Biblioteca Multimediale Marxista
Tesi del III Congresso del Partito comunista d'Italia
Lione, gennaio 1926
1. La trasformazione dei partiti comunisti, nei quali si raccoglie l'avanguardia
della classe operaia, in partiti bolscevichi, si può considerare, nel
momento presente, come il compito fondamentale dell'Internazionale comunista.
Questo compito deve essere posto in relazione con lo sviluppo storico del movimento
operaio internazionale, e in particolare con la lotta svoltasi nell'interno
di esso, tra il marxismo e le correnti che costituivano una deviazione dai principi
e dalla pratica della lotta di classe rivoluzionaria. In Italia il compito di
creare un partito bolscevico assume tutto il rilievo che è necessario
soltanto se si tengono presenti le vicende del movimento operaio dai suoi inizi
e le deficienze fondamentali che in esse si sono rivelate.
2. La nascita del movimento operaio ebbe luogo in ogni paese in forme diverse.
Di comune vi fu in ogni luogo la spontanea ribellione del proletariato contro
il capitalismo. Questa ribellione assunse però in ogni nazione una forma
specifica, la quale era il riflesso e conseguenza delle particolari caratteristiche
nazionali degli elementi che, provenendo dalla piccola borghesia e dai contadini,
avevano contribuito a formare la grande massa del proletariato industriale.
Il marxismo costituì l'elemento cosciente, scientifico e superiore al
particolarismo delle varie tendenze di carattere e origine nazionale e condusse
contro di esse una lotta nel campo teorico e nel campo dell'organizzazione.
Tutto il processo formativo della I Internazionale ebbe come cardine questa
lotta, la quale si conchiuse con la espulsione del bakuninismo dalla Internazionale.
Quando la I Internazionale cessò di esistere, il marxismo aveva ormai
trionfato nel movimento operaio. La II Internazionale si formò infatti
di partiti i quali si richiamavano tutti al marxismo e lo prendevano come fondamento
della loro tattica in tutte le questioni essenziali. Dopo la vittoria del marxismo,
le tendenze di carattere nazionale delle quali esso aveva trionfato cercarono
di manifestarsi per altra via, risorgendo nel seno stesso del marxismo come
forme di revisionismo.
Questo processo fu favorito dallo sviluppo della fase imperialistica del capitalismo.
Sono strettamente connessi con questo fenomeno i seguenti tre fatti: il venir
meno nelle file del movimento operaio della critica dello Stato, parte essenziale
della dottrina marxista, alla quale si sostituiscono le utopie democratiche;
il formarsi di un'aristocrazia operaia; un nuovo spostamento di masse dalla
piccola borghesia e dai contadini al proletariato, quindi una nuova diffusione
tra il proletariato di correnti ideologiche di carattere nazionale, contrastanti
col marxismo. Il processo di degenerazione della II Internazionale assunse così
la forma di una lotta contro il marxismo che si svolgeva nell'interno del marxismo
stesso. Esso culminò nello sfacelo provocato dalla guerra.
Il solo partito che si salvò dalla degenerazione è il Partito
bolscevico, il quale riuscì a mantenersi alla testa del movimento operaio
del proprio paese, espulse dal proprio seno le tendenze antimarxiste ed elaborò,
attraverso le esperienze di tre rivoluzioni, il leninismo, che è il marxismo
dell'epoca del capitalismo monopolista, delle guerre imperialiste e della rivoluzione
proletaria. Viene così storicamente determinata la posizione del Partito
bolscevico nella fondazione e a capo della III Internazionale, e sono posti
i termini del problema di richiamare l'avanguardia del proletariato alla dottrina
e alla pratica del marxismo rivoluzionario, superando e liquidando completamente
ogni corrente antimarxista.
3. In Italia le origini e le vicende del movimento operaio furono tali che non
si costituì mai, prima della guerra, una corrente di sinistra marxista
che avesse un carattere di permanenza e di continuità. Il carattere originario
del movimento operaio italiano fu molto confuso; vi confluirono tendenze diverse,
dall'idealismo mazziniano al generico umanitarismo dei cooperatori e dei fautori
della mutualità e al bakuninismo, il quale sosteneva che esistevano in
Italia, anche prima dello sviluppo del capitalismo, le condizioni per passare
direttamente al socialismo. La tarda origine e la debolezza dell'industrialismo
fecero mancare l'elemento chiarificatore dato dalla esistenza di un forte proletariato,
ed ebbero come conseguenza, che anche la scissione degli anarchici dai socialisti
si ebbe con un ritardo di una ventina d'anni (1892, Congresso di Genova).
Nel Partito socialista italiano come uscì dal Congresso di Genova due
erano le correnti dominanti. Da una parte vi era un gruppo di intellettuali
che non rappresentavano più della tendenza a una riforma democratica
dello Stato: il loro marxismo non andava oltre il proposito di suscitare e organizzare
le forze del proletariato per farle servire alla instaurazione della democrazia
(Turati, Bissolati, ecc.). Dall'altra parte un gruppo più direttamente
collegato con il movimento proletario, rappresentante una tendenza operaia,
ma sfornito di qualsiasi adeguata coscienza teorica (Lazzari). Fino al '900
il partito non si propose altri fini che di carattere democratico. Conquistata
nel '900, la libertà di organizzazione e iniziatasi una fase democratica,
fu evidente la incapacità di tutti i gruppi che lo componevano a dargli
una fisionomia di un partito marxista del proletariato. Gli elementi intellettuali
si staccarono anzi sempre più dalla classe operaia, né ebbe un
risultato il tentativo, dovuto a un altro strato di intellettuali e piccoli
borghesi, di costituire una sinistra marxista che prese forma nel sindacalismo.
Come reazione a questo tentativo trionfò in seno al partito la frazione
integralista, la quale fu la espressione, nel suo vuoto verbalismo conciliatorista,
di una caratteristica fondamentale del movimento operaio italiano, che si spiega
essa pure con la debolezza dell'industrialismo, e con la deficiente coscienza
critica del proletariato. Il rivoluzionarismo degli anni precedenti la guerra
mantenne intatta questa caratteristica, non riuscendo mai a superare i confini
del generico popolarismo per giungere alla costruzione di un partito di classe
operaia e alla applicazione del metodo della lotta di classe. Nel seno di questa
corrente rivoluzionaria si incominciò, già prima della guerra,
a differenziare il gruppo di "estrema sinistra" il quale sosteneva
le tesi del marxismo rivoluzionario, in modo saltuario però e senza riuscire
ad esercitare sullo sviluppo del movimento operaio una influenza reale.
In questo modo si spiega il carattere negativo ed equivoco che ebbe la opposizione
del Partito socialista alla guerra e si spiega come il Partito socialista si
trovasse, dopo la guerra, davanti ad una situazione rivoluzionaria immediata,
senza avere né risolto, né posto nessuno dei problemi fondamentali
che la organizzazione politica del proletariato deve risolvere per attuare i
suoi compiti: in prima linea il problema della "scelta della classe"
e della forma organizzativa ad essa adeguata; poi il problema del programma
del partito, quello della sua ideologia, e infine i problemi di strategia e
di tattica la cui risoluzione porta a stringere attorno al proletariato le forze
che gli sono naturalmente alleate nella lotta contro lo Stato e a guidarlo alla
conquista del potere. La accumulazione sistematica di una esperienza che possa
contribuire in modo positivo alla risoluzione di questi problemi si inizia in
Italia soltanto dopo la guerra. Soltanto col Congresso di Livorno sono poste
le basi costitutive del partito di classe del proletariato il quale, per diventare
un partito bolscevico e attuare in pieno la sua funzione, deve liquidare tutte
le tendenze antimarxiste tradizionalmente proprie del movimento operaio.
Analisi della struttura sociale italiana
4. Il capitalismo è l'elemento predominante nella società italiana
e la forza che prevale nel determinare lo sviluppo di essa. Da questo dato fondamentale
deriva la conseguenza che non esiste in Italia possibilità di una rivoluzione
che non sia la rivoluzione socialista. Nei paesi capitalistici la sola classe
che può attuare una trasformazione sociale reale e profonda è
la classe operaia. Soltanto la classe operaia è capace di tradurre in
atto i rivolgimenti di carattere economico e politico che sono necessari perché
le energie del nostro paese abbiano libertà e possibilità di sviluppo
complete. Il modo come essa attuerà questa sua funzione rivoluzionaria
è in relazione con il grado di sviluppo del capitalismo in Italia e con
la struttura sociale che ad esso corrisponde.
5. L'industrialismo, che è la porta essenziale del capitalismo, è
in Italia assai debole. Le sue possibilità di sviluppo sono limitate
e per la situazione geografica e per la mancanza di materie prime. Esso non
riesce quindi ad assorbire la maggioranza della popolazione italiana (4 milioni
di operai industriali stanno di fronte a 3 milioni e mezzo di operai agricoli
e a 4 milioni di contadini). Si oppone all'industrialismo una agricoltura la
quale si presenta naturalmente come base della economia del paese. Le variatissime
condizioni del suolo, e le conseguenti differenze di colture e sistemi di conduzione,
provocano però una forte differenziazione dei ceti rurali, con una prevalenza
degli strati poveri, più vicini alle condizioni del proletariato e più
facili a subire la sua influenza e ad accettarne la guida. Tra le classi industriali
ed agrarie si pone una piccola borghesia urbana abbastanza estesa e che ha importanza
assai grande. Essa consta in prevalenza di artigiani, professionisti e impiegati
dello Stato.
6. La debolezza intrinseca del capitalismo costringe la classe industriale ad
adottare degli espedienti per garantirsi il controllo sopra tutta la economia
del paese. Questi espedienti si riducono in sostanza a un sistema di compromessi
economici tra una parte degli industriali e una parte delle classi agricole,
e precisamente i grandi proprietari di terre. Non ha quindi luogo la tradizionale
lotta economica tra industriali ed agrari, né ha luogo la rotazione di
gruppi dirigenti che essa determina in altri paesi. Gli industriali non hanno
d'altra parte bisogno di sostenere, contro gli agrari, una politica economica
la quale assicuri il continuo afflusso di mano d'opera dalle campagne alle fabbriche,
perché questo afflusso è garantito dalla esuberanza di popolazione
agricola povera che è caratteristica dell'Italia. L'accordo industriale-agrario
si basa sopra una solidarietà di interessi tra alcuni gruppi privilegiati,
ai danni degli interessi generali della produzione e della maggioranza di chi
lavora. Esso determina una accumulazione di ricchezza nelle mani dei grandi
industriali, che è conseguenza di una spoliazione sistematica di intiere
categorie della popolazione e di intiere regioni del paese. I risultati di questa
politica economica sono infatti il deficit del bilancio economico, l'arresto
dello sviluppo economico di intiere regioni (Mezzogiorno, Isole), l'impedimento
al sorgere e allo sviluppo di una economia maggiormente adatta alla struttura
del paese e alle sue risorse, la miseria crescente della popolazione lavoratrice,
l'esistenza di una continua corrente di emigrazione e il conseguente impoverimento
demografico.
7. Come non controlla naturalmente tutta la economia così la classe industriale
non riesce a organizzare da sola la società intiera e lo Stato. La costruzione
di uno Stato nazionale non le è resa possibile che dallo sfruttamento
di fattori di politica internazionale (cosiddetto Risorgimento). Per il rafforzamento
di esso e per la sua difesa è necessario il compromesso con le classi
sulle quali la industria esercita una egemonia limitata, particolarmente gli
agrari e la piccola borghesia. Di qui una eterogeneità e una debolezza
di tutta la struttura sociale e dello Stato che ne è espressione.
