del cammino
da seguire per cercarne e trovarne la soluzione. Non si tratta di sapere se
è facile o difficile rendere possente e insuperabile l'ampiezza della
rivoluzione, ma di sapere come si deve agire per aumentare quest'ampiezza.
Il dissenso verte principalmente sul carattere fondamentale dell'attività,
sul suo stesso orientamento. Sottolineiamo questo fatto perché uomini
avventati e in mala fede confondono troppo spesso due questioni diverse: quella
del cammino da seguire, cioè della scelta tra due cammini diversi,
e quella della facilità o della prossimità del raggiungimento
dello scopo se si segue quel determinato cammino,
Nell'esposizione precedente abbiamo sorvolato su questa ultima questione,
poiché essa non ha suscitato dissensi e divergenze in seno al partito.
Ma è ovvio che essa ha di per sé un'estrema importanza e merita
la più grande attenzione di tutti i socialdemocratici. Si peccherebbe
di imperdonabile ottimismo se si dimenticasse quali difficoltà presenta
il far partecipare al movimento non soltanto le masse della classe operaia,
ma anche quelle dei. contadini. Contro queste difficoltà appunto si
spezzarono più volte gli sforzi di condurre a termine la rivoluzione
democratica; inoltre trionfò soprattutto la borghesia inconseguente
e cupida la quale « si faceva un capitale » con la difesa che
la monarchia le assicurava contro il popolo, e « conservava la purezza
» del liberalismo... o degli osvobozdentsy. Ma difficoltà non
significa impossibilità. Ciò che è importante è
la certezza: la certezza di aver preso un cammino giusto, e questa certezza
centuplica l’energia e l'entusiasmo rivoluzionario, che possono fare
miracoli.
Il confronto fra la risoluzione dei neoiskristi caucasiani e la risoluzione
del III Congresso del Partito operaio socialdemocratico russo rivela immediatamente
la profondità dei dissensi tra gli odierni socialdemocratici sulla
questione della scelta del cammino da seguire. La risoluzione del congresso
dice: la borghesia è inconseguente, essa tenterà immancabilmente
di strapparci le conquiste della rivoluzione. Preparatevi perciò energicamente
alla lotta, compagni operai, armatevi, attirate dalla vostra parte i contadini.
Non cederemo senza lotta le nostre conquiste rivoluzionarie alla cupida borghesia.
La risoluzione dei neoiskristi caucasiani dice: la borghesia è inconseguente,
essa può allontanarsi dalla rivoluzione. Perciò, compagni operai,
non pensate, vi preghiamo, di partecipare al governo provvisorio, perché
la borghesia certamente si allontanerebbe e l'ampiezza della rivoluzione ne
sarebbe diminuita!
Gli uni dicono: fate avanzare la rivoluzione, portatela a termine, nonostante
la resistenza e la passività della borghesia inconseguente.
Gli altri dicono: non pensate a condurre a termine la rivoluzione da soli,
poiché la borghesia inconseguente se ne allontanerebbe.
Davanti a noi non vi sono forse due cammini diametralmente opposti? Non è
forse evidente che una delle due tattiche esclude necessariamente l'altra?
Che la prima tattica è l'unica tattica giusta della socialdemocrazia
rivoluzionaria, e la seconda non è in fondo che una tattica degna soltanto
degli osvobozdentsy?
13. CONCLUSIONE. OSEREMO VINCERE?
Le persone che conoscono superficialmente la situazione esistente nella socialdemocrazia
russa e giudicano da lontano, senza conoscere la storia di tutta la nostra
lotta intestina sin dall'epoca dell'economismo, si accontentano spesso —
anche nel momento attuale, in cui i nostri dissensi tattici, soprattutto dopo
il III Congresso, si sono ben definiti — di un semplice richiamo alle
due tendenze naturali, inevitabili, perfettamente conciliabili, di ogni movimento
socialdemocratico. Da un lato, si dice, si sottolineano fortemente l'importanza
del lavoro ordinario, corrente, quotidiano e la necessità di sviluppare
la propaganda e l'agitazione, di preparare le forze, di approfondire il movimento,
ecc. Dall'altro lato, si sottolineano i compiti di lotta, i compiti politici
generali, rivoluzionari del movimento, si proclama la necessità dell'insurrezione
armata, si lanciano le parole d'ordine: dittatura democratica rivoluzionaria,
governo rivoluzionario provvisorio. Non bisogna esagerare né in un
senso né nell'altro; né qui né là (come, in generale,
in nessun luogo) gli eccessi sono buoni, ecc. ecc.
Dietro le verità a buon mercato del senso comune (e « politico
» tra virgolette), che siffatti ragionamenti indubbiamente contengono,
si dissimula tuttavia troppo spesso l'incomprensione dei bisogni impellenti,
imperiosi del partito. Prendiamo gli odierni dissensi tattici tra i socialdemocratici
russi. E' ovvio che il fatto di sottolineare fortemente il lavoro quotidiano,
ordinario, come fanno i neoiskristi nei loro ragionamenti sulla tattica, di
per sé non costituirebbe ancora nulla di grave e non potrebbe suscitare
nessun dissenso sulle parole d'ordine tattiche. Ma basta confrontare le risoluzioni
del III Congresso del Partito operaio socialdemocratico russo e le risoluzioni
della conferenza perché questi dissensi saltino agli occhi.
Di che si tratta, dunque? Innanzi tutto, non basta dire in modo generale,
astratto che nel movimento vi sono due correnti e che gli eccessi sono nocivi.
Bisogna sapere concretamente di che soffre il movimento in questo determinato
momento e quale è il pericolo politico reale per il partito. In secondo
luogo, bisogna sapere quali forze politiche reali traggono vantaggio da queste
o quelle parole d'ordine sulla tattica, o, forse, da questa o quell'assenza
di parole d'ordine. Ascoltate i neoiskristi, e giungerete alla conclusione
che il partito della socialdemocrazia corre il pericolo di gettare a mare
la propaganda e l'agitazione, la lotta economica e la critica della democrazia
borghese, il pericolo di lasciarsi prendere troppo la mano dalla preparazione
militare, dagli attacchi armati, dalla presa del potere, ecc. Ma, di fatto,
il pericolo reale che minaccia il partito viene da tutt'altra parte. Chi conosce
più o meno da vicino la situazione del movimento, chi lo osserva in
modo oculato e riflessivo, non può non vedere il lato comico dei timori
neoiskristi. Tutta l'attività del Partito operaio socialdemocratico
russo si è già completamente fissata in una cornice salda e
immutabile, che assicura senza riserve la concentrazione delle forze sulla
propaganda e sull'agitazione, sui comizi volanti e le riunioni, sulla diffusione
di manifestini e di opuscoli, sul sostegno della lotta economica e delle parole
d'ordine lanciate per questa lotta. Non vi è un solo comitato di partito,
un solo comitato regionale, una sola riunione di rappresentanti di operai,
un solo gruppo di officina, che non abbia dedicato, sempre e costantemente,
il novantanove per cento della sua attenzione, delle sue forze e del suo tempo
a tutte queste funzioni che sono entrate solidamente nella nostra attività
sin dal 1895 all'incirca. Soltanto coloro che non conoscono affatto il movimento
ignorano queste cose. Soltanto della gente molto ingenua o male informata
può prendere per oro colato la ripetizione neoiskrista di cose sorpassate,
fatta con aria di grande importanza.
La verità è che non soltanto non ci lasciamo prendere eccessivamente
la mano dai compiti dell'insurrezione, dalle parole d'ordine politiche generali,
dal lavoro di direzione della rivoluzione popolare nel suo insieme, ma che,
al contrario, salta agli occhi proprio l'arretratezza a questo riguardo, che
è il punto più debole, il pericolo reale che minaccia il movimento,
il quale può degenerare — e qua e là degenera —
da vero movimento rivoluzionario in movimento rivoluzionario a parole. Tra
le centinaia e centinaia di organizzazioni, gruppi e circoli che compiono
il lavoro del partito, non ne troverete neanche uno che non faccia, sin dalla
sua fondazione, quel lavoro quotidiano di cui parlano, con aria di persone
che abbiano scoperto delle nuove verità, i saggi della nuova Iskra.
E, al contrario, non troverete che un'infima percentuale di gruppi e circoli
che abbiano preso coscienza dei compiti dell'insurrezione armata e si siano
accinti ad adempierli, che si siano resi conto della necessità di dirigere
la rivoluzione popolare contro lo zarismo nel suo insieme, della necessità
di lanciare a tal scopo precisamente queste e non quelle parole d'ordine avanzate.
Noi siamo incredibilmente in ritardo sui compiti d'avanguardia e veramente
rivoluzionari; in moltissimi casi non ce ne siamo resi conto; qua e là
ci è sfuggito che la democrazia borghese rivoluzionaria si era rafforzata
approfittando della nostra arretratezza in questo campo. E gli scrittori della
nuova Iskra, voltando le spalle al corso degli avvenimenti e alle esigenze
dei tempi, ripetono con ostinazione: non dimenticate il vecchio! non lasciatevi
trascinare dal nuovo! Questo è il motivo fondamentale che si ripete
in tutte le principali risoluzioni della conferenza, mentre nelle risoluzioni
del congresso leggerete, anche qui ripetuto: confermando i nostri vecchi compiti
(senza rimasticarli, precisamente perché sono vecchi, già decisi
e sanzionati dalla stampa, dalle risoluzioni e dall'esperienza), ci assegniamo
un compito nuovo, attiriamo su di esso l'attenzione, lanciamo una parola d'ordine
nuova ed esigiamo dai socialdemocratici veramente rivoluzionari che si mettano
immediatamente al lavoro per applicarla.
Ecco come si presenta in realtà il problema delle due correnti della
socialdemocrazia a proposito della tattica. L'epoca della rivoluzione ha fatto
sorgere nuovi compiti, che soltanto i ciechi non vedono. Fra i socialdemocratici,
gli uni riconoscono decisamente questi compiti e li mettono all'ordine del
giorno: l'insurrezione armata è imminente, preparatevi immediatamente
ed energicamente, ricordatevi che essa è necessaria per la vittoria
decisiva, lanciate la parola d'ordine della repubblica, del governo provvisorio,
della dittatura democratica rivoluzionaria del proletariato e dei contadini.
Gli altri invece indietreggiano, segnano il passo, scrivono prefazioni invece
di lanciare parole d'ordine, rimasticano in modo prolisso e noioso ciò
che è vecchio, invece di confermarlo e al tempo stesso parlare del
nuovo, inventano pretesti per eluderlo, non sanno determinare quali sono le
condizioni per la vittoria decisiva e lanciare le sole parole d'ordine che
rispondano all'aspirazione di riportare la vittoria completa.
Abbiamo davanti agli occhi il risultato politico di questo codismo. La favola
di un avvicinamento tra la « maggioranza » del Partito operaio
socialdemocratico russo e la democrazia borghese rivoluzionaria rimane una
favola, non confermata da nessun atto politico, da nessuna risoluzione autorevole
dei « bolscevichi », da nessun atto del III Congresso del Partito
operaio socialdemocratico russo. Pertanto la borghesia opportunistica, monarchica,
rappresentata dall'Osvobozdenie, si congratula da lungo tempo per le tendenze
« di principio » della nuova Iskra e oggi, poi, si serve dell'acqua
dei neoiskristi per far girare la ruota del suo mulino, fa sue le loro paroline
e « ideucce » contro la « clandestinità » e
la « sommossa », contro l'esagerazione del lato « tecnico
» della rivoluzione, contro la proclamazione aperta della parola d'ordine
dell'insurrezione armata, contro il « rivoluzionarismo » delle
rivendicazioni estreme, ecc. ecc. La risoluzione che tutta una conferenza
di socialdemocratici « menscevichi » del Caucaso e la redazione
della nuova Iskra hanno approvato permette di dedurre da tutto ciò
un bilancio politico inequivoco: purché la borghesia non si allontani
dalla rivoluzione nel caso che il proletariato partecipi alla dittatura democratica
rivoluzionaria! Con ciò è detto tutto. Così la trasformazione
del proletariato in appendice della borghesia monarchica è definitivamente
consacrata. Così la portata politica del codismo dei neoiskristi è
dimostrata nei fatti da una risoluzione particolarmente approvata da tutta
una corrente, e non da una dichiarazione fortuita di un singolo individuo.
