Biblioteca Multimediale Marxista


Il Congresso di Lione del Partito comunista d'Italia (20-26 gennaio 1926)

V. Tesi sindacali, pp. 102-114

 


 

1. Nella storia del movimento operaio italiano il momento attuale, che è caratterizzato dalla introduzione della legislazione fascista sui Sindacati, ha una importanza decisiva. La introduzione della legislazione fascista sui Sindacati dà una sanzione legale alla soppressione di tutte le istituzioni create dal proletariato durante quaranta anni per organizzarsi come classe e organizzare la propria lotta contro il regime capitalistico. Una fase di questa lotta trova così la sua conclusione e dalle vicende di essa si ricavano indicazioni decisive sui compiti che spettano nel campo sindacale alla avanguardia rivoluzionaria della classe operaia.

I. Partito e sindacati nel movimento operaio italiano

2. La sconfitta che è toccata ai lavoratori italiani nel periodo che ora si chiude è legata a una serie di gravissimi errori di principio e pratici commessi nel campo sindacale dagli esponenti delle tendenze che ebbero il sopravvento nella organizzazione operaia.

L'errore fondamentale fu di natura politica e consistette nel disconoscere la funzione che spetta nella lotta contro la società borghese alla classe operaia e, in seno alla classe operaia, al proletariato della grande industria e al Partito politico che lo rappresenta. Il proletariato della grande industria è storicamente la forza che deve dirigere la lotta di tutti i lavoratori contro il capitale. La struttura della organizzazione sindacale e i rapporti tra i Sindacati e il Partito della classe operaia devono essere tali da assicurare che questa direzione si eserciti in modo effettivo, affinché la organizzazione delle grandi masse sotto la spinta dell'interesse immediato si traduca in una progressiva mobilitazione di esse sul terreno politico e affinché questa mobilitazione valga a impedire e spezzare ogni tentativo di riscossa reazionaria del capitale, e consenta la conquista del potere da parte dei lavoratori e la fondazione di uno Stato operaio.

Le tendenze che prevalsero nella direzione del movimento operaio in Italia si uniformarono sistematicamente e sempre a concezioni radicalmente opposte. Il problema di difendere gli interessi della grande massa della popolazione lavoratrice e di assicurarle libertà di sviluppo politico venne da esse considerato come il problema di introdurre una riforma democratica nell'apparato e nel modo di funzionare dello Stato borghese. Forza efficiente per determinare l'avvento di una democrazia fu considerata la piccola borghesia, unitamente alla frazione più radicale della borghesia stessa. La organizzazione dei lavoratori fu quindi promossa allo scopo di creare una massa da manovrare nella lotta per una democrazia borghese e formale. Essa doveva mantenersi sul terreno delle semplici rivendicazioni corporative, e, nel campo politico, doveva allearsi alla frazione di sinistra della borghesia, oppure rimanere passiva nella affermazione puramente verbale di un intransigenza dottrinaria.

3. Logicamente, da queste premesse politiche, i riformisti concludevano per la creazione di un grande Partito del lavoro nel quale le forze e il programma politico del proletariato rivoluzionario sarebbero stati soffocati dagli elementi politicamente più arretrati e il proletariato sarebbe stato posto al seguito della piccola borghesia radicale. Non essendo riusciti formalmente a realizzare questo punto programmatico, i riformisti si adoprarono per ottenere gli stessi risultati facendo della organizzazione sindacale un grande partito riformista il quale impediva e sabotava ogni preparazione rivoluzionaria del Partito e ogni mobilitazione e direzione delle masse da parte di esso. Questo male rapporto di subordinazione del Partito ai Sindacati - espressione e segno della sottomissione degli operai della grande industria e di tutta la classe lavoratrice alla influenza di classi controrivoluzionarie - fu mascherato da una situazione "legale" di eguaglianza tra la organizzazione politica e la organizzazione sindacale e di indipendenza di questa da quella. Questa situazione fu codificata per la prima volta al Congresso di Firenze del P.S.I. del 1907, come soluzione di compromesso per mantenere la unità del Partito socialista di fronte alle minacce di costituzione di un "Partito del Lavoro". Il finto "rivoluzionarismo" dei socialisti italiani abdicava cos!, di fronte alla burocrazia sindacale riformista, alla funzione di guidare i movimenti reali delle masse dei lavoratori e indicava la via dalla quale i massimalisti non uscirono mai più e sulla quale essi si trovano tuttora.

Tutto il marasma del movimento rivoluzionario italiano si spiega con questa configurazione dei rapporti tra Sindacati e Partito. Mentre la fraseologia rivoluzionaria del Partito serviva come mezzo di reclutamento delle masse ai Sindacati, i riformisti iscritti al Partito e dirigenti i Sindacati deliberavano all'infuori del Partito e contro la volontà di esso sull'indirizzo da imprimere ai movimenti di massa. L'episodio più clamoroso verificatosi prima della guerra fu quello del 1914: la C.G.d.L. fece cessare lo sciopero generale quando per la deliberazione del Sindacato ferrovieri di parteciparvi esso stava per assumere un carattere più radicale. Nemmeno questo episodio servi a far porre dal Partito nei suoi termini reali il problema dei suoi rapporti con i Sindacati e durante la guerra il Partito accettò di fatto che i Sindacati partecipassero ai Comitati di mobilitazione industriale, cioè collaborassero nella forma più aperta e più organica alla politica di guerra. In seguito, nel 1918, fu stipulato il patto di alleanza con cui si riconosceva agli iscritti al Partito dirigenti della Confederazione una posizione di eguaglianza rispetto ai membri della Direzione del Partito e si dava loro la possibilità, - da cui fu determinato l'andamento di tutto il movimento operaio nel dopoguerra, - di manovrare contro il Partito, di ricattarlo in ogni momento culminante, e di condurre una politica di blocco con la democrazia borghese e di opposizione alla soluzione rivoluzionaria dei problemi della vita politica italiana.

