Biblioteca Multimediale Marxista
E' giunto ad un nostro indirizzo e-mail un files txt di 26 pagine, allegato
ad un messaggio di posta elettronica circa un presunto "Documento delle
Brigate Rosse con rivendicazione dell'iniziativa del 19 marzo 2002 a Bologna
contro il consulente del ministero del lavoro Marco Biagi".Il documento
è firmato Brigate Rosse
per la costruzione del Partito Comunista Combattente
Il messaggio è stato inviato in copia carbone a diversi indirizzi di
posta elettronica; dalla denominazione e-mail della maggior parte dei qualisi
deduce siano di organizzazioni sindacali.
Pubblichiamo il documento con le dovute cautele. Il documento è lunghissimo,
lo pubblichiamo integralmente proprio per valutare assieme a voi lettori l'autenticità
dello stesso e per valutarne i contenuti. [La redazione di Caserta 24ore n.d.r]
Il giorno 19 marzo 2002 a Bologna, un nucleo armato della nostra Organizzazione,
ha giustiziato Marco Biagi consulente del ministro del lavoro Maroni, ideatore
e promotore delle linee e delle formulazioni legislative di un progetto di rimodellazione
della regolazione dello sfruttamento del lavoro salariato, e di ridefinizione
tanto delle relazioni neocorporative tra Esecutivo, Confindustria e Sindacato
confederale, quanto della funzione della negoziazione neocorporativa in rapporto
al nuovo modello di democrazia rappresentativa. Una democrazia "governante"
che già accentrante nell'ultimo decennio i poteri nell'Esecutivo e nella
maggioranza di governo ora con la riforma dell'articolo V della Costituzione
(detta "federale") vedrà ripartite competenze e funzioni agli
organi politici locali entro i vincoli di indirizzo e di bilancio centralizzati
e legati all'integrazione monetaria europea, con il fine di stabilizzare l'avviata
alternanza tra coalizioni politiche incentrate sugli interessi della borghesia
imperialista, sfruttando il restringimento della base produttiva nazionale non
solo come vantaggio competitivo nei livelli di sfruttamento della forza-lavoro
rispetto ai sistemi economici di altri paesi, ma come condizione per riadeguare
il dominio della borghesia imperialista e rafforzarlo nei confronti delle istanze
proletarie e delle tendenze al loro sviluppo in autonomia politica antistatuale
e antistituzionale che nascono da queste condizioni strutturali.
Con questa azione combattente le Brigate Rosse attaccano la progettualità
politica della frazione dominante della borghesia imperialista nostrana per
la quale l'accentramento dei poteri nell'Esecutivo, il neocorporativismo, l'alternanza
tra coalizioni di governo incentrate sugli interessi della borghesia imperialista
e il "federalismo" costituiscono le condizioni per governare la crisi
e il conflitto di classe in questa fase storica segnata dalla stagnazione economica
e dalla guerra imperialista.
Una progettualità politica che si costruisce e si sviluppa attraverso
entrambi gli schieramenti politico-istituzionali e che misurandosi con i nodi
generati dalle risposte di politica economica, di riforme strutturali e di rifunzionalizzazione
dello Stato che sono state date negli anni passati per governare la crisi e
il conflitto di classe, deve affrontare ora il contemporaneo maturarsi di questi
processi per cui diventa decisiva la capacità di integrare organicamente
i passaggi di questa duplice priorità che ha caratterizzato in generale
le legislature degli anni '90, pena l'indebolimento della capacità di
governare le contraddizioni generate dall'approfondimento della crisi del capitalismo.
Compito di una forza rivoluzionaria come le Brigate Rosse è attaccare
questa progettualità e così incidere nello scontro politico tra
le classi, in funzione di una linea di combattimento che in questa fase della
guerra di classe deve riferirsi a obiettivi rivolti a produrre disarticolazione
politica dello Stato e in cui si sostanzia l'agire da partito per costruire
il Partito.
Con questo attacco le Brigate Rosse operano per spostare in avanti lo scontro
tra le classi e collocano su un punto di forza la posizione degli interessi
politici autonomi del proletariato, facendo così avanzare la linea politica
sulla quale indirizzare lo scontro prolungato con lo Stato e l'imperialismo,
che propongono alle avanguardie e al proletariato rivoluzionario e a tutta la
classe.
L'azione riformatrice di Marco Biagi, esperto giuslavorista e delle relazioni
industriali, rappresentante delle istanze e persino dei sogni della Confindustria,
si è espressa nell'Esecutivo Berlusconi nelle responsabilità primarie
ricoperte nell'elaborazione del "Libro Bianco", nell'aver sostenuto
le misure di abrogazione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, e nell'essere
promotore e conseguentemente incaricato del compito di guidare l' apposita commissione
governativa, che ne dovrà realizzare il definitivo superamento con lo
"Statuto dei lavori" che adeguerebbe la regolazione dei rapporti di
lavoro alle nuove condizioni di mercato, e cioè costituirebbe uno strumento
normativo che, alludendo alla tutela dei nuovi lavoratori precarizzati, in realtà
definisce le garanzie per i padroni nelle diverse forme di sfruttamento del
lavoro salariato.
A dimostrazione del fatto che nelle nuove forme di democrazia governante le
coalizioni politiche sono incentrate intorno agli interessi generali della borghesia
imperialista, l'azione riformatrice di Marco Biagi si è espressa negli
Esecutivi lungo tutto l'arco degli anni '90. Già nel '93 collaborava
con il Ministro del Lavoro Giugni nel governo Ciampi per riformare la normativa
sull'orario di lavoro, mentre nel '96 nel governo Prodi come consigliere al
medesimo ministero con Tiziano Treu, elabora il famigerato "pacchetto Treu"
base dell'accordo neocorporativo tra Governo, Confindustria e Sindacato confederale
con cui fu fatto il salto di qualità nelle varie forme di precarizzazione
del lavoro salariato che hanno così violentemente inciso nelle condizioni
materiali della classe operaia e del proletariato. Con lo stesso Esecutivo diventa
consigliere del Presidente del Consiglio Prodi, mentre nel successivo Esecutivo
D'Alema segue Treu al ministero dei Trasporti, e nel contempo è consigliere
di Bassolino per gli affari internazionali e comunitari, veste nella quale presentò
il Piano nazionale per l'occupazione in sede Ue e consulente anche alla Funzione
pubblica con il ministro Piazza. Non meno degna di nota è la sua responsabilità
nel Patto di Milano, anticipazione del modello di mercato del lavoro e sociale
che avrebbe voluto oggi generalizzare e con cui si è tentato di ritagliare
il prezzo e le condizioni di impiego della forza-lavoro sulla base nuda e cruda
della ricattibilità di condizioni sociali di dipendenza particolarmente
svantaggiate, a prescindere e persino in contrasto con le condizioni di mercato
locali della forza-lavoro, con cui veniva dimostrato in modo inequivoco come
gli intenti odierni della borghesia non siano affatto riferibili alla ideologia
liberista che segnò lo sviluppo del capitalismo, non sono rivolti a lasciare
al "libero mercato" il rapporto tra capitale e lavoro, sciogliendolo
da vincoli politici, ma sono tesi a disporne altri a proprio favore e a garanzia
della subordinazione politica del proletariato.
Le responsabilità di Marco Biagi non si sono fermate a un piano nazionale,
ma sono state assunte anche a livello internazionale. Ad esempio in sede Ue,
dove è stato consigliere di Prodi alla Commissione europea, e membro
di comitati ad hoc come il "Gruppo di alta riflessione sulle relazioni
industriali" incaricati dalla Commissione stessa, per la riforma del mercato
del lavoro e delle relazioni industriali e l'istituzione del "dialogo sociale".
Oppure in sede Onu, dove l'Organizzazione Internazionale del Lavoro (Oil) per
la quale è stato anche consulente per l'est europeo, con conseguenze
che tutti possono immaginare per i livelli di sfruttamento raggiungibili in
questi paesi dal capitale, l'ha incaricato di collaborare alla riforma del mercato
del lavoro...per la Bosnia! Ciò segnala come la sua iniziativa corrisponda
agli interessi del padronato italiano non solo nell'ambito nazionale, ma anche
nei paesi recentemente integrati nella catena imperialista anche forzosamente
con l'occupazione militare.
L'azione dell'Esecutivo con il Libro Bianco, le deleghe e lo Statuto dei lavori
è tesa a realizzare un progetto di riforma a carattere complessivo che
collegata a quella sulla previdenza, e alla prevista attribuzione del tfr dei
nuovi assunti alla previdenza integrativa, realizza quello "scambio"
tra tfr e competitività da tempo richiesto dai padroni. Il Libro Bianco
non interviene solo sul mercato del lavoro, sul collocamento, sulle tipologie
contrattuali, ma anche sul diritto di sciopero proponendo l'indizione di referendum
per deciderne l'attuazione, sull'azionariato dei dipendenti, sui comitati aziendali
europei, sugli ammortizzatori sociali, sulle controversie di lavoro. Una riforma
che avrebbe dovuto riguardare l'intera legislatura e avere, nelle intenzioni
dell'Esecutivo, come meta la scrittura di uno "Statuto dei lavori"
in sostituzione dello Statuto dei lavoratori, passaggio che invece, a causa
delle dinamiche dello scontro, è stato successivamente anticipato. Il
modello sociale prefigurato da Marco Biagi era quello di una "società
attiva", in cui ogni giovane lavoratore attraverso il percorso a ostacoli
dell'apprendistato, del contratto a termine, dei vari tipi di contratto precario,
delle politiche attive del lavoro e della formazione nei periodi di disoccupazione,
del contratto a tempo indeterminato ma senza la tutela dell'art. 18, realizzi
una "carriera educativa" nella quale si forma in piena "autonomia",
quella generabile dalla spinta del bisogno dei mezzi per vivere, spinto quindi
dal ricatto dell'assenza di alternative insito nella "natura delle cose"
ossia i rapporti sociali capitalistici, secondo i voleri e i desideri del capitale,
o se si vuole in funzione della propria sfruttabilità o "occupabilità"
da parte del padrone, abbandonando ovviamente ogni velleità di conflitto
e ogni pratica antagonista, appoggiato in ciò da "tutori" come
le agenzie interinali, il collocamento privato e pubblico, le agenzie di formazione,
i collegi di conciliazione e arbitrato etc., e nel quadro dei vari patti territoriali,
andando a costituire così la principale garanzia per la competitività
del capitale investito in Italia, in quanto ciò che risulta essere "filtrato"
da questo processo e procedura è la forza-lavoro più "adattabile"
alle esigenze di valorizzazione del capitale, senza rischi di autoritarismi
inutili e dannosi. Il progetto del Libro bianco, insieme alla riforma della
previdenza, al nuovo ruolo delle Regioni e degli enti locali, alla privatizzazione
del collocamento e dell'assistenza, fa fare un salto alle relazioni politiche
tra le classi, approfondendone e complessivizzandone il contenuto corporativo.
Il "dialogo sociale" supera l'aspetto della "concertazione"
come dialettica non conflittuale tra le parti tesa a comuni obiettivi programmatici
perseguiti in funzione della competizione, e organizza un sistema di relazioni
sociali che lega forzosamente la condizione del lavoro salariato alla competitività
del capitale, un dato che spiega in parte la resistenza sindacale a fronte della
maggioranza di governo che assume tale iniziativa politica, che non garantisce
come avrebbe potuto fare il centro-sinistra che ha un legame elettorale con
parte del sindacato confederale, la preservazione di un peso politico.
In sostanza ciò a cui si relazionano tanto il Libro Bianco che lo Statuto
dei Lavori è il livello di crisi a cui è pervenuto il capitale
che obbliga la borghesia imperialista, e ciò gli è consentito
dai rapporti politici determinatisi in Italia negli ultimi 20 anni tra le classi,
a ridefinire i termini dello sfruttamento e di governo del conflitto di classe,
in modo tale da recuperare margini di profitto e prevenire l'esplosione del
conflitto tra interessi che si polarizzano sempre di più, a fronte di
una base produttiva che invece si contrae, processo che come hanno dimostrato
i trent'anni trascorsi, non c'è politica economica che possa invertire.
In questo quadro per un'economia come quella italiana debole e sottoposta tanto
alla concorrenza dei monopoli più forti europei e americani quanto a
quella dei "paesi emergenti", diventa necessario riorganizzare le
relazioni sociali nelle quali gli interessi antagonisti delle classi si contrappongono.
Una riorganizzazione che deve essere operata in funzione:
1)dell'obiettivo della competitività del capitale, attraverso politiche
rivolte non solo alla regolazione al ribasso del costo del lavoro, ma anche
all'organizzazione del mercato del lavoro rivolta a rendere l'esercito industriale
di riserva non solo un fattore di pressione sul prezzo della forza-lavoro ma
un fattore forzoso (le politiche "attive") di capacità competitiva
del sistema economico sociale.