Chiunque mediti su questi fatti comprenderà che cosa si vuol veramente
dire quando si parla, com'è d'uso, dei due aspetti, delle due tendenze
nel movimento socialdemocratico. Prendete l'arsenale bernsteiniano per studiare
su larga scala queste due tendenze. I bernsteiniani affermavano anch'essi,
e affermano tuttora, che sono i soli a comprendere i veri bisogni del proletariato,
i compiti consistenti nell'accrescere le sue forze, nell'approfondire tutto
il lavoro, nel preparare gli elementi della nuova società, i compiti
consistenti nella propaganda e nell'agitazione. Noi esigiamo che si riconosca
apertamente ciò che è! — dichiara Bernstein consacrando
in tal modo il « movimento » senza «scopo finale »,
consacrando la sola tattica difensiva, predicando la tattica del timore: «
purché la borghesia non si allontani ». I bernsteiniani lanciavano
alte grida contro il «giacobinismo» dei socialdemocratici rivoluzionari,
gli «scrittori» che non comprendevano l'« iniziativa operaia
», ecc. ecc. In realtà, com'è a tutti noto, i socialdemocratici
rivoluzionari non hanno mai pensato di trascurare il lavoro quotidiano e minuto,
la preparazione delle forze, ecc. ecc. Essi esigevano soltanto che si avesse
una chiara coscienza dello scopo finale, un'idea chiara dei compiti rivoluzionari;
volevano elevare gli strati semiproletari e semi-piccolo-borghesi al livello
rivoluzionario del proletariato, e non abbassare quest'ultimo sino a considerazioni
opportuniste: « purché la borghesia non si allontani ».
L'espressione forse più saliente di questo dissenso tra l'ala opportunista
intellettuale e quella rivoluzionaria proletaria è nella domanda: dúrfen
wir siegen? « oseremo vincere? » ci è permesso di vincere?
non è pericoloso per noi vincere? dobbiamo vincere? Questa domanda,
strana a prima vista, è stata però posta, doveva essere posta,
perché gli opportunisti temevano la vittoria, ne agitavano lo spauracchio
davanti al proletariato, profetizzavano i guai che ne sarebbero derivati,
deridevano le parole d'ordine che facevano direttamente appello alla vittoria.
Da noi esiste la stessa divisione fondamentale: vi sono due tendenze, l'intellettuale
opportunistica e la proletaria rivoluzionaria, con la sola differenza sostanziale,
però, che si tratta non di una rivoluzione socialista, ma democratica.
Anche da noi si pone la domanda, assurda a prima vista: « Oseremo vincere?
». L'ha posta Martynov nelle sue Due dittature che predicevano conseguenze
funeste nel caso di un'insurrezione da noi molto ben preparata e condotta
a buon fine. L'hanno posta, in tutti gli scritti sulla questione del governo
rivoluzionario provvisorio, i neoiskristi, i quali cercavano costantemente,
con impegno ma senza riuscirvi, di confondere la partecipazione di Millerand
a un governo opportunistico borghese con la partecipazione di Varlin 26 a
un governo rivoluzionario piccolo-borghese. Questa domanda è consacrata
dalla risoluzione: « purché la borghesia non si allontani ».
E benché Kautsky, per esempio tenti ora di fare dell'ironia dicendo
che le nostre discussioni sul governo rivoluzionario provvisorio assomigliano
a quelle per la spartizione della pelle dell'orso prima di averlo ucciso,
quest'ironia prova unicamente che persino dei socialdemocratici intelligenti
e rivoluzionari possono cadere in errore quando parlano di ciò che
conoscono soltanto per averne udito parlare. La socialdemocrazia tedesca non
è ancora molto vicina al momento in cui potrà uccidere l'orso
(fare la rivoluzione socialista), ma la discussione sulla questione: «
oseremo » ucciderlo? ha avuto un'enorme importanza di principio, un'importanza
politica. I socialdemocratici russi non sono ancora molto vicini al momento
in cui avranno forze sufficienti per « uccidere il loro orso »
(fare la rivoluzione democratica), ma la questione: « oseremo »
ucciderlo? ha un'importanza molto seria per tutto l'avvenire della Russia
e per l'avvenire della socialdemocrazia russa. Se non siamo certi di voler
«osare» di vincere è inutile dire di voler raccogliere,
con energia e successo, un esercito e di volerlo dirigere.
Prendete i nostri vecchi economisti. Anch'essi gridavano che i loro avversari
erano dei cospiratori, dei giacobini (cfr. il Raboceie Dielo, specialmente
il n. 10, e il discorso di Martynov durante la discussione programma al II
Congresso) che si staccavano dalle masse gettandosi nella politica, che dimenticavano
le basi del movimento operaio, che non tenevan conto dell'iniziativa operaia,
ecc. ecc. Ma questi fautori dell'« iniziativa operaia » erano
in realtà degli intellettuali opportunisti, che attribuivano agli operai
la loro concezione gretta e filistea dei compiti dei proletariato. Gli avversari
dell'economismo, come ognuno può costatare nella vecchia Iskra, in
realtà non tralasciarono e non respinsero in secondo piano nemmeno
uno degli aspetti del lavoro socialdemocratico, non dimenticarono affatto
la lotta economica e seppero al tempo stesso porre in tutta la loro ampiezza
i compiti politici essenziali e impellenti, opponendosi alla trasformazione
del partito operaio in un'appendice « economica » della borghesia
liberale.
Gli economisti avevano imparato a memoria che l'economia è la base
della politica, e lo « avevano compreso » nel senso di far scendere
la lotta politica al livello della lotta economica. I neoiskristi hanno imparato
a memoria che la rivoluzione democratica ha come base economica la rivoluzione
borghese, e lo « hanno compreso » nel senso che si debbano abbassare
i compiti democratici del proletariato al livello della moderazione borghese,
sino a un limite passato il quale « la borghesia si allontanerà
». Col pretesto dell'approfondimento del lavoro, col pretesto dell'iniziativa
operaia e della politica puramente classista, in realtà gli economisti
consegnavano la classe operaia nelle mani dei politicanti borghesi liberali,
conducevano cioè il partito su un cammino che obiettivamente portava
appunto a un tal risultato. Con gli stessi pretesti i neoiskristi tradiscono
gli interessi del proletariato nella rivoluzione democratica e li mettono
nelle mani della borghesia, conducono cioè il partito su un cammino
che obiettivamente conduce appunto a un tal risultato. Gli economisti pensavano
che l'egemonia nella lotta politica dovesse appartenere ai liberali e non
ai socialdemocratici. I neoiskristi pensano che la realizzazione attiva della
rivoluzione democratica spetti non alla socialdemocrazia, ma alla borghesia
democratica, poiché la direzione e la funzione dirigente del proletariato
« diminuirebbero l'ampiezza » della rivoluzione.
In una parola, i neoiskristi sono gli epigoni dell'economismo, non soltanto
perché le loro origini risalgono al II Congresso del partito, ma per
il modo in cui oggi comprendono i compiti tattici del proletariato nella rivoluzione
democratica. Anch'essi costituiscono l'ala opportunistica intellettuale del
partito. Nel campo dell'organizzazione, essi fecero il loro esordio con un
individualismo anarchico da intellettuali per finire con la « disorganizzazione-processo
», consacrando nello « statuto » 27 votato dalla conferenza
l'indipendenza della stampa nei confronti dell'organizzazione del partito,
le elezioni non dirette, ma a quattro gradi, o poco ci manca, il sistema dei
plebisciti bonapartisti invece della rappresentanza democratica, e, infine,
il principio di un'« intesa » tra la parte e il tutto. Anche nella
tattica del partito essi scivolarono giù per la stessa china. Nel «
piano della campagna degli zemtsvo » essi dichiararono che gli interventi
davanti ai rappresentanti degli zemtsvo erano il « tipo supremo di manifestazione
», vedendo (alla vigilia del 9 gennaio!) sulla scena politica null'altro
che due forze attive: il governo e la democrazia borghese. Essi «approfondivano»
il compito impellente dell'armamento sostituendo a una parola d'ordine diretta
e pratica l'appello ad armare di un desiderio ardente di armarsi. Essi snaturano
e smussano oggi, nelle loro risoluzioni ufficiali, i compiti dell'insurrezione
armata, del governo provvisorio, della dittatura democratica rivoluzionaria.
« Purché la borghesia non si allontani! »: questa nota
finale della loro ultima risoluzione proietta una luce vivissima sul problema:
dove andrà il partito se seguirà il loro cammino?
La rivoluzione democratica in Russia è, per la sua natura sociale ed
economica, una rivoluzione borghese. Ma non basta ripetere semplicemente questa
giusta tesi marxista. Bisogna saperla comprendere e saperla applicare alle
parole d'ordine politiche. Tutta la libertà politica, in generale,
fondata sui rapporti di produzione attuali, cioè capitalistici, è
una libertà borghese. La rivendicazione della libertà esprime
innanzi tutto gli interessi della borghesia. I suoi rappresentanti furono
i primi ad avanzare questa rivendicazione. I suoi sostenitori disposero ovunque
come padroni della libertà ottenuta, riducendola a una moderata e parca
misura borghese, combinandola alla repressione contro il proletariato rivoluzionario,
fatta con metodi più raffinati in tempo di pace e ferocemente brutali
nei periodi di burrasca.
Ma solo i ribelli populisti, gli anarchici e gli « economisti »
potevano dedurne che si deve negare o sminuire la lotta per la libertà.
Queste dottrine filistee da intellettuali poterono essere imposte al proletariato
sempre soltanto per brevi periodi e nonostante la sua resistenza. Il proletariato
afferrava istintivamente che la libertà politica gli era necessaria,
necessaria più che a qualunque altro, nonostante che questa libertà
rafforzi e organizzi direttamente la borghesia. Il proletariato attende la
propria salvezza non dalla rinuncia alla lotta di classe, ma dallo sviluppo
di questa lotta, dalla sua ampiezza, consapevolezza, organizzazione e decisione.
Chi sminuisce i compiti della lotta politica trasforma il socialdemocratico
da tribuno popolare in segretario di trade-unions. Chi sminuisce i compiti
proletari nella rivoluzione democratica borghese trasforma il socialdemocratico
da capo della rivoluzione popolare in dirigente di sindacati operai liberi.
Sì, della rivoluzione popolare. La socialdemocrazia ha lottato e lotta
con pieno diritto contro l'abuso che la democrazia borghese fa della parola
« popolo ». Esige che non ci si nasconda dietro questa parola
per dissimulare l'incomprensione degli antagonismi di classe in seno al popolo.
Insiste in modo reciso sulla necessità di un'indipendenza di classe
completa del partito del proletariato. Ma scompone il « popolo »
in « classi » non perché la classe d'avanguardia si rinchiuda
in se stessa, si assegni limiti ristretti, castri la propria attività
per tema che i padroni economici del mondo si allontanino, ma perché
essa, non soffrendo dei dubbi, dell'instabilità, dell'indecisione delle
classi intermedie, possa combattere con energia, con entusiasmo ancor più
grandi per la causa di tutto il popolo, a capo di tutto il popolo.
Ecco quel che così spesso non comprendono i neoiskristi odierni, i
quali al lancio di parole d'ordine politiche attive nella rivoluzione democratica
sostituiscono la vacua ripetizione della parola « classista »
in tutti i generi e in tutti i casi!
La rivoluzione democratica è borghese. La parola d'ordine: ripartizione
egualitaria, o terra e libertà — la più diffusa tra le
masse contadine oppresse, abbrutite, ma anelanti alla luce e alla felicità
—, è borghese. Ma noi, marxisti, dobbiamo sapere che non c'è
e non può esservi altro cammino verso la vera libertà del proletariato
e dei contadini che il cammino della libertà borghese e del progresso
borghese. Non dobbiamo dimenticare che oggi per rendere il socialismo più
prossimo non v'è e non può esservi altro mezzo che la completa
libertà politica, la repubblica democratica, la dittatura democratica
rivoluzionaria del proletariato e dei contadini. Rappresentanti della classe
d'avanguardia — unica classe rivoluzionaria senza riserve, senza esitazioni,
che non volge lo sguardo al passato —, dobbiamo porre davanti a tutto
il popolo, in modo quanto più possibile largo, ardito, pieno d'iniziativa,
i compiti della rivoluzione democratica. Sminuire la portata di questi compiti
significa teoricamente fare del marxismo una caricatura, snaturarlo alla maniera
filistea; e nella politica pratica equivale a mettere la causa della rivoluzione
nelle mani della borghesia, la quale si allontanerà inevitabilmente
dalla realizzazione conseguente della rivoluzione. Le difficoltà che
si erigono sul cammino della vittoria completa della rivoluzione sono grandissime.