4. In questa situazione l'avanguardia proletaria e socialista rappresentata dagli operai della grande industria, anziché guidare la massa arretrata, era tenuta continuamente in iscacco da essa. Le grandi Camere del Lavoro in cui gli operai della grande industria avevano il sopravvento e sulle quali era difficile alla burocrazia sindacale di spadroneggiare erano battute sistematicamente sul terreno democratico dalla massa delle piccole fabbriche e dalle piccole Camere del Lavoro, nonché dagli operai della campagna controllati dalla Federterra. Contro questa "reazionaria" disposizione di forze gli operai reagirono spontaneamente sviluppando le organizzazioni di fabbrica.

Lo sviluppo delle Commissioni interne prima e poi dei Consigli di fabbrica esprime il tentativo degli operai della grande industria, - rappresentanti più caratteristici della volontà proletaria di attuare il socialismo, - di formare una organizzazione puramente proletaria per mettersi all'avanguardia delle grandi masse e dirigerle in una lotta a fondo contro il capitalismo. Il primo contrasto tra organizzazioni di fabbrica e Sindacati ebbe luogo durante la guerra, proponendosi gli operai di continuare la lotta di classe nelle fabbriche nonostante l'adesione della burocrazia riformista ai Comitati di mobilitazione. Il contrasto più profondo si ebbe, nel dopo guerra, quando le organizzazioni di fabbrica al programma riformista di fiancheggiare la borghesia democratica per l'avvento di un governo di sinistra opposero il programma della lotta rivoluzionaria per il controllo.

5. Scatenatasi la reazione e iniziatasi col fallimento della occupazione delle fabbriche la fase discendente del movimento operaio, i riformisti dovettero tener conto del fatto che il fascismo, iniziando la distruzione delle organizzazioni di classe dalla periferia, dalle campagne, e non toccando fino all'ultimo le grandi Camere del Lavoro, avrebbe provocato la prevalenza nella Confederazione degli operai della grande industria, influenzati dai comunisti. L'offensiva contro gli operai comunisti divenne quindi una necessità. Essa fu preparata con le modifiche statutarie stabilite nel 1921 ai Congresso di Livorno, le quali estesero fino all'arbitrio il potere della burocrazia sindacale e le fornirono i mezzi per isolare la lotta degli operai contro il fascismo e cercare di ottenere la liquidazione del Partito Comunista attraverso le successive sconfitte locali dell'avanguardia proletaria lasciata volta per volta a lottare sola contro tutta la reazione. Momento culminante di questa fase fu lo sciopero legalitario dell'agosto 1922, concepito per determinare l'avvento del governo di sinistra e risoltosi in un prologo all'avvento al potere del fascismo. Questo sciopero dette la prima dimostrazione che la tattica di conciliazione e collaborazione è condannata a fallire, a ottenere lo scopo opposto a quello che la tendenza riformista si proponeva, a spianare il potere alla reazione anziché a sbarrarle la via. L'avere perseverato in essa anche dopo la marcia su Roma, e soprattutto nel periodo di forte crisi politica aperto dal delitto Matteotti, ha impedito alla organizzazione di massa del proletariato di avere durante questa crisi una funzione decisiva, ma non ha impedito alla reazione di liquidare nel nostro paese ogni traccia di democrazia, assorbendo persino in massa una parte di quei ceti intermedi che erano considerati come i tipici rappresentanti della democrazia borghese.

6. Questa esperienza del movimento operaio italiano dimostra come sia fondamentale che il Partito proletario definisca con esattezza la importanza del suo lavoro sindacale, e là sua posizione di principio nella questione dei rapporti tra il Partito e i Sindacati.

Il Partito comunista afferma che la sua funzione di guida della classe operaia non si può attuare se esso non riesce a dirigere le grandi masse nei loro movimenti reali, i quali partono dalla difesa dell'interesse economico immediato e dalla rivendicazione della libertà della lotta di classe e si svolgono in prevalenza sul terreno sindacale. Il Partito comunista pone l'attività nel seno dei Sindacati in prima linea tra le diverse specie della sua attività e si propone di guidare di fatto i Sindacati attraverso la influenza acquistata nell'interno di essi dai comunisti organizzati in frazione. La iscrizione ai Sindacati e la esplicazione di una continua attività in seno ad essi sono, quindi, per i comunisti un obbligo essenziale. L'inadempimento di questo obbligo priva il Partito della sua efficienza politica e gli impedisce di adempiere la sua funzione rivoluzionaria. Correlativamente non si può ammettere che gli iscritti al Partito conducano nei Sindacati, - qualunque sia la carica che vi ricoprono - una politica diversa da quella del Partito. La organizzazione di una rete di frazioni sindacali comuniste deve consentire al Partito di disciplinare la sua lotta per avere nei Sindacati una influenza decisiva, per conquistare la direzione di essi, e per conquistare quindi la direzione della massa operaia e trascinarla dietro a sé nei decisivi combattimenti contro la reazione e per il potere.

II. La classe operaia e i sindacati in regime fascista

7. Il programma sindacale del fascismo, quale risulta dagli ultimi atti compiuti in questo campo e soprattutto dalla nuova legge sui Sindacati, deve essere spogliato di tutta la fraseologia pseudosindacalista con la quale ci si sforza di nascondere la sua vera natura. Esso è la espressione più rigorosa e conseguente del proposito delle classi dominanti di impedire al proletariato di organizzarsi come classe e di raccogliere attorno a sé e guidare le grandi masse dei lavoratori alla lotta contro il capitale. Esso è parte integrante dei provvedimenti che tendono a perseguire tutte quelle forme di attività attraverso le quali si realizzano una organizzazione e una mobilitazione anche parziale delle masse (istituzione del Podestà, legge sulle Associazioni, nuova legge elettorale politica, scioglimento di organizzazioni operaie, ecc.). Esso deve servire a dare una base stabile e sicura alla dittatura di una oligarchia industriale-agraria sulla maggioranza della popolazione.

Vi sono però ragioni particolari, di carattere politico ed economico, per cui il fascismo doveva giungere, come giunge ora, alla soppressione completa del sindacalismo indipendente e dovrà in avvenire considerare come suo compito principale la lotta contro il movimento operaio.