7 bis. Un riflesso della debolezza della struttura sociale si ha, in modo tipico,
prima della guerra, nell'esercito. Una cerchia ristretta di ufficiali, sforniti
del prestigio di capi (vecchie classi dirigenti agrarie, nuove classi industriali),
ha sotto di sé una casta di ufficiali subalterni burocratizzata (piccola
borghesia), la quale è incapace di servire come collegamento con la massa
dei soldati indisciplinata e abbandonata a se stessa. Nella guerra tutto l'esercito
è costretto a riorganizzarsi dal basso, dopo una eliminazione dei gradi
superiori e una trasformazione di struttura organizzativa che corrisponde all'avvento
di una nuova categoria di ufficiali subalterni. Questo fenomeno precorre l'analogo
rivolgimento che il fascismo compirà nei confronti dello Stato su scala
più vasta.
8. I rapporti tra industria e agricoltura, che sono essenziali per la vita economica
di un paese e per la determinazione delle sovrastrutture politiche, hanno in
Italia una base territoriale. Nel Settentrione sono accentrate in alcuni grandi
centri la produzione e la popolazione agricola. In conseguenza di ciò,
tutti i contrasti inerenti alla struttura sociale del paese contengono in sé
un elemento che tocca la unità dello Stato e la mette in pericolo. La
soluzione del problema viene cercata dai gruppi dirigenti borghesi e agrari
attraverso un compromesso. Nessuno di questi gruppi possiede naturalmente un
carattere unitario e una funzione unitaria. Il compromesso col quale l'unità
viene salvata è d'altra parte tale da rendere più grave la situazione.
Esso dà alle popolazioni lavoratrici del Mezzogiorno una posizione analoga
a quella delle popolazioni coloniali. La grande industria del Nord adempie verso
di esse la funzione delle metropoli capitalistiche: i grandi proprietari di
terre e la stessa media borghesia meridionale si pongono invece nella situazione
delle categorie che nelle colonie si alleano alla metropoli per mantenere soggetta
la massa del popolo che lavora. Lo sfruttamento economico e la oppressione politica
si uniscono quindi per fare della popolazione lavoratrice del Mezzogiorno una
forza continuamente mobilitata contro lo Stato.
9. Il proletariato ha in Italia una importanza superiore a quella che ha in
altri paesi europei anche di capitalismo progredito, paragonabile solo a quella
che aveva nella Russia prima della rivoluzione. Ciò è in relazione
anzitutto con il fatto che per la scarsezza di materie prime l'industria si
basa in preferenza sulla mano d'opera (maestranze specializzate), indi con la
eterogeneità e con i contrasti di interessi che indeboliscono le classi
dirigenti. Di fronte a questa eterogeneità il proletariato si presenta
come l'unico elemento che per la sua natura ha una funzione unificatrice e coordinatrice
di tutta la società. Il suo programma di classe è il solo programma
"unitario", cioè il solo la cui attuazione non porta ad approfondire
i contrasti tra i diversi elementi della economia e della società e non
porta a spezzare l'unità dello Stato. Accanto al proletariato industriale
inoltre esiste una grande massa di proletari agricoli, accentrata soprattutto
nella Valle del Po, facilmente influenzata dagli operai della industria e quindi
agevolmente mobilitabile nella lotta contro il capitalismo e lo Stato. Si ha
inoltre in Italia una conferma della tesi che le più favorevoli condizioni
per la rivoluzione proletaria non si hanno necessariamente sempre nei paesi
dove il capitalismo e l'industrialismo sono giunti al più alto grado
del loro sviluppo, ma si possono invece aver là dove il tessuto del sistema
capitalistico offre minori resistenze, per le sue debolezze di struttura, a
un attacco della classe rivoluzionaria e dei suoi alleati.
La politica della borghesia italiana
10. Lo scopo che le classi dirigenti italiane si proposero di raggiungere dalle
origini dello Stato unitario in poi, fu quello di tenere soggette le grandi
masse della popolazione lavoratrice, e impedire loro di diventare, organizzandosi
intorno al proletariato industriale e agricolo, una forza rivoluzionaria capace
di attuare un completo rivolgimento sociale e politico e dare vita a uno Stato
proletario. La debolezza intrinseca del capitalismo le costrinse però
a porre come base dell'ordinamento economico e dello Stato borghese una unità
ottenuta per via di compromessi tra gruppi non omogenei. In una vasta prospettiva
storica questo sistema si dimostra non adeguato allo scopo cui tende. Ogni forma
di compromesso fra i diversi gruppi dirigenti della società italiana
si risolve infatti in un ostacolo posto allo sviluppo dell'una o dell'altra
parte della economia del paese. Così vengono determinati nuovi contrasti
e nuove reazioni della maggioranza della popolazione, si rende necessario accentuare
la pressione sopra le masse e si produce una spinta sempre più decisiva
alla mobilitazione di esse per la rivolta contro lo Stato.
11. Il primo periodo di vita dello Stato italiano (1870-1890) è quello
della maggiore debolezza. Le due parti di cui si compone la classe dirigente,
gli intellettuali borghesi da una parte e i capitalisti dall'altra, sono uniti
nel proposito di mantenere l'unità, ma divisi circa la forma da dare
allo Stato unitario. Manca tra di esse una omogeneità positiva. I problemi
che lo Stato si propone sono limitati; essi riguardano piuttosto la forma che
la sostanza del dominio politico della borghesia; sovrasta a tutti il problema
del pareggio, che è un problema di pura conservazione. La coscienza della
necessità di allargare la base delle classi che dirigono lo Stato si
ha soltanto con gli inizi del "trasformismo". La maggiore debolezza
dello Stato è data in questo periodo dal fatto che al di fuori di esso
il Vaticano raccoglie attorno a sé un blocco reazionario e antistatale
costruito dagli agrari e dalla grande massa dei contadini arretrati, controllati
e diretti dai ricchi proprietari e dai preti. Il programma del Vaticano consta
di due parti: esso vuole lottare contro lo Stato borghese unitario e "liberale"
e in pari tempo si propone di costituire, con i contadini, un esercito di riserva
contro l'avanzata del proletariato socialista, che sarà provocata dallo
sviluppo della industria. Lo Stato reagisce al sabotaggio che il Vaticano compie
ai suoi danni e si ha tutta una legislazione di contenuto e di scopi anticlericali.
12. Nel periodo che corre dal 1890 al 1900 la borghesia si pone risolutamente
il problema di organizzare la propria dittatura e lo risolve con una serie di
provvedimenti di carattere politico ed economico da cui è determinata
la successiva storia italiana. Anzitutto si risolve il dissidio tra la borghesia
intellettuale e gli industriali: l'avvento al potere di Crispi ne è il
segno. La borghesia così rafforzata risolve la questione dei suoi rapporti
con l'estero (Triplice alleanza) acquistando una sicurezza che le permette dei
tentativi di piazzarsi nel campo della concorrenza internazionale per la conquista
dei mercati coloniali. All'interno la dittatura borghese si instaura politicamente
con una restrizione del diritto di voto che riduce il corpo elettorale a poco
più di un milione di elettori su 30 milioni di abitanti. Nel campo economico
l'introduzione del protezionismo industriale-agrario corrisponde al proposito
del capitalismo di acquistare il controllo di tutta la ricchezza nazionale.
Viene a mezzo di esso saldata una alleanza tra gli industriali e gli agrari.
Questa alleanza strappa al Vaticano una parte delle forze che esso aveva raccolto
attorno a sé, soprattutto tra i proprietari di terre del Mezzogiorno,
e le fa entrare nel quadro dello Stato borghese. Il Vaticano stesso avverte
del resto la necessità di dare maggiore rilievo alla parte del suo programma
reazionario che riguarda la resistenza al movimento operaio e prende posizione
contro il socialismo con l'enciclica Rerum Novarum. Al pericolo che il Vaticano
continua però a rappresentare per lo Stato le classi dirigenti reagiscono
dandosi una organizzazione unitaria con un programma anticlericale, nella massoneria.
I primi progressi reali del movimento operaio si hanno infatti in questo periodo.
L'instaurazione della dittatura industriale-agraria pone nei suoi termini reali
il problema della rivoluzione determinando i fattori storici di essa. Sorge
nel Nord un proletariato industriale e agricolo, mentre nel Sud la popolazione
agricola, sottoposta a un sistema di sfruttamento "coloniale", deve
essere tenuta soggetta con una compressione politica sempre più forte.
I termini della "questione meridionale" vengono posti, in questo periodo,
in modo netto. E spontaneamente, senza l'intervento di un fattore cosciente
e senza nemmeno che il Partito socialista tragga da questo fatto una indicazione
per la sua strategia di partito della classe operaia, si verifica in questo
periodo per la prima volta il confluire dei tentativi insurrezionali del proletariato
settentrionale, con una rivolta di contadini meridionali (fasci siciliani).
13. Spezzati i primi tentativi del proletariato e dei contadini di insorgere
contro lo Stato, la borghesia italiana consolidata può adottare, per
ostacolare i progressi del movimento operaio, i metodi esteriori della democrazia
e quelli della corruzione politica verso la parte più avanzata della
popolazione lavoratrice (aristocrazia operaia) per renderla complice della dittatura
reazionaria che essa continua ad esercitare, e impedirle di diventare il centro
insurrezionale popolare contro lo Stato (giolittismo). Si ha però, tra
il 1900 e il 1910, una fase di concentrazione industriale ed agraria. Il proletariato
agricolo cresce del 50 per cento a danno delle categorie degli obbligati, mezzadri
e fittavoli. Di qui una ondata di movimenti agricoli, e un nuovo orientamento
dei contadini che costringe lo stesso Vaticano a reagire con la fondazione dell'
"Azione Cattolica" e con un movimento "sociale" che giunge,
nelle sue forme estreme, fino ad assumere le parvenze di una riforma religiosa
(modernismo). A questa reazione del Vaticano per non lasciarsi sfuggire le masse
corrisponde l'accordo dei cattolici con le forze dirigenti per dare allo Stato
una base più sicura (abolizione del non exspedit, patto Gentiloni). Anche
verso la fine di questo terzo periodo (1914) i diversi movimenti parziali del
proletariato e dei contadini culminano in un nuovo inconscio tentativo di saldatura
delle diverse forze di massa antistatali, in una insurrezione contro lo Stato
reazionario. Da questo tentativo viene già posto con sufficiente rilievo
il problema della necessità che il proletariato organizzi, nel suo seno,
un partito di classe che gli dia la capacità di porsi a capo della insurrezione
e di guidarla.
14. Il massimo di concentrazione economica nel campo industriale si ha nel dopoguerra.
Il proletariato raggiunge il più alto grado di organizzazione e ad esso
corrisponde il massimo di disgregazione delle classi dirigenti dello Stato.
Tutte le contraddizioni insite nell'organismo sociale italiano affiorano con
la massima crudezza per il risveglio delle masse anche le più arretrate
alla vita politica provocato dalla guerra e dalle sue conseguenze immediate.