Nessuno potrà condannare i rappresentanti del proletariato se essi
faranno tutto ciò che è in loro potere e se tutti i loro sforzi
si spezzeranno contro la resistenza della reazione, il tradimento della borghesia,
l'ignoranza delle masse. Ma tutti — e per primo il proletariato cosciente
— condanneranno la socialdemocrazia se essa smorzerà l'energia
rivoluzionaria della rivoluzione democratica, se smorzerà l'entusiasmo
rivoluzionario per paura di vincere, per tema che la borghesia si allontani.
Le rivoluzioni — diceva Marx — sono le locomotive della storia
La rivoluzione è la festa degli oppressi e degli sfruttati. Mai la
massa popolare è capace di operare in quanto creatrice attiva di nuovi
ordinamenti sociali come durante la rivoluzione. In tali epoche se le si considera
dal punto di vista ristretto, piccolo-borghese del progresso graduale, il
popolo è capace di fare miracoli. Ma in queste epoche bisogna che anche
i dirigenti dei partiti rivoluzionari pongano i loro compiti con maggiore
ampiezza e audacia, che le loro parole d'ordine precedano sempre l'attività
spontanea rivoluzionaria delle masse, servendole da faro, mostrando in tutta
la sua grandezza e in tutto il suo fascino il nostro ideale democratico e
socialista, additando il cammino più breve, più diretto verso
la vittoria completa, assoluta, decisiva. Lasciamo che gli opportunisti della
borghesia democratica costituzionale inventino — per paura della rivoluzione
e del cammino diretto — cammini tortuosi, che girano al largo, che portano
ai compromessi. Se ci si costringerà con la forza a trascinarci lungo
questi cammini, sapremo compiere il nostro dovere anche in un lavoro quotidiano
minuto. Ma prima una lotta implacabile decida la questione della scelta del
cammino. Saremmo dei vili e dei traditori della rivoluzione se non utilizzassimo
quest'energia festosa delle masse e il loro entusiasmo rivoluzionario per
una lotta implacabile e piena di abnegazione in favore della strada più
diretta e rapida. Lasciamo che gli opportunisti della borghesia pensino con
timore alla reazione futura. Gli operai non si lasciano spaventare dall'idea
che la reazione promette di essere terribile, né dall'idea che la borghesia
si accinge ad abbandonare la rivoluzione. Gli operai non attendono transazioni,
non chiedono elemosine; essi aspirano a schiacciare implacabilmente le forze
reazionarie, aspirano cioè alla dittatura democratica rivoluzionaria
del proletariato e dei contadini.
E’ certo che in un periodo di burrasca la nave del nostro partito corre
più pericoli che non durante la calma «traversata» del
progresso liberale, quando gli sfruttatori spremono sangue alla classe operaia
con una lentezza torturante. E' certo che i compiti della dittatura democratica
rivoluzionaria sono mille volte più difficili e più complicati
dei compiti di « estrema opposizione » e della lotta puramente
parlamentare. Ma colui che, nell'attuale momento rivoluzionario, può
scientemente preferire una traversata tranquilla e il cammino dell'«
opposizione » senza pericoli meglio farà se abbandonerà
per qualche tempo il lavoro socialdemocratico e aspetterà la fine della
rivoluzione, quando la festa sarà terminata e ricomincerà la
vita di tutti i giorni, quando il suo modo di vedere prosaico e ristretto
non sarà più in così stridente contrasto con i compiti
della classe operaia, non ne sarà più una deformazione così
mostruosa.
Alla testa di tutto il popolo, e soprattutto dei contadini, per la libertà
completa, per una rivoluzione democratica conseguente, per la repubblica!
Alla testa di tutti i lavoratori e di tutti gli sfruttati, per il socialismo.
Questa deve essere praticamente la politica del proletariato rivoluzionario,
questa la parola d'ordine di classe che deve ispirare e determinare la soluzione
di ogni problema tattico, di ogni azione pratica del partito operaio durante
la rivoluzione.
POSTILLA
Ancora una volta l'Osvobozdenie. Ancora una volta il neoiskrismo
I numeri 71-72 dell'Osvobozdenie e 102-103 dell'Iskra ci offrono una documentazione
nuova, ricchissima, sulla questione alla quale abbiamo dedicato il paragrafo
8 del nostro opuscolo. Essendoci impossibile utilizzare qui tutta questa ricca
documentazione, ci soffermeremo solo sull'essenziale: in primo luogo, quale
« realismo » nelle file della socialdemocrazia viene elogiato
dall'Osvobozdenie e perché questo lo deve elogiare; in secondo luogo
quale rapporto esiste tra i due concetti : rivoluzione e dittatura.
1. PERCHE' I REALISTI LIBERALI BORGHESI ELOGIANO I
« REALISTI » SOCIALDEMOCRATICI?
Gli articoli intitolati La scissione della socialdemocrazia russa e Il trionfo
del buon senso (Osvobozdenie, n. 72), costituiscono per i proletari coscienti
un giudizio preziosissimo sulla socialdemocrazia, formulato dai rappresentanti
della borghesia liberale. Non raccomanderemo mai abbastanza ad ogni socialdemocratico
di leggere questi articoli nel loro testo completo e di pesarne ogni frase.
Citeremo anzitutto le tesi principali dei due articoli.
« È assai difficile per un osservatore estraneo — dice
l'Osvobozdenie — afferrare il reale senso politico del dissenso che
ha scisso il partito socialdemocratico in due frazioni. Non è completamente
esatto e in ogni caso non si caratterizza in modo esauriente la " maggioranza
" dicendo che è più radicale e rigida della " minoranza
", la quale ammette, negli interessi della causa, alcuni compromessi.
Almeno i dogmi tradizionali dell'ortodossia marxista sono forse custoditi
ancor più gelosamente dalla frazione della minoranza, che non da quella
di Lenin. La definizione seguente ci pare più esatta. Il tratto politico
principale della " maggioranza " è un rivoluzionarismo astratto,
lo spirito di rivolta, il desiderio di suscitare con qualsiasi mezzo l'insurrezione
delle masse popolari e di impadronirsi immediatamente del potere in loro nome;
ciò avvicina in una certa misura i " leninisti " ai socialisti-rivoluzionari,
e l'idea della lotta di classe è offuscata nel loro spirito dall'idea
della rivoluzione popolare russa. Rinnegando in pratica molte idee limitate
della dottrina socialdemocratica, i " leninisti " sono d'altra parte
imbevuti dalle idee limitate del rivoluzionarismo; si rifiutano di adempiere
qualsiasi lavoro pratico che non sia la preparazione immediata dell'insurrezione;
ignorano per principio qualsiasi forma di agitazione legale o semilegale e
ogni sorta di compromessi, praticamente utili, con le altre correnti dell'opposizione.
La minoranza, al contrario, pur attenendosi fermamente al dogma marxista,
salvaguarda al tempo stesso gli elementi realistici della concezione marxista
del mondo. L'idea precipua di questa frazione è la contrapposizione
degli interessi del " proletariato " agli interessi della borghesia.
Ma d'altra parte, essa concepisce la lotta del proletariato — nei limiti
s'intende, dettati dai dogmi inconcussi della socialdemocrazia — con
una lucidità realistica e con la chiara consapevolezza di tutte le
condizioni di questa lotta e di tutti i suoi compiti concreti. Le due frazioni
non applicano il loro fondamentale punto di vista con una coerenza rigorosa,
perché sono vincolate, nella loro opera creatrice, ideologica e politica,
dalle rigide formule del catechismo socialdemocratico che impediscono ai "
leninisti " di diventare dei veri e propri ribelli del tipo, almeno,
di alcuni dirigenti socialisti-rivoluzionari, e agli " iskristi "
di divenire i dirigenti pratici del movimento politico reale della classe
operaia ».
E il pubblicista dell'Osvobozdenie, dopo aver riassunto il contenuto delle risoluzioni principali, illustra con qualche osservazione concreta le sue « idee » generali. Paragonata al III Congresso, egli dice, « la conferenza della minoranza ha un atteggiamento assolutamente diverso verso l'insurrezione armata ». E la differenza delle risoluzioni sul governo provvisorio « deriva dall'atteggiamento verso l'insurrezione armata ». « Lo stesso dissenso si manifesta anche nell'atteggiamento verso i sindacati operai. I " leninisti " nella loro risoluzione non hanno detto una sola parola su questo punto di partenza essenziale dell'educazione politica e dell'organizzazione della classe operaia. La minoranza, al contrario, ha elaborato una risoluzione molto seria ». Nei confronti dei liberali, le due frazioni, secondo l'autore, sono unanimi, ma il III Congresso « ripete quasi testualmente la risoluzione di Plekhanov sull'atteggiamento verso i liberali, approvata al II Congresso, e respinge la risoluzione di Starover, piú favorevole ai liberali, approvata dallo stesso congresso ». Le risoluzioni del congresso e della conferenza sul movimento contadino sono, in generale, dello stesso tono, ma « la "maggioranza " sottolinea con maggiore forza l'idea della confisca rivoluzionaria delle terre dei grandi proprietari fondiari, ecc., mentre la " minoranza " vuol porre alla base della sua propaganda la rivendicazione delle riforme democratiche amministrative e statali ».
L'Osvobozdenie cita infine una risoluzione menscevica pubblicata nel n. 100
dell'Iskra, il cui punto principale dice: « Considerando che nel momento
attuale il solo lavoro clandestino non può assicurare alle masse una
sufficiente partecipazione alla vita del partito e conduce in parte alla contrapposizione
delle masse, in quanto tali, al partito, come organizzazione illegale, è
necessario che quest'ultima prenda nelle sue mani la direzione della lotta
professionale operaia sul terreno legale, legandola strettamente con i compiti
della socialdemocrazia ». A proposito di questa risoluzione l'Osvobozdenie
esclama: « Noi salutiamo caldamente questa risoluzione, come un trionfo
del buon senso, come un risveglio della coscienza di una parte del partito
socialdemocratico in fatto di tattica ».
Ora il lettore conosce tutti i giudizi fondamentali dell'Osvobozdenie. Sarebbe
naturalmente un grave errore ritenere che siano esatti, cioè conformi
alla verità obiettiva. Ogni socialdemocratico può facilmente
scoprirvi ad ogni passo degli errori. Sarebbe ingenuo dimenticare che essi
sono da cima a fondo impregnati degli interessi e del modo di vedere della
borghesia liberale, che in questo senso sono da cima a fondo parziali e tendenziosi.
Essi riflettono le idee della socialdemocrazia nello stesso modo in cui uno
specchio concavo o convesso riflette gli oggetti. Ma sarebbe un errore ancor
più grave dimenticare che questi giudizi, deformati alla maniera borghese,
riflettono, in ultima analisi, i veri interessi della borghesia, la quale,
come classe, comprende certamente molto bene quali tendenze in seno alla socialdemocrazia
le sono utili, prossime, familiari, simpatiche e quali altre le sono dannose,
lontane, estranee, antipatiche. Il filosofo o il pubblicista borghese non
comprenderà mai bene la socialdemocrazia, né la menscevica,
né la bolscevica. Ma, se è un pubblicista più o meno
intelligente, l'istinto di classe non lo ingannerà, ed egli coglierà
sempre in modo fondamentalmente giusto — anche se la presenterà
in modo falso — l’importanza che ha per la borghesia questa o
quella tendenza in seno alla socialdemocrazia. L'istinto di classe del nostro
nemico e il suo giudizio classista meritano perciò sempre la più
seria attenzione di ogni proletario cosciente.
Che cosa ci dice dunque per bocca degli osvobozdentsy l'istinto di classe
della borghesia russa?
Esso esprime in modo del tutto preciso la sua soddisfazione per le tendenze
dei neoiskristi, lodando questi ultimi per il loro realismo, la loro lucidità
di mente, per il trionfo del buon senso, la serietà delle loro risoluzioni,
per la loro chiarezza di idee in fatto di tattica, il loro senso pratico,
ecc.; e il suo malcontento per le tendenze del III Congresso, del quale biasima
la limitatezza, il rivoluzionarismo, lo spirito di rivolta, il rifiuto di
addivenire a compromessi praticamente utili, ecc. L'istinto di classe della
borghesia le suggerisce precisamente ciò che più volte, con
i dati più precisi, è stato dimostrato nella nostra stampa,
ossia che i neoiskristi rappresentano l'ala opportunistica e i loro avversari
l'ala rivoluzionaria dell'odierna socialdemocrazia russa. I liberali non possono
non simpatizzare per le tendenze della prima e non possono non condannare
le tendenze della seconda. In quanto ideologi della borghesia, essi comprendono
perfettamente che il « senso pratico, la lucidità di mente, la
serietà » della classe operaia — ossia la limitazione,
di fatto, del suo campo d'azione nel quadro del capitalismo, delle riforme,
della lotta professionale, ecc. — sono vantaggiosi per la borghesia.