2) della strutturazione di forme di rapporto sociale idonee non solo a rendere
"flessibili" i fattori produttivi "umani", cioè la
forza-lavoro, ma anche a rimodellare il conflitto per prevenirne la caratterizzazione
di classe, tramite le nuove condizioni contrattuali e normative tese a costituire
un terreno di selettività progressiva e individualizzata dell'accesso
al lavoro salariato. Le diverse posizioni e i diversi percorsi contrattuali
compresenti nello stesso ambito lavorativo, dovrebbero costituire una garanzia
per schierare intorno agli interessi padronali alla competitività quelli
operai e dei lavoratori, d'altra parte proprio queste differenze e l'arretramento
che costituiscono per le condizioni della classe inducono all'indirizzamento
delle rivendicazioni economico-sociali verso obiettivi generali, e il sindacato
confederale a recuperare un equilibrio attraverso battaglie sui "diritti",
apparentemente universali in quanto diritti, in realtà nella loro "esigibilità"
correlati alle differenti condizioni di competitività aziendale o territoriale
nonostante lo sfoggio di posizioni egualitariste professate oggi da Cofferati.
Esempio palese è il superamento della condizione del rapporto di lavoro
a tempo indeterminato con l'attuale legittimazione e integrazione stabile nei
rapporti di lavoro di quello a tempo determinato, che ha indotto la definizione
da parte sindacale di una battaglia sui diritti differenziata per i lavoratori
a termine che contribuisce a stabilizzare questa forma di sfruttamento e a subordinare
le istanze di classe a quelle del padronato, dal momento che ottenere delle
tutele relative alle forme attuali della valorizzazione capitalistica è
coerente con la costruzione di un sistema economico competitivo, mentre porre
al centro istanze di classe e gli obiettivi che le rappresentano, richiederebbe
di instaurare un rapporto di forza generale con cui imporre l'autonomia di classe
rispetto alle istanze del capitale.
3) della rimodellazione, su queste basi sociali, della rappresentanza politica
e sociale correlativamente ai processi di esecutivizzazione oggi necessari nel
governo della crisi e del conflitto articolandola in dimensioni localizzate
e tra loro, a loro volta competitive (col supporto dei necessari strumenti di
coercizione e repressione), presupposto questo tanto della riforma dello Stato
in senso "federale" che della tenuta del fronte interno rispetto all'impegno
bellico costante dello Stato. La compenetrazione tra pubblico e privato nei
settori della istruzione, della sanità, dell'assistenza etc. con un maggior
ruolo delle fondazioni, del terzo settore..., dà una base economica e
sociale concreta a questo disegno politico, come pure gliela dà l'ulteriore
trasformazione del sindacato confederale in associazione di iscritti, ai quali
fornisce essenzialmente "servizi", e non più ruolo di organizzatore
del conflitto con il capitale. In questa direzione va anche la normativa sui
comitati aziendali delle multinazionali europee definita al vertice di Nizza,
e che prevede almeno il "diritto di informazione" per le rappresentanze
dei lavoratori di queste aziende, come livello minimo di cooptazione cogestionaria,
come pure l'azionariato aziendale come modo di remunerazione dei dipendenti
delle fasce alte, e l'impiego del tfr per la previdenza integrativa privata,
tutti elementi che tendono a ridefinire il ruolo del sindacato su basi materiali
di corresponsabilizzazione nei profitti aziendali, a farne un soggetto economico
che "vende" contrattazione, e a legare più organicamente alle
aziende la componente di forza-lavoro maggiormente qualificata, un aspetto questo
che va a modificare i caratteri dell'aristocrazia operaia.
Il governo Berlusconi ha in generale impostato e gestito il suo indirizzo programmatico
qualificando come aspetto prioritario l'approfondimento del processo di complessiva
ristrutturazione e riforma del sistema economico sociale articolando su tempi
necessariamente lunghi i passaggi rivolti a dare attuazione alla riforma del
titolo V della Costituzione. Rispetto a questo punto la coalizione di governo
ha una sua base programmatica che ha come terreno di unità politica l'attuazione
di una riforma della forma dello Stato e del governo da combinare con l'avanzamento
del processo di ristrutturazione economico-sociale. La capacità di realizzare
queste riforme avrebbe costituito un punto di forza per consolidare il sostegno
di tutti i settori confindustriali e contenere la vulnerabilità di una
maggioranza coesa dalla figura del capo del governo Berlusconi caratterizzata
dall'anomalia di concentrare interessi capitalistici e politici, vulnerabile
perciò all'iniziativa della concorrenza e dell'opposizione, anche attraverso
le molte occasioni offerte all'iniziativa giudiziaria. Rispetto alla negoziazione
neocorporativa in specifico, l'equilibrio di governo aveva trovato nel Patto
di Milano e nel Patto della Lombardia le sue sperimentazioni. Già il
governatore della Banca d'Italia Fazio e in parte anche la Cisl avevano espresso,
nei primi mesi della legislatura, i contenuti politici di una linea di aggiornamento
della negoziazione neocorporativa: i cardini riguardavano l'accentuazione del
livello aziendale e territoriale della contrattazione, la partecipazione azionaria
dei dipendenti, le modifiche rispetto al mercato del lavoro in direzione di
una maggiore flessibilità, la diversificazione delle regole del mercato
del lavoro in relazione alle
diverse condizioni soggettive e territoriali e l'estensione
della gestione privata del mercato del lavoro (estensione delle competenze delle
agenzie interinali per fargli assumere il ruolo di agenzie di collocamento etc..).
Ciò non ha impedito che l'avvio di queste riforme fosse attraversato
da contraddizioni e illinearità data la forzatura che costituiscono nei
rapporti con la classe e anche per la contingenza delle scadenze politiche ravvicinate
delle elezioni amministrative per le quali la coalizione di opposizione sta
impostando un'alternativa progettuale imperniata sulla difesa dei diritti e
della legalità, che la riproponga come polo credibile di alternanza alla
guida del governo; contraddizioni e illinearità che segnalano la vulnerabilità
dello Stato nell'azione rivolta a costruire la sua capacità di governo
degli antagonismi tra le classi e la delicatezza del passaggio politico in atto.
L'azione di governo si è prefissa di superare la concertazione come "metodo
per governare" che appariva ricercare l'accordo tra tutte le parti, che
vedeva la negoziazione neocorporativa aggregare il sindacato confederale nelle
decisioni di politica economica e costituire l'alternativa al conflitto escludendolo
e marginalizzandolo, relativamente, come rapporto tra padronato e lavoratori
e tra Stato e classe nelle materie prerogativa dello Stato riguardanti la regolazione
del mercato del lavoro, dei rapporti contrattuali e le erogazioni sociali. Questo
accompagnava la fase di passaggio dalla prima alla seconda repubblica ed era
funzionale a destrutturare la democrazia parlamentare e il modo in cui si era
realizzata la rappresentanza politica nei decenni passati, per costruire l'alternanza
e una democrazia governante; ciò necessitava infatti il depotenziamento
delle istanze antagoniste presenti nel conflitto di classe e il loro sradicamento
dallo scontro politico in modo che questo ne fosse sterilizzato consentendo
agli schieramenti politici contrapposti di misurarsi per la capacità
di rappresentare gli interessi della borghesia imperialista aggregando interessi
sociali particolari intorno al programma di governo. La "concertazione"
entra in crisi manifesta con il governo D'Alema, per la resistenza che suscitavano
nella classe le misure antiproletarie che ne giustificavano il ruolo politico,
e per la particolare difficoltà a produrre le ulteriori trasformazioni
per le quali premeva la Confindustria. In questo quadro era inserita l'iniziativa
del 20 maggio contro Massimo D'Antona della nostra organizzazione che incideva
nello scontro politico indebolendo l'azione dell'Esecutivo, che dovette riadeguarsi
non solo perché non poteva più contare sul contributo antiproletario
qualificato dell'elaboratore di quel passaggio, ma anche perché doveva
trovare il calibramento politico giusto, che evitasse di alimentare saldature
tra il conflitto di classe e un'opzione rivoluzionaria considerata solo un'amaro
ricordo. La borghesia imperialista non abbandona i suoi obiettivi, ma solo la
coalizione di centro-sinistra dimostratasi incapace nonostante tutti i buoni
propositi di realizzare il suo programma, e il nuovo governo Berlusconi sperimenta
il superamento della concertazione su un piano nazionale, all'inizio della legislatura,
con l'avviso comune di Cisl Uil e Confindustria sulla direttiva comunitaria
sui contratti a termine, avviando quel dialogo sociale che diventa il modello
di relazioni neocorporative da realizzare per questo governo, con cui normalizzare
e funzionalizzare anche questo piano di relazioni politiche all'alternanza,
costruendo un rapporto tra questa maggioranza e parte dei sindacati confederali,
e nel contempo ottenendo anche il ridimensionamento del peso politico della
Cgil e l'indebolimento del centro-sinistra e in particolare dei Ds a cui è
legata. Ciò che si è dimostrato è che le istanze di competizione
delle componenti confindustriali nel quadro dei livelli di crisi presenti e
rispetto alle prospettive di allargamento europeo, hanno premuto affinchè
fossero realizzate da subito delle forzature che rompessero i vincoli preesistenti
come garanzia che in tempi politici programmabili si pervenisse alla indispensabile
rimodellazione delle relazioni sociali coronamento di anni di logoramenti e
destrutturazioni delle posizioni del proletariato; un'istanza che almeno in
parte si è saldata con gli interessi politici di questo governo, ma che
ha alimentato un conflitto senza riuscire a conseguire linearmente nè
l'istituzione del dialogo sociale nè lo stringimento del rapporto politico
da parte di questa maggioranza con parte del sindacato confederale. La rinnovata
determinazione del governo a fronte delle scadenze della mobilitazione e della
catalizzazione delle posizioni sindacali intorno ad esse, segnala il livello
raggiunto dallo scontro, il problema di come incidervi per parte del proletariato,
e l'importanza della posta in gioco che non risiede nelle deroghe all'articolo
18, ma nella modificazione dei rapporti di forza con la classe proletaria che
può consentire di avviare la rimodellazione sociale e politica.
In relazione a questo quadro l'attacco portato dalle Br, nella figura di Marco
Biagi, alla progettualità politica della borghesia imperialista, si colloca
nella contraddizione dominante tra classe e Stato e sull'asse programmatico
dell'attacco allo Stato e si dialettizza con le istanze di potere espresse dalla
lotta di classe per l'affermazione dei suoi interessi generali contro quelli
della borghesia imperialista, sancendo nella pratica la necessità e realizzabilità
di una prospettiva rivoluzionaria politica e sociale.
Il proletariato e la classe operaia in questa fase politica
non sono disposti nello scontro perseguendo autonome finalità rivoluzionarie,
né sono quindi organizzati in strutture adeguate a praticare e sostenere
la guerra necessaria. Il proletariato si misura con le forzature della classe
dominante, con l'obiettivo di resistervi e con l'aspirazione a conquistare posizioni
sociali e politiche più avanzate e utilizza per mobilitarsi gli strumenti
organizzativi che trova a disposizione, essenzialmente gli apparati sindacali.
Fa i conti quindi con la capacità che ha lo Stato di sostenere la sua
lotta, e di assumere le decisioni volute pur a fronte di ampie e determinate
mobilitazioni; in questo misura i rapporti di potere e di forza che ci sono
tra sé e lo Stato, tra gli strumenti che usa lo Stato e quelli che trova
a disposizione per sè, misura la mancanza di potere e la realtà
del potere contro i suoi interessi generali, oggi rivolta a erodere gli ultimi
baluardi di un rapporto politico e di forza ottenuto in un secolo di dura e
sanguinosa lotta e a rimodellare le relazioni sociali e politiche per consolidare
un rapporto di subalternità. E' la posta in gioco di questo scontro che
rinvia al nodo di un'alternativa complessiva, di un'alternativa rivoluzionaria,
nella quale l'emancipazione politica apra la strada al progresso sociale, ed
è l'attacco delle Br portato oggi alla figura politica di Marco Biagi,
in continuità con la prassi rivoluzionaria espressa in 30 anni di attività
e in grado di misurarsi con le trasformazioni subite dalla mediazione politica
tra le classi, che fornisce l'orientamento politico e strategico in cui questa
prospettiva è realizzabile e può essere fatta avanzare. Una prospettiva
in cui il combattimento contro lo Stato e la sua progettualità antiproletaria
e controrivoluzionaria è modalità generale della prassi rivoluzionaria
d'avanguardia per trasformare lo scontro di classe in guerra di classe necessariamente
prolungata contro lo Stato e l'imperialismo e non ha una funzione tattica più
o meno decisiva in supporto a una azione politica sviluppata separatamente dal
piano militare, ma è carattere generale della prassi rivoluzionaria che
qualifica la proposta della Br come Strategia della Lotta Armata che avanzano
a tutta la classe per conquistare il potere e instaurare la dittatura del proletariato.