E, come sempre, l'avanzata degli operai dell'industria e dell'agricoltura si
accompagna a una agitazione profonda delle masse dei contadini, sia del Mezzogiorno
che delle altre regioni. I grandi scioperi e la occupazione delle fabbriche
che si svolgono contemporaneamente alla occupazione delle terre. La resistenza
delle forze reazionarie si esercita ancora secondo la direzione tradizionale.
Il Vaticano consente che accanto all' "Azione Cattolica" si formi
un vero e proprio partito, il quale si propone di inserire le masse contadine
entro il quadro dello Stato borghese apparentemente accontentando le loro aspirazioni
di redenzione economica e di democrazia politica. Le classi dirigenti a loro
volta attuano in grande stile il piano di corruzione e di disgregazione interna
del movimento operaio, facendo apparire ai capi opportunisti la possibilità
che una aristocrazia operaia collabori al governo in un tentativo di soluzione
"riformista" del problema dello Stato (governo di sinistra). Ma in
un paese povero e disunito come l'Italia, l'affacciarsi di una soluzione "riformista"
del problema dello Stato provoca inevitabilmente la disgregazione della compagine
statale e sociale, la quale non resiste all'urto dei numerosi gruppi in cui
le stesse classi dirigenti e le classi intermedie si polverizzano. Ogni gruppo
ha esigenze di protezione economica e di autonomia politica sue proprie, e,
nell'assenza di un omogeneo nucleo di classe che sappia imporre, con la sua
dittatura, una disciplina di lavoro e di produzione a tutto il paese, sbaragliando
ed eliminando gli sfruttatori capitalistici ed agrari, il governo viene reso
impossibile e la crisi del potere è continuamente aperta. La sconfitta
del proletariato rivoluzionario è dovuta, in questo periodo decisivo,
alle deficienze politiche, organizzative, tattiche e strategiche del partito
dei lavoratori. In conseguenza di queste deficienze il proletariato non riesce
a mettersi a capo della insurrezione della grande maggioranza della popolazione
e a farla sboccare nella creazione di uno Stato operaio; esso stesso subisce
invece l'influenza di altre classi sociali che ne paralizzano l'azione. La vittoria
del fascismo nel 1922 deve essere considerata quindi non come una vittoria riportata
sulla rivoluzione, ma come la conseguenza della sconfitta toccata alle forze
rivoluzionarie per loro intrinseco difetto.
Il fascismo e la sua politica
15. Il fascismo, come movimento di reazione armata che si propone lo scopo di
disgregare e di disorganizzare la classe lavoratrice per immobilizzarla, rientra
nel quadro della politica tradizionale delle classi dirigenti italiane, e nella
lotta del capitalismo contro la classe operaia. Esso è perciò
favorito nelle sue origini, nella sua organizzazione e nel suo cammino da tutti
indistintamente i vecchi gruppi dirigenti, a preferenza però dagli agrari
i quali sentono più minacciosa la pressione delle plebi rurali.
Socialmente però il fascismo trova la sua base nella piccola borghesia
urbana e in una nuova borghesia agraria sorta da una trasformazione della proprietà
rurale in alcune regioni (fenomeni di capitalismo agrario nell'Emilia, origine
di una categoria di intermediari di campagna, "borse della terra",
nuove ripartizioni di terreni). Questo fatto è il fatto di aver trovato
una unità ideologica e organizzata nelle formazioni militari in cui rivive
la tradizione della guerra (arditismo) e che servono alla guerriglia contro
i lavoratori, permettendo al fascismo di concepire ed attuare un piano di conquista
dello Stato in contrapposizione ai vecchi ceti dirigenti.
Assurdo parlare di rivoluzione. Le nuove energie che si raccolgono attorno al
fascismo traggono però dalla loro origine una omogeneità e una
comune mentalità di "capitalismo nascente". Ciò spiega
come sia possibile la lotta contro gli uomini politici del passato e come esse
possano giustificarla con una costruzione ideologica in contrasto con le teorie
tradizionali dello Stato e dei suoi rapporti con i cittadini.
Nella sostanza il fascismo modifica il programma di conservazione e di reazione
che ha sempre dominato la politica italiana soltanto per un diverso modo di
concepire il processo di unificazione delle forze reazionarie. Alla tattica
degli accordi e dei compromessi esso sostituisce il proposito di realizzare
una unità organica di tutte le forze della borghesia in un solo organismo
politico sotto il controllo di una unica centrale che dovrebbe dirigere insieme
il partito, il governo e lo Stato. Questo proposito corrisponde alla volontà
di resistere a fondo ad ogni attacco rivoluzionario, il che permette al fascismo
di raccogliere le adesioni della parte più decisamente reazionaria della
borghesia industriale e degli agrari.
16. Il metodo fascista di difesa dell'ordine, della proprietà e dello
Stato è, ancora più del sistema tradizionale dei compromessi e
della politica di sinistra, disgregatore della compagine sociale e delle sue
sovrastrutture politiche. Le reazioni che esso provoca devono essere esaminate
in relazione alla sua applicazione sia nel campo economico che nel campo politico.
Nel campo politico, anzitutto, l'unità organica della borghesia nel fascismo
non si realizza immediatamente dopo la conquista del potere.
Al di fuori del fascismo rimangono i centri di opposizione borghese al regime.
Da una parte non viene assorbito il gruppo che tiene fede alla soluzione giolittiana
del problema Stato. Questo gruppo si collega a una sezione della borghesia industriale
e, con un programma di riformismo "laburista", esercita influenza
sopra strati di operai e piccoli borghesi. Dall'altra parte il programma di
fondare lo Stato sopra una democrazia rurale del Mezzogiorno e sopra la parte
"sana" della industria settentrionale ("Corriere della sera",
liberismo, Nitti) tende a diventare programma di una organizzazione politica
di opposizione al fascismo con basi di massa nel Mezzogiorno (Unione nazionale).
Il fascismo è costretto a lottare contro questi gruppi superstiti molto
vivacemente e a lottare con vivacità anche maggiore contro la massoneria,
che esso considera giustamente come centro di organizzazione di tutte le tradizionali
forze di sostegno dello Stato. Questa lotta, che è, volere o no, l'indizio
di una spezzatura del blocco delle forze conservatrici e antiproletarie, può
in determinate circostanze favorire lo sviluppo e l'affermazione del proletariato
come terzo e decisivo fattore di una situazione politica.
Nel campo economico il fascismo agisce come strumento di una oligarchia industriale
e agraria per accentrare nelle mani del capitalismo il controllo di tutte le
ricchezze del paese. Ciò non può fare a meno di provocare un malcontento
nella piccola borghesia la quale, con l'avvento del fascismo, credeva giunta
l'era del suo dominio. Tutta una serie di misure viene adottata dal fascismo
per favorire una nuova concentrazione industriale (abolizione della imposta
di successione, politica finanziaria e fiscale, inasprimento del protezionismo),
e ad esse corrispondono altre misure a favore degli agrari e contro i piccoli
e medi coltivatori (imposte, dazio sul grano, "battaglia del grano").
L'accumulazione che queste misure determinano non è un accrescimento
di ricchezza nazionale, ma è spoliazione di una classe a favore di un'altra,
e cioè delle classi lavoratrici e medie a favore della plutocrazia. Il
disegno di favorire la plutocrazia appare sfacciatamente nel progetto di legalizzare
nel nuovo codice di commercio il regime delle azioni privilegiate; un piccolo
pugno di finanzieri viene, in questo modo, posto in condizioni di poter disporre
senza controllo di ingenti masse di risparmio provenienti dalla media e piccola
borghesia e queste categorie sono espropriate del diritto di disporre della
loro ricchezza.
Nello stesso piano, ma con conseguenze politiche più vaste, rientra il
progetto di unificazione delle banche di emissione, cioè, in pratica,
di soppressione delle due grandi banche meridionali. Queste due banche adempiono
oggi la funzione di assorbire i risparmi del Mezzogiorno e le rimesse degli
emigranti (600 milioni), cioè la funzione che nel passato adempivano
lo Stato con la emissione di buoni del tesoro e la Banca di sconto nell'interesse
di una parte dell'industria pesante del Nord. Le banche meridionali sono state
controllate fino ad ora dalle stesse classi dirigenti del Mezzogiorno, le quali
hanno trovato in questo controllo una base reale del loro dominio politico.
La soppressione delle banche meridionali come banche di emissione farà
passare questa funzione alla grande industria del Nord che controlla, attraverso
la Banca commerciale, la Banca d'Italia e verrà in questo modo accentuato
lo sfruttamento economico "coloniale" e l'impoverimento del Mezzogiorno,
nonché accelerato il lento processo di distacco dallo Stato anche della
piccola borghesia meridionale. La politica economica del fascismo si completa
con i provvedimenti intesi a rialzare il corso della moneta, a risanare il bilancio
dello Stato, a pagare i debiti di guerra e a favorire l'intervento del capitale
inglese-americano in Italia. In tutti questi campi il fascismo attua il programma
della plutocrazia (Nitti) e di una minoranza industriale-agraria ai danni della
grande maggioranza della popolazione le cui condizioni di vita sono progressivamente
peggiorate.
Coronamento di tutta la propaganda ideologica, dell'azione politica ed economica
del fascismo è la tendenza di esso all' "imperialismo". Questa
tendenza è la espressione del bisogno sentito dalle classi dirigenti
industriali-agrarie italiane di trovare fuori del campo nazionale gli elementi
per la risoluzione della crisi della società italiana. Sono in essa i
germi di una guerra che verrà combattuta, in apparenza, per l'espansione
italiana ma nella quale in realtà l'Italia fascista sarà uno strumento
nelle mani di uno dei gruppi imperialisti che si contendono il dominio del mondo.
17. Si determinano, in conseguenza della politica del fascismo, profonde reazioni
delle masse. Il fenomeno più grave è il distacco sempre più
deciso delle popolazioni agrarie del Mezzogiorno e delle Isole dal sistema di
forze che reggono lo Stato. La vecchia classe dirigente locale (Orlando, Di
Cesarò, De Nicola, ecc.) non esercita più in modo sistematico
la sua funzione di anello di congiunzione con lo Stato.
La piccola borghesia tende quindi ad avvicinarsi ai contadini. Il sistema di
sfruttamento e di oppressione delle masse meridionali è portato dal fascismo
all'estremo; questo facilita la radicalizzazione anche delle categorie intermedie
e pone la questione meridionale nei suoi veri termini, come questione che sarà
risolta soltanto dalla insurrezione dei contadini alleati del proletariato nella
lotta contro i capitalisti e contro gli agrari. Anche i contadini medi e poveri
delle altre parti d'Italia acquistano una funzione rivoluzionaria, benché
in modo più lento.
Il Vaticano - la cui funzione reazionaria è stata assunta dal fascismo
- non controlla più le popolazioni rurali in modo completo attraverso
i preti, l' "Azione Cattolica" e il Partito popolare. Vi è
una parte dei contadini, la quale è stata risvegliata alle lotte per
la difesa dei suoi interessi dalle stesse organizzazioni autorizzate e dirette
dalle autorità ecclesiastiche, ed ora, sotto la pressione economica e
politica del fascismo, accentua il proprio orientamento di classe e incomincia
a sentire che le sue sorti non sono separabili da quelle della classe operaia.