Pericolosa e terribile per la borghesia è la « limitatezza rivoluzionaria
» del proletariato e la sua volontà di conquistare, in nome dei
suoi obiettivi di classe, una funzione dirigente nella rivoluzione popolare
russa.
Che per gli osvobozdentsy il significato della parola « realismo »
sia veramente tale è provato tra l'altro dall'uso che ne hanno fatto
prima l'Osvobozdenie e il signor Struve. L'Iskra stessa non poteva che riconoscere
che tale era il significato del « realismo » per gli osvobozdentsy.
Ricordate, per esempio, l'articolo L'ora è giunta! nel supplemento
del n. 73-74 dell'Iskra. L'autore di questo articolo (interprete conseguente
delle idee del « pantano » al II Congresso del Partito operaio
socialdemocratico russo) espresse l'opinione esplicita che al congresso «
Akimov fu piuttosto lo spettro dell'opportunismo che non il suo vero e proprio
rappresentante ». E la redazione dell'Iskra si vide immediatamente costretta
a correggere l'autore dell'articolo dichiarando in una nota:
« È impossibile essere d'accordo con questa opinione. Le idee
del compagno Akimov sul programma recano i segni evidenti dell'opportunismo,
ed è ciò che riconosce anche il critico dell'Osvobozdenie in
uno degli ultimi numeri, facendo osservare che il compagno Akimov appartiene
alla tendenza " realistica ", si legga: revisionistica ».
Dunque, l’Iskra sa essa stessa benissimo che il « realismo »
dell'Osvobozdenie è solo opportunismo e null'altro che opportunismo.
E se oggi, attaccando il « realismo liberale » (Iskra, n. 102),
passa sotto silenzio le lodi prodigatele dai liberali per il suo realismo,
questo silenzio va spiegato col fatto che simili lodi sono più amare
di qualsiasi biasimo. Queste lodi (che non sono né casuali, né
prodigate per la prima volta dall'Osvobozdenie) dimostrano effettivamente
la parentela esistente tra il realismo liberale e le tendenze del «
realismo » (leggi: opportunismo) socialdemocratico che traspaiono in
tutte le risoluzioni dei neoiskristi e sono dovute a tutta la loro posizione
tattica errata.
Infatti la borghesia russa ha rivelato pienamente nella rivoluzione «
popolare » la sua inconseguenza e la sua cupidigia; le ha rivelate e
con i ragionamenti del signor Struve, e con il tono e il contenuto della gran
mole di giornali liberali, e con il carattere dell'azione politica di moltissimi
zemtsy, di moltissimi intellettuali e in generale dei diversi sostenitori
dei signori Trubetskoi, Petrunkevic, Rodicev e soci. Certo, non sempre la
borghesia comprende chiaramente che da una parte il proletariato e il «
popolo » sono utili alla sua rivoluzione come carne da cannone, come
un ariete contro l'autocrazia, ma che, dall'altra parte, il proletariato e
i contadini rivoluzionari sono per lei estremamente pericolosi, nel caso in
cui conseguissero una « vittoria decisiva sullo zarismo » e portassero
a termine la rivoluzione democratica, però in generale il suo istinto
di classe le permette di percepire benissimo questo fatto. Essa aspira quindi
con tutte le sue forze a che il proletariato si accontenti di una funzione
« modesta » nella rivoluzione, sia più sobrio, più
pratico, più realista, e che la sua azione sia determinata dal principio:
« Purché la borghesia non si allontani ».
I borghesi colti sanno benissimo che sarà loro impossibile eliminare
il movimento operaio. Ed evitano quindi assolutamente di presentarsi come
nemici di questo movimento, come nemici della lotta di classe del proletariato.
No, essi si inchinano profondamente davanti al diritto di sciopero, alla lotta
di classe condotta in modo civile, concepiscono il movimento operaio e la
lotta di classe alla maniera di Brentano e di Hirsch-Duncker 29. In altre
parole, sono dispostissimi a « concedere » agli operai il diritto
di sciopero e di associazione (diritto che, di fatto, gli operai stessi si
sono già quasi conquistato), purché gli operai rinunzino allo
« spirito di rivolta », al « limitato rivoluzionarismo »,
all'ostilità verso i « compromessi praticamente utili »,
alla pretesa e anche all'aspirazione di dare alla « rivoluzione popolare
russa » l'impronta della loro lotta di classe, l'impronta della coerenza
proletaria, della decisione proletaria, del « giacobinismo plebeo ».
I borghesi colti di tutta la Russia cercano in mille modi e per mille vie
— libri * - * cfr. PROKOPOVIC, La questione operaia in Russia. -, conferenze,
discorsi, conversazioni, ecc. — di inculcare negli operai l'idea della
sobrietà (borghese), dello spirito politico (liberale), del realismo
(opportunista), della lotta di classe (alla Brentano), delle organizzazioni
sindacali (alla Hirsch-Duncker), ecc. Le due ultime parole d'ordine sono particolarmente
comode per i borghesi del partito « democratico costituzionale »,
o osvobozdentsy, poiché in apparenza coincidono con le parole d'ordine
marxiste, poiché una piccola omissione, una leggera deformazione sono
sufficienti per poterle confondere facilmente con le parole d'ordine socialdemocratiche,
o per farle talvolta passare per tali. Così, per esempio, l'organo
liberale legale Rassviet (sul quale cercheremo un giorno di intrattenerci
più particolareggiatamente coi lettori del Proletari) non di rado dice
cose talmente « ardite » sulla lotta di classe, sulla possibilità
che il proletariato sia truffato dalla borghesia, sul movimento operaio, sull'iniziativa
del proletariato, ecc. ecc., che un lettore disattento e un operaio non evoluto
potrebbero facilmente prendere il suo « socialdemocratismo » per
oro colato. In realtà si tratta di una contraffazione borghese del
socialdemocratismo, di una falsificazione e deformazione opportunista dell'idea
della lotta di classe.
Alla base di questa gigantesca (per la sua larga influenza sulle masse) falsificazione
borghese c'è la tendenza a ridurre il movimento operaio essenzialmente
a un movimento professionale, a tenerlo il più lontano possibile da
una politica indipendente (cioè rivoluzionaria e orientata verso la
dittatura democratica) e « ad offuscare nel loro [degli operai] spirito
l'idea della rivoluzione popolare russa con l'idea della lotta di classe ».
Come il lettore vede, abbiamo capovolto la formula dell'Osvobozdenie. Formula
eccellente, che riflette perfettamente due punti di vista circa la funzione
del proletariato nella rivoluzione democratica: il punto di vista borghese
e il punto di vista socialdemocratico. La borghesia vuole che il proletariato
riduca la sua attività al solo movimento professionale e vuole, con
ciò, « offuscare nel suo spirito l'idea della rivoluzione popolare
russa con l'idea della lotta di classe » (secondo Brentano), precisamente
come gli autori bernsteiniani del Credo offuscavano nella coscienza degli
operai l'idea della lotta politica con l'idea di un movimento « puramente
operaio ». La socialdemocrazia vuole, al contrario, sviluppare la lotta
di classe del proletariato affinché questo assuma una funzione dirigente
nella rivoluzione popolare russa; vuole cioè far giungere questa rivoluzione
fino alla dittatura democratica del proletariato e dei contadini.
La nostra è una rivoluzione di tutto il popolo, dice la borghesia al
proletariato. In quanto classe distinta tu devi quindi limitarti alla tua
lotta di classe; devi, in nome del « buon senso », rivolgere la
tua attenzione principalmente ai sindacati e alla loro legalizzazione; devi
considerare appunto questi sindacati come « il punto di partenza essenziale
della tua educazione politica e della tua organizzazione »; devi elaborare,
in un periodo rivoluzionario, soprattutto delle risoluzioni « serie
», sul genere di quelle, della nuova Iskra; devi dimostrarti benevolo
verso le risoluzioni « più favorevoli ai liberali »; devi
preferire i dirigenti che tendono a divenire dei « dirigenti pratici
del movimento politico reale della classe operaia »; devi « salvaguardare
gli elementi realistici della concezione marxista del mondo » (se per
sfortuna sei già contaminato dalle « rigide formule » di
questo catechismo « non scientifico »).
La nostra è una rivoluzione di tutto il popolo, dice la socialdemocrazia
al proletariato. In quanto classe più avanzata, e unica classe rivoluzionaria
fino in fondo, tu devi quindi, non solo tendere a parteciparvi con la massima
energia, ma anche ad avervi una funzione dirigente. Non devi quindi rinchiuderti
nel quadro di una lotta di classe concepita in senso ristretto, soprattutto
nel senso di un movimento professionale, ma devi, al contrario, cercare di
allargare il quadro e il contenuto della tua lotta di classe, facendovi rientrare
non solo tutti i compiti dell'attuale rivoluzione russa, democratica e popolare,
ma anche quelli della futura rivoluzione socialista. Ecco perché, senza
trascurare il movimento professionale, senza rinunciare a utilizzare anche
la più piccola libertà che la legalità ti offre, tu devi,
nell'epoca della rivoluzione, mettere in primo piano i compiti dell'insurrezione
armata, della formazione di un esercito rivoluzionario e di un governo rivoluzionario,
unici mezzi che conducono alla vittoria completa del popolo sullo zarismo,
alla conquista di una repubblica democratica e di una vera libertà
politica.
È superfluo parlare dell'atteggiamento ambiguo, inconseguente, e col
quale naturalmente simpatizza la borghesia, che i neoiskristi, grazie alla
loro « linea » sbagliata, hanno preso, nelle loro risoluzioni,
su questo problema.
2. IL COMPAGNO MARTYNOV « APPROFONDISCE »
ANCORA UNA VOLTA LA QUESTIONE
Passiamo all'analisi degli articoli di Martynov pubblicati nei numeri 102
e 103 dell'Iskra. Non risponderemo naturalmente ai tentativi da lui fatti
per dimostrare che la nostra interpretazione di alcuni brani di Engels e di
Marx è sbagliata e la sua è giusta. Questi tentativi sono così
poco seri, i sotterfugi di Martynov sono così evidenti, la questione
è così chiara che non sarebbe interessante riparlarne ancora
una volta. Ogni lettore capace di pensare capirà facilmente egli stesso
le manovre puerili fatte da Martynov per ritirarsi su tutta la linea, e specialmente
quando apparirà la traduzione completa dell'opuscolo di Engels: I bakunisti
al lavoro, e di quello di Marx: Indirizzo del Consiglio della Lega dei comunisti30,
marzo 1850, a cura di un gruppo di collaboratori del Proletari. Basta citare
un brano dell'articolo di Martynov perché la sua ritirata diventi cosa
evidente per il lettore.
« L'Iskra riconosce — dice Martynov nel n. 103 — che la
formazione di un governo provvisorio è una delle vie possibili e utili
per lo sviluppo della rivoluzione e nega l'utilità della partecipazione
dei socialdemocratici al governo provvisorio borghese precisamente per favorire
la conquista completa, nel futuro, della macchina dello Stato per la rivoluzione
socialista ». In altre parole, l'Iskra ha ora riconosciuto l'assurdità
di tutte le paure che le incutevano la responsabilità del governo rivoluzionario
per il Tesoro e le banche, il pericolo e l'impossibilità di prendere
nelle proprie mani le « prigioni », ecc. Continua però
come prima ad imbrogliare le cose, confondendo la dittatura democratica con
la dittatura socialista. Confusione inevitabile, che le serve per coprire
la ritirata.
Ma, tra i confusionari della nuova Iskra, Martynov si distingue come un confusionario
di prima classe, un confusionario — mi si permetta la parola —
geniale. Ingarbugliando la questione con i suoi sforzi per « approfondirla
», egli giunge quasi sempre ad « escogitare » nuove formule
che rivelano perfettamente tutta la falsità della sua posizione. Ricordatevi
come all'epoca dell'economismo egli « approfondiva » Plekhanov
e creava di getto questa formula: « Lotta economica contro i padroni
e contro il governo ». Sarebbe difficile trovare in tutti gli scritti
degli economisti una formula più felice per rivelare tutto ciò
che questa tendenza ha di falso. Oggi è la stessa cosa. Martynov serve
ora con lo stesso zelo la nuova Iskra, e quasi ogni volta che prende la parola
ci fornisce una nuova magnifica documentazione per giudicare della falsità
della posizione della nuova Iskra. Egli dichiara nel n. 102 che Lenin «
ha di soppiatto sostituito l'uno all'altro i concetti di rivoluzione e di
dittatura » (p. 3, colonna 2).