Il contesto politico complessivo e internazionale in cui l'attacco è
inserito, è connotato dal livello più profondo raggiunto dalla
crisi e dalla tendenza alla guerra, fattori che costituiscono il motore strutturale
dei processi di trasformazione rispetto ai quali deve definirsi ogni progettualità
politica e i cui passaggi odierni sono l'approdo di un processo che origina
dalla crisi subentrata alla ricostruzione post-bellica a cavallo tra gli anni
'60 e '70 e che portò al progressivo superamento del sistema di produzione
fordista che, nato a cavallo tra le due guerre mondiali ed estesosi in Italia
nel dopoguerra, era sostenuto da una politica economica statale, nella quale
peraltro prese piede il welfare state e termini specifici di governo del conflitto
di classe oggi materia di riforme economico-sociali. Negli anni '80 a seguito
di una vasta controrivoluzione imperialista avviata dagli Stati Uniti, la catena
si è andata compattando intorno al riarmo in atto nel polo dominante
che per primo e più degli altri paesi, investito dalla crisi a causa
dei più alti livelli di concentrazione e centralizzazione capitalistica
che ne caratterizzano l'economia, necessitava di una politica economica che
facesse da volano che potesse produrre un salto nel modello produttivo e della
sua capacità di estrazione di plusvalore relativo, che riavviasse l'accumulazione
capitalistica, e su un piano più militare operasse una pressione sul
blocco contrapposto e mettesse in grado di forzare l'assetto degli equilibri
internazionali attraverso il rinnovato attivismo politico-militare, la cui posta
in gioco finale per la catena imperialista a dominanza Usa era ridisegnare la
divisione internazionale del lavoro capitalistica a proprio vantaggio.
Gli Usa finanziarono il riarmo con una politica di alti tassi di interesse e
dollaro forte, con la quale attrassero capitali da tutto il mondo e incrementarono
oltremodo il loro livello di indebitamento. Indebitamento che oggi, che è
stata abbandonata la politica di attivo di bilancio per una spesa volta a creare
una domanda aggiuntiva per l'economia in recessione e per alimentare il riarmo
con cui sostenere Enduring Freedom e riattrezzare l'apparato militare alle nuove
necessità determinate dallo stadio raggiunto dalla guerra imperialista,
mostra le sue implicazioni, coniugandosi con la crisi delle banche giapponesi
e con la possibilità che queste per ripianare i bilanci realizzino fondi
vendendo obbligazioni pubbliche Usa generando una pressione ribassista sul dollaro
o una necessità di rialzare i tassi di interesse, gravando così
sugli squilibri dell'economia internazionale e sulle prospettive della recessione
mondiale.
Il crollo politico del Patto di Varsavia e della stessa Unione Sovietica e il
generale arretramento dei processi rivoluzionari e delle lotte di liberazione
hanno portato al mutamento degli equilibri internazionali a favore della catena
imperialista e hanno rafforzato la dominanza in essa del polo statunitense;
ciò avviene però senza una guerra generalizzata e prolungata come
la prima e la seconda guerra mondiale, che distruggendo masse ingenti di capitale
e di forze produttive sovrapprodotte rispetto ai livelli di crisi raggiunti
dal capitale stesso, facesse ripartire un ciclo espansivo a partire dal grado
di concentrazione e centralizzazione capitalistica presente ma da un livello
di accumulazione complessiva adeguatamente ridotto. Si è invece sviluppato
un processo di penetrazione capitalistica e di integrazione economica relativa
degli ambiti con economie socialiste pianificate, sostenuto dagli Stati dominanti
della catena imperialista, nel quale è stato instaurato un rapporto di
dipendenza di tipo peculiare, essendo queste economie industrializzate, non
assimilabili a quelle del sud del mondo ma nemmeno a quelle capitalisticamente
avanzate, e che ha portato alla loro destrutturazione e spoliazione economica
e al crollo verticale delle condizioni di vita della popolazione ampiamente
al di sotto dei livelli di sussistenza storicamente determinatisi, condizione
che ha spinto migliaia di persone all'emigrazione in occidente, ed entro cui
ha trovato spazio persino l'intervento politico europeo-occidentale volto a
definire le linee di riforma del mercato del lavoro in quei paesi, più
confacenti a realizzare livelli di sfruttamento profittevoli.
In generale questo esito ha indotto l'ulteriore e crescente drenaggio di risorse
dai paesi dipendenti mentre il rafforzamento ottenuto negli equilibri internazionali
dalla catena imperialista e dal suo polo dominante, hanno aperto la strada a
una maggiore proiezione ed intervento bellico degli Usa e dei suoi alleati con
cui l'imperialismo ha potuto sostenere i propri interessi militarmente o con
la propria capacità di ricatto economico-politico e militare.
L'ulteriore concentrazione e centralizzazione capitalistica, l'incremento dello
sfruttamento del lavoro salariato, le risposte di politica economica ristrutturatrici
e riformatrici o anticicliche date alla crisi, e le posizioni di vantaggio negli
equilibri internazionali della catena, non hanno affatto annullato la crisi
e le sue cause, ma anzi proprio i livelli più elevati di accumulazione
e l'ulteriore internazionalizzazione del capitale le ha potenziate, in quanto
queste sono intrinseche al meccanismo di esistenza del capitale, al meccanismo
dell'accumulazione, alla sua propria natura, non sono cause esterne. Questo
dato strutturale è ciò che con il finire degli anni '90 fa arretrare
l'economia in un nuovo ciclo recessivo nel quale sono messe a nudo le contraddizioni
in cui si muove il capitale monopolistico e la borghesia imperialista. Tutte
le principali aree capitalistiche sono in crisi contemporaneamente manifestando
fenomeni diversi e che possono alimentarsi a vicenda: gli Usa che hanno fatto
da locomotiva mondiale per dieci anni sono esposti agli alti livelli di indebitamento
e di capacità produttiva inutilizzata, il Giappone che è la seconda
economia al mondo è in recessione da anni (solo nel 2001 ha avuto un
calo del pil del 4,5%), subisce una deflazione galoppante e dovrà arginare
il crack delle sue banche, in Germania la recessione va a premere sulla produzione
industriale provocandone cadute verticali e sminuendone il peso nella coesione
europea proprio mentre l'imminente allargamento ad est avrebbe dovuto vedere
una sua solida funzione di perno, un paese come l'Argentina che ha osservato
alla lettera i dettami impostigli dal Fmi, si è avvitato in una crisi
economico-finanziaria senza vie di uscita prevedibili. Persino un paese come
l'Arabia Saudita che ha avuto una funzione centrale nel sostenere le spese di
guerra degli Usa, le vendite delle sue industrie militari e le necessità
strategiche dell'imperialismo, ha subito il crollo verticale del reddito pro-capite
ed è scosso da crisi politica, a causa della presenza delle truppe Usa
e delle trasformazioni sociali imposte dalle riforme economiche indirizzate
alla privatizzazione dei settori produttivi e all'internazionalizzazione del
capitale. A ciò si aggiungono i livelli di miseria diffusi nel sud del
mondo e quelli che attanagliano l'ex-campo socialista, e che si approfondiranno
in Cina con il suo ingresso nel Wto, che accompagnano il loro "sviluppo"
capitalistico. Un quadro che riconferma l'attualità e approfondimento
delle cause che generano la necessità storica del superamento del modo
di produzione capitalistico e del dominio della borghesia imperialista e che
indica come il completo abbandono della transizione socialista nei paesi che
per primi hanno realizzato la rottura rivoluzionaria, per l'apertura e l'instaurazione
di un sistema capitalista, non è che una battuta di arresto nel processo
storico della rivoluzione comunista, rispetto a cui il proletariato, avendone
fatto esperienza, può riadeguare i termini della conduzione del processo
rivoluzionario, quanto che l'imperialismo manifesta sempre più diffusamente
punti di vulnerabilità storicamente determinati e determinabili intorno
ai quali si può elaborare la strategia rivoluzionaria e condurre lo scontro
rivoluzionario.
Il fatto che i sovrapprofitti del capitale risultanti dall'approfondimento dello
sviluppo ineguale non si siano realizzati lasciando invariate le condizioni
del lavoro salariato del proletariato metropolitano negli Stati imperialisti,
anzi parallelamente siano stati approfonditi tutti i termini dello sfruttamento
relativi e assoluti, dimostra empiricamente sia che il proletariato metropolitano
occidentale non è aggregato alla borghesia imperialista nell'avvantaggiarsi
di questi sovraprofitti, sia che l'incremento dello sfruttamento con cui il
proletariato è chiamato a sostenere la competitività del capitale,
non solo non è una soluzione alla crisi del capitale né definitiva
né temporanea, non potendo che consentire la tenuta relativa e transitoria
del singolo capitale sul mercato, ma converge ad approfondirne le cause che
risiedono nel meccanismo di accumulazione del capitale, che proprio perché
il capitale aumenta mentre proporzionalmente il lavoro vivo sfruttato diminuisce,
periodicamente e in misura sempre maggiore non riesce più a valorizzarsi
e a garantire la tenuta delle forze produttive.
Sul piano degli equilibri internazionali la catena imperialista formata a partire
dal secondo dopoguerra intorno al polo dominante statunitense su livelli di
internazionalizzazione del capitale e di integrazione ed interdipendenza delle
economie crescenti, ha maturato progressivi passaggi di avanzamento della tendenza
alla guerra lungo la direttrice est/ovest che non assumono per tutta una fase
carattere di guerra generalizzata ma di conflitti limitati e altamente distruttivi
per i paesi aggrediti dall'imperialismo, nel quadro di schieramenti variabili
intorno all'Alleanza occidentale e di disposizioni articolate nei compiti bellici
relative al complesso di condizioni politiche militari ed economiche di ogni
Stato. Gli anni '90 già sono stati caratterizzati dal ripetersi di guerre
di aggressione espressione dell'azione della catena imperialista rivolta a ridisegnare
gli equilibri internazionali e a riorganizzare la divisione del lavoro. In questo
processo gli Stati imperialisti sono impegnati ad attivizzarsi per sostenere
il proprio capitale monopolistico, e dato il carattere integrato e interdipendente
della catena anche a concordare politiche comuni. Questo processo di ridefinizione
ed espansione delle aree di influenza non è però risolutivo delle
cause della crisi capitalistica, come è empiricamente dimostrato dalle
condizioni stagnanti dell'economia mondiale e dall'incapacità sempre
maggiore del capitalismo di assorbire le forze produttive crescenti. Un nuovo
ciclo espansivo richiederebbe un'ampia distruzione di capitali e mezzi di lavoro
realizzabile con una guerra imperialista di grandi proporzioni per la quale
finora non ci sono state le condizioni politiche né militari, perciò
nella fase attuale l'imperialismo è in grado di sostenere livelli di
crescita dell'economia essenzialmente nel polo dominante e sviluppa politiche
e iniziative rivolte ad attrezzare gli Stati della catena per far avanzare ulteriori
fratture degli equilibri internazionali a proprio favore, con una strategia
articolata che contrasta l'opposizione dei popoli che cercano di sottrarsi al
giogo imperialista e con manovre destabilizzatrici tende a sottomettere quei
paesi che presentano modelli economici e sociali non integrabili in quanto tali
nella divisione del lavoro capitalistica, oppure la cui posizione politica fosse
disfunzionale alla strategia imperialista.
E' in questo quadro che sono comprensibili tanto la natura del processo di coesione
politica europea, che ha come motore lo sviluppo dei capitali monopolistici,
quanto le politiche di allargamento a est della Nato e della Ue ed il processo
di riadeguamento degli strumenti militari e controrivoluzionari in atto in tutti
gli Stati imperialisti pilotati dalla iniziativa di riarmo e di aggressione
statunitense, e se ne possono individuare le linee di sviluppo e i passaggi
di qualità.
Sono infatti i fattori strutturali storici di integrazione della catena imperialista
che spingono a salti di qualità in direzione dell'approfondimento della
coesione politica europea e al riarmo e riadeguamento militare e controrivoluzionario
dei paesi dell'Europa occidentale. La direzione di questi passaggi di qualità,
stanti le diseguaglianze di sviluppo interno e le contraddizioni della gerarchia
della catena imperialista, e a fronte dell'integrazione dei paesi dell'Est europeo
nella Nato e nella Ue, va a fare dell'approfondimento della coesione politica,
un processo che si sviluppa prevalentemente sul piano della riforma delle sue
istituzioni e su quelli della costruzione di comuni indirizzi di politica economica
spinti dall'integrazione monetaria, della definizione di politiche e di strumenti
controrivoluzionari e repressivi, mentre il riarmo e il riadeguamento militare
complessivi si misurano con i concreti sviluppi della guerra imperialista e
dell'iniziativa assunta dal polo dominante statunitense. Il piano delle politiche
controrivoluzionarie e repressive è stato tra i primi ad essere sviluppato
per contrastare la guerriglia rivoluzionaria operante in Europa occidentale,
poi proceduto con gli accordi di Schenghen e sullo spazio giuridico europeo,
con la creazione di forze di polizia integrate etc.. Con il recente mandato
di cattura europeo e le liste di organizzazioni rivoluzionarie e in generale
antimperialiste, integrate con la definizione di criteri di discriminazione
delle attività possano essere identificate come minaccia terroristica,
e che includono forme di opposizione tra le più varie, si è aperta
la strada ad un'amplissima discrezionalità funzionale anche al necessario
calibramento della repressione alle diverse condizioni politiche e giuridiche
degli Stati europei, si è infine esteso all'intero ambito europeo quanto
già consolidato in paesi come l'Italia in materia dei cosiddetti reati
associativi con cui lo Stato identifica dei nemici politici e li combatte in
quanto tali e non si limita a perseguirne le specifiche attività a cui
i codici penali attribuiscono valenza di reato. Un filo nero lega le disposizioni
del codice Rocco, che perseguivano un reato di sovversione che la qualificava
con i contenuti politici della rivoluzione proletaria, segno della maturità
politica che aveva raggiunto il proletariato che faceva sì che il codice
penale potesse mettere per iscritto in che cosa consisteva la sovversione politica,
e che poi sono state mantenute in vigore dal ministro della giustizia Togliatti
nell'immediato dopoguerra, fino al recente allungamento dei termini di carcerazione
preventiva per il reato di associazione sovversiva realizzato dal governo Amato
con l'appoggio politico di R. C., e alla estensione del principio di sovversione
in ambito U.e. sotto la definizione di terrorismo, generalizzato a qualsiasi
fenomeno antiistituzionale, esplicitando la sostanza politica della futura carta
europea dei diritti fondamentali. Un piano di nodi e politiche, quindi, più
che mai centrale nel catalizzare l'interesse comune degli stati imperialisti
europei, che può supportare il governo del conflitto di classe all'interno
dell'Europa occidentale accompagnando le riforme strutturali, e arginare e comprimere
lo sviluppo delle tensioni nei paesi dell'est derivanti dai riflessi della crisi
e dall'integrazione nell'Ue, verso la contrapposizione al dominio occidentale.
