Biblioteca Multimediale Marxista
"L'Ordine Nuovo", 17 giugno 1921
Il popolo italiano ha seguito la cerimonia d'apertura della XXVI legislatura con la stessa curiosità con la quale ha seguito la corsa ciclistica per il giro d'Italia. Ha guardato alla coreografia, non ha meditato sul discorso, perché sapeva che quel discorso stava a completare la coreografia, quindi non poteva essere che insincero ed irreale? Gli stessi uomini politici manifestano segni di nausea e stanchezza. Ma malgrado ciò il discorso della Corona è stato sventrato, frugato da capo a fondo, ed ogni partito si è sforzato di trarre da esso il tema per qualche discorso brillante sia in laude che in opposizione al contenuto.
Ma mentre sulla scena politica si seguono queste banali rappresentazioni, nelle quali tutte le ambizioni umane intessono la loro menzogna, sullo sfondo giganteggia la maschera sghignazzante della realtà. Ardono per le vie, nelle case, nell'intimità tutte le passioni di cui si sente capace l'anima umana. L'individualismo ha preso il sopravvento sull'armonia delle collettività operanti ad un fine. La vita collettiva si è spezzata in tante singole tragedie. Delitti che abbassano e riconducono l'uomo allo stato selvaggio; violenze truccate di legalità che rivelano, sotto la mano inguantata dell'uomo colto e aristocratico, il callo e l'artiglio del negriero; torture morali e materiali che strappano gli ultimi veli alle ipocrisie del diritto; arbitrii che spezzano i rapporti sociali ma non osano mettere a parte i ciarpami delle tradizioni e lanciare la grande definitiva parola di sfida.
In quest'ambiente arroventato, slegato, tentennante, distratto, si leva un ministro della monarchia a ripetere, con la puntualità di un burocrate, le menzogne costituzionali, ed a colui che simboleggia e riassume il potere monarchico si fanno dire pensieri che suonano beffa e insulto. Beffa ed insulto l'invocazione all'equilibrio delle energie di lavoro, all'ordinato ascendere delle classi lavoratrici, alla collaborazione per il rafforzamento dell'autorità dello Stato! Questo Stato che vuol farsi paciere fra le classi a condizione che la lotta della classe lavoratrice segni il passo col cronometro degli interessi di classe borghese, non si accorge di vivere fuori della realtà? La realtà non rivela forse tutto un popolo buono e laborioso sanguinante per mille ferite, per disoccupazione, fame e miseria, mentre tutto l'affarismo agrario e siderurgico minaccia, se non si salvano i suoi privilegi, di affamare l'Italia del lavoro? La realtà non ci fa vedere navi di emigranti che ritornano, onuste di proletariato, in patria, perché altrove non s'accettano quelle bestie da soma? Questo spettro di Stato incarognito in mille delitti, questi ministri adusati nell'arte della menzogna e del cinismo, questo canagliume che vuol pontificare dalla cattedra del diritto e della morale crede di bendarci gli occhi e di sollazzarci per non vedere in faccia la realtà? La sovranità dello Stato per placare le passioni esorbitanti? Ma chi se non lo Stato ha mandato in briciole quel poco che era rimasto di puro nei rapporti sociali?
Lo stesso governo s'è fatto brigante e non osa confessarlo. Il delinquente che grida viva l'Italia, mentre consuma il suo delitto, spezza tutti gli ostacoli del codice e non va in galera, ma ci va colui che vuol tenere fede ad un'idea che ha sposato fra i dolori e le privazioni e sotto il giogo del lavoro. Non si parli di libertà! Bando agli omaggi per gli uomini che dettarono leggi e codificarono i rapporti sociali. Siamo giunti al punto culminante dei contrasti di classe, e la realtà ci dimostra come il potere statale vada sempre più assumendo carattere di oppressione e di dominio di classe. Noi non ci lasciamo fuorviare dalle esteriorità, legga o non legga il re un discorso, abbia o non abbia fiducia un ministero, si battano o non si battano i partiti per un progetto di legge, a noi la realtà dà la sensazione che tutto ciò serva per fare indugiare le masse operaie, per farle desistere dagli assalti violenti al regime.
Poiché la realtà ha gettato per le vie la violenza, poiché questa è partorita dai contrasti di classe, poiché questa classe è la borghesia in orgasmo per ricacciare indietro il proletariato, poiché ovunque trionfa il forte in barba alle leggi e alle tradizioni, poiché la vendetta sta in agguato ovunque porti la sua attività la classe operaia, poiché tutto questo è e non è fantasia che valga a diminuire la portata e l'importanza di questi fatti, noi preferiamo la sincerità dei violenti, mercenari o non della borghesia, perché, rotte le menzogne, essi stanno insegnando a tutti come può esercitarsi il dominio di classe all'ombra della legalità.
Chi ha fede, chi solo alla realtà attinge l'energia necessaria per combattere le lotte sociali deve rimanere sul terreno della violenza contro la violenza e non subirà umiliazioni. Se vi è forza nel produrre, si può, si deve usare la stessa forza perché non sia conculcato il proprio diritto.