È a questa imputazione che si riducono in sostanza tutte le accuse
che ci lanciano i neoiskristi. E come siamo grati a Martynov di quest'accusa!
Che inapprezzabile servizio ci rende nella nostra lotta contro il neoiskrismo
formulando in tal modo la sua accusa! Decisamente dovremmo chiedere alla redazione
dell'Iskra che lanci più spesso contro di noi Martynov per «
approfondire » gli attacchi contro il Proletari e per formularli dal
« punto di vista dei veri principi ». Perché quanto più
Martynov si sforza di ragionare secondo i principi, tanto meno gli riesce,
e tanto più mostra in modo saliente gli errori dei neoiskristi, tanto
meglio perviene ad eseguire su di lui e sui suoi amici l'utile operazione
pedagogica : reductio ad absurdum (ridurre all'assurdo i principi della nuova
Iskra).
Il Vperiod e il Proletari « sostituiscono » l'uno all'altro i
concetti di rivoluzione e di dittatura. L'Iskra non vuole una tale «
sostituzione ». È proprio così, egregio compagno Martynov!
Avete detto inavvertitamente una grande verità. Avete confermato con
una nuova formula la nostra affermazione: l'Iskra si trascina a rimorchio
della rivoluzione, devia, nella definizione dei suoi obiettivi, verso le idee
degli osvobozdentsy, mentre il Vperiod e il Proletari lanciano parole d'ordine
che fanno avanzare la rivoluzione democratica.
Non lo capite, compagno Martynov? La questione è importante e ci sforzeremo
di darvi una spiegazione circostanziata.
Il carattere borghese della rivoluzione democratica si manifesta fra l'altro
nel fatto che diverse classi, diversi gruppi e strati sociali, quali riconoscono
pienamente la proprietà privata e l'economia mercantile, e sono incapaci
di uscire da questo quadro, giungono per forza di cose a riconoscere che l'autocrazia
e, in generale, tutto il regime feudale non servono più e rivendicano
anch'essi la libertà. Il carattere borghese di questa libertà,
che la « società » rivendica ed è difesa con un
torrente di parole (niente altro che parole!) dai grandi proprietari fondiari
e dai capitalisti, diventa quindi sempre più chiarro. E al tempo stesso
la differenza radicale tra la lotta degli operai e quella della borghesia
per la libertà, tra la democrazia proletaria e la democrazia liberale
diventa sempre più evidente. La classe operaia e i suoi rappresentanti
coscienti avanzano e spingono innanzi questa lotta, senza aver paura di condurla
a termine, anzi, aspirando a oltrepassare di gran lunga l'ultimo limite della
rivoluzione democratica. La borghesia è inconseguente e cupida: non
accetta le parole d'ordine della libertà che parzialmente e con ipocrisia.
Tutti i tentativi di segnare con un tratto particolare, con « paragrafi
» appositamente elaborati (del genere di quelli della risoluzione di
Starover o della conferenza) il limite al di là del quale comincia
l'ipocrisia degli amici borghesi della libertà, o, se volete, questo
tradimento della libertà da parte dei suoi amici borghesi, tutti questi
tentativi sono condannati inevitabilmente a fallire, poiché la borghesia,
che si trova tra due fuochi (l'autocrazia e il proletariato), è capace
di cambiare in mille modi e con mille mezzi la sua posizione e le sue parole
d'ordine, adattandosi di un pollice a destra e di un pollice a sinistra, mercanteggiando
senza fine e facendo costantemente il sensale. Il compito della democrazia
proletaria non consiste nell'inventare tali « paragrafi » senza
vita, ma nell'esercitare un'instancabile critica della situazione politica
in sviluppo, nello smascherare le inconseguenze e i tradimenti, sempre nuovi
e imprevisti, della borghesia.
Ricordatevi la storia degli articoli politici del signor Struve nelle pubblicazioni
illegali, la storia della guerra condotta contro di lui dalla socialdemocrazia,
e capirete chiaramente in qual modo la socialdemocrazia, campione del democratismo
proletario, ha adempiuto questo compito. Il signor Struve cominciò
con l'annunciare una parola d'ordine nel puro spirito di Scipov: «diritti
e potere agli zemstvo» ( si veda il mio articolo nella Zarià:
I persecutori degli « zemstvo » e gli Annibali del liberalismo
31). La socialdemocrazia lo denunciò e lo spinse verso un programma
nettamente costituzionalista. Quando queste « spinte » ebbero
raggiunto il loro effetto, grazie al corso particolarmente rapido degli avvenimenti
rivoluzionari, la lotta si orientò verso il seguente problema del democratismo:
non soltanto una Costituzione qualsiasi, ma assolutamente il suffragio universale,
diretto, uguale e a scrutinio segreto. Dopo « aver strappato »
all'« avversario » anche questa nuova posizione (l'accettazione
del suffragio universale da parte dell'« Unione per la liberazione »),
continuammo l'assalto, rivelammo l'ipocrisia e la menzogna del sistema bicamerale,
l'accettazione incompleta del suffragio universale da parte degli osvobozdentsy,
smascherando la loro democrazia da sensali, testimoniata dal loro spirito
monarchico, oppure, in altre parole, il cattivo mercato che gli eroi borghesi
dell'« Unione » facevano degli interessi della grande rivoluzione
russa.
La selvaggia ostinazione dell'autocrazia, i progressi giganteschi della guerra
civile, la situazione senza uscita nella quale i monarchici avevano gettato
la Russia cominciarono infine ad aprire uno spiraglio nei cervelli più
chiusi. La rivoluzione diventava un fatto. Per riconoscere la rivoluzione
non occorreva ormai più essere un rivoluzionario. Il governo autocratico
di fatto si decomponeva — e si decompone — agli occhi di tutti.
Come un liberale (signor Gredeskul) ha giustamente rilevato nella stampa legale,
si è creato di fatto uno stato di cose in cui non vi è sottomissione
a questo governo. Nonostante tutta la sua forza apparente, l'autocrazia ha
rivelato la sua impotenza. Gli avvenimenti della rivoluzione in corso hanno
semplicemente cominciato a togliere di mezzo quest'organismo parassitario
che imputridisce mentre è ancora in vita. Costretti a basare la loro
attività (o piuttosto i loro traffici politici) sui rapporti esistenti
e di fatto stabiliti, i borghesi liberali hanno cominciato a comprendere la
necessità di riconoscere la rivoluzione. Non perché siano dei
rivoluzionari, ma benché non lo siano. Lo fanno per necessità
e a malincuore, vedendo con rabbia i successi della rivoluzione, accusando
di rivoluzionarismo l'autocrazia che non vuole transazioni ma una lotta a
morte. Mercanti nati, essi odiano la lotta e la rivoluzione, ma le circostanze
li costringono a mettersi sul terreno della rivoluzione, poiché altro
terreno non esiste.
Assistiamo così a uno spettacolo oltremodo comico. Le prostitute del
liberalismo borghese tentano di drappeggiarsi nella toga dei rivoluzionarismo.
Gli osvobozdentsy — risum teneatis, amici! — cominciano a parlare
in nome della rivoluzione! Gli osvobozdentsy affermano che « non temono
la rivoluzione » (signor Struve, n. 72 dell'Osvobozdenie) !!! Gli osvobozdentsy
accampano la pretesa di « mettersi alla testa della rivoluzione»!!!
Questo fatto eccezionalmente significativo caratterizza, più che il
progresso del liberalismo borghese, i successi reali del movimento rivoluzionario,
che ha saputo imporsi. La borghesia stessa comincia a rendersi conto che è
molto più vantaggioso mettersi sul terreno della rivoluzione, tanto
l'autocrazia è scossa. Ma d'altra parte questo fatto, il quale attesta
che il movimento nel suo insieme si eleva ad uno stadio nuovo, superiore,
ci assegna dei compiti anch'essi nuovi, anch'essi superiori. Il riconoscimento
della rivoluzione da parte della borghesia non può essere sincero,
indipendentemente dalla buona fede di questo o quel suo ideologo. Anche in
questo stadio superiore del movimento la borghesia non può non portare
con sé la sua cupidigia, la sua inconseguenza, il suo mercantilismo
e i suoi meschini sotterfugi reazionari. Nel momento attuale dobbiamo formulare
in altro modo i compiti concreti, immediati della rivoluzione, in nome del
nostro programma e per lo sviluppo di questo programma. Ciò che ieri
era sufficiente, oggi non lo è più. Ieri forse era sufficiente
esigere che si riconoscesse la rivoluzione quale parola d'ordine democratica
d'avanguardia. Oggi è troppo poco. La rivoluzione ha saputo imporsi
persino al signor Struve. Oggi la classe d'avanguardia deve determinare esattamente
il contenuto stesso degli obiettivi immediati ed impellenti di questa rivoluzione.
I signori Struve, pur riconoscendo la rivoluzione, lasciano immediatamente
intravedere come sempre le loro orecchie d'asino e riprendono ancora una volta
la vecchia canzone della possibilità di una soluzione pacifica, di
un appello di Nicola che inviti al potere i signori osvobozdentsy, ecc. ecc.
Questi signori riconoscono la rivoluzione per poi truffarla e tradirla col
minore dei rischi. Sta a noi dire ora al proletariato e al popolo intero che
la parola d'ordine « rivoluzione » non basta, mostrare la necessità
di una definizione chiara, che non possa dar luogo ad equivoci, di una definizione
conseguente e decisiva del contenuto stesso della rivoluzione. E questa definizione
ci è data appunto da una parola d'ordine, la sola capace di esprimere
con esattezza la « vittoria decisiva » della rivoluzione: dittatura
democratica rivoluzionaria del proletariato e dei contadini 32.
L'abuso delle parole è un fenomeno comune in politica. Parecchie volte,
per esempio, si autodefinirono « socialisti » sia i partigiani
del liberalismo borghese in Inghilterra (« noi siamo ora tutti socialisti
»: « We all are socialists now », disse Harkort), sia i
partigiani di Bismarck e gli amici del papa Leone XIII. Si può benissimo
abusare della parola « rivoluzione », e a un determinato stadio
del movimento questo abuso è inevitabile. Quando il signor Struve parlò
in nome della rivoluzione, ci venne involontariamente alla mente Thiers. Qualche
giorno prima della rivoluzione di febbraio, questo nano mostruoso, quest'ideale
rappresentante politico della venalità della borghesia, aveva fiutato
l'approssimarsi della tempesta popolare. E dichiarò dalla tribuna parlamentare
ch'egli era del partito della rivoluzione! (cfr. La guerra civile in Francia,
di Marx33). Il significato politico del passaggio degli osvobozdentsy al partito
della rivoluzione è perfettamente identico a quel « passaggio
» di Thiers. Poiché i Thiers russi hanno incominciato a dire
di essere del partito della rivoluzione, ciò significa che la parola
d'ordine della rivoluzione non basta più, non dice nulla, non determina
nessun obiettivo; la rivoluzione è divenuta un fatto, e dalla sua parte
sono passati in gran numero gli elementi più disparati.
Che cos'è in realtà la rivoluzione dal punto di vista marxista?
E’ l'abbattimento violento della sovrastruttura politica invecchiata,
il cui crollo viene a un certo momento determinato dal suo contrasto con i
nuovi rapporti di produzione. Il contrasto dell'autocrazia con tutto il regime
capitalistico in Russia, con tutto ciò che lo sviluppo democratico
borghese richiede, ha determinato oggi un crollo tanto più forte quanto
più a lungo questo contrasto è stato artificiosamente mantenuto.
La sovrastruttura scricchiola disperatamente, cede alla pressione, si indebolisce.