Indizio di questa tendenza è il fenomeno Miglioli. Un sintomo assai interessante
di essa è anche il fatto che le organizzazioni bianche, le quali, essendo
una parte dell' "Azione Cattolica", fanno capo direttamente al Vaticano,
hanno dovuto entrare nei comitati intersindacali con le Leghe rosse, espressioni
di quel periodo proletario che i cattolici indicavano fin dal 1870 come imminente
alla società italiana.
Quanto al proletariato, l'attività disgregatrice delle sue forze trova
un limite nella resistenza attiva della avanguardia rivoluzionaria e in una
resistenza passiva della grande massa, la quale rimane fondamentalmente classista
e accenna a rimettersi in movimento non appena si rallenta la pressione fisica
del fascismo e si fanno più forti gli stimoli dell'interesse di classe.
Il tentativo di portare nel suo seno la scissione con i sindacati fascisti,
si può considerare fallito. I sindacati fascisti, mutando il loro programma,
diventano ora strumenti diretti di compressione reazionaria al servizio dello
Stato.
18. Ai pericolosi spostamenti e ai nuovi reclutamenti di forze che sono provocati
dalla sua politica il fascismo reagisce facendo gravare su tutta la società
il peso di una forza militare e un sistema di compressione il quale tiene la
popolazione inchiodata al fatto meccanico della produzione senza la possibilità
di avere una vita propria, di manifestare una propria volontà e di organizzarsi
per la difesa dei propri interessi. La cosiddetta legislazione fascista non
ha altro scopo che quello di consolidare e rendere permanente questo sistema.
La nuova legge elettorale politica, le modificazioni dell'ordinamento amministrativo
con la introduzione del podestà per i comuni di campagna ecc. vorrebbero
segnare la fine della partecipazione delle masse alla vita politica ed amministrativa
del paese. Il controllo sulle associazioni impedisce ogni forma permanente "legale"
di organizzazione delle masse. La nuova politica sindacale toglie alla Confederazione
del lavoro e ai sindacati di classe la possibilità di concludere dei
concordati per escluderli dal contatto con le masse che si erano organizzate
attorno ad essi. La stampa proletaria viene soppressa. Il partito di classe
del proletariato ridotto alla vita pienamente illegale. Le violenze fisiche
e le persecuzioni di polizia sono adoperate sistematicamente, soprattutto nelle
campagne, per incutere il terrore e mantenere una situazione da stato d'assedio.
Il risultato di questa complessa attività di reazione e di compressione
è lo squilibrio tra il rapporto reale delle forze sociali e il rapporto
delle forze organizzate, per cui a un apparente ritorno alla normalità
e alla stabilità corrisponde una acutizzazione di contrasti pronti a
prorompere ad ogni istante per nuove vie.
18 bis. La crisi seguita al delitto Matteotti ha fornito un esempio della possibilità
che l'apparente stabilità del regime fascista sia turbata dalle basi
per il prorompere improvviso di contrasti economici e politici approfonditisi
senza che fossero avvertiti. Essa ha in pari tempo fornito la prova della incapacità
della piccola borghesia a guidare ad un esito, nell'attuale periodo storico,
la lotta contro la reazione industriale-agraria.
Forze motrici e prospettive della rivoluzione
19. Le forze motrici della rivoluzione italiana, come risulta ormai dalla nostra
analisi sono, in ordine alla loro importanza, le seguenti:
1) la classe operaia e il proletariato agricolo;
2) i contadini del Mezzogiorno e delle Isole e i contadini delle altri parti
d'Italia.
Lo sviluppo e la rapidità del processo rivoluzionario non sono prevedibili
al di fuori di una valutazione di elementi soggettivi: cioè dalla misura
in cui la classe operaia riuscirà ad acquistare una propria figura politica,
una coscienza di classe decisa e una indipendenza da tutte le altre classi,
dalla misura in cui essa riuscirà a organizzare le sue forze, cioè
a esercitare di fatto un'azione di guida degli altri fattori in prima linea
a concretare politicamente la sua alleanza con i contadini? Si può affermare
in generale, e basandosi del resto sulla esperienza italiana, che dal periodo
della preparazione rivoluzionaria si entrerà in un periodo rivoluzionario
"immediato" quando il proletariato industriale e agricolo del settentrione
sarà riuscito a riacquistare, per lo svolgimento della situazione oggettiva
e attraverso una serie di lotte particolari e immediate, un alto grado di organizzazione
e di combattività.
Quanto ai contadini, quelli del Mezzogiorno e delle Isole devono essere posti
in prima linea tra le forze su cui deve contare la insurrezione contro la dittatura
industriale-agraria, per quanto non si debba attribuir loro, all'infuori di
un'alleanza col proletariato, una importanza risolutiva. L'alleanza tra essi
e gli operai è il risultato di un processo storico naturale e profondo,
favorito da tutte le vicende dello Stato italiano. Per i contadini delle altre
parti d'Italia il processo di orientamento verso l'alleanza col proletariato
è più lento e dovrà essere favorito da una attenta azione
politica del partito del proletariato. I successi già ottenuti in Italia
in questo campo indicano del resto che il problema di rompere l'alleanza dei
contadini con le forze reazionarie deve essere posto, per gran parte, anche
in altri paesi dell'Europa occidentale, come problema di distruggere la influenza
della organizzazione cattolica sulle masse rurali.
20. Gli ostacoli allo sviluppo della rivoluzione, oltre che dati dalla pressione
fascista, sono in relazione con la varietà dei gruppi in cui la borghesia
si divide. Ognuno di questi gruppi si sforza di esercitare una influenza sopra
una sezione della popolazione lavoratrice per impedire che si estenda la influenza
del proletariato, o sul proletariato stesso per fargli perdere la sua figura
e autonomia di classe rivoluzionaria. Si costituisce in questo modo una catena
di forze reazionarie, la quale partendo dal fascismo comprende i gruppi antifascisti
che non hanno grandi basi di massa (liberali), quelli che hanno una base nei
contadini e nella piccola borghesia (democratici, combattenti, popolari, repubblicani),
e in parte anche negli operai (partito riformista), e quelli che avendo una
base proletaria tendono a mantenere le masse operaie in una condizione di passività
e far loro seguire la politica di altre classi (partito massimalista).
Anche il gruppo che dirige la Confederazione del lavoro deve essere considerato
a questa stregua, cioè come il veicolo di una influenza disgregatrice
di altre classi sopra i lavoratori. Ognuno dei gruppi che abbiamo indicati tiene
legata a sé una parte della popolazione lavoratrice italiana. La modificazione
di questo stato di cose è soltanto concepibile come conseguenza di una
sistematica e ininterrotta azione politica della avanguardia proletaria organizzata
nel Partito comunista. Una particolare attenzione deve essere data ai gruppi
e partiti i quali hanno una base di massa, o cercano di formarsela come partiti
democratici o come partiti regionali, nella popolazione agricola del Mezzogiorno
e delle Isole (Unione nazionale, partiti d'azione sardo, molisano, irpino, ecc.).
Questi partiti non esercitano una influenza diretta sul proletariato, ma sono
un ostacolo alla realizzazione della alleanza tra operai e contadini. Orientando
le classi agricole del Mezzogiorno verso una democrazia rurale e verso soluzioni
democratiche regionali, essi spezzano l'unità del processo di liberazione
della popolazione lavoratrice italiana, impediscono ai contadini di condurre
a un esito la loro lotta contro lo sfruttamento economico e politico della borghesia
e degli agrari, e preparano la trasformazione di essi in guardia bianca della
reazione. Il successo politico della classe operaia è anche in questo
campo in relazione con l'azione politica del partito e del proletariato.
21. La possibilità di abbattimento del regime fascista per una azione
di gruppi antifascisti sedicenti democratici esisterebbe solo se questi gruppi
riuscissero, neutralizzando l'azione del proletariato, a controllare un movimento
di masse fino a poterne frenare gli sviluppi. La funzione della opposizione
borghese democratica è invece quella di collaborare col fascismo nell'impedire
la riorganizzazione della classe operaia e la realizzazione del suo programma
di classe. In questo senso un compromesso tra fascismo e opposizione borghese
è in atto e ispirerà la politica di ogni formazione di "centro"
che sorga dai rottami dell'Aventino.
La opposizione potrà tornare ad essere protagonista dell'azione di difesa
del regime capitalista solo quando la stessa compressione fascista più
non riuscirà a impedire lo scatenamento dei conflitti di classe, e il
pericolo di una insurrezione di proletari e della sua saldatura con una guerra
di contadini apparirà grave e imminente. La possibilità di ricorso
della borghesia e del fascismo stesso al sistema della reazione celata dalla
apparenza di un "governo di sinistra" deve quindi essere continuamente
presente nelle nostre prospettive, (divisione di funzioni tra fascismo e democrazia,
Tesi del V Congresso mondiale).
22. Da questa analisi dei fattori della rivoluzione e delle sue prospettive
si deducono i compiti del Partito comunista. Ad essa devono essere collegati
i criteri della sua attività organizzativa e quelli della sua azione
politica. Da essa discendono le linee direttive e fondamentali del suo programma.
Compiti fondamentali del Partito comunista
23. Dopo aver resistito vittoriosamente alla ondata reazionaria che voleva sommergerlo
(1923), dopo aver contribuito con la propria azione a segnare un primo punto
di arresto nel processo di dispersione delle forze lavoratrici (elezioni del
1924), dopo aver approfittato della crisi Matteotti per riorganizzare una avanguardia
proletaria che si è opposta con notevole successo al tentativo di istaurare
un predominio piccolo-borghese nella vita politica (Aventino) e aver poste le
basi di una reale politica contadina del proletariato italiano, il partito si
trova oggi nella fase della preparazione politica della rivoluzione. Il suo
compito fondamentale può essere indicato da questi tre punti:
1) organizzare e unificare il proletariato industriale e agricolo per la rivoluzione;
2) organizzare e mobilitare attorno al proletariato tutte le forze necessarie
per la vittoria rivoluzionaria e per la fondazione dello Stato operaio;
3) porre al proletariato e ai suoi alleati il problema della insurrezione contro
lo Stato borghese e della lotta per la dittatura proletaria e guidarli politicamente
e materialmente alla soluzione di esso attraverso una serie di lotte parziali.
La costruzione del Partito comunista come partito "bolscevico"
24. La organizzazione della avanguardia operaia in Partito comunista è
la parte essenziale della nostra attività organizzativa. Gli operai italiani
hanno appreso dalla loro esperienza (1919-20) che ove manchi la guida di un
partito comunista costruito come partito della classe operaia e come partito
della rivoluzione, non è possibile un esito vittorioso della lotta per
l'abbattimento del regime capitalistico. La costruzione di un Partito comunista
che sia di fatto il partito della classe operaia e il partito della rivoluzione,
- che sia cioè, un partito "bolscevico", - è in connessione
diretta con i seguenti punti fondamentali:
1) la ideologia del partito;
2) la forma della organizzazione, e la sua compattezza;
3) la capacità di funzionare a contatto con la massa;
4) la capacità strategica e tattica.
Ognuno di questi punti è collegato strettamente con gli altri e non potrebbe,
a rigore di logica, esserne separato. Ognuno di essi infatti indica e comprende
una serie di problemi le cui soluzioni interferiscono e si sovrappongono. L'esame
separato di essi sarà utile soltanto quando si tenga presente che nessuno
può venire risolto senza che tutti siano impostati e condotti di pari
passo ad una soluzione.
