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( Tratto dagli atti del processo per banda armata 1988)E’ necessario fare il punto del nodo politico istituzionale
odierno, per individuare l’indirizzo programmatico degli equilibri che
quest'indirizzo sostengono e per cogliere l’elemento politico dominante
di contraddizione che in questa congiuntura oppone il proletariato alla borghesia.
Il conseguente dibattito che si svilupperà dovrà definire gli
elementi che costituiscono questo quadro congiunturale, e per definirlo non
si può prescindere dalla valutazione degli spostamenti profondi avvenuti
a partire dal dato economico—strutturale che devono essere collocati ovviamente
dentro all’evoluzione mondiale del movimento dell’economia capitalistica:
cambiamenti profondi che sono riflessi in tutte le sfere dei rapporti sociali.
Quello che va analizzato sono i riflessi che le contraddizioni complessive hanno
sul contesto politico istituzionale del nostro paese a partire dalle modificazioni
del rapporto capitale/lavoro; l’avvio delle politiche neocorporative e
l’adeguamento obbligato delle politiche per saper rispondere al necessario
riassetto delle funzioni dello Stato, sia in termini di rifunzionalizzazione
degli apparati che del loro riflesso “coerente” con il piano politico,
e ciò per rendere operante, dentro questi nuovi termini di relazione,
la cosiddetta "sfera del gioco democratico". (1)
Ossia si è posta per la frazione dominante di BI la necessità
di superare i limiti di un sistema di potere che si è sviluppato dentro
condizioni economico politiche peculiari al nostro paese (tenendo presente che,
in termini generali, è un problema che riguarda tutti i paesi capitalisti).
Peculiarità che fanno scontare alla classe dirigente, nell'affrontare
i problemi della crisi e dell’essere al passo, nel campo delle relazioni
internazionali, richiesto dall’intensificarsi del grado d'internazionalizzazione
ed interconnessione tra le economie del blocco occidentale.
Intorno al ‘78 sono mature tutte le condizioni che rendono evidente la
fase di stallo nella quale si trovano le forze borghesi, condizioni poste in
primo luogo dall’incalzare della crisi a livello generale, e che necessitano
risposte in grado di confrontarsi con le dimensioni internazionali della recessione
economica e che pongono anche a livello della sovrastruttura la necessità
di far fronte ai cambiamenti in atto attraverso la modifica delle attività
dello stato nell’economia. Si pone cioè la necessità di
modificare tutto il complesso d'interventi e di strutture che hanno costituito
lo “Stato sociale” in Italia: dalla spesa pubblica alla riconversione
dei settori statali in termini di profittabilità (privatizzazioni, risanamenti,
taglio dei rami secchi), un cambiamento insomma della politica economica in
linea con le urgenze presenti dell’economia internazionale, orientata
verso politiche recessive e deflattive.
I cambiamenti maturati nell’arco di tempo sino al '78 fanno emergere i
limiti di un sistema di gestione del potere basato sull’uso speculare,
da parte dei partiti e delle forze politiche, della spesa pubblica e dello “stato
sociale” più in generale, uso che ha condizionato la funzione dei
partiti, ricercando l’interesse particolare e di potere rispetto ai margini
possibili di raccolta del consenso della base elettorale di riferimento. Questa
dinamica ha fatto assestare gruppi di potere relativamente autonomi, ma ramificati
nei gangli vitali dell’economia (2). Tutto ciò ha reso pesante
la funzionalità ed agilità della macchina statale nel suo complesso.
E’ su questa combinazione di interessi che si è formata un’intera
classe dirigente che in maggioranza fa capo alla DC (tenendo presente che, a
gradi diversi, anche gli altri partiti ne sono improntati, PCI compreso), ed
è proprio lo stretto legame con i margini dati da un ciclo economico
in esaurimento che fa emergere tutta la crisi politica in cui si dibatte la
DC in primo luogo, ma tutto il sistema dei partiti così come è
venuto a formarsi. Crisi politica che manifesta la difficoltà di rimuovere
il proprio apparato enormemente appesantito da questo tipo di strutturazione,
la quale si pone in termini contraddittori fra salvaguardia delle ramificazioni
ed interesse ad un riadeguamento che implica il sacrificio delle stesse. Tutto
ciò in presenza di un quadro politico sociale che dal lato proletario
vedeva un innalzamento della lotta di classe.
Nei luoghi di lavoro là resistenza attiva ai ritmi che il padronato voleva
imporre si traduceva in un reale potere contrattuale e nell’imposizione
dell’autonomia di classe espressa da vasti settori operai. Sul piano politico
l’autonomia di classe esprimeva una critica fattiva al sistema di potere
DC e ai legacci revisionisti e sindacali. Il grado d'autonomia e di critica
ai revisionisti condizionava il ruolo stesso di PCI e sindacato costringendoli
ad una “rincorsa” del movimento d'opposizione per cercare di ricondurlo
nella normale dialettica istituzionale.
Proprio in relazione alla qualità della lotta di classe la funzione del
PCI e del sindacato si è caratterizzata nel cavalcamento delle istanze
proletarie per un verso e come veri e propri controllori, per l’altro,
facendosi promotori attivi della delazione nei confronti dell‘avanguardia
di classe e rivoluzionaria. Questo è senz’altro uno degli elementi
politici principali che ha innescato la crisi dei revisionisti e dei sindacati
come prodotto della contraddizione tra dover far propri gli interessi della
società borghese di contro agli interessi della base proletaria che in
par te li costituisce. Un’autonomia politica di classe che in parte aveva
coinvolto anche fasce di piccola borghesia proletarizzata, un'autonomia di classe
che aveva posto a partire dalla seconda metà degli armi ‘60, in
un modo chiaro, una domanda di potere la quale ha avuto ed ha nell’attività
di guerriglia, in particolare della nostra organizzazione, la sua risposta strategica.