Il popolo deve egli stesso, a mezzo dei rappresentanti delle sue diverse classi
e dei suoi diversi gruppi, crearsi una nuova sovrastruttura. A un determinato
momento diviene chiaro per tutti che la vecchia sovrastruttura ormai non serve
più. Tutti riconoscono la rivoluzione. Ora si tratta di determinare
quali classi precisamente, e come precisamente, devono edificare la nuova
sovrastruttura. Se non lo si determina, la parola d'ordine della rivoluzione
è oggi vacua, senza contenuto, giacché la debolezza dell'autocrazia
fa divenire « rivoluzionari » anche i granduchi e le Moskovskie
Viedomosti! Se non lo si determina non si può parlare degli obiettivi
democratici avanzati della classe d'avanguardia. E può determinarlo
la parola d'ordine: dittatura democratica degli operai e dei contadini. Questa
parola d'ordine indica quali sono le classi su cui si possono e si devono
appoggiare i nuovi « edificatori » della nuova sovrastruttura,
il suo carattere (dittatura « democratica », a differenza di quella
socialista) e il mezzo per edificarla (dittatura, cioè repressione
violenta della resistenza violenta, armamento delle classi rivoluzionarie
del popolo). Chi non accetta oggi la parola d'ordine della dittatura democratica
rivoluzionaria, la parola d'ordine dell'esercito rivoluzionario, del governo
rivoluzionario, dei comitati contadini rivoluzionari o non comprende e non
comprenderà mai i compiti della rivoluzione, non sa determinare quei
suoi nuovi compiti superiori che il momento attuale impone, oppure, abusando
della parola d'ordine «rivoluzione », inganna il popolo e tradisce
la rivoluzione.
Primo caso: il compagno Martynov e i suoi amici. Secondo caso: il signor Struve
e tutto il partito « democratico costituzionale » degli zemtsy.
Il compagno Martynov è stato così perspicace e ingegnoso da
muoverci l'accusa di aver « sostituito » l'uno all'altro i concetti
di dittatura e di rivoluzione proprio nel momento in cui lo sviluppo della
rivoluzione richiedeva di determinarne gli obiettivi con la parola d'ordine
della dittatura! Il compagno Martynov ha avuto ancora una volta la sfortuna
di rimanere alla coda, di rimanere incagliato al penultimo gradino, al livello
degli « osvobozdentsy », poiché il riconoscere la «
rivoluzione » (a parole) e il non voler riconoscere la dittatura democratica
del proletariato e dei contadini (cioè la rivoluzione nei fatti) corrisponde
appunto alla posizione politica degli osvobozdentsy, cioè agli interessi
della borghesia monarchica liberale. La borghesia liberale, per bocca del
signor Struve, si pronuncia oggi per la rivoluzione. Il proletariato cosciente
esige, per bocca dei socialdemocratici rivoluzionari, la dittatura del proletariato
e dei contadini. E qui interviene nella disputa il saggio della nuova Iskra,
gridando: non osate sostituire l'uno all'altro i concetti di rivoluzione e
di dittatura! Non è dunque forse vero che la falsa posizione dei neoiskristi
li condanna a trascinarsi sempre alla coda degli osvobozdentsy?
Abbiamo dimostrato che gli osvobozdentsy salgono uno ad uno (non senza l'influenza
delle spinte incoraggianti della socialdemocrazia) i gradini che conducono
a riconoscere la democrazia. L'oggetto della nostra discussione con essi all'inizio
fu: scipovismo (diritti e potere agli zemstvo) o costituzionalismo? In seguito:
suffragio limitato o suffragio universale? Poi: riconoscimento della rivoluzione
o mercato da sensali con l'autocrazia? E infine, oggi: riconoscimento della
rivoluzione senza dittatura del proletariato e dei contadini o riconoscimento
della rivendicazione della dittatura di queste classi nella rivoluzione democratica?
E' possibile e probabile che gli osvobozdentsy (quelli odierni o i loro successori
nell'ala sinistra della democrazia borghese, poco importa) salgano ancora
un gradino, che riconoscano cioè col tempo (forse nell'epoca in cui
il compagno Martynov sarà salito ancora di un gradino) anche la parola
d'ordine della dittatura. Anzi, sarà inevitabilmente così se
la rivoluzione russa avanzerà con successo e riporterà una vittoria
decisiva. Quale sarà allora la posizione della socialdemocrazia? La
vittoria completa della rivoluzione attuale segnerà la fine della rivoluzione
democratica e l'inizio di una lotta decisiva per la rivoluzione socialista.
Il soddisfacimento delle rivendicazioni degli odierni contadini, la sconfitta
totale della reazione, la conquista della repubblica democratica segneranno
la fine completa del rivoluzionarismo della borghesia e persino della piccola
borghesia, e l'inizio di una vera lotta del proletariato per il socialismo.
Quanto più la rivoluzione democratica sarà completa, tanto più
questa nuova lotta avrà un corso rapido, esteso, netto e deciso. La
parola d'ordine della dittatura « democratica » esprime per l'appunto
questo carattere storicamente limitato della rivoluzione attuale e la necessità
di una nuova lotta, sul terreno di nuovi ordinamenti, per la liberazione completa
della classe operaia da ogni oppressione e da ogni sfruttamento. In altre
parole, quando la borghesia democratica o la piccola borghesia saranno salite
ancora di un gradino, quando non solo la rivoluzione, ma la vittoria completa
della rivoluzione sarà diventata un fatto reale, allora « sostituiremo
» (suscitando forse le orribili urla dei nuovi futuri Martynov) alla
parola d'ordine della dittatura democratica quella della dittatura socialista
del proletariato, ossia della rivoluzione socialista integrale.
3. LA CONCEZIONE BORGHESE VOLGARE DELLA
DITTATURA E LA CONCEZIONE DI MARX
Mehring racconta nelle note di cui corredò la sua edizione degli articoli
di Marx, pubblicati nel 1848 nella Nuova gazzetta renana, che le pubblicazioni
borghesi facevano tra l'altro la seguente accusa a questo giornale: la Nuova
gazzetta renana avrebbe rivendicato « l'instaurazione immediata della
dittatura come unico mezzo per realizzare la democrazia ». (Marx, Nachlass,
v. III, p. 53). Dal punto di vista borghese volgare il concetto di dittatura
e il concetto di democrazia si escludono l'un l'altro. Non comprendendo la
teoria della lotta di classe, assuefatto a vedere sulla scena della lotta
politica le meschine baruffe dei diversi gruppi e cóteries della borghesia,
il borghese per dittatura intende l'assenza di ogni libertà e di ogni
garanzia democratica, l'arbitrio generalizzato, l'abuso generalizzato del
potere nell'interesse personale del dittatore. In fondo, è proprio
questa concezione borghese volgare che trapela nel nostro Martynov, allorché,
per concludere la sua « nuova campagna » nella nuova Iskra, spiega
la predilezione del Vperiod e del Proletari per la parola d'ordine della dittatura
col fatto che Lenin « desidera ardentemente tentare la sua sorte »
(Iskra, n. 103, p. 3, colonna 2). Per spiegare a Martynov la differenza che
esiste tra il concetto di dittatura di una classe e quello di dittatura di
un individuo, tra i compiti della dittatura democratica e quelli della dittatura
socialista, non sarà inutile soffermarci sulle concezioni della Nuova
gazzetta renana.
« Ogni organizzazione provvisoria dello Stato — scrive la Nuova
gazzetta renana il 14 settembre 1848 — dopo la rivoluzione esige la
dittatura, e una dittatura energica. Noi abbiamo sin dall'inizio rimproverato
a Camphausen [presidente del consiglio dei ministri dopo il 18 marzo 1848]
di non agire in modo dittatoriale, di non spezzare ed estirpare immediatamente
i resti delle vecchie istituzioni. E mentre il signor Camphausen si cullava
nelle illusioni costituzionali, il partito vinto [ossia il partito della reazione]
rafforzava le sue posizioni nella burocrazia e nell'esercito e, qua e là,
si arrischiava persino a riprendere di nuovo apertamente la lotta ».
Con queste parole — come disse giustamente Mehring — viene riassunto
in poche tesi ciò che è stato sviluppato con ricchezza di particolari
dalla Nuova gazzetta renana, in lunghi articoli sul ministero Camphausen.
Che cosa ci dicono queste parole di Marx? Che il governo rivoluzionario provvisorio
deve agire dittatorialmente (tesi che, nel sacro orrore per la parola d'ordine
della dittatura, l'Iskra non ha mai potuto comprendere), che il compito di
questa dittatura è di distruggere i resti delle vecchie istituzioni
(appunto ciò che è indicato con tanta chiarezza nella risoluzione
del III Congresso del POSDR sulla lotta contro la controrivoluzione e che
è omesso nella risoluzione della conferenza, come abbiamo mostrato
più sopra). Infine e in terzo luogo da queste parole risulta che Marx
sferzava i democratici borghesi per le loro « illusioni costituzionali
» nell'epoca della rivoluzione e della guerra civile aperta. Il vero
senso di queste parole risulta con particolare rilievo dall'articolo della
Nuova gazzetta renana del 6 giugno 1848. « Un'Assemblea costituente
popolare — scriveva Marx — deve essere innanzi tutto un'assemblea
attiva, rivoluzionariamente attiva. L'Assemblea di Francoforte si occupa invece
di esercizi scolastici di parlamentarismo e lascia al governo il compito di
agire. Ammettiamo che questo dotto concilio riesca, dopo matura riflessione,
ad elaborare il migliore ordine del giorno e la migliore Costituzione. A che
varranno il migliore ordine del giorno e la migliore Costituzione, se nel
frattempo i governi tedeschi avranno già messo all'ordine del giorno
la baionetta? »
Ecco il senso della parola d'ordine: dittatura. Si può vedere da ciò
quale sarebbe stato l'atteggiamento di Marx verso le risoluzioni che chiamano
vittoria decisiva « la decisione di organizzare l'Assemblea costituente
», o invitano « a rimanere il partito di estrema opposizione rivoluzionaria
»!
Nella vita dei popoli i grandi problemi vengono risolti esclusivamente con
la forza. Le classi più reazionarie sono abitualmente le prime a ricorrere
alla forza, alla guerra civile, a « mettere all'ordine del giorno la
baionetta », come ha fatto e continua a fare sistematicamente, inflessibilmente,
sempre e dappertutto l'autocrazia russa sin dal 9 gennaio. E dal momento che
si è creata una tale situazione, dal momento che la baionetta figura
realmente in testa all'ordine del giorno politico e che l'insurrezione si
è dimostrata necessaria e urgente, le illusioni costituzionali e gli
esercizi scolastici di parlamentarismo non servono più che a nascondere
il tradimento della rivoluzione da parte della borghesia, a nascondere il
modo in cui essa « si allontana » dalla rivoluzione. La classe
effettivamente rivoluzionaria deve allora enunciare precisamente la parola
d'ordine della dittatura.
A proposito dei compiti di questa dittatura, Marx scriveva, sempre nella Nuova
gazzetta renana: « L'Assemblea nazionale avrebbe dovuto agire dittatorialmente
contro le velleità reazionarie dei governi che avevano fatto il loro
tempo; e allora si sarebbe conquistato nell'opinione popolare una forza tale
contro la quale tutte le baionette si sarebbero spezzate... Quest'Assemblea,
al contrario, stanca il popolo tedesco con discorsi tediosi, invece di trascinarlo
al suo seguito o di esserne trascinata ». L'Assemblea nazionale avrebbe
dovuto, secondo Marx, « eliminare dal regime che di fatto esiste in
Germania tutto ciò che è contrario al principio della sovranità
del popolo », e quindi « consolidare il terreno rivoluzionario
sul quale essa poggia e salvaguardare, contro tutti gli attacchi, la sovranità
del popolo conquistata dalla rivoluzione ».
I compiti che Marx assegnava nel 1848 al governo rivoluzionario o alla dittatura
si riducevano quindi in sostanza innanzi tutto alla rivoluzione democratica:
difesa contro la controrivoluzione ed eliminazione effettiva di tutto ciò
che è contrario alla sovranità del popolo. Questo e null'altro
è la dittatura democratica rivoluzionaria.
Proseguiamo. Quali erano le classi che, secondo Marx, potevano e dovevano
adempiere questo compito (applicare fino in fondo il principio della sovranità
del popolo e respingere gli attacchi della controrivoluzione)? Marx parla
del « popolo ». Ma noi sappiamo che egli combatte sempre implacabilmente
contro le illusioni piccolo-borghesi sull'unità del « popolo
», sull'assenza della lotta in seno al popolo. Dicendo « popolo
» Marx non velava con questo termine la distinzione fra le classi, ma
comprendeva in questa nozione determinati elementi, capaci di condurre a termine
la rivoluzione.
Dopo la vittoria del proletariato berlinese del 18 marzo — scriveva
la Nuova gazzetta renana — i risultati della rivoluzione si sono rivelati
duplici: « Da una parte, l'armamento del popolo, la libertà di
associazione, la sovranità del popolo effettivamente conquistata; dall'altra,
il mantenimento della monarchia e il ministero Camphausen-Hansemann, un governo
cioè di rappresentanti della grande borghesia. La rivoluzione ha avuto
così risultati di due tipi, che dovevano inevitabilmente addivenire
a una rottura. Il popolo ha vinto; esso ha conquistato libertà di carattere
decisamente democratico, ma il dominio effettivo non è passato nelle
sue mani, ma nelle mani della grande borghesia. Insomma, la rivoluzione non
è stata condotta a termine. Il popolo ha lasciato ai rappresentanti
della grande borghesia il compito di formare il ministero, e questi rappresentanti
della grande borghesia hanno subito rivelato i loro intenti, proponendo un'alleanza
alla vecchia nobiltà prussiana e alla burocrazia. Arnim, Kanitz e Schwerin
sono entrati nel ministero.