La ideologia del partito
25. Unità ideologica completa è necessaria al Partito comunista
per poter adempiere in ogni momento la sua funzione di guida della classe operaia.
L'unità ideologica è elemento della forza del partito e della
sua capacità politica, essa è indispensabile per farlo diventare
un partito bolscevico. Base della unità ideologica è la dottrina
del marxismo e del leninismo, inteso quest'ultimo come la dottrina marxista
adeguata ai problemi del periodo dell'imperialismo e dell'inizio della rivoluzione
proletaria (Tesi sulla bolscevizzazione dell'Esecutivo allargato dell'aprile
1925, nn. IV e VI).
Il Partito comunista d'Italia ha formato la sua ideologia nella lotta contro
la socialdemocrazia (riformisti) e contro il centrismo politico rappresentato
dal Partito massimalista. Esso non trova però nella storia del movimento
operaio italiano una vigorosa e continua corrente di pensiero marxista cui richiamarsi.
Manca inoltre nelle sue file una profonda e diffusa conoscenza delle teorie
del marxismo e del leninismo. Sono quindi possibili le deviazioni. L'innalzamento
del livello ideologico del partito deve essere ottenuto con una sistematica
attività interna la quale si proponga di portare tutti i membri ad avere
una completa consapevolezza dei fini immediati del movimento rivoluzionario,
una certa capacità di analisi marxista delle situazioni e una correlativa
capacità di orientamento politico (scuola di partito). E' da respingere
una concezione la quale affermi che i fattori di coscienza e di maturità
rivoluzionaria, i quali costituiscono la ideologia, si possano realizzare nel
partito senza che siansi realizzati in un vasto numero di singoli che lo compongono.
26. Nonostante le origini da una lotta contro degenerazioni di destra e centriste
del movimento operaio, il pericolo di deviazioni di destra è presente
nel Partito comunista d'Italia. Nel campo teorico esso è rappresentato
dai tentativi di revisione del marxismo fatti dal compagno Graziadei sotto la
veste di una precisazione "scientifica" di alcuni dei concetti fondamentali
della dottrina di Marx. I tentativi di Graziadei non possono certo portare alla
creazione di una corrente e quindi di una frazione che metta in pericolo la
unità ideologica e la compattezza del partito. E' però implicito
in essi un appoggio a correnti e deviazioni politiche di destra. Ad ogni modo
essi indicano la necessità che il partito compia un profondo studio del
marxismo e acquisti una coscienza teorica più alta e più sicura.
Il pericolo che si crei una tendenza di destra è collegato con la situazione
generale del paese. La compressione stessa che il fascismo esercita tende ad
alimentare la opinione che essendo il proletariato nella impossibilità
di rapidamente rovesciare il regime, sia miglior tattica quella che porti, se
non a un blocco borghese-proletario per la eliminazione costituzionale del fascismo,
a una passività della avanguardia rivoluzionaria, a un non-intervento
attivo del partito comunista nella lotta politica immediata, onde permettere
alla borghesia di servirsi del proletariato come massa di manovra elettorale
contro il fascismo. Questo programma si presenta con la formula che il Partito
comunista deve essere "l'ala sinistra" di una opposizione di tutte
le forze che cospirano all'abbattimento del regime fascista. Esso è la
espressione di un profondo pessimismo circa le capacità rivoluzionarie
della classe lavoratrice.
Lo stesso pessimismo e le stesse deviazioni conducono a interpretare in modo
errato la natura e la funzione storica dei partiti socialdemocratici nel momento
attuale, a dimenticare che la socialdemocrazia sebbene abbia ancora la sua base
sociale, per gran parte, nel proletariato per quanto riguarda la sua ideologia
e la sua funzione politica cui adempie, deve essere considerata non come un'ala
destra del movimento operaio, ma come un'ala sinistra della borghesia e come
tale deve essere smascherata davanti alle masse. Il pericolo di destra deve
essere combattuto con la propaganda ideologica, col contrapporre al programma
di destra il programma rivoluzionario della classe operaia e del suo partito,
e con mezzi disciplinari ordinari ogni qualvolta la necessità lo richieda.
27. Legato con le origini del partito e con la situazione generale del paese
è parimenti il pericolo di deviazioni di sinistra dalla ideologia marxista
e leninista. Esso è rappresentato dalla tendenza estremista che fa capo
al compagno Bordiga. Questa tendenza si formò nella particolare situazione
di disgregazione e incapacità programmatica, organizzativa, strategica
e tattica in cui si trovò il Partito socialista italiano dalla fine della
guerra al Congresso di Livorno: la sua origine e la sua fortuna sono inoltre
in relazione col fatto che, essendo la classe operaia una minoranza nella popolazione
lavoratrice italiana, è continuo il pericolo che il suo partito sia corrotto
da infiltrazioni di altre classi, e in particolare della piccola borghesia.
A questa condizione della classe operaia e alla situazione del Partito socialista
italiano la tendenza di estrema sinistra reagì con una particolare ideologia,
cioè con una concezione della natura del partito, della sua funzione
e della sua tattica che è in contrasto con quella del marxismo e del
leninismo:
a) dall'estrema sinistra il partito viene definito, trascurando e sottovalutando
il suo contenuto sociale, come un "organo" della classe operaia, che
si costituisce per sintesi di elementi eterogenei. Il partito deve invece essere
definito mettendo in rilievo anzitutto il fatto che esso è una "parte"
della classe operaia. L'errore nella definizione del partito porta a impostare
in modo errato i problemi organizzativi e i problemi di tattica;
b) per la estrema sinistra la funzione del partito non è quella di guidare
in ogni momento la classe sforzandosi di restare in contatto con essa attraverso
qualsiasi mutamento di situazione oggettiva, ma di elaborare dei quadri preparati
a guidare la massa quando lo svolgimento delle situazioni l'avrà portata
al partito, facendole accettare le posizioni programmatiche e di principio da
esso fissate;
c) per quanto riguarda la tattica, l'estrema sinistra sostiene che essa non
deve venire determinata in relazione con le situazioni oggettive e con la posizione
delle masse in modo che essa aderisca sempre alla realtà e fornisca un
continuo contatto con gli strati più vasti della popolazione lavoratrice,
ma deve essere determinata in base a preoccupazioni formalistiche. E' propria
dell'estremismo la concezione che le deviazioni dai principi della politica
comunista non vengono evitate con la costruzione di partiti "bolscevichi"
i quali siano capaci di compiere, senza deviare, ogni azione politica che è
richiesta per la mobilitazione delle masse e per la vittoria rivoluzionaria,
ma possono essere evitate soltanto col porre alla tattica limiti rigidi e formali
di carattere esteriore (nel campo organizzativo: "adesione individuale",
cioè rifiuto delle "fusioni", le quali possono invece essere
sempre, in condizioni determinate, efficacissimo mezzo di estensione della influenza
del partito; nel campo politico: travisamento dei termini del problema della
conquista della maggioranza, fronte unico sindacale e non politico, nessuna
diversità nel modo di lottare contro la democrazia a seconda del grado
di adesione delle masse a formazioni democratiche contro-rivoluzionarie e della
imminenza e gravità di un pericolo reazionario, rifiuto della parola
d'ordine del governo operaio e contadino).
All'esame delle situazioni dei movimenti di massa si ricorre quindi solo per
il controllo della linea dedotta in base a preoccupazioni formalistiche e settarie:
viene perciò sempre a mancare, nella determinazione della politica del
partito, l'elemento particolare; la unità e completezza di visione che
è propria del nostro metodo di indagine politica (dialettica) è
spezzata; l'attività del partito e le sue parole d'ordine perdono efficacia
e valore rimanendo attività e parole di semplice propaganda. E' inevitabile,
come conseguenza di queste posizioni, la passività politica del partito.
Di essa l' "astensionismo" fu nel passato un aspetto. Ciò permette
di avvicinare l'estremismo di sinistra al massimalismo e alle deviazioni di
destra. Esso è inoltre, come la tendenza di destra, espressione di uno
scetticismo sulla possibilità che la massa operaia organizzi dal suo
seno un partito di classe il quale sia capace di guidare la grande massa sforzandosi
di tenerla in ogni momento collegata a sé.
La lotta ideologica contro l'estremismo di sinistra deve essere condotta contrapponendogli
la concezione marxista e leninista del partito del proletariato come partito
di massa e dimostrando la necessità che esso adatti la sua tattica alle
situazioni per poterle modificare, per non perdere il contatto con le masse
e per acquistare sempre nuove zone di influenza. L'estremismo di sinistra fu
la ideologia ufficiale del partito italiano nel primo periodo della sua esistenza.
Esso è sostenuto da compagni che furono tra i fondatori del partito e
dettero un grandissimo contributo alla sua costruzione dopo Livorno.
Vi sono quindi motivi per spiegare come questa concezione sia stata a lungo
radicata nella maggioranza dei compagni anche senza che fosse da essi valutata
criticamente in modo completo, ma piuttosto come conseguenza di uno stato d'animo
diffuso. E' evidente perciò che il pericolo di estrema sinistra deve
essere considerato come una realtà immediata, come un ostacolo non solo
alla unificazione ed elevazione ideologica, ma allo sviluppo politico del partito
e alla efficacia della sua azione. Esso deve essere combattuto come tale, non
solo con la propaganda, ma con una azione politica ed eventualmente con misure
organizzative.
28. Elemento della ideologia del partito è il grado di spirito internazionalista
che è penetrato nelle sue file. Esso è assai forte tra di noi
come spirito di solidarietà internazionale, ma non altrettanto come coscienza
di appartenere ad un partito mondiale. Contribuisce a questa debolezza la tendenza
a presentare la concezione di estrema sinistra come una concezione nazionale
("originalità" e valore "storico" delle posizioni
della "sinistra italiana") la quale si oppone alla concezione marxista
e leninista della Internazionale comunista e cerca di sostituirsi ad essa. Di
qui l'origine di una specie di "patriottismo di partito", che rifugge
dall'inquadrarsi in una organizzazione (rifiuti di cariche, lotta di frazione
internazionale ecc.). Questa debolezza di spirito internazionalista offre il
terreno ad una ripercussione nel partito della campagna che la borghesia conduce
contro la Internazionale comunista qualificandola come organo dello Stato russo.
Alcune delle tesi di estrema sinistra a questo proposito si collegano a tesi
abituali dei partiti controrivoluzionari. Esse devono venir combattute con estremo
vigore, con una propaganda che dimostri come storicamente spetti al partito
russo una funzione predominante e direttiva nella costruzione di una Internazionale
comunista e quale è la posizione dello Stato operaio russo - prima ed
unica reale conquista della classe operaia nella lotta al potere - nei confronti
del movimento operaio internazionale (Tesi sulla situazione internazionale).
La base dell'organizzazione del partito
29. Tutti i problemi di organizzazione sono problemi politici. La soluzione
di essi deve rendere possibile al partito di attuare il suo compito fondamentale,
di far acquistare al proletariato una completa indipendenza politica, di dargli
una fisionomia, una personalità, una coscienza rivoluzionaria precisa,
di impedire ogni infiltrazione e influenza disgregatrice di classi ed elementi
i quali pur avendo interessi contrari al capitalismo non vogliono condurre la
lotta contro di esso fino alle sue conseguenze ultime. In prima linea è
un problema politico: quello della base della organizzazione. La organizzazione
del partito deve essere costruita sulla base della produzione e quindi del luogo
di lavoro (cellule).
