Biblioteca Multimediale Marxista
Gli operai della Fiat sono ritornati al lavoro. Tradimento? Rinnegamento delle
idealità rivoluzionarie? Gli operai della Fiat sono uomini in carne e
ossa. Hanno resistito per un mese. Sapevano di lottare e resistere non solo
per sé, non solo per la restante massa operaia torinese, ma per tutta
la classe operaia italiana.
Hanno resistito per un mese. Erano estenuati fisicamente perché da molte
settimane e da molti mesi i loro salari erano ridotti e non erano più
sufficienti al sostentamento familiare, eppure hanno resistito per un mese.
Erano completamente isolati dalla nazione, immersi in un ambiente generale di
stanchezza, di indifferenza, di ostilità, eppure hanno resistito per
un mese.
Sapevano di non poter sperare aiuto alcuno dal di fuori: sapevano che ormai
alla classe operaia italiana erano stati recisi i tendini, sapevano di essere
condannati alla sconfitta, eppure hanno resistito per un mese. Non c'è
vergogna nella sconfitta degli operai della Fiat. Non si può domandare
a una massa di uomini che è aggredita dalle più dure necessità
dell'esistenza, che ha la responsabilità dell'esistenza di una popolazione
di 40.000 persone, non si può domandare più di quanto hanno dato
questi compagni che sono ritornati al lavoro, tristemente, accoratamente, consapevoli
della immediata impossibilità di resistere più oltre o di reagire.
Specialmente noi comunisti, che viviamo gomito a gomito con gli operai, che
ne conosciamo i bisogni, che della situazione abbiamo una concezione realistica,
dobbiamo comprendere il perché di questa conclusione della lotta torinese.
Da troppi anni le masse lottano, da troppi anni esse si esauriscono in azioni
di dettaglio, sperperando i loro mezzi e le loro energie. E' stato questo il
rimprovero che fin dal maggio 1919 noi dell' "Ordine Nuovo" abbiamo
incessantemente mosso alle centrali del movimento operaio e socialista: non
abusate troppo della resistenza e della virtù di sacrificio del proletariato;
si tratta di uomini comuni, uomini reali, sottoposti alle stesse debolezze di
tutti gli uomini comuni che si vedono passare nelle strade, bere nelle taverne,
discorrere a crocchi sulle piazze, che hanno frame e freddo, che si commuovono
a sentir piangere i loro bambini e lamentarsi acremente le loro donne.
Il nostro ottimismo rivoluzionario è stato sempre sostanziato da questa
visione crudamente pessimistica della realtà umana, con cui inesorabilmente
bisogna fare i conti. Già un anno fa noi avevamo previsto quale sbocco
fatalmente avrebbe avuto la situazione italiana, se i dirigenti responsabili
avessero continuato nella loro tattica di schiamazzo rivoluzionario e di pratica
opportunistica. E abbiamo lottato disperatamente per richiamare questi responsabili
a una visione più reale, a una pratica più congrua e più
adeguata allo svolgersi degli avvenimenti.
Oggi scontiamo il fio, anche noi, dell'inettitudine e della cecità altrui;
oggi anche il proletariato torinese deve sostenere l'urto dell'avversario, rafforzato
dalla non resistenza degli altri. Non c'è nessuna vergogna nella resa
degli operai della Fiat. Ciò che doveva avvenire è avvenuto implacabilmente.
La classe operaia italiana è livellata sotto il rullo compressore della
reazione capitalistica. Per quanto tempo? Nulla è perduto se rimane intatta
la coscienza e la fede, se i corpi si arrendono ma non gli animi.
Gli operai della Fiat per anni e anni hanno lottato strenuamente, hanno bagnato
del loro sangue le strade, hanno sofferto la fame e il freddo; essi rimangono,
per questo loro passato glorioso, all'avanguardia del proletariato italiano,
essi rimangono militi fedeli e devoti della rivoluzione. Hanno fatto quanto
è dato fare a uomini di carne ed ossa; togliamoci il cappello dinanzi
alla loro umiliazione, perché anche in essa è qualcosa di grande
che si impone ai sinceri e agli onesti.
"L'Ordine Nuovo", 8 maggio 1921