8. Dal punto di vista politico, occorre tenere presenti quali sono i fattori di una situazione rivoluzionaria in Italia e l'importanza che tra di essi ha sempre avuto il grado di organizzazione della classe operaia e soprattutto del proletariato industriale. Quando il proletariato della grande industria è fortemente organizzato e fa sentire il suo peso nella vita del paese, i contadini tendono a subire l'influenza di esso, sottraendosi a quella degli agrari e della piccola borghesia. In questo caso anche solo un governo di sinistra, cioè un governo che sia costretto a realizzare una certa democrazia formale, mette in movimento i contadini più poveri che vogliono la terra, determinando uno spostamento di forze che tocca tutto il regime borghese. Questo meccanismo politico ha funzionato specialmente, nel dopoguerra, quando irruppero nella vita politica vaste masse contadine, sia pure organizzate in modo informe e primitivo (Partito popolare, Combattenti, autonomisti, ecc.). La reazione fascista ha compreso che per rigettare nel torpore e nella passività queste masse occorreva distruggere le grandi organizzazioni operaie. Cosi oggi e nel prossimo avvenire la questione del risorgere di un vasto movimento sindacale è strettamente legata alla situazione generale politica, cioè al collegamento del proletariato con i contadini. Come i contadini non potranno fare gran cosa senza che esista un largo movimento operaio, così gli operai non potranno riorganizzarsi in grandi masse senza appoggiarsi a un certo movimento dei contadini. La questione dei rapporti tra le due classi è diventata. questione centrale ed essenziale. L'operaio che lavora tra. i contadini per risvegliarli e organizzarli in realtà lavora anche e specialmente per riorganizzare e mettere in movimento la sua classe, e il problema sindacale diventa problema centrale della preparazione politica della rivoluzione.

9. Dal punto di vista economico, occorre fissare quale è la situazione attuale italiana. Nonostante gli sforzi del fascismo per raggiungere una stabilizzazione, la situazione economica italiana continua a essere caratterizzata da una estrema instabilità. Instabile è l'equilibrio del bilancio perché l'incremento delle entrate è assorbito da un corrispondente aumento di spese e perché la sistemazione dei debiti di guerra, compiuta fino ad ora solo per un terzo di quanto l'Italia deve pagare all'estero, farà gravare sul bilancio tali pesi per cui, nonostante l'accrescimento dell'onere fiscale, il pareggio contabile potrà essere mantenuto solo con artifici. Instabile è pure la valuta, che ha subito le conseguente dell'inflazione di un miliardo verificatasi negli ultimi tre anni e si mantiene assai lontana dalle quotazioni precedenti la marcia su Roma. Fortemente passiva è la bilancia commerciale, nonostante il lieve miglioramento provocato nell'ultimo semestre dal buon raccolto granario.

La sistemazione dei debiti con l'America è stata ottenuta favorendo l'impiego su vasta scala del capitale americano in Italia, e al capitale cosi entrato nel nostro sistema industriale dovrà essere garantito un profitto sicuro. Per garantire, in genere, il profitto capitalistico il piano del fascismo è stato fin dall'inizio quello di favorire una grande concentrazione del capitale industriale, liberandolo da ogni onere e impaccio. Questa politica ha provocato un notevole incremento dei capitali investiti nelle aziende industriali, ma la situazione nelle principali branche della produzione è rimasta precaria. Le industrie tessili sono dipendenti dall'estero, quasi intieramente per le materie prime, le metallurgiche, siderurgiche e navali sono attive solo grazie alla protezione doganale e ai premi statali, le idroelettriche lottano contro la crisi del credito necessario ai loro impianti costosi. È necessario perciò ai grandi industriali assorbire tutto il risparmio del paese a cominciare dalla ingente massa delle rimesse degli emigranti, ed esercitare su tutta la ricchezza nazionale un controllo assoluto, cd il profitto può essere garantito soltanto da una politica economica la quale mantenga basso il costo di produzione e assicuri alla industria "nazionale" il monopolio del mercato interno mediante le varie forme di protezione. Esiste però tra questi clementi stessi una contraddizione, perché i bassi salari e gli alti prezzi di monopolio riducono la capacità di consumo del mercato interno, mentre la politica protezionista a lungo andare crea ostacoli alla espansione commerciale sui mercati esteri. In ultima analisi - come è del resto conforme ai principi del marxismo - condizione essenziale del profitto capitalistico nella economia industriale i lavoratori ottenuto con la resistenza al recupero da parte di italiana è lo sfruttamento intenso de essi della quota di salario perduta sotto l'offensiva fascista, con la ulteriore riduzione del livello dei salari e con la introduzione in fabbrica di una disciplina della produzione che renda lo sfruttamento sistematico e continuo (nuovi sistemi di cottimi, ecc.).

Ogni tentativo anche parziale degli operai di ribellarsi alle conseguenze di questo sistema avrà perciò nel prossimo avvenire una ripercussione immediata su tutta la economia italiana, di cui turberà a fondo l'equilibrio. Condizione essenziale di equilibrio sarà la compressione esercitata sulla massa lavoratrice in modo da impedire ogni efficace politica di difesa dei suoi interessi. Assurdo perciò contare sopra un contrasto tra il governo fascista e gli industriali. La saldatura tra la politica dell'estremismo fascista e la difesa del profitto capitalistico si compie in modo automatico e di conseguenza la lotta per i salari assume un valore rivoluzionario che non ha avuto nei passai decenni. Antifascismo e anticapitalismo diventano termini equivalenti. Non può più esistere una "lotta per la libertà" che non sia una lotta delle classi sfruttate contro la dittatura degli sfruttatori, e sul terreno sindacale si compiono gli atti essenziali di questa lotta.

10. In un primo periodo, subito dopo la marcia su Roma, la lotta contro il movimento operaio venne condotto dal fascismo cercando di introdurre una scissione permanente nel corpo della classe operaia col dare vita a una organizzazione sindacale fascista. Questo tentativo si è concluso con un fallimento clamoroso.