Questo principio è essenziale per la creazione di un partito "bolscevico".
Esso dipende dal fatto che il partito deve essere attrezzato per dirigere il
movimento di massa della classe operaia, la quale viene naturalmente unificata
dallo sviluppo del capitalismo secondo il processo della produzione. Ponendo
la base organizzativa nel luogo della produzione il partito compie un atto di
scelta della classe sulla quale esso si basa. Esso proclama di essere un partito
di classe e il partito di una sola classe, la classe operaia. Tutte le obiezioni
al principio che pone la organizzazione del partito sulla base della produzione
partono da concezioni che sono legate a classi estranee al proletariato, anche
se sono presentate da compagni e gruppi che si dicono di "estrema sinistra".
Esse si basano sopra una considerazione pessimista delle capacità rivoluzionarie
dell'operaio comunista, e sono espressione dello spirito antiproletario del
piccolo-borghese intellettuale, il quale crede di essere il sale della terra
e vede nell'operaio lo strumento materiale dello sconvolgimento sociale e non
il protagonista cosciente e intelligente della rivoluzione. Si riproducono nel
partito italiano a proposito delle cellule la discussione e il contrasto che
portarono in Russia alla scissione tra bolscevichi e menscevichi a proposito
del medesimo problema della scelta della classe, del carattere di classe del
partito e del modo di adesione al partito di elementi non proletari.
Questo fatto ha del resto, in relazione con la situazione italiana, una importanza
notevole. E' la stessa struttura sociale e sono le condizioni e le tradizioni
della lotta politica quelle che rendono in Italia assai più serio che
altrove il pericolo di edificare il partito in base a una "sintesi"
di elementi eterogenei, cioè di aprire in essi la via alla influenza
paralizzatrice di altre classi. Si tratta di un pericolo che sarà inoltre
reso sempre più grave dalla stessa politica del fascismo, che spingerà
sul terreno rivoluzionario intieri strati della piccola borghesia. E' certo
che il Partito comunista non può essere solo un partito di operai. La
classe operaia e il suo partito non possono fare a meno degli intellettuali
né possono ignorare il problema di raccogliere intorno a sé e
guidare tutti gli elementi che per una via o per un'altra sono spinti alla rivolta
contro il capitalismo.
Così pure il Partito comunista non può chiudere le porte ai contadini:
esso deve anzi avere nel suo seno dei contadini e servirsi di essi per stringere
il legame politico tra il proletariato e le classi rurali. Ma è da respingere
energicamente, come controrivoluzionaria, ogni concessione che faccia del partito
una "sintesi" di elementi eterogenei, invece di sostenere senza concessioni
di sorta che esso è una parte del proletariato, che il proletariato deve
dargli la impronta della organizzazione che gli è propria e che al proletariato
deve essere garantita nel partito stesso una funzione direttiva.
30. Non hanno consistenza le obiezioni pratiche alla organizzazione sulla base
della produzione (cellule), secondo le quali questa struttura organizzativa
non permetterebbe di superare la concorrenza tra diverse categorie di operai
e darebbe il partito in balia al funzionarismo. La pratica del movimento di
fabbrica (1919-20) ha dimostrato che solo una organizzazione aderente al luogo
e al sistema della produzione permette di stabilire un contatto tra gli strati
superiori e gli strati inferiori della massa lavoratrice (qualificati, non qualificati
e manovali) e di creare vincoli di solidarietà che tolgono le basi ad
ogni fenomeno di "aristocrazia operaia".
La organizzazione per cellule porta alla formazione nel partito di uno strato
assai vasto di elementi dirigenti (segretari di cellula, membri dei comitati
di cellula, ecc.), i quali sono parte della massa e rimangono in essa pure esercitando
funzioni direttive, a differenza dei segretari delle sezioni territoriali i
quali erano di necessità elementi staccati dalla massa lavoratrice. Il
partito deve dedicare una cura particolare alla educazione di questi compagni
che formano il tessuto connettivo della organizzazione e sono lo strumento del
collegamento con le masse. Da qualsiasi punto di vista venga considerata, la
trasformazione della struttura sulla base della produzione rimane compito fondamentale
del partito nel momento presente e mezzo per la soluzione dei più importanti
suoi problemi. Si deve insistere in essa e intensificare tutto il lavoro ideologico
e pratico che ad essa è relativo.
Compattezza della organizzazione del partito. Frazionismo
31. La organizzazione di un partito bolscevico deve essere, in ogni momento
della vita del partito, una organizzazione centralizzata, diretta dal Comitato
centrale non solo a parole, ma nei fatti. Una disciplina proletaria di ferro
deve regnare nelle sue file. Questo non vuol dire che il partito debba essere
retto dall'alto con sistemi autocratici. Tanto il Comitato centrale quanto gli
organi inferiori di direzione sono formati in base a una elezione e in base
a una scelta di elementi capaci compiuta attraverso la prova del lavoro e la
esperienza del movimento.
Questo secondo elemento garantisce che i criteri per la formazione dei gruppi
dirigenti locali e del gruppo dirigente centrale non siano meccanici, esteriori
e "parlamentari", ma corrispondano a un processo di formazione di
una avanguardia proletaria omogenea e collegata con la massa. Il principio della
elezione degli organi dirigenti - democrazia interna - non è assoluto,
ma relativo alle condizioni della lotta politica. Anche quando esso subisca
limitazioni, gli organi centrali e periferici devono sempre considerare il loro
potere non come sovrapposto, ma come sgorgante dalla volontà del partito,
e sforzarsi di accentuare il loro carattere proletario e di moltiplicare i loro
legami con la massa dei compagni e con la classe operaia.
Quest'ultima necessità è particolarmente sentita in Italia, dove
la reazione costrinse e costringe tuttora ad una forte limitazione della democrazia
interna. La democrazia interna è pure relativa al grado di capacità
politica posseduta dagli organi periferici e dai singoli compagni che lavorano
alla periferia. L'azione che il centro esercita per accrescere questa capacità
rende possibile una estensione dei sistemi "democratici" e una riduzione
sempre più grande del sistema della "cooptazione" e degli interventi
dall'alto per regolare le questioni organizzative locali.
32. La centralizzazione e la compattezza del partito esigono che non esistano
nel suo seno gruppi organizzati i quali assumano carattere di frazione. Un partito
bolscevico si differenzia per questo profondamente dai partiti socialdemocratici
i quali comprendono una grande varietà di gruppi e nei quali la lotta
di frazioni è la forma normale di elaborazione delle direttive politiche
e di selezione dei gruppi dirigenti. I partiti e la Internazionale comunista
sono sorti in seguito ad una lotta di frazioni svoltasi nel seno della II Internazionale.
Costituendosi come partiti e come organizzazione mondiale del proletariato essi
hanno eletto a norma della loro vita interna e del loro sviluppo non più
la lotta di frazioni, ma la collaborazione organica di tutte le tendenze attraverso
la partecipazione agli organi dirigenti.
La esistenza e la lotta di frazioni sono infatti inconcepibili con la essenza
del partito del proletariato, di cui spezzano la unità aprendo la via
alla influenza di altre classi. Questo non vuol dire che nel partito non possano
sorgere tendenze e che le tendenze talora non cerchino di organizzarsi in frazioni,
ma vuol dire che contro quest'ultima eventualità si deve lottare energicamente
per ridurre i contrasti di tendenze, le elaborazioni di pensiero e la selezione
dei dirigenti alla forma che è propria dei partiti comunisti, cioè
a un processo di svolgimento reale e unitario (dialettico) e non a una controversia
e a lotte di carattere "parlamentare".
33. La esperienza del movimento operaio, fallito in seguito alla impotenza del
PSI, per la lotta delle frazioni e per il fatto che ogni frazione faceva, indipendentemente
dal partito, la sua politica, paralizzando l'azione delle altre frazioni e quella
del partito intiero, questa esperienza offre un buon terreno per creare e mantenere
la compattezza e la centralizzazione che devono essere propri di un partito
bolscevico. Tra i diversi gruppi da cui il Partito comunista d'Italia ha tratto
origine sussiste qualche differenziazione, che deve scomparire con un approfondimento
della comune ideologia marxista e leninista. Solo tra i seguaci della ideologia
antimarxista di estrema sinistra si sono mantenute a lungo una omogeneità
e una solidarietà di carattere frazionistico. Dal frazionismo larvato
si è anzi fatto il tentativo di passare alla lotta aperta di frazione,
con la costituzione del cosiddetto "Comitato d'intesa".
La profondità con cui il partito reagì a questo insano tentativo
di scindere le sue forze dà affidamento sicuro che cadrà nel vuoto,
in questo campo, ogni tentativo di farci ritornare alle consuetudini della socialdemocrazia.
Il pericolo di un frazionismo esiste in una certa misura anche per la fusione
con i terzinternazionalisti del Partito socialista. I terzinternazionalisti
non hanno una loro ideologia in comune, ma sussistono tra loro dei legami di
carattere essenzialmente corporativo, creatisi nei due anni di vita come frazione
in seno al PSI; questi legami sono andati sempre più allentandosi e non
sarà difficile eliminarli totalmente. La lotta contro il frazionismo
deve essere anzitutto propaganda di giusti principi organizzativi, ma essa non
avrà successo sino a che il partito italiano non potrà nuovamente
considerare la discussione dei problemi attuali suoi e della Internazionale
come fatto normale, e orientare le sue tendenze in relazione a questi problemi.
Il funzionamento della organizzazione del partito
34. Un partito bolscevico deve essere organizzato in modo da poter funzionare,
in qualsiasi condizione, a contatto con la massa. Questo principio assume la
più grande importanza tra di noi, per la compressione che il fascismo
esercita allo scopo di impedire che i rapporti di forze reali si traducano in
rapporti di forze organizzate. Soltanto con la massima concentrazione e intensità
della attività del partito si può riuscire a neutralizzare almeno
in parte questo fattore negativo e ad ottenere che esso non intralci profondamente
il processo della rivoluzione. Devono essere perciò presi in considerazione:
a) il numero degli iscritti e la loro capacità politica; essi devono
essere tanti da permettere una continua estensione della nostra influenza. E'
da combattere la tendenza a tenere artificialmente ristretti i quadri: essa
porta alla passività, alla atrofia. Ogni iscritto però deve essere
un elemento politicamente attivo, capace di diffondere la influenza del partito,
e tradurre quotidianamente in atto le direttive di esso, guidando una parte
della massa lavoratrice;
b) la utilizzazione di tutti i compagni in un lavoro pratico;
c) il coordinamento unitario delle diverse specie di attività a mezzo
di comitati nei quali si articola tutto il partito come organo di lavoro tra
le masse;
d) il funzionamento collegiale degli organi centrali del partito, considerato
come condizione per la costituzione di un gruppo dirigente "bolscevico"
omogeneo e compatto;
e) la capacità dei compagni di lavorare tra le masse, di essere continuamente
presenti tra di esse, di essere in prima fila in tutte le lotte, di sapere in
ogni occasione assumere e tenere la posizione che è propria dell'avanguardia
del proletariato.