«Per paura del popolo, vale a dire del proletariato e della borghesia
democratica, la grande borghesia, sin dall'inizio antirivoluzionaria, ha concluso
con la reazione un'alleanza difensiva e offensiva» (il corsivo è
nostro).
Così, non soltanto la « decisione di organizzare l'Assemblea
costituente » non è ancora sufficiente per la vittoria decisiva
della rivoluzione, ma non lo è neppure la sua convocazione effettiva!
Anche dopo una vittoria parziale nella lotta armata (vittoria degli operai
berlinesi sulle truppe, 18 marzo 1818) è possibile una rivoluzione
« incompleta », « non portata a termine ». Da che
cosa dipende dunque la possibilità di portare a termine la rivoluzione?
Da questo: in quali mani passa il dominio effettivo, in quelle dei Petrunkevic
e dei Rodicev, no, scusate, dei Camphausen e degli Hansemann, oppure nelle
mani del popolo, cioè degli operai e della borghesia democratica. Nel
primo caso la borghesia avrà il potere e il proletariato la «
libertà di critica », la libertà di « rimanere il
partito di estrema opposizione rivoluzionaria ». Subito dopo la vittoria,
la borghesia concluderà un'alleanza con la reazione (ciò che
avverrebbe inevitabilmente anche in Russia se, ad esempio, gli operai pietroburghesi
riportassero solo una vittoria parziale nella battaglia di strada contro le
truppe e lasciassero ai signori Petrunkevic e soci il compito di formare il
governo). Nel secondo caso, la dittatura democratica rivoluzionaria, cioè
la vittoria completa della rivoluzione, sarebbe possibile.
Non ci resta che determinare con maggiore precisione ciò che Marx intendeva
propriamente per « borghesia democratica.» (demokratische Búrgerschaft),
che egli chiamava, insieme con gli operai, «popolo », contrapponendola
alla grande borghesia.
Il seguente brano dell'articolo della Nuova gazzetta renana del 29 luglio
1848 dà una chiara risposta a questa domanda: « ... La rivoluzione
tedesca del 1848 non è che una parodia della Rivoluzione francese del
1789.
« Il 4 agosto 1789, tre settimane dopo la presa della Bastiglia, il
popolo francese in una sola giornata ebbe ragione di tutti gli obblighi feudali.
« L'11 luglio del 1848, quattro mesi dopo le barricate del marzo, gli
obblighi feudali hanno avuto ragione del popolo tedesco. Teste Gierke cum
Hansemann * - * « Testimoni: signori Gierke e Hansemann ». Hansemann
rappresentava nel ministero il partito della grande borghesia (in russo: Trubetskoi
o Rodicev, ecc.). Gierke, ministro dell'agricoltura nel gabinetto di Hansemann,
aveva elaborato il progetto « ardito dell'abolizione degli obblighi
feudali », per così dire « senza indennizzo ». In
realtà il progetto prevedeva unicamente l'abolizione degli obblighi
piccoli e insignificanti e il mantenimento degli obblighi più importanti
o l'indennizzo. Il signor Gierke era un qualcosa del genere dei signori Kablukov,
Manuilov, Herzenstein e di tutti gli altri amici liberali borghesi del mugik
i quali desiderano l'« espansione della proprietà terriera contadina
», ma non vogliono ledere gli interessi dei grandi proprietari fondiari
-.
.
«La borghesia francese del 1789 non abbandonò nemmeno per un
istante i suoi alleati, i contadini. Essa sapeva che la base del suo dominio
era l'abolizione del feudalesimo nei villaggi e il sorgere di una classe libera
di contadini proprietari (grundbesitzenden).
«La borghesia tedesca del 1848 tradisce senza alcuno scrupolo i contadini,
i suoi alleati più naturali, che sono carne della sua carne e senza
i quali è impotente di fronte alla nobiltà.
« Il mantenimento dei diritti feudali, la loro consacrazione sotto l'apparenza
(illusoria) di un riscatto: tale è il risultato della rivoluzione tedesca
del 1848. La montagna ha partorito un topo! ».
Brano molto istruttivo, che ci fornisce quattro tesi importanti: 1) la rivoluzione
tedesca incompiuta differisce dalla rivoluzione francese portata a termine
per il fatto che la borghesia tradì non solamente la democrazia in
generale, ma anche i contadini in particolare. 2) L'attuazione completa di
una rivoluzione democratica ha per base la creazione di una libera classe
contadina. 3) Creare questa classe significa abolire gli obblighi feudali,
distruggere il feudalesimo; ma ciò non è ancora affatto la rivoluzione
socialista. 4) I contadini sono gli alleati « più naturali »
della borghesia, e appunto della borghesia democratica, la quale, senza di
essi, è «impotente» di fronte alla reazione.
Tutte queste tesi, quando siano adattate alle nostre particolarità
nazionali concrete, quando si sostituisca alla parola feudalesimo il termine
servitù della gleba, possono essere applicate per intero alla Russia
del 1905. Non v'è dubbio che gli insegnamenti tratti dall'esperienza
tedesca, illustrata da Marx, non possono condurci a nessun'altra parola d'ordine
di vittoria decisiva della rivoluzione che non sia quella di dittatura democratica
rivoluzionaria del proletariato e dei contadini. Non v'è dubbio che
le principali parti integranti del « popolo », che Marx contrapponeva
nel 1848 alla reazione che resisteva e alla borghesia traditrice, sono il
proletariato e i contadini. Non vi è dubbio che anche da noi, in Russia,
la borghesia liberale e i signori osvobozdentsv tradiscono e tradiranno i
contadini, cercheranno cioè di cavarsela con una pseudoriforma, si
schiereranno dalla parte dei grandi proprietari fondiari nella lotta decisiva
tra questi ultimi e i contadini. Solo il proletariato è capace di sostenere
fino all'ultimo i contadini in questa lotta. Non vi è alcun dubbio,
infine, che anche da noi, in Russia, il successo della lotta contadina, il
passaggio cioè di tutta la terra ai contadini — essendo l'appoggio
sociale della rivoluzione condotta a termine — significherebbe una rivoluzione
democratica completa, ma niente affatto una rivoluzione socialista, né
la « socializzazione » di cui parlano gli ideologi della piccola
borghesia, i socialisti-rivoluzionari. Il successo dell'insurrezione contadina,
la vittoria della rivoluzione democratica sbarazzeranno semplicemente il cammino
per la lotta vera e decisiva per il socialismo sul terreno della repubblica
democratica. I contadini, come classe di proprietari fondiari, avranno in
questa lotta la stessa funzione di tradimento e di incostanza che la borghesia
ha oggi nella lotta per la democrazia. Dimenticarlo vuol dire dimenticare
il socialismo, ingannare se stessi e gli altri sui veri interessi e sui compiti
del proletariato.
Perché non vi siano lacune nell'esposizione delle concezioni di Marx
nel 1848, è necessario rilevare una differenza essenziale esistente
fra la socialdemocrazia tedesca di quell'epoca (o partito comunista del proletariato,
per parlare il linguaggio allora in uso) e la socialdemocrazia russa odierna.
Diamo la parola a Mehring:
« La Nuova gazzetta renana entrò nell'arena politica come "
organo della democrazia ". E' impossibile non vedere l'idea che passa
come un filo rosso per tutti i suoi articoli. Ma, direttamente, essa difendeva
più gli interessi della rivoluzione borghese contro l'assolutismo e
il feudalesimo che non gli interessi del proletariato contro quelli della
borghesia. Sulle sue colonne troverete pochi articoli sul movimento specificamente
operaio durante la rivoluzione, benché non si debba dimenticare che
a fianco della Nuova gazzetta renana usciva due volte la settimana, sotto
la direzione di Moll e di Schapper, un giornale dell'Associazione operaia
di Coloni34. In ogni caso, quello che salta agli occhi a un lettore contemporaneo
è lo scarso interesse della Nuova gazzetta renana per il movimento
operaio tedesco dell'epoca, benché il militante più capace di
questo movimento, Stephan Born, fosse stato allievo di Marx e di Engels a
Parigi e a Bruxelles: nel 1848 egli era corrispondente del loro giornale a
Berlino. Born racconta nelle sue Memorie che né Marx, né Engels
mai gli rivolsero una parola di disapprovazione per la sua agitazione operaia.
Ma dichiarazioni posteriori di Engels permettono di supporre che essi fossero
malcontenti almeno dei metodi di questa agitazione. Il loro malcontento era
fondato, in quanto Born era costretto a fare molte concessioni alla coscienza
classista del proletariato, ancora molto arretrata nella maggior parte della
Germania, concessioni che, dal punto di vista del Manifesto del partito comunista,
non reggevano alla critica. Ed era infondato in quanto Born riusciva tuttavia
a mantenere a un livello relativamente elevato l'agitazione che dirigeva...
Non vi è dubbio che Marx e Engels avessero politicamente e storicamente
ragione quando ritenevano che l'interesse fondamentale della classe operaia
esigeva anzitutto che si stimolasse il più possibile la rivoluzione
borghese... Nondimeno abbiamo una prova meravigliosa del modo in cui l'istinto
elementare del movimento operaio sa correggere le concezioni dei più
grandi pensatori nel fatto che nell'aprile 1849 essi si pronunziarono per
una organizzazione specificamente operaia, e decisero di partecipare al congresso
operaio, organizzato soprattutto dal proletariato dell'Est-Elba (Prussia orientale)
».
Così, soltanto nell'aprile 1849, quasi un anno dopo l'inizio della
pubblicazione del giornale rivoluzionario (la Nuova gazzetta renana cominciò
le sue pubblicazioni il 1° giugno 1848), Marx e Engels si pronunziarono
per una organizzazione operaia distinta! Sino a quel momento si erano limitati
a dirigere un « organo della democrazia », che non aveva nessun
legame organizzativo con il partito operaio indipendente. Questo fatto, mostruoso
e inconcepibile secondo il nostro attuale modo di vedere, ci dimostra all'evidenza
la grandissima differenza esistente tra il partito tedesco di quell'epoca
e il Partito operaio socialdemocratico russo dei nostri giorni. Questo fatto
ci dimostra come le caratteristiche proletarie del movimento, la corrente
proletaria, si facessero sentire molto più debolmente nella rivoluzione
democratica tedesca (a causa dell'arretratezza della Germania nel 1848, sul
piano economico e quello politico: spezzettamento dello Stato). Non bisogna
dimenticarlo valutando le numerose dichiarazioni fatte da Marx in quell'epoca,
e un po' più tardi, sulla necessità di un'organizzazione indipendente
per il partito del proletariato. Perché Marx potesse giungere a una
simile conclusione pratica fu necessario un anno di esperienza della rivoluzione
democratica, talmente l'atmosfera della Germania in quell'epoca era filistea
e piccolo-borghese. Per noi questa conclusione è ormai una salda conquista,
già vecchia di mezzo secolo di esperienza della socialdemocrazia internazionale.
Conquista dalla quale cominciammo l'organizzazione del Partito operaio socialdemocratico
russo. Così, ad esempio, da noi sarebbe cosa inconcepibile l'esistenza
di giornali rivoluzionari del proletariato staccati dal partito socialdemocratico
del proletariato e che potessero agire anche solo per un istante semplicemente
come « organi della democrazia ».
Ma la contraddizione, che cominciava appena a delinearsi tra Marx e Stephan
Born, da noi esiste in forma tanto più accentuata quanto più
possente diviene la corrente proletaria nel torrente democratico della nostra
rivoluzione. Nel parlare del probabile malcontento che l'agitazione di Stephan
Born doveva suscitare in Marx ed Engels, Mehring si esprime in termini troppo
anodini ed evasivi. Ecco ciò che Engels scriveva nei riguardi di Born
nel 1885 (nella prefazione a Enthùllungen ùber den Kommunistenprozess
zu Kóln, Zurigo, 1885).