Le corporazioni, costrette a muoversi sul terreno di una democrazia sindacale sia pure ridotta al minimo, e a servirsi dei consueti sistemi di conquista e agitazione delle masse, non riuscirono mai ad avere una qualsiasi influenza sopra una parte notevole degli operai. Non appena si aprì una crisi politica grave, i Sindacati classisti ricostituirono la loro rete. Anche prima, del resto, nel periodo di più nera reazione e nonostante l'attività controrivoluzionaria della burocrazia sindacale le masse si erano tenute collegate sul terreno di classe attorno agli organismi di fabbrica. Questi fatti convinsero il fascismo della necessità di approfondire e rendere permanente in forma legale la disorganizzazione del proletariato. Le Corporazioni diedero principio alla nuova tattica lottando per sopprimere le Commissioni interne e accordandosi con gli industriali per eliminare di fatto le organizzazioni classiste dalle competizioni del lavoro (accordo di Palazzo Vidoni). Ora la nuova legge fa di esse esclusivamente uno strumento di compressione legale, economica e poliziesca, dei lavoratori. La nuova legge infatti esclude senz'altro la possibilità di un riconoscimento" da parte dello Stato delle organizzazioni classiste, e assicura alle Corporazioni il riconoscimento purché organizzino all'inizio il 10 per cento della categoria interessata e anche se in seguito esse dovranno ridursi al solo Consiglio direttivo composto di funzionari fascisti. Il riconoscimento porta con sé la rappresentanza esclusiva della categoria, il diritto esclusivo di trattare con gli industriali i concordati che la interessano, la facoltà di imporre un tributo a tutti gli operai, nonché la facoltà di far dichiarare reato ogni movimento promosso da altre organizzazioni o spontaneamente determinatosi tra le masse.

In conseguenza le Corporazioni saranno in una certa misura poste al sicuro da una spinta delle masse che cerchi di esercitarsi dall'interno di esse. Esse potranno procedere, in caso di pericolo, a revisioni e riduzioni dei loro quadri e potranno sempre respingere le adesioni di massa e limitarsi a organizzare una minoranza interessata al mantenimento del regime fascista. È assai probabile che si cercherà di dare a questa minoranza una coesione più grande di quella che è propria dei gruppi di "spezzatori di scioperi" pagati dai padroni. Si cercherà cioè di favorire gli interessi delle categorie più specializzate, di creare un contrasto nella officina stessa tra queste categorie e la grande massa dei lavoratori non qualificati e più poveri, di raccogliere attorno alle Corporazioni una aristocrazia di operai e di condurre a termine in questo modo l'opera di "decapitazione" della classe operaia iniziata con la espulsione dalle fabbriche degli elementi politicamente e sindacalmente più attivi.

11. Le organizzazioni classiste, considerate come semplici associazioni di fatto, impedite di concludere concordati o di trattare coi padroni sulla base dei concordati conclusi negli anni passati (essi sono stati tutti rescissi per legge), soggette in via normale a una sorveglianza di polizia, ed esposte a severe sanzioni penali per ogni tentativo di svolgere una azione sindacale, saranno ridotte a uno schema organizzativo scheletrico, che i riformisti si sforzeranno di mantenere sotto il proprio controllo, onde servirsene come una base per il loro Partito, e ottenere che, realizzandosi una vasta ripresa sindacale, la riorganizzazione delle masse avvenga di nuovo attorno ad essi, come avvenne nel 1924. La stessa passività con la quale la burocrazia sindacale ha accettato fino ad ora i provvedimenti annunciati dal fascismo è indicativo di questo proposito. I riformisti rimangono fedeli alla tattica seguita negli ultimi anni con la connivenza e con la complicità dei massimalisti. Essi vogliono tenere le masse lontane dai Sindacati, dare alle organizzazioni un carattere corporativo rinnegando i principi e la pratica della lotta di classe, e mantenersi al potere con mezzi di polizia interna (riduzione dei quadri, modifiche statutarie approvate al Congresso del 1924, espulsione degli esponenti comunisti, scissione delle masse). In sostanza la burocrazia sindacale non abbandonerà nella nuova situazione il suo programma tradizionale di servirsi dei Sindacati per impedire lo schieramento delle masse e movimenti decisivi di esse sul terreno rivoluzionario. Essa continuerà ad attuare la sua funzione di alleata della borghesia operante nel seno della classe lavoratrice.

Spetta all'avanguardia operaia organizzata nel Partito comunista di ostacolare questi propositi. Anche per questo lato il lavoro che essa svolgerà nel campo sindacale avrà una importanza decisiva per la preparazione del proletariato italiano alla rivoluzione.

III. La nostra azione sindacale

12. Gli obbiettivi che il Partito comunista si propone nel campo sindacale sono i seguenti:

l° - difendere i Sindacati di classe, unificare e mobilitare attorno ad essi le masse lavoratrici; difendere la Confederazione Generale del Lavoro come centro di unità organica del movimento operaio;

2° - provocare la creazione di organismi rappresentativi attorno ai quali, partendo dal luogo del lavoro, trovi unità e coesione la classe operaia;

3° - favorire e provocare, attraverso una serie di lotte parziali una mobilitazione generale del proletariato per la difesa del suo interesse economico e della libertà sindacale.

a - Difesa dei Sindacati di classe e unità sindacale

13. La difesa dei Sindacati di classe è per i comunisti, dopo la introduzione del regime sindacale fascista, compito e parola d'ordine fondamentale. Il valore di questa parola d'ordine sta nel fatto che essa si collega direttamente a tutta la lotta che il Partito comunista ha condotto nel campo sindacale fin dalla sua costituzione, contro gli avversari della lotta di classe, da una parte i fascisti, dall'altra i riformisti e i massimalisti. Essa non significa quindi abbandono o meno ostinata difesa delle posizioni di principio tenute e difese fino ad ora dai comunisti contro gli alleati della borghesia che si annidano in seno alle organizzazioni stesse del proletariato. Il mettere in prima linea la parola d'ordine della difesa dei Sindacati di classe significa che oggi questa è ritenuta dai comunisti l'esigenza fondamentale del movimento operaio e che ad essa quindi vanno collegati gli sforzi per proclamare, difendere e attuare, in seno ai Sindacati il programma e il metodo della lotta di classe rivoluzionaria.