Si insiste su questo punto perché la necessità del lavoro sotterraneo
e la errata ideologia di "estrema sinistra" hanno prodotto una limitazione
della capacità di lavoro tra le masse e con le masse;
f) la capacità degli organismi periferici e dei singoli compagni di affrontare
situazioni imprevedute e di prendere atteggiamenti esatti anche prima che giungano
disposizioni dagli organi superiori. E' da combattere la forma di passività,
residuo essa pure delle false concezioni organizzative dell'estremismo, che
consiste nel sapere solo "attendere gli ordini dall'alto". Il partito
deve avere alla base una sua "iniziativa", cioè gli organi
di base devono saper reagire immediatamente ad ogni situazione imprevista e
improvvisa;
g) la capacità di compiere un lavoro "sotterraneo" (illegale)
e di difendere il partito dalla reazione di ogni sorta senza perdere il contatto
con le masse, ma facendo servire come difesa il contatto stesso con i più
vasti strati della classe lavoratrice. Nella situazione attuale una difesa del
partito e del suo apparato che sia ottenuta riducendosi ad esplicare una attività
di semplice "organizzazione interna" è da considerare come
un abbandono della causa della rivoluzione.
Ognuno di questi punti è da considerare con attenzione perché
indica insieme un difetto del partito e un progresso che gli si deve far compiere.
Essi hanno tanto maggiore importanza in quanto è da prevedere che i colpi
della reazione indeboliranno ancora l'apparato di collegamento tra il centro
e la periferia, per quanto grandi siano gli sforzi per mantenerlo intatto.
Strategia e tattica del partito
35. La capacità e tattica del partito è la capacità di
organizzare e unificare attorno all'avanguardia proletaria e alla classe operaia
tutte le forze necessarie alla vittoria rivoluzionaria e di guidarle di fatto
verso la rivoluzione approfittando delle situazioni oggettive e degli spostamenti
di forze che esse provocano sia tra la popolazione lavoratrice che tra i nemici
della classe operaia. Con la sua strategia e con la sua tattica il partito "dirige
la classe operaia" nei grandi movimenti storici e nelle sue lotte quotidiane.
L'unica direzione è legata all'altra ed è condizionata dall'altra.
36. Il principio che il partito dirige la classe operaia non deve essere interpretato
in modo meccanico. Non bisogna credere che il partito possa dirigere la classe
operaia per una imposizione autoritaria esterna; questo non è vero né
per il periodo che precede né per il periodo che segue la conquista del
potere. L'errore di una interpretazione meccanica di questo principio deve essere
combattuto nel partito italiano come una possibile conseguenza delle deviazioni
ideologiche di estrema sinistra; queste deviazioni portano infatti a una arbitraria
sopravvalutazione formale del partito per ciò che riguarda la funzione
di guida della classe. Noi affermiamo che la capacità di dirigere la
classe è in relazione non al fatto che il partito si "proclami"
l'organo rivoluzionario di essa, ma al fatto che esso "effettivamente"
riesca, come una parte della classe operaia, a collegarsi con tutte le sezioni
della classe stessa e a imprimere alla massa un movimento nella direzione desiderata
e favorita dalle condizioni oggettive.
Solo come conseguenza della sua azione tra le masse il partito potrà
ottenere che esse lo riconoscano come il "loro" partito (conquista
della maggioranza), e solo quando questa condizione si è realizzata esso
può presumere di poter trascinare dietro a sé la classe operaia.
Le esigenze di questa azione tra le masse sono superiori a ogni "patriottismo"
di partito.
37. Il partito dirige la classe penetrando in tutte le organizzazioni in cui
la massa lavoratrice si raccoglie e compiendo in esse e attraverso di esse una
sistematica mobilitazione di energia secondo il programma della lotta di classe
e un'azione di conquista della maggioranza alle direttive comuniste. Le organizzazioni
in cui il partito lavora e che tendono per loro natura a incorporare tutta la
massa operaia non possono mai sostituire il Partito comunista, che è
l'organizzazione politica dei rivoluzionari, cioè dell'avanguardia del
proletariato. Così è escluso un rapporto di subordinazione, e
di "eguaglianza" tra le organizzazioni di massa e il partito (patto
sindacale di Stoccarda, patto di alleanza tra il Partito socialista italiano
e la Confederazione generale del lavoro).
Il rapporto tra sindacati e partito è uno speciale rapporto di direzione
che si realizza mediante la attività che i comunisti esplicano in seno
ai sindacati. I comunisti si organizzano in frazioni nei sindacati e in tutte
le formazioni di massa e partecipano in prima fila alla vita di queste formazioni
e alle lotte che esse conducono, sostenendovi il programma e le parole d'ordine
del loro partito. Ogni tendenza a estraniarsi dalla vita delle organizzazioni,
qualunque esse siano, in cui è possibile prendere contatto con le masse
lavoratrici, è da combattere come pericolosa deviazione, indizi di pessimismo
e sorgente di passività.
38. Organi specifici di raccoglimento delle masse lavoratrici sono nei paesi
capitalistici i sindacati. L'azione nei sindacati è da considerare come
essenziale per il raggiungimento dei fini del partito. Il partito che rinuncia
alla lotta per esercitare la sua influenza nei sindacati e per conquistarne
la direzione, rinuncia di fatto alla conquista della massa operaia e alla lotta
rivoluzionaria per il potere. In Italia l'azione nei sindacati assume una particolare
importanza perché consente di lavorare con intensità più
grave e con risultati migliori a quella riorganizzazione del proletariato industriale
e agricolo che deve ridargli una posizione di predominio nei confronti con le
altre classi sociali.
La compressione fascista e specialmente la nuova politica sindacale del fascismo
creano però una condizione di cose del tutto particolare. La Confederazione
del lavoro e i sindacati di classe si vedono tolta la possibilità di
svolgere, nelle forme tradizionali, una attività di organizzazione e
di difesa economica. Essi tendono a ridursi a semplici uffici di propaganda.
In pari tempo però la classe operaia, sotto l'impulso della situazione
oggettiva, è spinta a riordinare le proprie forze secondo nuove forme
di organizzazione. Il partito deve quindi riuscire a compiere una azione di
difesa del sindacato di classe e di rivendicazioni della sua libertà,
e in pari tempo deve secondare e stimolare la tendenza alla creazione di organismi
rappresentativi di massa i quali aderiscono al sistema della produzione. Paralizzata
l'attività del sindacato di classe, la difesa dell'interesse immediato
dei lavoratori tende a compiersi attraverso uno spezzettamento della resistenza
e della lotta per officine, per categorie, per reparti di lavoro, ecc.
Il Partito comunista deve saper seguire tutte queste lotte ed esercitare una
vera e propria direzione di esse, impedendo che in esse vada smarrito il carattere
unitario e rivoluzionario dei contrasti di classe, sfruttandole anzi per favorire
la mobilitazione di tutto il proletariato e la organizzazione di esso sopra
un fronte di combattimento (Tesi sindacali).
39. Il partito dirige e unifica la classe operaia partecipando a tutte le lotte
di carattere parziale, e formulando e agitando un programma di rivendicazioni
di immediato interesse per la classe lavoratrice. Le azioni parziali e limitate
sono da esso considerate come momenti necessari per giungere alla mobilitazione
progressiva e alla unificazione di tutte le forze della classe lavoratrice.
Il partito combatte la concezione secondo la quale ci si dovrebbe astenere dall'appoggiare
o dal prendere parte ad azioni parziali perché i problemi interessanti
la classe lavoratrice sono risolubili solo con l'abbattimento del regime capitalista
e con una azione generale di tutte le forze anticapitalistiche. Esso è
consapevole della impossibilità che le condizioni dei lavoratori siano
migliorate in modo serio e durevole, nel periodo dell'imperialismo e prima che
il regime capitalista sia stato abbattuto.
L'agitazione di un programma di rivendicazioni immediate e l'appoggio alle lotte
parziali è però il solo modo col quale si possa giungere alle
grandi masse e mobilitarle contro il capitale. D'altra parte ogni agitazione
o vittoria di categorie operaie nel campo delle rivendicazioni immediate rende
più acuta la crisi del capitalismo, e ne accelera anche soggettivamente
la caduta in quanto sposta l'instabile equilibrio economico sul quale esso oggi
basa il suo potere. Il Partito comunista lega ogni rivendicazione immediata
a un obiettivo rivoluzionario, si serve di ogni lotta parziale per insegnare
alle masse la necessità dell'azione generale, della insurrezione contro
il dominio reazionario del capitale, e cerca di ottenere che ogni lotta di carattere
limitato sia preparata e diretta così da poter condurre alla mobilitazione
e unificazione delle forze proletarie, e non alla loro dispersione.
Esso sostiene queste sue concezioni nell'interno delle organizzazioni di massa
cui spetta la direzione dei movimenti parziali, o nei confronti dei partiti
politici che ne prendono la iniziativa, oppure le fa valere prendendo esso la
iniziativa di proporre le azioni parziali, sia in seno a organizzazioni di massa,
sia ad altri partiti (tattica del fronte unico). In ogni caso si serve della
esperienza del movimento e dell'esito delle sue proposte per accrescere la sua
influenza, dimostrando con i fatti che il suo programma di azione è il
solo rispondente agli interessi delle masse e alla situazione oggettiva, e per
portare sopra una posizione più avanzata una sezione arretrata della
classe lavoratrice. La iniziativa diretta del Partito comunista per una azione
parziale, può aver luogo quando essa controlla attraverso organismi di
massa una parte notevole della classe lavoratrice, o quando sia sicuro che una
sua parola d'ordine diretta sia seguita egualmente da una parte notevole della
classe lavoratrice.
Il partito non prenderà però questa iniziativa se non quando,
in relazione con la situazione oggettiva, essa porti a uno spostamento a suo
favore dei rapporti di forza, e rappresenti un passo in avanti sulla unificazione
e mobilitazione della classe sul terreno rivoluzionario. E' escluso che una
azione violenta di individui o di gruppi possa servire a strappare dalla passività
le masse operaie quando il partito non sia collegato profondamente con esse.
In particolare la attività dei gruppi armati, anche come reazione alla
violenza fisica dei fascisti, ha valore solo in quanto si collega con una reazione
delle masse o riesce a suscitarla e prepararla acquistando nel campo della mobilitazione
di forze materiali lo stesso valore che hanno gli scioperi e le agitazioni economiche
particolari per la mobilitazione generale delle energie dei lavoratori in difesa
dei loro interessi di classe.
39 bis. E' un errore il ritenere che le rivendicazioni immediate e le azioni
parziali possano avere solamente carattere economico. Poiché, con l'approfondirsi
della crisi del capitalismo, le classi dirigenti capitalistiche e agrarie sono
costrette, per mantenere il loro potere, a limitare e sopprimere le libertà
di organizzazione e politiche del proletariato, la rivendicazione di queste
libertà offre un ottimo terreno per agitazioni e lotte parziali, le quali
possono giungere alla mobilitazione di vasti strati della popolazione lavoratrice.
Tutta la legislazione con la quale i fascisti sopprimono, in Italia, anche le
più elementari libertà della classe operaia, deve quindi fornire
al Partito comunista motivi per l'agitazione e mobilitazione delle masse.