Tale piano oggi si coniuga anche con le istanze più generali della catena
di elevamento dei livelli e di rafforzamento degli strumenti della controrivoluzione
imperialista per riadeguarli al livello di minaccia potenziale dell'opposizione
che l'imperialismo suscita contro il suo dominio. L'attacco alle linee di costruzione
della coesione europea, alle linee del suo approfondimento, nella loro funzione
antiproletaria e controrivoluzionaria, qualifica un punto di programma su cui
costruire forze rivoluzionarie nell'area europee e prospettare alleanze nel
quadro di un fronte combattente antimperialista, in quanto l'approfondimento
della coesione europea e l'attuazione delle sue politiche è parte integrante
della strategia della borghesia imperialista per governare la polarizzazione
degli interessi divaricati dai livelli di crisi che il capitale raggiunge e
per compattare e mobilitare gli Stati imperialisti nella proiezione bellica,
per ridefinire la divisione internazionale capitalistica del lavoro, e rinsaldare
il dominio imperialista.
La dinamica della crisi che spinge l'imperialismo all'integrazione di nuovi
ambiti economici per il loro sfruttamento, genera dunque una tendenza alla guerra
che si muove e si muoverà sulla direttrice est/ovest perché è
verso le aree dell'est Europa e dell'Asia centrale che l'imperialismo deve indirizzare
il suo espansionismo aprendo conflitti con gli interessi antagonisti. Un movimento,
che spinto dalla naturale dinamica del capitale, non si instrada dunque, come
nelle prime guerre imperialiste verso lo scontro militare tra Stati imperialisti
che sono oggi ambiti attraversati dalla internazionalizzazione del capitale
che ha creato profonde condizioni di integrazione e interdipendenza delle economie
e in cui si è formata una frazione dominante di borghesia imperialista,
espressione di un capitale monopolistico multinazionale aggregato al capitale
finanziario Usa e intorno a cui ruotano tutte le altre frazioni di borghesia
imperialista.
Negli anni '90 la guerra all'Iraq, la destabilizzazione e poi la sottomissione
e occupazione dei Balcani, e gli accordi di Oslo per realizzare la normalizzazione
del Medioriente, dovevano costituire nella strategia Usa e occidentale altrettanti
passaggi di avanzamento e di consolidamento delle posizioni della catena imperialista
che ne avrebbero spostato in avanti gli obiettivi strategici, in quanto proprio
l'area mediterranea-mediorientale, costituendo uno snodo degli equilibri strategici
tra est e ovest diventava, mutati gli equilibri, da terreno di forzature tese
a erodere le posizioni dell'avversario, terreno di conquista di posizioni più
avanzate nel confronto a est, da parte della catena imperialista.
Le contraddizioni innescate da questi stessi passaggi sono i fattori che indicano
la dimensione della contrapposizione che possono suscitare gli interessi e le
spinte dell'imperialismo a cui vanno ascritte le cause dei conflitti collocati
su questa direttrice, e in particolare: la resistenza dell'Iraq alla continua
aggressione imperialista che ha obbligato gli Stati Uniti all'insediamento militare
in Arabia Saudita, la resistenza afgana alle pressioni statunitensi da tempo
esercitate per ottenerne la sottomissione e garantirsi il controllo strategico
del paese, corridoio naturale dell'Asia centrale e infine la resistenza palestinese
alla sottomissione all'entità sionista, reale contenuto dei patti di
Oslo che nel medio periodo hanno alimentato la lotta di liberazione. Una lotta
che gli Stati Uniti vorrebbero contenere oggi spingendo gli Stati arabi a un
riconoscimento di "Israele" per legittimarne l'azione militare che,
a maggior ragione a fronte del livello elevato raggiunto dallo scontro, fungerebbe
da autorizzazione al genocidio costituendo una precondizione di governo dell'area
per scatenare l'offensiva all'Iraq:.
In questo quadro l'attacco dell' "11 settembre" ha
rappresentato un concreto elemento di contrasto della strategia imperialista,
ne ha dimostrato la vulnerabilità, l'ha costretta a modificarne piani
e passaggi, senza poter ovviamente farne venire meno gli interessi strategici
su cui si muove. L'intera catena imperialista si è dovuta misurare con
le implicazioni possibili del rapporto di sfruttamento e oppressione che ha
istituito e approfondito, con quelle della sua costante azione di aggressione,
che si attrezzava e si apprestava ad intensificare con i progetti di scudo antimissilistico
rilanciati da Bush, con quelli di riarmo e di costruzione di una forza di rapido
intervento europeo, con la propaganda avviata per giustificare l'aggressione
all'Afghanistan. Ha dovuto perciò accelerare la propria mobilitazione,
estendere il campo di intervento, e innalzare le misure controrivoluzionarie
interne, sostenendone i costi economici e quelli militari della dispersione
delle forze su più fronti, esponendosi alle contraddizioni di scelte
operate per reazione e non nel momento e nel modo voluto e dovendosi limitare
a costruire una coalizione a sostegno dell'aggressione all'Afghanistan, non
interamente attivizzata nell'azione offensiva, a causa delle contraddizioni
politiche interne e dei rischi sul campo. L'elevata potenza distruttiva dell'attacco
e la sua specifica selettività avendo inferto un colpo destabilizzante
sistemico, ha imposto alla controrivoluzione imperialista un salto di qualità
obbligandola ad adottare misure specifiche uniformi, e non più solo indirizzi
e strutture comuni, che costituiscono forzature della mediazione politica rendendo
più rigide e delimitate le risposte che possono essere date per normalizzare
gli antagonismi di classe o anche gli equilibri internazionali per la pace imperialista,
approfondendo la frattura con componenti sociali borghesi dell'area mediorientale
che hanno costituito il naturale punto di appoggio delle strategie normalizzatrici
dell'area e indebolendo la posizione delle classi politiche aggregate all'imperialismo.
Fattori questi di concreta debolezza politica dell'imperialismo solo parzialmente
compensata dalla sua propaganda politico-ideologica tesa a sfruttare le vittime
civili provocate dalla potenza distruttiva dell'attacco per ottenere il sostegno
delle popolazioni alla guerra imperialista e alle misure controrivoluzionarie.
Una propaganda che non può mistificare l'evidenza che le guerre e le
controrivoluzioni imperialiste, a differenza dell'attacco al Pentagono e alle
torri gemelle del Wtc di New York, non provocano affatto vittime civili solo
come "effetto collaterale" di un obiettivo di guerra che è
quello di ottenere la destabilizzazione di un nemico per farlo recedere dai
suoi intenti di aggressione e ritirare dai paesi in cui si è insediato
militarmente. L'imperialismo provoca vittime civili perché aggredisce
per sottomettere i popoli al suo dominio e poterli sfruttare, esse quindi sono
un obiettivo di guerra parte integrante delle finalità della guerra imperialista,
oppure obiettivo terroristico di una politica controrivoluzionaria volta a far
recedere il proletariato dai suoi obiettivi politici autonomi, come ha ripetutamente
dimostrato lo stragismo Nato in Italia con le bombe di piazza Fontana a Milano,
a Piazza della Loggia a Brescia e alla stazione ferroviaria di Bologna...
L'attacco dell'11 settembre ha aperto una fase in cui la catena imperialista
a partire dal suo polo dominante statunitense è stata costretta ad accelerare
la sua proiezione bellicista, a sviluppare nuove aggressioni e a preparare innanzitutto
un nuova campagna di guerra tesa a risolvere in via definitiva il nodo della
sottomissione dell'Iraq. Oggi infatti lasciare vivere un popolo e un governo
come quello iraqueno che combattuto da 10 anni non si è mai arreso, sarebbe
una manifestazione d'impotenza degli Stati Uniti e perciò dell'intera
catena, in un contesto strategico in cui è stato dimostrato che è
possibile portare un attacco altamente distruttivo nel cuore del territorio
del nemico anche con effetti destabilizzanti sistemici e senza impiegare le
sue tecnologie avanzate. Una realtà nuova che priva gli Usa del potere
deterrente costituito dall'inattaccabilità delle sue forze e del suo
territorio nazionale, costringendoli a mantenere una costante disposizione offensiva
sia per estirpare le forze guerrigliere che gli si contrappongono, che per fare
di questa "offensiva permanente" il nuovo fattore di deterrenza centrale
affiancato dall'arma nucleare, dallo scudo antimissilistico, dai bombardamenti
d'alta quota e dal complesso di tecnologie avanzate di cui dispongono che ne
connotavano la superiorità strategica e che sono stati depotenziati dall'attacco
subito.
L'azione politico-militare della catena imperialista guidata dagli Usa e sviluppata
a seguito della fine dell'equilibrio bipolare, messa in crisi nella valenza
deterrente della sua superiorità strategica su cui si basava anche la
sua capacità di condizionamento politico, ma nel contempo obbligata a
reagire per recuperarla dando dimostrazione della inopportunità di realizzare
attacchi non convenzionali contro di essa, pena l'alto prezzo in termini di
distruzione che la potenza militare occidentale e la sua rapida e diffusa capacità
di intervento può far pagare, non può costruire le condizioni
politiche che nel quadro di un avanzamento lineare della sua strategia sarebbero
state la base su cui le vittorie e i successi militari avrebbero potuto consolidare
equilibri internazionali più favorevoli agli ulteriori avanzamenti, come
dimostrano le pressioni e le forzature che vengono fatte per imporre la pace
israeliana al popolo palestinese ed aprire la strada all'intervento contro l'Iraq.
La catena imperialista guidata dagli Usa dovrà perciò allargare
i fronti di conflitto ed esporsi alla dispersione delle proprie forze armate
con le quali dovrà anche insediarsi militarmente per preservare o addirittura
conquistare, come in Afghanistan, il controllo del territorio, una condizione
che favorisce la resistenza e il contrattacco antimperialista. L'attacco all'imperialismo
è asse programmatico della strategia che le Br praticano e propongono
alla classe, e con cui storicamente hanno sostanziato la necessità e
possibilità di alleanze antimperialiste tra forze rivoluzionarie dell'area
europeo-mediterranea-mediorientale da stringere nella costruzione di un fronte
combattente antimperialista che ha lo scopo di indebolire e destabilizzare l'imperialismo.
Un punto di programma rivoluzionario che le Brigate Rosse perseguiono con l'attacco
alle politiche centrali dell'imperialismo che sempre più oggi si inquadrano
nell'avanzata e nell'estensione della guerra e della controrivoluzione imperialista,
che non costituiscono lineare rafforzamento del nemico ma anche fattore di approfondimento
della sua vulnerabilità, e mettono in risalto la funzione che può
svolgere l'attacco antimperialista nel cuore dell'imperialismo e la necessità
per gli interessi generali e storici del proletariato e per le forze rivoluzionarie
che se ne fanno carico, di costruire la forza e l'iniziativa adeguata a misurarsi
con il livello dello scontro per poter incidere nei passaggi politici e militari
di sviluppo della strategia, della guerra e della controrivoluzione imperialista.
In questo quadro internazionale e interno la rivoluzione proletaria riconferma
tutta la sua attualità e valenza storica, mentre tutte le aspettative
riformistiche e posizioni revisioniste che hanno accompagnato il movimento di
classe per più di un secolo hanno dimostrato di aver solo contribuito
a consolidare e perpetuare il dominio della borghesia imperialista. Oggi i simulacri
residuali di queste opzioni politiche si rinnovano non solo come legittimatori,
ma come veri e propri attori dell'azione degli Stati imperialisti nel genocidio
dei popoli e nella subordinazione del proletariato alla schiavitù salariata
e alla dittatura della borghesia, sulla base dell'attribuzione di un valore
alla democrazia rappresentativa borghese come fattore di superiorità
e di conquista sociale in cui il proletariato potrebbe avanzare le proprie istanze
di "libertà e di diritti", e che perciò gli Stati imperialisti
sarebbero legittimati ad imporre nel mondo, contro il proletariato e i popoli
tramite la sconfitta di quelle forze antimperialiste o rivoluzionarie che si
pongono sul terreno di una lotta finalizzata alla distruzione dell'imperialismo
o anche solo alla reale autonomia nazionale di singoli paesi.