I membri della Lega dei comunisti 35 erano dappertutto alla testa del movimento
democratico piú avanzato, dimostrando in questo modo che la Lega era
un'eccellente scuola d'azione rivoluzionaria. « A Berlino il compositore
tipografo Stephan Born, che era stato membro attivo della Lega a Bruxelles
e a Parigi, fondò una Fratellanza operaia [Arbeiterverbriiderung] che
ebbe una discreta diffusione ed esistette sino al 1850. Born, giovane di molto
talento, ma che aveva un po' troppa fretta di diventare un astro politico,
" fraternizzava " con gli elementi più disparati [Kreti und
Plethi] pur di raccogliere gente attorno a sé, e non era per niente
l'uomo che potesse portare l'unità nelle opposte tendenze, la luce
nel caos. Perciò nelle pubblicazioni ufficiali della sua associazione
le vedute propagate nel Manifesto comunista si intrecciano e si confondono
con reminiscenze e aspirazioni corporative, avanzi di Louis Blanc e di Proudhon,
idee protezionistiche, ecc.; in breve, egli voleva essere tutto per tutti
[Allen alles sein]. Specialmente ci si occupò di organizzare scioperi,
associazioni di mestiere, cooperative di produzione, dimenticando che si trattava
anzitutto di conquistarsi con vittorie politiche il terreno sul quale soltanto
cose simili potevano avere una esistenza durevole [il corsivo è nostro].
Quando poi le vittorie della reazione fecero sentire ai dirigenti della Fratellanza
la necessità di entrare in modo diretto nella lotta rivoluzionaria,
essi vennero naturalmente lasciati in asso dalla massa disorientata che avevano
raccolto attorno a sé. Born partecipò all'insurrezione di Dresda
nel maggio 1849 e ne scampò felicemente. Ma la Fratellanza operaia
di fronte al grande movimento politico del proletariato aveva mantenuto la
posizione di una società a parte, la quale aveva per lo più
un'esistenza fittizia e una funzione tanto subordinata che la reazione trovò
necessario sopprimerla solo nel 1850 e sopprimere le sue successive incarnazioni
solo molti anni dopo. Born, il cui vero nome è Buttermilch [latte quagliato
* - * nel tradurre Engels, commisi a questo proposito un errore nella prima
edizione, avendo preso la parola Buttermilch per un nome comune. Quest'errore
procurò naturalmente immenso piacere ai menscevichi. Koltsov scrisse
che « avevo approfondito Engels » (riprodotto nella raccolta In
due anni). Plekhanov ricorda ancor oggi questo errore nel Tovaristc. In una
parola, si è trovato un modo eccellente per passare sotto silenzio
la questione delle due tendenze nel movimento operaio del 1848 in Germania:
la tendenza di Born (apparentata ai nostri economisti) e la tendenza marxista.
E' più che naturale che si sfrutti l'errore di un contraddittore anche
quando si tratta unicamente del cognome di Born. Ma eludere l'essenza della
questione delle due tattiche mediante correzioni a una versione significa
capitolare di fronte alla sostanza dei dissenso [Nota dell'autore all'edizione
del 1907]. - ], non diventò un astro della politica, ma un piccolo
professore svizzero, che non traduce più Marx in linguaggio corporativo,
ma il mite Renan nel suo proprio tedesco dolciastro » 36.
Ecco come Engels valutava le due tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione
democratica!
I nostri neoiskristi pencolano anch'essi verso l'« economismo »
con uno zelo così eccezionale che si meritano gli elogi della borghesia
monarchica per « la lucidità di mente » in loro sopravvenuta.
Raccolgono anch'essi attorno a sé gli elementi più disparati,
adulano gli « economisti », attirano demagogicamente la massa
arretrata con le parole d'ordine della« attività indipendente
», della « demagogia », della« autonomia »,
ecc. ecc. Spesso le loro associazioni operaie esistono anch'esse unicamente
sulle pagine della nuova Iskra alla Khlestakov 37. Le loro parole d'ordine
e le loro risoluzioni rivelano la stessa incomprensione dei compiti «
del grande movimento politico del proletariato ».
NOTE
1 Le Due tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica furono
scritte a Ginevra e pubblicate alla fine del luglio 1905 nella stessa città
a cura del Comitato centrale del POSDR. Nello stesso anno ne uscirono due
altre edizioni per una tiratura complessiva di 10.000 copie: una del CC del
POSDR e l'altra del comitato di Pietroburgo.
Il libro venne diffuso clandestinamente in tutto il paese. Il 19 febbraio
1907 la commissione pietroburghese per la stampa ne ordinò il sequestro
e, il 22 dicembre, il tribunale ne ordinò la distruzione.
Nello stesso 1907 Lenin incluse lo scritto nella raccolta In dodici anni,
corredandolo di nuove note.
2 Cfr., nel presente volume, pp. 132-141.
3 La Commissione di Bulyghin, costituita nel febbraio 1905 con decreto dello
zar e presieduta da Bulyghin, ministro degli interni, elaborò il progetto
di legge per l'istituzione di una Duma consultiva e il regolamento per la
sua elezione, che furono pubblicati insieme col manifesto dello zar del 19
agosto dello stesso anno. I bolscevichi proclamarono il boicottaggio attivo
alla Duma di Bulyghin, e il governo non riuscì a convocarla perché
fu spazzata via dall'ondata rivoluzionaria.
4 Partito democratico costituzionale (cadetti): il più importante partito
borghese in Russia, costituitosi formalmente nell'ottobre 1905. Nacque dalla
fusione dell'« Unione per la liberazione » e dell'« Unione
degli zemtsy costituzionalisti ». L'« Unione per la liberazione
» era un'organizzazione politica clandestina, fondata a Pietroburgo
nel gennaio 1904. Ne fu presidente il grande proprietario fondiario Petrunkevic.
Raggruppava gli intellettuali liberali borghesi che fin dal 1902 si erano
raccolti attorno al giornale Osvobozdenie, pubblicato all'estero, e alcuni
rappresentanti della « sinistra » del movimento degli zemtsy.
5 Cfr. La lotta rivoluzionaria e la mediazione dei liberali e I compiti democratici
del proletariato rivoluzionario, nel v. 8 della presente edizione.
6 Cfr., nel presente volume, pp. 26, 31, 69, 72, 73.
7 Si tratta della piattaforma « costituzionale » di uno dei capi
del movimento liberale della fine del secolo scorso e dell'inizio del novecento,
D. N. Scipov, che propugnava il mantenimento del potere autocratico, limitato
però da una Costituzione elargita dallo zar.
8 Cfr. Tesi su Feuerbach in appendice a: Friedrich Engels, Feuerbach e il
punto di approdo della filosofia classica tedesca, Roma, Edizioni Rinascita,
1947, p. 80.
9 L'uomo nell'astuccio è il protagonista del racconto omonimo di Cekhov.
10 Last but not least: ultimo ma non meno importante.
11 Cfr. « Rivoluzionari» in guanti bianchi nel v. 8 della presente
edizione.
12 La risoluzione di Starover sull'atteggiamento verso i liberali era stata
approvata al II Congresso del POSDR. Lenin critica la risoluzione anche nell'articolo
Democrazia operaia e democrazia borghese (cfr. il v. 8 della presente edizione).
13 Il Congresso di Breslavia del Partito socialdemocratico della Germania
ebbe luogo nel 1895.
14 Lenin criticò aspramente la posizione di Nadezdin fin dal 1902,
nel Che fare? (cfr., nella presente edizione, v. 5, pp. 319-489).
15 Cfr. il v. 8 della presente edizione.
16 Lenin si richiama qui agli articoli: La socialdemocrazia e il governo rivoluzionario
provvisorio e La dittatura democratica rivoluzionaria del proletariato e dei
contadini (cfr. il v. 8 della presente edizione).
17 Nel 1874 un gruppo di emigrati blanquisti, ex membri della Comune di Parigi,
pubblicò a Londra il programma deriso da Engels (cfr. Zwei Flúgskundgebungen
in Engels, Internationales aus dem « Volksstaat », Berlin, Dietz,
1957, S. 39-56).
18 Il programma di Erfurt fu approvato dal Congresso di Erfurt tenutosi nell'ottobre
1891.
19 Nella prima edizione delle Due tattiche questa nota di Lenin, scritta nel
luglio 1905, venne omessa. Fu pubblicata per la prima volta nel 1926, nella
Miscellanea di Lenin, V.
20 Cfr. Lettera di Engels a Turati, 26 gennaio 1894, in appendice a: Lenin,
Sul movimento operaio italiano, Roma, Edizioni Rinascita, 1949, pp. 195-197.
21 Cfr. La socialdemocrazia e il governo rivoluzionario provvisorio nel v.
8 della presente edizione.
22 Cfr. il v. 8 della presente edizione.
23 Cfr. Il governo rivoluzionario provvisorio nel v. 8 della presente edizione
e I bakunisti al lavoro. Appunti sull'insurrezione spagnuola dell'estate 1873,
in: Karl Marx-Friedrich Engels, Contro l'anarchismo, Roma, Edizioni Rinascita,
1950, pp. 17-42.
24 « Credo »: nome dato al manifesto pubblicato da un gruppo di
« economisti » (Prokopovic, la Kuskova e altri, divenuti in seguito
cadetti). Lenin denunciò la posizione del gruppo nello scritto Protesta
dei socialdemocratici russi (cfr., nella presente edizione, v. 4, pp. 167-181).
25 Cfr. Critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione, in Karl
Mark, Scritti politici giovanili. Torino, Einaudi, 1950 p. 404.
26 Louis Eugène Varlin (1839-1871), operaio francese, membro della
I Internazionale; fece parte del Comitato centrale della guardia nazionale
e della Comune di Parigi; venne assassinato dai versagliesi.
27 Lenin criticò a fondo lo « statuto organizzativo » approvato
dalla conferenza menscevica del 1905 nell'articolo Un terzo passo indietro
(cfr. il v. 8 della presente edizione) e nella Prefazione all'opuscolo «
Gli operai e la scissione del partito » (cfr., nel presente volume,
pp. 148-153).
28 Cfr. Le lotte di classe in Francia, in Karl Marx-Friedrich Engels, Il 1848
in Germania e in Francia, Roma, Edizioni Rinascita, 1948, p. 223.
29 Hirsch-Dunker: liberali borghesi tedeschi che nel 1868 fondarono in Germania
dei sindacati. Essi erano fautori, come l'economista borghese Brentano, dell'«armonia
degli interessi di classe » e cercavano di distogliere gli operai dalla
rivoluzione e dalla lotta di classe contro la borghesia, di circoscrivere
il movimento sindacale alle casse di mutuo soccorso e alle organizzazioni
culturali-educative.
30 L'articolo I bakunisti al lavoro. Appunti sull'insurrezione spagnuola dell'estate
1873 fu tradotto in russo. Lenin ne fece la revisione, e lo scritto venne
pubblicato in opuscolo nel 1905 a Ginevra dalle edizioni del CC del POSDR
e nel 1906 a Pietroburgo (per la traduzione italiana cfr. I bakunisti al lavoro,
cit.).
L'Indirizzo del Comitato centrale della Lega dei comunisti, scritto da Marx
e da Engels nel marzo 1850, fu pubblicato in russo a Pietroburgo nel 1906
in appendice all'opuscolo: Karl Marx, Il processo dei comunisti a Colonia
(per la traduzione italiana cfr. Karl Marx-Friedrich Engels, Il Partito e
l'Internazionale, Roma, Edizioni Rinascita, 1848, pp. 87-98).
31 Cfr., nella presente edizione, v. 5, pp. 23-67.
32 Il lungo brano che segue, fino al capoverso che comincia con le parole:
« Abbiamo dimostrato... », era stato omesso nella prima edizione
delle Due tattiche. Venne pubblicato per la prima volta nella Pravda, n. 112,
22 aprile 1940.
33 Cfr. Il Partito e l'Internazionale, cit., p. 162.
34 Il titolo del giornale era Zeitung des Arbeiter-Vereins zu Kóln.
35 Lega dei comunisti: prima organizzazione internazionale del proletariato
rivoluzionario, fondata nell'estate del 1874 a Londra al congresso dei delegati
delle organizzazioni proletarie internazionali. Ne furono dirigenti e organizzatori
Marx e Engels, che scrissero, per incarico della Lega, il Manifesto del partito
comunista (cfr. Roma. Edizioni Rinascita, 1953). La Lega esistette sino al
1852 e i suoi dirigenti svolsero in seguito una funzione importante nella
I Internazionale. Cfr. Per la storia della Lega dei comunisti in Il Partito
e l'Internazionale, cit., pp. 11-31.
36 Ivi, pp. 25-26.
37 Khlestakov, personaggio della commedia di Gogol, Il revisore, tipo di spaccone
e mentitore irrefrenabile.