Sarà compito del Partito comunista collegare ognuna delle parole d'ordine
che esso lancerà in questo campo con le direttive generali della sua
azione: in particolare con la pratica dimostrazione della possibilità
che il regime instaurato dal fascismo subisca radicali limitazioni e trasformazioni
in senso "liberale" e "democratico" senza che sia scatenata
contro il fascismo una lotta di masse, la quale dovrà inesorabilmente
sboccare nella guerra civile. Questa convinzione deve diffondersi nelle masse
nella misura in cui noi riusciremo, collegando le rivendicazioni parziali di
carattere politico con quelle di carattere economico, a trasformare i movimenti
"rivoluzionari democratici" in movimenti rivoluzionari operai e socialisti.
Particolarmente questo dovrà essere ottenuto per quanto riguarda l'agitazione
contro la monarchia. La monarchia è uno dei puntelli del regime fascista;
essa è la forma statale del fascismo italiano. La mobilitazione antimonarchica
delle masse della popolazione italiana è uno degli scopi che il Partito
comunista deve proporre. Essa servirà efficacemente a smascherare alcuni
gruppi sedicenti antifascisti già coalizzati nell'Aventino. Essa deve
però sempre essere condotta insieme con l'agitazione e con la lotta contro
gli altri pilastri fondamentali del regime fascista, che sono la plutocrazia
industriale e gli agrari. Nell'agitazione antimonarchica il problema della forma
dello Stato sarà inoltre presentato dal Partito comunista in connessione
continua con il problema del contenuto di classe che i comunisti intendono dare
allo Stato. Nel recente passato (giugno 1925) la connessione di questi problemi
venne ottenuta dal partito ponendo a base della sua azione politica le parole
d'ordine: "Assemblea repubblicana sulla base dei Comitati operai e contadini;
controllo operaio sull'industria; terra ai contadini".
40. Il compito di unificare le forze del proletariato e di tutta la classe lavoratrice
sopra un terreno di lotta è la parte "positiva" della tattica
del fronte unico ed è in Italia, nelle circostanze attuali, compito fondamentale
del partito. I comunisti devono considerare la unità della classe lavoratrice
come un risultato concreto, reale, da ottenere, per impedire al capitalismo
l'attuazione del suo piano di disgregare in modo permanente il proletariato
e di rendere impossibile ogni lotta rivoluzionaria. Essi devono saper lavorare
in tutti i modi per raggiungere questo scopo soprattutto devono rendersi capaci
di avvicinare gli operai di altri partiti e senza partito superando ostilità
e incomprensioni fuori luogo, e presentandosi in ogni caso come i fautori dell'unità
della classe nella lotta per la sua difesa e per la sua liberazione. Il "fronte
unico" di lotta antifascista e anticapitalista che i comunisti si sforzano
di creare deve tendere a essere un fronte unico organizzato, cioè a fondarsi
sopra organismi attorno ai quali tutta la massa trovi una forma e si raccolga.
Tali sono gli organismi rappresentativi che le masse stesse oggi hanno la tendenza
a costituire, a partire dalle officine, e in occasione di ogni agitazione, dopo
che le possibilità di funzionamento normale dei sindacati hanno incominciato
a essere limitate. I comunisti devono rendersi conto di questa tendenza delle
masse e saperla stimolare, sviluppando gli elementi positivi che essa contiene
e combattendo le deviazioni particolaristiche cui essa può dare luogo.
La cosa deve essere considerata senza feticismi per una determinata forma di
organizzazione, tenendo presente che lo scopo nostro fondamentale è di
ottenere una mobilitazione e una unità organica sempre più vaste
di forze. Per raggiungere questo scopo occorre sapersi adattare a tutti i terreni
che ci sono offerti dalla realtà, sfruttare tutti i motivi di agitazione,
insistere sopra l'una o sopra l'altra forma di organizzazione a seconda della
necessità e a seconda delle possibilità di sviluppo di ognuna
di esse (Tesi sindacali: capitoli relativi alle commissioni interne, ai comitati
di agitazione, alle conferenze di fabbriche).
41. La parola d'ordine dei comitati operai e contadini deve essere considerata
come formula riassuntiva di tutta l'azione del partito in quanto essa si propone
di creare un fronte unico organizzato della classe lavoratrice. I comitati operai
e contadini sono organi di unità della classe lavoratrice mobilitata
sia per una lotta di carattere immediato che per azioni politiche di più
largo sviluppo. La parola d'ordine della creazione di comitati operai e contadini
è quindi una parola d'ordine di attuazione immediata per tutti quei casi
in cui il partito riesce con la sua attività a mobilitare una sezione
della classe lavoratrice abbastanza estesa (più di una sola fabbrica,
più di una sola categoria in una località), ma essa è in
pari tempo una soluzione politica e una parola di agitazione adeguata a tutto
un periodo della vita e della azione del partito. Essa rende evidente e concreta
la necessità che i lavoratori organizzino le loro forze e le contrappongano
di fatto a quelle di tutti i gruppi di origine e natura borghese, al fine di
poter diventare elemento determinante e preponderante della situazione politica.
42. La tattica del fronte unico come azione politica (manovra) destinata a smascherare
partiti e gruppi sedicenti proletari e rivoluzionari aventi una base di massa,
è strettamente collegata col problema della direzione delle masse da
parte del Partito comunista e col problema della conquista della maggioranza.
Nella forma in cui è stata definita dai congressi mondiali essa è
applicabile in tutti i casi in cui, per l'adesione delle masse ai gruppi che
noi combattiamo, la lotta frontale contro di essi non sia sufficiente a darci
risultati rapidi e profondi. Il successo di questa tattica è legato alla
misura in cui essa è preceduta o si accompagna ad una effettiva opera
di unificazione e di mobilitazione di masse ottenuta dal partito con una azione
dal basso.
In Italia la tattica del fronte unico deve continuare ad essere adottata dal
partito nella misura in cui esso è ancora lontano dall'aver conquistato
una influenza decisiva sulla maggioranza della classe operaia e della popolazione
lavoratrice. Le particolari condizioni italiane assicurano la vitalità
di formazioni politiche intermedie, basate sopra l'equivoco e favorite dalla
passività di una parte della massa (massimalisti, repubblicani, unitari).
Una formazione di questo genere sarà il gruppo di centro che assai probabilmente
sorgerà dallo sfacelo dell'Aventino. Non è possibile lottare a
pieno contro il pericolo che queste formazioni rappresentano se non con la tattica
del fronte unico. Ma non bisogna contare di poter aver successi se non in relazione
al lavoro che contemporaneamente si sarà fatto per strappare le masse
alla passività.
42 bis. Il problema del Partito massimalista deve essere considerato alla stregua
del problema di tutte le altre formazioni intermedie che il Partito comunista
combatte come ostacolo alla preparazione rivoluzionaria del proletariato e verso
le quali adotta, a seconda delle circostanze, la tattica del fronte unico. E'
certo che in alcune zone il problema della conquista della maggioranza è
per noi legato specificamente al problema di distruggere la influenza del PSI
e del suo giornale. I capi del Partito socialista d'altra parte vengono sempre
più apertamente classificandosi tra le forze controrivoluzionarie e di
conservazione dell'ordine capitalistico (campagna per l'intervento del capitale
americano; solidarietà di fatto con i dirigenti sindacali riformisti).
Nulla permette di escludere del tutto la possibilità di un loro accostamento
ai riformisti e di una successiva fusione di essi. Il Partito comunista deve
tenere presente questa possibilità e proporsi fin d'ora di ottenere che,
quando essa si realizzasse, le masse che sono ancora controllate dai massimalisti
ma conservano uno spirito classista, si stacchino da essi decisamente e si leghino
nel modo più stretto con le masse che la avanguardia comunista tiene
attorno a sé. I buoni risultati dati dalla fusione con la frazione terzinternazionalista
decisa dal V Congresso hanno insegnato al partito italiano come in condizioni
determinate si ottengano, con una azione politica avveduta, risultati che non
si potrebbero ottenere con la normale attività di propaganda e organizzazione.
43. Mentre agita il suo programma di rivendicazioni classiste immediate e concentra
la sua attività nell'ottenere la mobilitazione e unificazione delle forze
operaie e lavoratrici, il partito può presentare, allo scopo di agevolare
lo sviluppo della propria azione, soluzioni intermedie di problemi politici
generali, e agitare queste soluzioni tra le masse che sono ancora aderenti a
partiti e formazioni controrivoluzionarie. Questa presentazione e agitazione
di soluzioni intermedie - lontane tanto dalle parole d'ordine del partito quanto
dal programma di inerzia e passività dei gruppi che si vogliono combattere
- permette di raccogliere al seguito del partito forze più vaste, di
porre in contraddizione le parole dei dirigenti i partiti di massa controrivoluzionari
con le loro intenzioni reali, di spingere le masse verso soluzioni rivoluzionarie
e di estendere la nostra influenza (esempio: antiparlamento).
Queste soluzioni intermedie non si possono prevedere tutte, perché devono
in ogni caso aderire alla realtà. Esse devono però essere tali
da poter costituire un ponte di passaggio verso le parole d'ordine del partito,
e deve apparire sempre evidente alle masse che una loro eventuale realizzazione
si risolverebbe in un acceleramento del processo rivoluzionario e in un inizio
di lotte più profonde. La presentazione e agitazione di queste soluzioni
intermedie è la forma più specifica di lotta che deve essere usata
contro i partiti sedicenti democratici, i quali in realtà sono uno dei
più forti sostegni dell'ordine capitalistico vacillante e come tali si
alternano al potere con i gruppi reazionari, quando questi partiti sedicenti
democratici sono collegati con strati importanti e decisivi della popolazione
lavoratrice (come in Italia nei primi mesi della crisi Matteotti) e quando è
imminente e grave un pericolo reazionario (tattica adottata dai bolscevichi
verso Kerenski durante il colpo di Kornilov). In questi casi il Partito comunista
ottiene i migliori risultati agitando le soluzioni stesse che dovrebbero essere
proprie dei partiti sedicenti democratici se essi sapessero condurre per la
democrazia una lotta conseguente, con tutti i mezzi che la situazione richiede.
Questi partiti, posti così alla prova dei fatti, si smascherano di fronte
alle masse e perdono la loro influenza su di esse.
44. Tutte le agitazioni particolari che il partito conduce e le attività
che esso esplica in ogni direzione per mobilitare e unificare le forze della
classe lavoratrice devono convergere ed essere riassunte in una formula politica
la quale sia agevole a comprendersi dalle masse e abbia il massimo valore di
agitazione nei loro confronti. Questa formula è quella del "governo
operaio e contadino". Essa indica anche alle masse più arretrate
la necessità della conquista del potere per la soluzione dei problemi
vitali che le interessano e fornisce il mezzo per portarle sul terreno che è
proprio dell'avanguardia operaia più evoluta (lotta per la dittatura
del proletariato). In questo senso essa è una formula di agitazione,
ma non corrisponde ad una fase reale di sviluppo storico se non allo stesso
modo delle soluzioni intermedie di cui al numero precedente.
Una realizzazione di essa infatti non può essere concepita dal partito
se non come inizio di una lotta rivoluzionaria diretta, cioè della guerra
civile condotta dal proletariato, in alleanza con i contadini, per la conquista
del potere. Il partito potrebbe essere portato a gravi deviazioni dal suo compito
di guida della rivoluzione qualora interpretasse il governo operaio e contadino
come rispondente ad una fase reale di sviluppo della lotta per il potere, cioè
se considerasse che questa parola d'ordine indica la possibilità che
il problema dello Stato venga risolto nell'interesse della classe operaia in
una forma che non sia quella della dittatura del proletariato.