Il rilancio dell'attacco al cuore dello Stato, con l'iniziativa del 20 maggio
1999 contro il responsabile dell'Esecutivo nel Patto di Natale Massimo D'Antona,
colloca la proposta della strategia della lotta armata a tutta la classe, in
un contesto caratterizzato dalla stabilizzazione del portato della controrivoluzione
nel campo proletario e rivoluzionario, e nei compiti della Fase della Ricostruzione
delle forze rivoluzionarie e proletarie avviatasi all'interno della Ritirata
Strategica.
Il rilancio dell'intervento combattente e con esso della propositività
politica della strategia della lotta armata nello scontro generale tra le classi,
pur a fronte di una lunga interruzione nella quale sono intervenuti cambiamenti
sociali e politici e che hanno riguardato i termini della stessa mediazione
politica tra le classi, ha confermato la maturità raggiunta dalla guerriglia
nel nostro paese e dal patrimonio politico elaborato e verificato nello scontro
rivoluzionario dalle Brigate Rosse.
Un rilancio a cui lo Stato ha risposto elevando i livelli di controrivoluzione
al fine come sempre di annientare la guerriglia, e di esercitare un'azione deterrente
e preventiva sulle dialettiche aperte dall'iniziativa dell'Organizzazione con
le istanze antagoniste prodotte dal conflitto di classe, un'azione supportata
dai mezzi, dalle risorse e dagli apparati repressivi rafforzati in questi anni,
e dal collaborazionismo di quei ceti politici che hanno fatto del controllo
delle istanze di classe il valore d'uso del loro ruolo da parte dello Stato
e quindi la condizione della propria agibilità politica.
Questo non ha impedito, pur nelle condizioni di arretramento del campo proletario
e di svuotamento del movimento rivoluzionario, che si realizzassero delle dialettiche
politiche che sono andate dalla semplice espressione pubblica del riconoscimento
nella prassi rivoluzionaria delle Brigate Rosse delle istanze di potere della
classe, in varie forme ovviamente adeguate a prevenire la reazione della controrivoluzione,
ad istanze e nuclei rivoluzionari che hanno preso concretamente e fattivamente
posizione sia in appoggio all'iniziativa delle Brigate Rosse che assumendosi
la responsabilità di disporsi nello scontro con contenuti e pratiche
offensivi, definendo così uno schieramento rivoluzionario. Al di là
delle specificità, queste dialettiche rivoluzionarie hanno realizzato
un percorso politico e materiale concreto di costruzione di un campo rivoluzionario
reale, sulla base della discriminante della Lotta Armata per il Comunismo, un
campo che instaura un rapporto politico di guerra con lo Stato e l'imperialismo
e che lo traduce nelle forme organizzative che assume, nella base politica dell'unità
delle forze che organizza e nel tipo di obiettivi che persegue distinti da quelli
economico-sociali rivendicativi, un campo che si definisce in sintesi per la
sua prassi rivoluzionaria nello scontro.
Piano diverso da quello della formazione di uno schieramento rivoluzionario,
è quello della costruzione del Partito Comunista Combattente che non
è un'entità che si produce spontaneamente o come frutto virtuale
di un allineamento politico, ma è una organizzazione concreta centralizzata
intorno a un contenuto politico costituito dalla sua linea e da una articolazione
di strutture che ne realizzano il programma politico-militare. In uno schieramento
rivoluzionario ciò che distingue le istanze rivoluzionarie che si relazionano
al nodo della costruzione del Partito Comunista Combattente è il riferimento
all'impianto teorico-strategico della Lotta Armata per il Comunismo con cui
può essere affrontato uno scontro di potere e condotta la guerra di classe
di lunga durata e la capacità di contribuire alla disarticolazione della
progettualità e dell'equilibrio politico dominante, fattori che evidenziano
il ruolo della necessaria centralizzazione politica del combattimento contro
lo Stato e l'imperialismo intorno all'indirizzo politico e strategico delle
Brigate Rosse.
La fase politica in cui le Brigate Rosse rilanciano la propria proposta strategica
nello scontro generale tra le classi, è profondamente diversa da quella
in cui hanno avviato 30 anni fa lo scontro rivoluzionario con lo Stato e l'imperialismo,
a causa dell'andamento dello scontro rivoluzionario e di classe e degli arretramenti
subiti dalle forze rivoluzionarie, dal movimento rivoluzionario e dal movimento
di classe. La condizione di avanzata in quegli anni delle lotte proletarie e
delle lotte rivoluzionarie e di liberazione dall'imperialismo in tutto il mondo,
faceva assolvere alla Lotta Armata per il Comunismo una funzione di sbocco di
avanzamento per le istanze di potere che provenivano dallo scontro di classe
verso una soluzione rivoluzionaria che dalle Brigate Rosse veniva indirizzata
sulla Strategia della Lotta Armata come proposta a tutta la classe, i cui termini
non venivano definiti solo in relazione alla fase di scontro presente, ma ai
caratteri storici dello Stato e dell'imperialismo, termini approfonditi dalla
stessa iniziativa rivoluzionaria delle avanguardie organizzate dalle Brigate
Rosse, nel misurarsi con le condizioni dello scontro e con l'andamento delle
fasi rivoluzionarie. La fase politica attuale pur nell'approfondimento delle
condizioni strutturali di crisi del capitalismo, non è caratterizzata
dalla disposizione generalizzata delle istanze proletarie sul terreno della
lotta di potere, né dallo sviluppo del movimento rivoluzionario. Oggi
perciò la Lotta Armata per il Comunismo rappresenta il piano su cui sostanziare
il ruolo di avanguardia rivoluzionaria che avvia dalla consapevolezza della
valenza dei termini politici e strategici elaborati dal patrimonio delle Brigate
Rosse perché adeguati ad impattare le forme politiche con cui lo Stato
si rapporta all'antagonismo proletario e ad incidere nello scontro per far avanzare
una prospettiva di potere, e a fornire gli strumenti con cui operare la frattura
soggettiva che richiede l'assunzione del piano di lotta per il potere. Per questo
assume valenza la chiarezza dei termini strategici su cui in ogni fase l'avanguardia
rivoluzionaria può far avanzare lo scontro e che vanno anche a ricentrare
la natura stessa del processo rivoluzionario e a liberarlo dalle incrostazioni
spontaneiste e revisioniste e a restituirgli funzione orientativa della prassi
rivoluzionaria.
I termini teorico-strategici che impostano la Strategia della Lotta Armata per
il Comunismo muovono dalla concezione marxista della necessità storica
della Rivoluzione Comunista ad opera della classe operaia e del proletariato,
come un processo che nasce dalle contraddizioni del capitalismo e della sua
funzione nella storia sociale, per svilupparsi in continuità con la concezione
leninista dell'imperialismo quale fase suprema del capitalismo, del ruolo che
adempie lo Stato nella società divisa in classi antagoniste, e del rapporto
tra Stato e Rivoluzione, che costituiscono la base teorica dei termini generali
della conduzione della guerra di classe e della concezione strategica dell'attacco
al cuore dello Stato, combattimento che caratterizza la guerra di classe di
lunga durata nelle democrazie mature.
La strategia rivoluzionaria per essere tale deve essere conseguente alla considerazione
scientifica che riconosce nello Stato borghese come in ogni Stato in generale
il suo essere manifestazione dello scontro tra classi antagoniste, e nel caso
dello Stato borghese tra una classe proprietaria dei mezzi di produzione e di
sussistenza e una classe che ne è priva e che è impedita nel procedere
alla loro socializzazione e collettivizzazione, dall'esistenza e azione politico-militare
dello Stato che organizza il potere politico della classe dominante, lo giustifica
e ne garantisce gli interessi di proprietà privata e di valorizzazione
del capitale che ne costituiscono i principi politico-giuridici centrali, con
le sue leggi e i suoi strumenti sanzionatori e repressivi.
Niente impedirebbe al proletariato di prendere possesso dei mezzi di produzione
o dei beni di sussistenza che usa e produce se lo Stato non ne difendesse la
"legittima" proprietà privata con l'azione concreta dei suoi
apparati armati, presa di possesso che nella dittatura della borghesia assume
connotato di furto e saccheggio, fenomeno di massa che si è verificato
in questi ultimi mesi in Argentina a causa della profonda crisi economico-sociale
in cui l'hanno ridotta i piani di drenaggio delle sue risorse impostigli dal
Fondo Monetario. Non potendosi impossessare dei mezzi di produzione e di sussistenza,
il proletariato è costretto a vendere la sua forza-lavoro alla borghesia
per riprodursi e alle condizioni possibili nello sviluppo della crisi del capitale,
alle condizioni della sua valorizzazione, dinamica che sottopone il proletariato
ordinariamente a ogni genere di ricatto (fattore strutturale su cui si fonda
in ultima istanza l'aspettativa di realizzabilità della progettualità
politica e sociale espressa ed elaborata da Marco Biagi).
Lo Stato, che è l'organo della dittatura della classe dominante, può
essere tale in quanto e nella misura in cui è capace di mediare lo scontro
antagonistico tra le classi su un piano politico, che non metta in crisi il
potere della classe dominante e quindi la propria funzione di organo della sua
dittatura, e che anzi assorba le tendenze alla reciproca distruzione tra le
classi antagoniste (in particolare quando la classe dominata è un proletariato
che ha da più di un secolo gli strumenti politici per proporsi concretamente
obiettivi di potere, al di là delle fasi di suo arretramento).
Lo Stato è quindi anche un prodotto storico dello scontro tra le classi,
ed in quanto tale è la risultante processuale della capacità di
ricondurre tale scontro con i mezzi e i modi adeguati alle sempre nuove contraddizioni
antagonistiche, a un quadro di riproduzione della dittatura della classe dominante.
Perciò lo Stato può essere anche la sede formale del rapporto
politico tra le classi, e apparire in quanto tale "neutrale", ossia
il piano o la sfera entro cui i rapporti antagonistici tra le classi assumono
un carattere politico e non di annientamento reciproco, e quindi esercita la
funzione di organo della classe dominante in quanto e nella misura in cui la
classe dominata è politicamente subalterna, cioè non conduce una
lotta per i suoi interessi di classe che nel caso del proletariato sono quelli
della liberazione dai rapporti sociali capitalistici per la costruzione della
società senza classi. In generale perciò la costruzione-organizzazione
politica autonoma per rivoluzionare i rapporti sociali di produzione, di una
classe dominata come il proletariato che non è portatrice di una forma
di proprietà concorrenziale con quella precedente, è sempre conseguente
alla sua prassi rivoluzionaria, ossia alla sua contrapposizione al potere politico
della classe dominante per l'affermazione dei suoi interessi generali e storici
in funzione della tappa rivoluzionaria che impone il processo storico. L'autonomia
politica della classe proletaria non è cioè un presupposto, ma
è conquistabile solo in un processo di scontro di potere, un processo
che ha una sua storia concreta di avanzate e di arretramenti. Per sviluppare
la rivoluzione proletaria è necessario pertanto in generale che essa
diventi obiettivo dell'azione politica dei comunisti, di una soggettività
rivoluzionaria d'avanguardia che lo assuma perchè è l'obiettivo
politico necessario, che operi una frattura con la condizione politica storica
del proletariato, affinchè il piano rivoluzionario possa maturare come
terreno e direzione di mobilitazione di tutta la classe proletaria contro il
dominio politico della borghesia per la distruzione dello Stato che ne organizza
ed esercita il potere e che garantisce questi rapporti sociali consentendone
la riproduzione anche a fronte delle contraddizioni interne del capitale e in
un rapporto tra classi con interessi generali antagonistici sempre più
polarizzati.
Senza il potere politico la borghesia, che esiste grazie allo sfruttamento del
proletariato, non potrebbe esistere come classe, e quindi difendendo il proprio
dominio per difendere sé stessa mette in campo tutti i mezzi di cui può
disporre per farlo adeguatamente, e solo un livello di violenza e forza adeguato
possono sopraffarli. Il potere non può perciò essere conquistato
senza la violenza rivoluzionaria, e cioè senza una lotta armata che distrugga
la macchina statale che realizza la dittatura di classe e costituisce lo strumento
armato che tutela e garantisce gli interessi della classe dominante.
Il processo rivoluzionario comunista è quindi sostanzialmente e fenomenicamente
una guerra di classe contro lo Stato e la classe dominante e la strategia rivoluzionaria
si definisce in relazione alle specificità storiche della conduzione
della guerra di classe.