I comunisti denunciano come controrivoluzionario e da combattersi con la più grande risolutezza ogni tentativo di approfittare della odierna situazione per scindere la unità dei Sindacati di classe, la unità della Confederazione Generale del Lavoro e delle Federazioni di mestiere che vi aderiscono. La Confederazione Generale del Lavoro e i Sindacati confederali sono il centro in cui la unità organica del proletariato italiano si è realizzata storicamente e deve essere mantenuta in qualsiasi condizione. Spezzare questa unità vorrebbe dire spezzare la continuità del processo di sviluppo del movimento operaio italiano.

La difesa dei Sindacati di classe deve però, in qualsiasi condizione e sotto qualsiasi regime, ottenersi raccogliendo attorno alla Confederazione e alle organizzazioni confederali la massa dei lavoratori delle officine e degli operai agricoli. I comunisti chiedono ai dirigenti la Confederazione di dare ai Sindacati una struttura che consenta questo collegamento continuo con le masse, sia con mezzi "legali", sia mediante forme di organizzazione segreta. Ogni rifiuto di adottare misure adeguate a questo scopo, ogni lentezza, ogni passività, verrà dai comunisti denunciata come una forma di acquiescenza al piano reazionario del capitalismo e del fascismo, e una pratica collaborazione alla attuazione di esso.

La campagna dei comunisti per la difesa dei Sindacati classisti sarà svolta direttamente tra le masse delle officine, come continuazione della campagna che da due anni il Partito comunista conduce per il ritorno degli operai ai Sindacati e per la conquista di essi alla lotta di classe. I comunisti si sforzeranno di tenere collegati nelle officine stesse gli operai conquistati al programma di difesa delle organizzazioni di classe, e di costringere i dirigenti sindacali a legare strettamente con le officine la nuova struttura che i Sindacati dovranno darsi per poter continuare a vivere e funzionare nella nuova situazione.

14. La difesa dei Sindacati di classe si collega direttamente con l'azione che i comunisti devono condurre per realizzare di fatto, nella Confederazione del Lavoro, l'unità sindacale. I problemi da considerare in questo, campo sono i seguenti:

l° - il problema di portare nel campo confederale quegli strati di operai e di salariati agricoli che ancora aderiscono, sia pure attraverso un minimo di legami organizzativi, alla Unione sindacale. L'Unione sindacale, se non rappresenta oggi una forza effettiva, può rappresentarla in una situazione diversa e diventare un'arma in mano dei fascisti per disgregare il movimento operaio. L'interesse della rivoluzione domanda che questa organizzazione scompaia. Dovrà perciò essere intensificala una apposita propaganda nelle zone dove il sindacalismo anarchico è ancora forte;

2° - il problema di portare ai Sindacati classisti le masse di lavoratori organizzate e controllate dai cattolici. L'avvicinamento della Confederazione Generale del Lavoro e della Confederazione dei Lavoratori (bianca), che all'epoca del II Congresso del nostro Partito era soltanto cosa ipotetica, è ora diventato una realtà con la costituzione dei "Comitati intersindacali" tra queste due organizzazioni. Questo fatto, dato che nel campo industriale l'influenza dei cattolici è scarsissima, ha per noi una importanza soprattutto politica, perché è legato al problema dei contadini e ai rivolgimenti avvenuti in questi ultimi anni nei rapporti tra borghesia e piccola borghesia. La organizzazione cattolica, costituita dal Vaticano per la lotta contro il proletariato, ha dovuto ricorrere ai Comitati intersindacali per infrenare le masse rurali orientate verso la lotta di classe e contro il fascismo. La soluzione dei Comitati intersindacali è però insufficiente e reazionaria. I riformisti l'hanno accettata per fare proprie soluzioni più destre delle loro e giustificare la loro inazione con la necessità della unità. I comunisti devono adoprarsi perché la costituzione dei Comitati sia un avviamento alla unione reale, alla base, di tutti i lavoratori. Lo sforzo per portare sul terreno di classe le masse organizzate dai cattolici si collega a quello che i comunisti compiono tra i contadini, per strapparli alla influenza del Vaticano e delle organizzazioni da esso create e controllate. Il successo che esso incontra è indice del fallimento del piano reazionario col quale il Vaticano si proponeva di impedire il cammino della lotta di classe.

15. La campagna per l'unità nel campo nazionale deve accompagnarsi alla campagna per la realizzazione di una effettiva organica unità sindacale nel campo internazionale. Il valore rivoluzionario di questa campagna è dimostrato dal fatto che essa ha permesso di fare breccia per la prima volta in modo notevole nel movimento operaio inglese, il che significa aver fatto un grandissimo passo, in avanti sulla via della rivoluzione. La campagna per la unità internazionale ha ottenuto con la costituzione del Comitato sindacale anglo-russo (Sindacati russi e minoranza rivoluzionaria dei Sindacati inglesi), un primo successo. Tutte le forze sindacali classiste devono essere mobilitate perché essa prosegua fino al raggiungimento del suo obbiettivo. Il fatto che la lotta per l'unità sindacale si svolge in contrasto con la destra dell'Internazionale sindacale di Amsterdam, fa si che l'unità, realizzata contro di essa, si farà su un piano anticollaborazionista e classista e col massimo di vantaggio per il proletariato internazionale. La cosa è manifesta in Italia dove i riformisti ostacolano la campagna per l'unità e i massimalisti non danno ad essa nessuna adesione e nessun appoggio effettivo.

Non esiste contraddizione tra la campagna per l'unità internazionale e le soluzioni indicate dal Partito comunista d'Italia al suo secondo Congresso per quanto riguarda i rapporti internazionali dei Sindacati italiani. Soltanto la campagna per l'unità consente alla avanguardia comunista di stabilire, nella situazione attuale, un collegamento con le masse che sono ancora influenzate dalla socialdemocrazia e di strapparle a questa influenza.

16. La posizione della burocrazia riformista può considerarsi definita a sufficienza dal contegno che essa ha tenuto nel recensissimo passato, (quando già gli attuali sviluppi della situazione erano prevedibili), respingendo tutte le proposte avanzate dai comunisti allo scopo di stabilire tra i Sindacati e le masse un collegamento che possa resistere ai colpi di qualsiasi offensiva reazionaria. La burocrazia sindacale trovò nelle proposte dei comunisti il pretesto per applicare, con la espulsione dei nostri esponenti, un piano di scissione e di distacco dei Sindacati dalle masse rivoluzionarie. La sostanza di questo atteggiamento resterà certamente immutata anche nell'avvenire perché corrisponde alla funzione di conservazione sociale che spetta al Partito riformista.