Il processo rivoluzionario è un processo al contempo di distruzione dello
Stato-costruzione del Partito, cioè della forza rivoluzionaria occorrente
alla conduzione della guerra, la cui tappa rivoluzionaria per il proletariato
è in generale fin dalla Comune di Parigi e in particolare dalla vittoriosa
Rivoluzione d'Ottobre, quella della conquista del potere e dell'instaurazione
della dittatura del proletariato. Una tappa che è stata modificata nei
suoi aspetti specifici dal rapporto determinatosi storicamente tra rivoluzione
e controrivoluzione. La rivoluzione proletaria come processo storico e politico
si è avviata con la partecipazione del proletariato alla lotta contro
l'aristocrazia terriera nella rivoluzione francese e nei moti della prima parte
dell'800 in Europa e, arrivando ai successi della Comune di Parigi e alla vittoria
della Rivoluzione bolscevica, ha costruito i termini di fondo di un patrimonio
rivoluzionario e gli elementi della coscienza politica rivoluzionaria espressi
dal socialismo scientifico, dal materialismo storico-dialettico e dal pensiero
politico di Marx, di Engels e di Lenin. La borghesia affermava ed estendeva
la sua dittatura attraverso le vittorie delle guerre napoleoniche fino ai confini
della Russia zarista e gli Stati europei, dove si espandeva il capitalismo concorrenziale
e una borghesia nazionale, con la costituzionalizzazione delle monarchie assumevano
i primi caratteri democratico-rappresentativi, un processo di riadeguamento
delle forme di dominio che avviene nel vivo dello scontro tra le classi e che
non coinvolge la Russia, dove la borghesia è debole e la sua lotta politica
non incide sulla autocrazia zarista né realizzerà una propria
rivoluzione. Se nell'Europa capitalistica la trasformazione in senso democratico
delle istituzioni statali avverrà progressivamente attraverso passaggi
di riforma e senza rotture rivoluzionarie, in Russia questa assume un carattere
rivoluzionario che evolve rapidamente nella conquista del potere da parte del
proletariato alleato ai contadini e all'instaurazione della sua dittatura. La
conquista di obiettivi politici democratici ha avuto storicamente un carattere
di lotta rivoluzionaria oppure riformista a seconda dei caratteri concreti dello
Stato contro cui veniva condotta. Laddove lo sviluppo del capitale concorrenziale,
e poi di quello monopolistico, e l'autonomia politica della borghesia portarono
al consolidamento del suo dominio e all'instaurazione di forme statuali democratiche
(le democrazie liberali a rappresentatività ristretta), la lotta per
obiettivi politici democratici non assume un connotato complessivo rivoluzionario,
per quanto fosse attraversata da tendenze rivoluzionarie più o meno forti
e da molti scontri cruenti, perché l'azione politica di Esecutivi riformatori
poteva essere indirizzata alla trasformazione delle istituzioni politiche senza
che questo implicasse una destabilizzazione degli Stati, anzi poteva costituire,
affiancata dalla repressione dei movimenti insurrezionali, un fattore di rafforzamento
della governabilità in funzione controrivoluzionaria. Una potenzialità
oggettiva che è legata ai cambiamenti economico-sociali che lo sviluppo
del capitalismo produceva e anche ai termini del necessario ruolo che lo Stato
doveva andare ad esercitare nell'economia, e che è alla base del riformismo
socialista europeo e del lungo legame tra il proletariato e il riformismo. L'iniziativa
politica del proletariato e delle masse popolari non aveva allora un riconoscimento
istituzionale ed era per lo più illegale e priva di garanzie, non erano
riconosciuti diritti politici, associativi, sociali etc., la lotta per la conquista
di diritti politici e sociali non si contrapponeva però a un potere autocratico
che negava il rapporto politico con una volontà diversa da sé,
come era per le monarchie assolute, ma a un potere, quello dello Stato democratico
che avrebbe potuto avviare un rapporto politico e modificare le sue istituzioni
senza andare in crisi come sarebbe avvenuto per un potere autocratico, a patto
ovviamente che questa volontà non ne mettesse in discussione la sostanza
di dittatura della borghesia.
Con la vittoria della Rivoluzione bolscevica, i reparti rivoluzionari dei partiti
riformisti europei sono
spinti a separarsi e a costituirsi autonomamente in partiti
comunisti che assumono e propongono l'obiettivo storico della conquista del
potere politico e dell'instaurazione della dittatura del proletariato su una
strategia e una linea politica che tende a riprodurre, nel corso delle crisi
dopo la prima guerra mondiale, il modello rivoluzionario russo, e che era orientata
a sviluppare una lotta politica che attraverso movimenti insurrezionali avrebbe
dovuto logorare lo Stato e che in occasione dell'approfondirsi della crisi economica
e politica fino al vuoto di potere avrebbe dovuto imprimere la propria direzione
sul movimento della masse verso l'obiettivo della rottura rivoluzionaria. In
Russia infatti la rottura rivoluzionaria era stata l'esito di un processo politico
che si sviluppò in movimenti insurrezionali che conquistarono l'adesione
di parte dell'esercito zarista determinando il rapporto di forza favorevole
necessario. La lotta rivoluzionaria guidata dai partiti comunisti suscitò
potenti processi controrivoluzionari e non riuscì a vincere, anzi i partiti
comunisti vennero annientati come in Germania o furono ridotti alla stasi politica
come in Italia durante il fascismo. Processi controrivoluzionari che oltrechè
essere condotti in prima persona dal partito socialdemocratico come in Germania
o da soggettività politiche provenienti dal partito socialista come in
Italia, sfociano nell'irregimentazione del conflitto sociale e si legano al
consolidamento dell'intervento dello Stato nell'economia in funzione del governo
della crisi a sostegno dei grandi capitali monopolistici a base nazionale, all'avvio
di una corporativizzazione degli interessi sociali legata alla spesa statale
e alla sua funzione di stimolo dell'industrializzazione; tendenze queste ultime
che investivano anche la Gran Bretagna e gli Stati Uniti perché legate
alla spinta data dalla guerra alla produzione meccanizzata e ai cambiamenti
sociali prodotti dall'industrializzazione e dalla guerra stessa.
La lotta rivoluzionaria nei paesi europei di quegli anni, lasciò irrisolto
nel patrimonio comunista il nodo della strategia atta a perseguire la sostanza
del processo rivoluzionario, che è quella della distruzione dello Stato.
Una sostanza che la rivoluzione russa aveva perseguito e concretamente realizzato
in tutto il suo corso attraverso la mobilitazione politica delle masse proletarie
e contadine che in sé stessa e per gli obiettivi che si prefiggeva di
conquistare, impattando lo Stato autocratico zarista, lo distruggeva progressivamente
fino a pervenire allo scontro armato con cui venne prodotta la rottura rivoluzionaria.
La lotta rivoluzionaria nei paesi in cui era già maturo il capitale monopolistico
e si andavano definendo i caratteri della democrazia borghese non era riuscita
invece a praticare la sostanza della prima rivoluzione proletaria vittoriosa
traducendola in una specifica strategia adeguata a impattare le forme di dominio
statuali a cui si contrapponeva.
In Italia con la sconfitta del fascismo le forme politiche dello Stato vengono
ridefinite sulla base degli equilibri politici che avevano portato alla vittoria
nella guerra e vengono condizionate dal peso che aveva assunto il proletariato,
dal ruolo svolto dalle componenti partigiane comuniste, e dall'occupazione americana
e dai flussi di crediti con cui il piano Marshall sostenne i partiti politici
anticomunisti come la Dc, un rapporto economico-politico tra borghesia nazionale
e Stati Uniti che verrà stretto nell'Alleanza Nato. Gli Stati Uniti imporranno
come condizione per l'ottenimento degli aiuti del Piano Marshall, le necessarie
forme politiche democratiche come garanzia per la proprietà privata e
l'investimento di capitali che si apprestavano a fare e per fare della ricostruzione
dei paesi sconfitti nella guerra un baluardo della tenuta dell'imperialismo
nell'equilibrio bipolare. Una condizione politica che impongono sempre, come
è verificabile tuttora nei confronti dei paesi dell'Est europeo e asiatico
e in generale, e che è costitutiva del rapporto di dominio imperialista.
Una condizione che presuppone il disarmo della Resistenza e l'amnistia ai fascisti,
e il riconoscimento di queste forme politiche da parte delle forze che vi avevano
partecipato tra cui il Pci, riconoscimento che sancisce il percorso revisionista
di questo partito.
Il piano Marshall quindi supporta l'affermazione elettorale delle forze anticomuniste
e la frammentazione del sindacato con la creazione della Cisl promossa dalla
C.I.A., con cui viene importato il modello di corporativizzazione democratica
dei sindacati sviluppatosi negli Stati Uniti e si avvia la repressione nelle
fabbriche.
L'integrazione della catena imperialista intorno al capitale statunitense e
all'alleanza Nato, il formarsi di una frazione di borghesia imperialista aggregata
al capitale finanziario Usa e di un proletariato metropolitano costituiscono
i termini attuali della contraddizione borghesia/proletariato della nuova fase
politica in generale in tutto il campo imperialista entro cui si ripropongono
i nodi dello sviluppo di una prassi rivoluzionaria adeguata a far avanzare una
prospettiva di potere.
La controrivoluzione imperialista seguita alla seconda guerra mondiale acquisisce
riattualizzandoli nel nuovo quadro della ricostruzione ed espansione post-bellica,
alcuni dei termini della controrivoluzione costituita dal fascismo e dal nazismo,
e dei livelli di controrivoluzione preventiva espressi dal New Deal roosveltiano.
Termini assimilabili per il modo in cui il conflitto di classe poteva essere
governato in relazione al carattere di fondo dell'intervento dello Stato nell'economia
andatosi complessivamente intensificando dalla crisi del '29 in poi, stabilizzando
in generale in ogni paese a capitalismo avanzato, la contrapposizione e la dialettica
tra interessi sociali particolari, e la loro organizzazione e rappresentanza
politica per comporli intorno a quelli generali della borghesia imperialista,
quale elemento contenutistico della dinamica politica caratterizzante la dialettica
democratica matura. Corrispettivamente la presenza stabile di forze armate americane
in particolare nei paesi di confine della frattura bipolare, avvia l'attiva
politica del polo dominante statunitense in funzione anticomunista interna ed
esterna.
Le forme politico-statuali che caratterizzano gli Stati imperialisti incorporano
i passaggi della controrivoluzione con cui viene stabilizzato l'assetto postbellico
e che in quanto tali hanno una funzionalità relativa a prevenire le tendenze
rivoluzionarie, la controrivoluzione preventiva diventa quindi un carattere
strutturale delle forme politiche democratiche borghesi.
Si viene a delineare in sintesi un quadro politico interno e internazionale
che compie un salto di qualità e che sarà quello a cui da questo
momento in avanti si dovrà rapportare il processo rivoluzionario e la
strategia per farlo avanzare e vincere.
Dal momento che lo Stato imperialista organizza e istituzionalizza un rapporto
politico con il proletariato integrandone l'iniziativa politica nella democrazia
borghese e calibrando a questo dato la propria azione soggettiva, invera appieno
la tesi marxista della democrazia come l'involucro politico più adeguato,
più solido per il potere della borghesia, un involucro politico che svuota
le istanze di autonomia della classe facendone arretrare i termini storici e
depotenzia le tendenze rivoluzionarie. Questo dato qualifica in che consiste
l' "aumentato peso della soggettività" nello scontro di classe,
e impone alla prassi e alla strategia rivoluzionaria di impattare la progettualità
politica dello Stato in grado di neutralizzare, svuotandole o reprimendole,
le istanze antagoniste e l'iniziativa autonoma del proletariato che nasce dalla
polarizzazione degli interessi che la crisi generale del capitale va sempre
più approfondendo, e di convogliarne l'iniziativa politica intorno a
quelle istanze e a quegli obiettivi generali della borghesia imperialista complessivamente
tesi a governare la crisi-sviluppo del capitale. Senza questa capacità
di impattare la progettualità politica dello Stato, l'iniziativa politica
non distruggerebbe lo Stato nelle forme politiche che ha assunto, quindi non
solo non sarebbe in grado di far avanzare un processo rivoluzionario ma nemmeno
di avviarlo: ciò impone al proletariato di operare da subito in termini
offensivi politico-militari attaccandone la progettualità, compito che
deve essere assunto da ogni avanguardia rivoluzionaria conseguente, assumendo
le forme organizzative adeguate a sostenere lo scontro prolungato con lo Stato,
forme che vanno a caratterizzare il Partito come Partito Comunista Combattente.
L'integrazione economica-politica e militare degli Stati imperialisti nella
catena intorno al polo dominante statunitense, impone alla prassi e alla strategia
rivoluzionaria anche di impattare fin da subito l'imperialismo nella nostra
area attaccandone le politiche centrali con cui la frazione dominante convoglia
gli interessi generali della borghesia imperialista a sostenere i nodi comuni
della crisi, della guerra imperialista e della controrivoluzione, pena l'impossibilità
non solo di realizzare la rottura rivoluzionaria, ma di far avanzare lo stesso
processo rivoluzionario, perché la borghesia imperialista concentra le
sue forze per sconfiggere la rivoluzione proletaria e le lotte di liberazione,
sia incrementando il suo sforzo preventivo che scatenando offensive controrivoluzionarie.
Un dato politico storico che va ad innovare i caratteri dell'attuale tappa rivoluzionaria
e pone all'ordine del giorno il nodo della costruzione di alleanze tra forze
rivoluzionarie operanti nella medesima area geo-politica definendone il piano
di sviluppo dell'attacco alle politiche centrali dell'imperialismo, e i termini
organizzativi necessari del Fronte combattente antimperialista per conseguire
la crisi politica dell'imperialismo ai fini dell'avanzata dei processi rivoluzionari.
Le Brigate Rosse sostengono che la tappa rivoluzionaria storica si realizza
attraverso un processo di guerra di classe di lunga durata condotto nell'unità
del politico e del militare e perciò la politica rivoluzionaria delle
Brigate Rosse è la Strategia della Lotta Armata per il Comunismo, proposta
a tutta la classe.
-La Strategia della Lotta Armata è la politica rivoluzionaria con cui
le avanguardie comuniste organizzate nella guerriglia praticano obiettivi politicamente
offensivi, cioe' rivolti all'indebolimento dello Stato nella sua azione di dominio
sulla classe nella prospettiva della sua completa distruzione e danno avanzamento
all'antagonismo proletario sul terreno di lotta per il potere. La Guerriglia
con l'attacco militare contro l'azione dello Stato di governo della crisi e
del conflitto, disarticolandone gli equilibri politici che la sostengono, agisce
da partito per costruire il partito, opera la trasformazione dello scontro di
classe in scontro per il potere, in guerra di classe, costruendo e disponendo
le forze proletarie e rivoluzionarie che si dialettizzano alla linea e al programma
politico proposti dalla guerriglia.- Con la Strategia della Lotta Armata le
avanguardie e il proletariato rivoluzionario immettono nello scontro di classe
gli obiettivi dello scontro per il potere che costituiscono il programma politico
intorno al quale costruire la guerra di classe di lunga durata, in funzione
e relativamente alle diverse fasi che essa attraversa, sia quando sono connotate
prevalentemente dal ripiegamento delle forze e dall'arretramento del proletariato,
sia quando lo sono dall'attestamento di avanzamenti dello scontro rivoluzionario,
aprendo il rapporto di guerra "fin da subito" e cioè in qualunque
condizione storica, anche a partire da nuclei esigui di avanguardie rivoluzionarie
che lo assumono soggettivamente come proprio terreno e obiettivo proponendolo
alla classe.
-La guerra di classe è condotta nell'unità del politico e del
militare, tanto nell'iniziativa politica che nell'organizzazione delle forze,
perchè il potere della borghesia imperialista è organizzato in
funzione antiproletaria e controrivoluzionaria con una progettualità
e mezzi che integrano il piano politico e quello militare, e articola le sue
iniziative o risposte politiche nella costante azione tesa a convogliare la
lotta di classe all'interno di compatibilità economico-sociali e forme
di rapporto istituzionalizzate per svuotarne la contrapposizione e annientarne
la spinta antagonistica. L'iniziativa rivoluzionaria nelle diverse congiunture,
deve rivolgersi quindi contro le politiche con cui lo Stato affronta la contraddizione
dominante tra le classi, per disarticolare l'equilibrio politico dominante,
rendere relativamente ingovernabili le contraddizioni e organizzare e disporre
sullo scontro per il potere le avanguardie e i proletari rivoluzionari che riconoscono
nel programma e nel progetto politico fatto vivere dal combattimento della guerriglia
lo sbocco per la propria istanza di potere e per praticare gli obiettivi rivoluzionari
storici, costruendo le forze rivoluzionarie e proletarie.
Il processo rivoluzionario nella metropoli imperialista è un processo
di distruzione dello Stato che attraverso l'offensiva militare finalizzata alla
sua disarticolazione politica dello Stato procede in relazione alla trasformazione
concreta degli equilibri di forza e politici verso una fase di guerra dispiegata,
processo in cui l'aspetto politico è sempre dominante. In una condotta
della guerra che è politico-militare, un'iniziativa politica e una componente
organizzata corrispettiva, distinta dall'iniziativa militare e da una componente
organizzata di tipo militare non ha funzione rispetto allo sviluppo della guerra
ed è superflua anche qualora operasse in condizioni di clandestinità
e compartimentazione che non la rendessero ostaggio del nemico. Nè nel
centro imperialista esistono territori liberati o liberabili (e ciò per
ragioni storiche di sviluppo delle forze produttive, di integrazione del territorio
e di pervasività dell'ordinamento e apparato statale), nei quali sia
esercitato il potere politico da parte di forze e strutture rivoluzionarie,
la cui iniziativa è quindi materialmente separata da quella di forze
militari che si riproducono in queste condizioni di potere e operano contro
forze esterne. Nelle condizioni dello scontro presenti nel centro imperialista
la guerriglia vive in "stato di accerchiamento strategico" dall'inizio
fino alla fase finale della presa del potere, ha quindi un rapporto con il nemico
di guerra senza fronti, in cui non ci sono spazi politici diversi da quelli
che si conquista la guerriglia per esistere ed avanzare e su cui attestare le
forze organizzate. La guerra di classe nel centro imperialista nasce dall'attacco
politico-militare al nemico e non da forze accumulate sufficienti a condurla
nelle sue successive fasi.
-La guerriglia nel centro imperialista si relaziona quindi alle forze proletarie
in funzione di costruirne l'attrezzamento politico e militare allo scontro prolungato
con lo Stato, e non in funzione della qualificazione delle istanze e contenuti
che si esprimono nell'ambito di un'iniziativa meramente politica: la guerriglia
opera secondo una linea di massa politico-militare.
-La guerra non è costituita solo di iniziativa militare perchè
è una guerra di classe in cui il nemico non è una forza militare,
ma lo Stato, una forza politico-militare il cui rapporto con il proletariato
è dominato dalla politica proprio in funzione controrivoluzionaria e
della stabilità del proprio dominio, per cui l'attacco militare e la
corrispettiva forza che occorre costruire per condurre la guerra, devono essere
rivolti a colpirne l'azione politica, non le forze militari in quanto tali,
devono esprimere una capacità offensiva politica selettiva dell'azione
politica del nemico, per ottenere l'effetto del suo logoramento che consiste
nella sua disarticolazione politica per la gran parte del processo di guerra,
e la costruzione delle forze del proprio campo.
-La guerra di classe è di lunga durata perchè le contraddizioni
intrinseche del capitalismo non portano a un crollo, il potere politico è
stabile, la borghesia imperialista convoglia interessi sociali intorno al suo
potere politico, opera strutturalmente per prevenire tendenze e sviluppi rivoluzionari,
e perchè le condizioni di sviluppo della guerra di classe stessa, sono
prodotte dell'azione soggettiva delle forze rivoluzionarie che deve realizzare
un logoramento del nemico e una costruzione delle forze del proprio campo per
poter arrivare a una rottura rivoluzionaria vincente.
-Il rapporto di guerra con lo Stato per aprire il processo rivoluzionario, sul
piano storico ha potuto maturarsi anche come elevamento di un scontro fatto
di confronti politici e militari, in contesti di crisi economico-politica, e
all'interno della ricorrenza di episodi di scontro militare e nel confronto
con una controrivoluzione preventiva non ancora affinata, quindi come risultante
di tendenze spontanee all'elevamento dello scontro sociale e politico alle quali
avanguardie rivoluzionarie organizzate sulla strategia della lotta armata hanno
dato sbocco dirigendolo verso obiettivi rivoluzionari. Trasformare lo scontro
di classe in guerra di classe, laddove lo Stato risponde, come ha fatto nel
nostro paese, con un processo controrivoluzionario che riesce a contenere e
a bloccare il processo rivoluzionario, e ad attestare nello scontro le misure,
le pratiche politiche e le procedure di assorbimento che si sono manifestate
nel loro insieme capaci di raggiungere quel risultato, richiede l'intrapresa
di questo rapporto di scontro da parte delle ristrette avanguardie rivoluzionarie
che, non potendosi formare in un movimento rivoluzionario, si costruiscono gli
strumenti politico-strategici e organizzativi-militari acquisendo ciò
che è maturato nel processo rivoluzionario e nel rapporto di scontro
storico, per affrontare i nodi politici che si sono posti nel rapporto rivoluzione-controrivoluzione,
con il rilancio della lotta per il potere nello scontro generale tra le classi.
-La strategia della lotta armata coerentemente con il principio dell'unità
del politico e del militare che informa la guerra di classe nei paesi a capitalismo
avanzato, definisce il partito comunista come un partito combattente e in relazione
alla natura del processo rivoluzionario -di distruzione dello Stato-costruzione
del Partito- definisce la sua formazione come la risultante di un processo politico-militare
che la guerriglia, nel determinare i termini complessivi dello sviluppo della
guerra di classe di lunga durata, costruisce sulla linea dell'agire da partito
per costruire il partito.
Per le Brigate Rosse le condizioni politiche della costruzione del Partito Comunista
Combattente si danno a partire dalla capacità di disarticolare l'azione
politica dello Stato, perchè la progettualità politica con cui
lo Stato interviene nelle congiunture politiche nella contraddizione dominante
che oppone le classi è il modo con cui mette in atto la sua funzione
antiproletaria e controrivoluzionaria e su questo costruisce equilibri politici
dominanti. Rapportandosi con l'attacco (al cuore dello Stato) a questo piano,
l'avanguardia armata colloca nello scontro gli obiettivi politici della lotta
per il potere, spezza la mediazione politica disarticolando gli equilibri politici,
facendo avanzare la guerra di classe, determinando la condizione politica primaria
per la costruzione del Pcc. In sintesi è a partire dall'attacco scientifico
al potere politico della borghesia che l'avanguardia rivoluzionaria costruisce
il rapporto politico con la classe e la sua istanza di potere.
Le Brigate Rosse non sono il Partito, ma sono una forza rivoluzionaria che opera
come un esercito rivoluzionario che attaccando lo Stato nelle sue politiche
centrali, sostanzia l'agire da partito per costruire il partito, e avvia la
costruzione del Partito, la costruzione degli elementi politico-teorici, strategici,
soggettivi, organizzativi e militari che costituiscono il nucleo fondante il
partito.
Per le Brigate Rosse lo sviluppo del processo rivoluzionario continua a realizzarsi
facendo la "rivoluzione nel proprio paese" perchè questa rimane
la dimensione politica principale della lotta tra le classi, ma richiede fin
da subito di praticare l'obiettivo dell'indebolimento dell'imperialismo operando
sull'asse programmatico dell'attacco all'imperialismo, alle sue politiche centrali.
Asse programmatico sulla base del quale può essere realizzata una politica
di alleanze con forze rivoluzionarie dell'area europeo-mediterraneo-mediorientale
che ha una sua intrinseca complementarità economico-politica, per la
costruzione di un Fronte Combattente Antimperialista che sviluppi un programma
d'attacco comune alle politiche centrali dell'imperialismo.
L'obiettivo politico-strategico della costruzione del Fronte può essere
raggiunto nella misura in cui si realizzano condizioni politiche e militari
per attaccare l'imperialismo da parte di forze rivoluzionarie che possono avere
anche diverse finalità o concezioni rivoluzionarie. Il Fca non sostituisce
l'obiettivo storico della costruzione dell'Internazionale Comunista, che è
realizzabile tra forze che hanno identiche finalità politiche e concezione
e condividono la discriminante della Lotta Armata per il Comunismo.
-La strategia della lotta armata proposta dalle Brigate Rosse alla classe è
impostata dalla concezione leninista dell'imperialismo e dello Stato e definisce
il programma politico del Partito comunista combattente come un programma di
combattimento contro lo Stato e l'imperialismo e di costruzione del Partito
e del Fronte, attraverso il quale può avanzare la prospettiva di potere
ed essere costruita la guerra di classe di lunga durata. L'iniziativa combattente
può far avanzare questa prospettiva solo se l'attacco non è impostato
genericamente costituendo una mera espressione dell'antagonismo di interessi
e politico, ma persegue l'obiettivo di distruggere lo Stato e destabilizzare
l'imperialismo, attraverso un concreto processo di disarticolazione politica
operata con l'attacco militare all'azione politica, alla progettualità
politica nemica che si afferma come centrale nell'affrontamento delle contraddizioni
dominanti che oppongono le classi nelle varie congiunture politiche e nell'affrontamento
delle contraddizioni della crisi e del dominio imperialista, progettualità
che costruisce l'equilibrio dominante per far avanzare le linee di programma.
Un attacco che, in quanto ha questo indirizzo politico, costituisce un rapporto
di forza esercitabile e finalizzabile a incidere il piano su cui lo Stato si
rapporta alla classe che è quello dello scontro di potere, colpendone
il progetto e disarticolandone l'equilibrio politico con cui sostiene questo
scontro e per come si articola nei suoi nodi-passaggi.
Il programma politico di disarticolazione dello Stato che le Brigate Rosse propongono
alla classe definisce gli obiettivi programmatici che costituiscono nello scontro
di classe concreto il piano di lotta per il potere, di costruzione del Partito
Comunista Combattente e di mobilitazione della classe sulla sua linea politica
e programma. Il progetto politico con cui lo Stato affronta la contraddizione
dominante tra le classi, è il cuore dello Stato. Non si tratta quindi
di un uomo, di una struttura, di una funzione o di un apparato statale, ma di
una progettualità che non si definisce a tavolino e una volta per tutte,
ma si imposta e si aggiorna e si irradia progressivamente nel complesso delle
relazioni tra le classi, specificando la costruzione di equilibri politici generali
e parziali intorno ad essa. Il massimo vantaggio politico ottenibile dal combattimento
si dà colpendo il personale che costruisce l'equilibrio politico in grado
di far avanzare i programmi della borghesia imperialista, un equilibrio che
lega interessi sociali e politici non univoci e anzi contrastanti, agli interessi
e agli obiettivi della frazione dominante della borghesia imperialista. La guerriglia
può conseguire così l'obiettivo politico di disarticolare la progettualità
statuale, squilibrandone l'azione delle varie forze che concorrono a realizzarlo.