Il Partito comunista quindi - mentre rafforzerà le frazioni comuniste che devono compiere il lavoro di conquista dei Sindacati dall'interno ed eviterà di raccogliere le provocazioni dei riformisti, - cercherà, non appena ve ne sia la possibilità, di creare in seno ai Sindacati confederali e al movimento operaio una "sinistra" la quale non si identifichi coll'apparato sindacale del Partito e comprenda tutte le correnti classiste e anticollaborazioniste. Non vi è dubbio che alla base si avrà l'adesione di elementi proletari del Partito massimalista. Quanto al Partito massimalista come tale, assai problematica si presenta ora la possibilità di una effettiva collaborazione con esso su questo terreno.

Dopo il breve periodo di adesione al programma delle "sinistre sindacali", il Partito massimalista non ha mai avuto una politica sindacale autonoma di classe. I suoi Comitati sindacali furono creati al solo scopo di controbattere la propaganda comunista e di organizzare lo scambio di servizi con i riformisti per la difesa della burocrazia sindacale. Nel recente passato i dirigenti socialisti legati politicamente non solo ai riformisti ma a gruppi e partiti borghesi, si servirono della loro influenza nei Sindacati per ostacolare la mobilitazione delle masse sopra un terreno di classe, e lo stesso libero sviluppo della lotta sindacale. La uscita dall'Aventino non ha fino ad ora modificato il loro contegno. Essi continuano a ripetere le affermazioni di intransigenza dottrinaria e a rifiutare di organizzare insieme con i comunisti una azione di riconquista dei Sindacati alla lotta di classe e alle masse rivoluzionarie.

Qualora nella odierna situazione, e per la spinta delle masse che vogliono alla base unificare i loro sforzi per la difesa dei Sindacati, il Partito massimalista dovesse modificare questo suo contegno, il Partito comunista manterrà come programma per un lavoro comune quello esposto nella lettera inviata il 17 ottobre ai massimalisti dal nostro Comitato sindacale. Esso si baserà cioè su questi punti fondamentali:

1° - opposizione a qualsiasi forma di collaborazione con la classe borghese, e a qualsiasi forma di acquiescenza al piano reazionario di distruzione dei Sindacati di classe;

2° - azione intesa a realizzare la unità sindacale nazionale e internazionale, azione in favore dei compagni russi nelle Internazionali professionali, adesione al programma e alla tattica del Comitato anglo-russo;

3° - azione per mantenere in vita e in efficienza le organizzazioni confederali, avvicinandone la struttura al posto di lavoro e chiamando le masse a stringersi attorno a esse;

4° - azione per ottenere nelle organizzazioni confederali il rispetto dei principi della democrazia sindacale, revoca dei provvedimenti di espulsione dei comunisti, riforma dello Statuto confederale per consentire la manifestazione e la prevalenza della volontà delle masse nel determinare la politica dei Sindacati;

5° - azione che tenda alla unificazione dei lavoratori attorno a organismi rappresentativi di massa e alla mobilitazione di essi per la difesa del salario e per la conquista delle libertà sindacali elementari.

b - Il fronte unico e la sua organizzazione

17. Di fronte alla politica sindacale del fascismo, ogni azione autonoma della classe lavoratrice diventa senz'altro "illegale". Essa deve perciò utilizzare accuratamente tutte le possibilità che si offrono, cambiare mille volte stile e metodo per non lasciarsi mai ridurre al muro dall'avversario e non dargli mai tregua. Ricacciata da un lato, deve riaffacciarsi dall'altro, identificata e soffocata sotto un aspetto risorgere sotto un altro e diverso per la tensione di una costante volontà di lotta, volta a una intelligente ricerca del massimo risultato, decisa ad assicurare con tutti i mezzi la propria continuità. Un simile sforzo richiede un tale impiego di energie che è assurdo pensare possa prolungarsi fino al suo termine vittorioso senza contare su una preparazione psicologica delle masse, cioè su un dato grado di "unificazione" di esse.

Il Partito comunista deve saper svolgere tutta la attività necessaria perché questa unificazione abbia luogo. Il "fronte unico" deve da questo punto di vista essere considerato da esso non come un "mezzo" o una "manovra", ma come un fine reale e positivo da raggiungere, per resistere alla polverizzazione, alla disgregazione morale che la nuova ondata terroristica e il crollo definitivo delle illusioni aventiniane possono portare alla coscienza delle masse.

In ogni situazione e ad ogni proposito i comunisti si presentano alle masse come i partigiani più risoluti della unità, avendo coscienza che la unificazione delle masse sul terreno della lotta di classe è la premessa indispensabile e il mezzo più efficace di condurre la lotta contro la reazione.

18. Il fronte unico sul terreno sindacale deve avere alla sua base un programma di rivendicazioni concrete, tale da potere e dover essere accettato dai lavoratori di tutte le categorie e di tutte le tendenze politiche; esso deve inoltre presentarsi come strettamente unito alla condizione reale della classe lavoratrice. I punti di questo programma possono essere brevemente indicati cosi:

l° - lotta per le libertà sindacali (libertà di organizzazione, libertà di sciopero, ecc.). Sarebbe profondamente, errato il rifiutarsi di agitare il problema della libertà sindacale per il fatto che noi sappiamo che l'era del "liberalismo industriale" è finita e che, nel periodo dell'imperialismo, il regime capitalista non si regge se non sopprimendo la libertà sindacale. Questa nostra convinzione deve anzi spingerci ad agitare in modo più deciso la parola d'ordine della "libertà sindacale" appunto perché sappiamo che la rivendicazione di questa libertà è destinata a portare le masse Sul terreno della lotta insurrezionale contro il regime capitalistico;

2° - lotta per la ricostituzione e per la libertà degli organismi rappresentativi di fabbrica (Commissioni interne);

3° - lotta per la giornata effettiva di otto ore;

4° - lotta per un minimo di salari e per la scala mobile dei salari;

5° - lotta contro i dazi doganali;

6° - lotta contro il caro-vita e contro la speculazione sui generi di consumo popolare.

19. Il fronte unico delle masse lavoratrici che il Partito comunista tende a creare con tutta la sua azione nel campo sindacale deve avere una forma organizzata. E poiché la classe operaia riceve una forma organica aderente alla organizzazione stessa della produzione capitalistica, alla fabbrica, la organizzazione del fronte unico abbracciante tutta la massa dei lavoratori dovrà a sua volta essere aderente al luogo stesso della produzione, alla fabbrica. Da questa necessità è derivata nel passato la importanza delle Commissioni interne e deriverà l'importanza dei Comitati di agitazione di fabbrica, che ad esse si debbono sostituire dappertutto dove la vecchia Commissione interna sia soppressa, o burocratizzata in modo da non poter più essere riconosciuta come rappresentanza diretta da tutta la massa degli operai lavoranti nella officina.

La esperienza del movimento operaio italiano è, su questo punto, decisiva. Sorte in virtù di concordati stretti dalla organizzazione sindacale, le Commissioni interne ebbero come loro caratteristica quella di essere "organi del fronte unico" di tutti i lavoratori. Esse mantennero questa caratteristica anche quando la situazione fu tale che attraverso le elezioni delle Commissioni interne si dovette condurre la difesa della organizzazione di classe, né dovranno perderla nell'avvenire, qualunque sia la forma in cui esse rivivranno e il modo come saranno utilizzate nella mobilitazione delle masse per la difesa dei Sindacati di classe.

I Comitati di agitazione, diversi dalle C.I. per la forma, sono ad esse analoghi nella sostanza, perché sono essi pure organi di raccoglimento e di rappresentanza di tutta la massa lavoratrice delle officine, e di mobilitazione di essa, sul terreno di classe, per il raggiungimento di scopi immediati e la preparazione di lotte sempre più vaste. Nella situazione latta dalla legge fascista ai Sindacati, nessuna lotta sindacale è possibile, nessuna mobilitazione anche solo di sezioni separate del proletariato è concepibile senza che la costituzione dei Comitati di agitazione diventi una consuetudine accolta dalla classe operaia, un metodo applicato generalmente e riconosciuto come il solo adatto alla situazione.

Mezzo efficacissimo per il collegamento organizzativo e spirituale tra le diverse sezioni della classe operaia mobilitate ed entrate in movimento, e quindi efficacissimo mezzo di "organizzazione del fronte unico", saranno le Conferenze di officina. L'iniziativa di tali Conferenze deve partire dalle maggiori fabbriche (Torino, Milano) ed esprimere un bisogno male delle maestranze industriali di prendere contatto tra di loro per scambiarsi vedute, notizie, esperienze e per giungere ad accordi sul terreno organizzativo e sui metodi di lotta. Esse dovranno tenersi "illegalmente", come la situazione impone, ma ai loro risultati va data la massima risonanza. Bisognerà incominciare in una data località e per le fabbriche di una data branca industriale, poi preparare le conferenze per tutte le fabbriche di una località, poi organizzarle su piano regionale, interregionale, nazionale, sia orizzontalmente per territorio, sia verticalmente per industria. La situazione del proletariato italiano è ormai cos! grave che il divieto opposto dai dirigenti confederali alle conferenze di officina cadrà nel vuoto. Gli operai capiranno che ogni iniziativa la quale tenda a stabilire rapporti organici tra le masse va posta all'attivo del movimento proletario. Inoltre uno degli argomenti principali che le Conferenze di officina dovranno trattare dovrà essere proprio quello della difesa e della valorizzazione dei Sindacati liberi.

Le Conferenze di officina devono mettere capo alla creazione di comitati di agitazione permanenti di una località, regionali, nazionali, che saranno emanazione diretta del proletariato industriale e che, prendendo contatto coi lavoratori delle aziende agricole, daranno luogo alla formazione di Comitati operai e contadini.

c - Nostri criteri di tattica sindacale

20. I comunisti affermano che nella situazione latta oggi alla classe lavoratrice non vi sono mezzi di lotta e forme di azione che non possano essere adottate per provocare la progressiva riorganizzazione e mobilitazione del proletariato. Questo non vuol dire che il Partito comunista rinunci alla propaganda e all'agitazione per l'azione generale. L'azione generale, nella sua forma concreta di sciopero generale, è considerata da noi come forma specifica di lotta della classe lavoratrice per la soluzione dei problemi che la interessano nella sua totalità. Essa corrisponde però a un determinato grado di organizzazione, unificazione cd efficienza delle masse, ed acquista un valore pratico se si matura da una fase in cui il moltiplicarsi delle agitazioni locali, e le manifestazioni sicure e spontanee della periferia, la portano come indicazione evidente e come vertice di un processo di sviluppo preparatosi alla base del movimento operaio. L'azione generale non può quindi essere oggi considerata da noi come un punto di partenza, ma come il punto di arrivo di una serie di movimenti parziali che l'avanguardia comunista deve riuscire a suscitare, dirigere, estendere, unificare, trascinando dietro a sé le masse senza mai staccarsi da esse.

Il valore delle azioni parziali deriva del resto dalla particolare situazione del capitalismo italiano e dalla naturale tendenza delle masse operaie a reagire in modo sporadico e saltuario alla pressione che si esercita sopra di esse.

Queste affermazioni non significano che il nostro Partito debba vivere alla giornata e lasciarsi trascinare dagli avvenimenti. La situazione di disgregazione del proletariato non deve essere "teorizzata" e subita; essa costituisce però il punto di partenza del nostro lavoro e moltiplica i nostri compiti di eccitamento, coordinamento, utilizzazione cd estensione delle esperienze di lotta della classe operaia. D'altra parte, se la parola d'ordine della azione generale è troppo lontana dai rapporti reali di forza fra le masse lavoratrici e la dittatura borghese, essa invece di avere un valore dinamico, come noi vorremmo, può essere una fonte di demoralizzazione e disfattismo, perché viene dalle masse interpretata come propria di una assurda tattica di attacco frontale.