La forza dell'attacco al cuore dello Stato non risiede nella sua sola forza
militare, ma risiede nella contrapposizione di interessi antagonisti insiti
nella contraddizione dominante che oppone le classi alla quale la progettualità
del nemico si prefigge di dare una soluzione in funzione degli interessi generali
della B.I. e in relazione ai rapporti di forza e politici tra le classi. L'attacco
allo Stato sfrutta quindi la posizione strutturalmente difensiva della borghesia
(anche qualora fosse in atto una offensiva controrivoluzionaria) che è
obbligata a governare politicamente le contraddizioni di un modo di produzione
e di un rapporto sociale storicamente superato. Dall'altro lato risiede nella
forza politica del patrimonio sviluppato dalla rivoluzione proletaria e dalla
guerriglia.
La disarticolazione non è un effetto politico ottenuto una volta per
tutte con il singolo attacco, ma si produce nella misura in cui si sviluppa
il combattimento, come pure in generale lo sviluppo della guerra è passaggio
da circoscritte iniziative combattenti alla stabilizzazione delle offensive
della guerriglia, di una sufficiente capacità offensiva disarticolante
etc..
L'attacco allo Stato non è teso, in sè e per sè, a paralizzare
e ad impedire in modo assoluto lo sviluppo delle sue politiche antiproletarie
e controrivoluzionarie; per far questo è necessario un intero processo
di guerra che faccia man mano conseguire posizioni più avanzate nei rapporti
di forza e politici alla classe organizzata dal Pcc sul terreno della guerra.
L'attacco al cuore dello Stato quindi è linea strategica di disarticolazione
politica dello Stato, impostata dai criteri di centralità, selezione
e calibramento definiti dal patrimonio della guerriglia delle Brigate Rosse
nel nostro paese.
-L'attacco all'imperialismo è volto a indebolirlo fino a determinarne
la completa crisi politica e a rafforzare lo schieramento antimperialista. I
criteri che hanno guidato il combattimento della guerriglia delle Brigate Rosse
indicano che per provocarne il massimo indebolimento esso deve riferirsi alle
politiche centrali con cui l'imperialismo affronta le contraddizioni dominanti
della fase internazionale, nel quadro delle spinte strutturali della crisi e
dell'avanzare della tendenza alla guerra per governarne gli aspetti generali,
per rafforzare e far avanzare le proprie posizioni negli equilibri internazionali,
contrapponendosi al proletariato e alle istanze e processi di liberazione dei
popoli.
Il programma politico di disarticolazione-distruzione dello Stato e di attacco
all'imperialismo per il suo indebolimento e di costruzione del Partito e del
Fronte, si realizza sulla linea politica con cui la guerriglia si relaziona
alle fasi e congiunture politiche interne e internazionali, e il suo avanzamento
si colloca nelle condizioni di fase del rapporto rivoluzione/controrivoluzione
e imperialismo/antimperialismo.
-Per le Brigate Rosse il Partito si dà in un processo di costruzione/fabbricazione
nello sviluppo stesso del processo di guerra di classe. La costruzione della
soggettività d'avanguardia non può darsi con un atto di fondazione,
nè si rende possibile accumulare forze su un piano di attività
politica, da disporre poi sul piano della guerra di classe perchè l'organizzazione
che si può produrre non è quella di forze rivoluzionarie.
Per le Brigate Rosse l'avanguardia comunista combattente non si pone nello scontro
come "direzione politica del futuro partito", ma come organizzazione
di guerriglia che si caratterizza e funziona come un esercito rivoluzionario
e che adotta il principio dell'agire da partito per costruire il partito. Questo
perchè è a partire e intorno al combattimento che si costruisce
lo scontro di potere e per il potere e la possibilità di far evolvere
la lotta della classe su questo piano.
Un'organizzazione di guerriglia, una forza rivoluzionaria, conduce uno scontro
politico-militare tramite combattimenti che a partire da un'impostazione scientifica
del proprio ruolo e della conduzione dello scontro, e in virtù di questo
può aprire un rapporto politico con la classe che assolve alla funzione
di trasformare lo scontro di classe in guerra di classe e organizzare le avanguardie
rivoluzionarie nel partito e la classe intorno al partito e far quindi avanzare
il processo rivoluzionario. L'esercizio del ruolo di Partito Comunista Combattente
nella conduzione dello scontro rivoluzionario, non essendo la risultanza di
un processo politico-militare in cui la classe si è posta su un piano
di guerra di lunga durata, ma il presupposto di questo processo, non può
realizzarsi che nella misura in cui le avanguardie rivoluzionarie che ne fanno
parte, i quadri che lo costituiscono, sono espressione concreta della direzione
esercitata da una forza rivoluzionaria nell'organizzare la classe nello scontro
rivoluzionario, direzione che può configurare il Partito Comunista Combattente
quando il livello della sua costruzione/fabbriicazione diventi adeguato a dirigerne
interi settori nella guerra contro lo Stato e l'imperialismo. Una realtà
e un processo che concretamente delimitano anche le condizioni e quindi i compiti
su cui si deve concentrare una forza rivoluzionaria come le Brigate Rosse in
particolar modo nell'attuale fase di Ricostruzione delle Forze rivoluzionarie
e proletarie.
" .... Il processo di costruzione politica, programmatica e di fabbricazione
organizzativa del Partito Combattente non è affatto lineare, evoluzionistico,
affidato al tempo, ma al contrario é un processo discontinuo, dialettico,
prodotto cosciente di un'avanguardia politico militare che, nel complesso fenomeno
della guerra di classe, afferma la validità della prospettiva strategica
e del programma comunista che sostiene e l'adeguatezza dello strumento organizzativo
necessario per realizzarlo. ..." (D.s. 2)
La militanza rivoluzionaria, in questo quadro, si misura con la frattura politica
soggettiva necessaria alle avanguardie del proletariato a trasformare un ruolo
politico che si forma e matura nel contesto del movimento delle lotte della
classe e della lotta politica possibile nelle democrazie borghesi, un ruolo
che esiste in funzione di tale mobilitazione, in un ruolo che determina il proprio
rapporto con la classe in quanto combattente contro lo Stato e l'imperialismo.
Una frattura ben più profonda e un salto superiore a quello pur richiesto
dalla militanza in un partito che dovesse dirigere la classe su un piano di
iniziativa, quella politica, su cui essa già si mobilitasse, salto che
consiste nell'assumere la finalità della lotta per il potere come propria
finalità soggettiva. Questo in quanto il piano della guerra non è
in genere, e in particolare oggi in Italia, praticato dalla classe, sebbene
il rapporto di guerra costituisca la sostanza della relazione tra borghesia
e proletariato, né è intrinseco alla frattura soggettiva costituita
per il proletariato dalla stessa lotta sociale e dalla sua potenziale evoluzione
in lotta politica, per cui la frattura necessaria richiede un complessivo mutamento
del punto di vista formatosi nella storia di una militanza o della mobilitazione
nelle lotte. Una realtà anche questa che riconferma il principio dell'aumentato
peso della soggettività nello scontro per parte proletaria.
Per le Brigate Rosse proprio perchè la lotta armata è una strategia
in un processo rivoluzionario che è di guerra di classe in ogni sua fase,
il modulo politico-organizzativo adeguato a strutturare le forze rivoluzionarie
si definisce intorno ai termini di strategia e non può essere ridotto
al carattere generico di formazione combattente. I criteri impostativi che definiscono
il modulo politico-organizzativo sono gli elementi che consentono alle forze
rivoluzionarie di far avanzare il processo di scontro su tutti i piani. L'unità
del politico e del militare che si riflette sul modulo guerrigliero e trova
nella clandestinità e compartimentazione i principi necessari a sostenere
la disposizione offensiva per la realizzazione degli obiettivi politici della
guerriglia, limitare le perdite e costruire organizzazione di classe sulla lotta
armata. I principi politici che presiedono al rapporto organizzativo delle forze
rivoluzionarie e proletarie e che sono l'unità sulle finalità,
sulla strategia, sulla linea e sul programma.La militanza regolare e irregolare
che sono entrambe condizioni strategiche per lo sviluppo della guerriglia.
L'organizzazione delle forze che è in istanze superiori e inferiori regolate
dal centralismo democratico. La cellula che è unità di base del
Partito. La costruzione dell'organizzazione che avviene per linee interne alla
classe. La guerriglia che organizza sul terreno armato e clandestino tutti i
livelli che si dialettizzano con la proposta rivoluzionaria. La centralizzazione
del movimento delle forze sulla linea e sul programma politico intorno al piano
di lavoro tramite il metodo politico-organizzativo, per sostenere il livello
dello scontro ed incidervi con i termini politico-militari necessari ad operare
sugli assi strategici. Il riferimento al primato della prassi e al principio
prassi/teoria/prassi, nel rapporto tra esperienza e teoria rivoluzionaria.
Lo sviluppo della linea politica in relazione ai cambiamenti storici della realtà
dello scontro sulla base del principio di continuità/critica/sviluppo.Il
metodo politico-organizzativo come complesso di procedure e strumenti con cui
sintetizzare i contenuti della linea politica in attività organizzate
e fare dei termini del lavoro organizzato un carattere delle strutture da costruire.
L'esperienza maturata nel corso prolungato con lo Stato e con l'imperialismo,
ha consentito di superare la visione manualistica che riduceva il processo rivoluzionario
a due sole fasi, quella dell'accumulo delle forze rivoluzionarie e quella del
loro dispiegamento nella guerra civile, e di definire il carattere illineare
della successione delle fasi, e il loro riferirsi ai concreti esiti dello scontro.
La strategia rivoluzionaria si articola tatticamente in rapporto alla natura
della fase rivoluzionaria in corso e dispone le forze nello scontro corrispettivamente
ai caratteri e ai compiti specifici della fase affinchè lo scontro rivoluzionario
possa conquistare posizioni più avanzate e aprire una fase più
favorevole. Caratteri e compiti che si riferiscono e vanno identificati nella
concretezza del rapporto rivoluzione/controrivoluzione attestato, nei termini
della mediazione politica che definiscono i caratteri generali dello scontro
di classe, nei termini dello scontro tra imperialismo e antimperialismo.
L'attuale fase di Ricostruzione delle Forze Rivoluzionarie e Proletarie e di
tutti i termini teorici politici organizzativi e militari per condurre lo scontro
rivoluzionario, è nata all'interno della più generale Fase di
Ritirata Strategica che ha impresso i suoi caratteri sul processo concreto di
ricostruzione delle forze che si è avviato alla conclusione della manovra
di ripiegamento.
L'intervento combattente delle Brigate Rosse operato nel maggio del 1999 si
realizza a seguito di una lunga stasi dell'intervento nello scontro generale
tra le classi, avendo potuto operare la ricostruzione delle forze e della capacità
offensiva necessaria a realizzarlo e con esso rilanciare la proposta della Lotta
Armata per il Comunismo.
Tale rilancio non ha esaurito i compiti della Fase di Ricostruzione delle Forze
Rivoluzionarie e Proletarie, che continua ad essere in atto e ad essere improntata
dalle fattori generali della Fase di Ritirata Strategica. La contraddizione
in cui si deve muovere oggi l'articolazione di una linea politica rivoluzionaria
è tra lo stadio iniziale della ricostruzione delle forze in rapporto
alla maturità politico-strategica del patrimonio della Lotta Armata per
il Comunismo, e i mutamenti intervenuti dei caratteri della mediazione politica
e dello scontro tra le classi in cui la controrivoluzione ha immesso quanto
ha verificato funzionale a contrastare l'opzione rivoluzionaria, per comprimere
e depotenziare l'espressione di istanze di autonomia politica di classe. Contraddizione
che inquadra il campo entro cui si definiscono i compiti della Fase per tutte
le avanguardie rivoluzionarie con cui possono essere conquistate posizioni più
avanzate e fatti concreti passaggi di costruzione del Pcc, e il cui punto di
equilibrio e linea di superamento consiste nel selezionare i livelli di costruzione
e formazione delle forze necessari e possibili e di sviluppo della linea politica,
intorno alla priorità e sui piani della costruzione dell'iniziativa rivoluzionaria
che la concreta capacità politico-militare può mettere in campo
per incidere nello scontro.
ATTACCARE E DISARTICOLARE IL PROGETTO ANTIPROLETARIO E CONTRORIVOLUZIONARIO
DI RIMODELLAZIONE ECONOMICO-SOCIALE NEOCORPORATIVA E DI RIFORMA DELLO STATO
ORGANIZZARE I TERMINI POLITICO-MILITARI PER RICOSTRUIRE I LIVELLI NECESSARI
ALLO SVILUPPO DELLA GUERRA DI CLASSE DI LUNGA DURATA
ATTACCARE LE POLITICHE CENTRALI DELL'IMPERIALISMO, DALLA LINEA DI COESIONE EUROPEA,
AI PROGETTI E ALLE STRATEGIE DI GUERRA E CONTRORIVOLUZIONARI DIRETTI DAGLI USA
E DALLA NATO
PROMUOVERE LA COSTRUZIONE DEL FRONTE COMBATTENTE ANTIMPERIALISTA
TRASFORMARE LA GUERRA IMPERIALISTA IN AVANZAMENTO DELLA GUERRA DI CLASSE
ONORE A TUTTI I COMPAGNI E COMBATTENTI ANTIMPERIALISTI CADUTI
Brigate Rosse
per la costruzione del Partito Comunista Combattente