21. Le azioni parziali devono sempre essere concepite e condotte dai comunisti allo scopo di ottenere che in conseguenza di esse una sezione del proletariato sia portata in avanti, mobilitata sopra una posizione più favorevole, imbevuta di maggiore spirito combattivo, fornita di migliori strumenti di lotta (Comitati di agitazione), orientata più decisamente per la lotta di classe rivoluzionaria.

Alle azioni parziali e alla preparazione, attraverso di esse, di una azione generale, deve essere collegata l'attività dei comunisti per la organizzazione del fronte unico, cioè per la creazione dei Comitati di agitazione, per le Conferenze di officina e per i Comitati operai e contadini. Deve evitarsi che questa nostra attività sembri avere un contenuto puramente "organizzativo". Ciò finirebbe per dare ad essa un carattere astratto e dottrinario privandola di ogni efficacia dinamica.

Le parole d'ordine agitate comunisti per spingere le masse a movimenti parziali devono essere chiare, semplici, in immediato rapporto con la situazione reale degli operai che noi vogliamo muovere.

22. Anche nel campo sindacale saranno possibili episodi di opposizione violenta degli operai alla insopportabile schiavitù cui li si vuole sottomettere (sabotaggio dell'apparato di produzione, tattica irlandese). Noi li rileveremo come sintomi della situazione, solidarizzeremo di fronte alle masse con gli operai che hanno cercato di reagire in questo modo, ma interverremo per evitare che tali episodi isolati abbiano come sola conseguenza il dissanguamento, la distruzione dei migliori elementi del proletariato rivoluzionario. Ciò sarà evitato se il nostro Partito riuscirà a unificare spiritualmente le masse e a legare alle loro dirette esperienze parole d'ordine concrete che dalle masse siano sentite come capaci di fondare una male politica di liberazione dalla oppressione fascista.

23. Le più ragionevoli previsioni sul modo come si atteggerà la lotta sindacale in Italia nel prossimo avvenire impongono al Partito compiti particolari di azione da svolgersi nel suo stesso seno. Oltre alla ricostituzione delle nostre frazioni nei Sindacati, ci si deve proporre di creare dei quadri capaci per guidare l'azione sindacale. Si devono tener presenti tre cose:

l° in molti casi non vi è dubbio che ai compagni nostri spetterà, attraverso l'apparato delle cellule di officina, di dare una direttiva per i movimenti parziali.

2° Noi dobbiamo essere in grado di mantenerci di fatto alla testa delle masse in tutto, il periodo di preparazione rivoluzionaria che ora si apre, per evitare che, verificandosi una ripresa aperta, i riformisti abbiano la possibilità di mantenere ancora nelle loro mani l'apparato di direzione dei Sindacati.

3° I comunisti devono avere la capacità, prima di iniziare un movimento, di valutare la situazione non solo in sé stessa, ma nel quadro generale del sistema industriale e del capitalismo italiano. Essi devono inoltre essere in grado di conoscere sempre quale è la configurazione delle maestranze nella officina, quali sono i rapporti tra le diverse categorie in relazione con i sistemi di lavoro e con la disciplina di fabbrica, e quale di conseguenza il valore per le singole categorie di ogni concordato che modifichi i sistemi e la misura delle retribuzioni. Solo questa conoscenza permetterà ai comunisti di ostacolare con efficacia i tentativi del fascismo per disgregare il proletariato, di assumere sempre la difesa delle categorie più povere e sfruttate, e di ottenere che tutte le maestranze solidarizzino attorno ad esse.

Si dovranno fare perciò nel Partito degli speciali corsi di istruzione per l'azione sindacale.

24. Si sono già indicati i motivi che restringeranno all'estremo il margine di una azione indipendente nelle Corporazioni fasciste diventate Sindacato unico obbligatorio. Occorrerà tuttavia sfruttare tutte le possibilità.

Quanto si è detto circa l'azione di difesa dei Sindacati classisti precisa il contegno che il Partito deve assumere tra le masse in confronto delle Corporazioni. Il Partito condanna ogni tendenza a favorire l'ingresso nelle Corporazioni affermando che solo dall'interno di esse sia ormai possibile giungere alla mobilitazione delle masse.

Rimangono immutate le disposizioni circa l'ingresso forzato nelle, Corporazioni di compagni nostri.

d - Cooperazione, mutualità, emigrazione

25. Il fascismo è passato come un uragano distruttore sopra le istituzioni cooperative. Il loro, risorgimento non è concepibile se non si avvera la condizione fondamentale per la vita della cooperazione e cioè l'autonomia e la libera iniziativa dei soci. Il nostro, Partito deve seguire con attenzione le sorti di alcuni organismi cooperativi che presentano il maggiore interesse sociale: le grandi cooperative di consumo e le cooperative agricole di conduzione dei terreni, facendo funzionare, ovunque possibile, le frazioni del Partito nel loro seno e svolgendo un'azione di difesa della loro indipendenza dall'ingerenza governativa e fascista, per la conservazione del loro originario carattere.

Nel campo della mutualità la sola questione attuale è quella delle Mutue di fabbrica. La nostra tattica si basa sui punti seguenti:

a - piena indipendenza amministrativa e tecnica dalla direzione dell'azienda;

b - raggruppamento delle Mutue di fabbrica in un unico organismo mutualistico abbracciante la totalità dei lavoratori di ogni località;

c - stretta alleanza di tale organismo con la cooperazione di consumo restituita alla piena disponibilità dei soci.

26. La tendenza degli industriali è oggi a favorire la emigrazione all'estero dei vecchi operai qualificati, e ad importare nelle città industriali del Nord mano d'opera meridionale non qualificata.

È necessario reagire a tutte e due queste. tendenze, per impedire che venga approfondito il processo di decomposizione della classe operaia, che essa perda la fisionomia acquistata in questi ultimi anni di lotta. Si deve favorire il ritorno dall'estero degli emigrati politici proletari, e tra la mano d'opera arretrata importata nelle grandi città industriali condurre una particolare propaganda, la quale parta dalla considerazione delle speciali condizioni di questa mano d'opera, che è di origine contadina.