Allora è dal '78 che la politica di MORO pone, con intuito anticipatore
e al contempo con realismo, alla classe politica gli elementi di superamento
necessari per affrontare le scadenze poste dalla crisi economica; la proposta
di "unità nazionale" aveva la caratteristica di cogliere il
duplice aspetto del problema: da una parte il tentativo di cooptare la classe
operaia attraverso quelle che per la borghesia sono le sue rappresentanze istituzionali,
dentro alle scelte della borghesia, anticipando in ciò la sostanza del
modello neocorporativo, dall’altra, cogliendo l’aspetto relativo
alle forze politiche stesse, richiedeva uno sforzo di lungimiranza, che si incentrasse
sulla necessità di ricercare unità di intenti tra il diverso arco
delle forze politiche, all’interno di un programma di lungo respiro.
Questa strategia politica mirava a superare le soluzioni a breve termine completamente
inadatte all’impellenza del momento, ma in ciò presupponeva una
riqualificazione delle forze politiche in grado di operare le necessarie modifiche
istituzionali, indispensabili a determinare un quadro politico stabile. Questo
salto di qualità che implicava il superamento degli interessi corporativi
e le peculiarità sulle quali si sono formati i partiti, trova impreparata
la stessa DC, la quale proprio per questa caratteristiche rimane invischiata
nei suoi stessi meccanismi di struttura di potere, incapace di articolare la
proposta politica del suo massimo leader.
In ultima analisi, di fronte al salto di qualità richiesto dalla situazione,
le forze politiche sono limitate proprio dalle caratteristiche sulle quali si
sono formate non riuscendo a esprimere, in particolare la DC, quell'agilità
che prescinda dall’elemento di consenso della propria base elettorale
e di sottogoverno. Le difficoltà peculiari della classe politica ad una
sua riqualificazione sono acuite, è in quel momento messe in crisi, dall’opposizione
di classe non disponibile ai sacrifici, né a farsi cooptare. A chiudere
definitivamente il capitolo dell'unità nazionale interviene poi la nostra
organizzazione colpendo il suo massimo artefice.
E’ in quest'ambito di contraddizioni che emergono e si selezionano 1e
forze politiche più idonee ad affrontare le questioni sul tappeto. Le
forze che dimostrano la capacità di usufruire di agilità e trasformismo
sono per un verso il PRI, ma maggiormente il PSI. Quest’ultimo, a partire
dal ‘76, attraversò l’attivismo di Craxi, rivoluziona l’intera
struttura del partito eliminando con una serie di colpi di mano e con metodi
mafiosi tutti gli elementi frenanti che si rifacevano alla linea tradizionale
del PSI. L’accoppiata Craxi—Signorile, individuando i limiti nella
strutturazione dei partiti e nei vincoli ideologici connessi, come un impedimento
nell’affrontare i profondi cambiamenti sociali, si pone su questo terreno
e si propone come leadership del quadro politico italiano.
Proprio nel ‘78, sul banco di prova della lotta di classe, si mostrava
la capacità di relazionarsi ai diversi fattori presenti, sviluppando
una tattica che da un lato si poneva l’obiettivo di minare dall’interno
del movimento rivoluzionario l’attacco disarticolante che la nostra organizzazione
aveva portato al progetto di unita nazionale, dall’altro con estrema spregiudicatezza
si poneva come polo di riferimento in alternativa alla a paralisi di iniziative
politiche che aveva colpito l’asse DC—PCI.
L'obiettivo principale dell'unità nazionale rimane comunque quello di
ridimensionare il peso politico della classe e, benché non vada in porto,
resta il problema prioritario su cui i successivi governi a tempore si confrontano,
e ciò perché era diventato impellente procedere alle ristrutturazioni
dei settori produttivi più significativi dell'economia e che i livelli
più maturi dell'opposizione di classe mettevano seriamente in discussione.
Non poteva iniziarsi nessun cambiamento nelle fabbriche, prima ancora che nel
corpo della società, se non si assestava un duro colpo alla classe operaia
e alle sue rappresentanze rivoluzionarie.
I passaggi che sono stati operati contro la classe hanno sviluppato, come salti
di qualità significativi, una pratica di controrivoluzione preventiva
che si è articolata attraverso strappi nei rapporti di forza generali
combinando l'intervento selettivo e qualitativo nei confronti dell'avanguardia
di classe e rivoluzionaria (licenziamenti politici, legislazione d'emergenza,
torture …) con forzature nel quadro politico istituzionale anche attraverso
la politica delle stragi, per poter dare il via ai licenziamenti generalizzati,
i quali rispondevano alle esigenze della ristrutturazione. Adeguare la struttura
produttiva ai rivoluzionamenti dei nuovi sistemi di produzione è indispensabile
per porsi in termini competitivi sui mercati internazionali così da permettere
il ritagliarsi di quote di mercato; questi sistemi inizialmente adottati in
settori ristretti, trovano impiego in settori sempre più ampi della produzione.
Porsi ai livelli di concorrenza stabiliti dai nuovi metodi d'estrazione di plusvalore
relativo necessita di accentrare una massa di capitale finanziario in grado
di sostenere gli enormi costi che le ristrutturazioni richiedono (3). L’introduzione
di “nuove tecnologie" nella produzione, quali i sistemi informatici,
la robotica, la microelettronica e i cosiddetti sistemi flessibili nell'organizzazione
del lavoro, hanno reso sempre meno concorrenziali le merci prodotte con il sistema
della meccanizzazione spinta e della semiautomazione, sistema che dal dopoguerra
ha segnato una fase dello sviluppo capitalistico.
La fase che parte dal dopoguerra è da un lato quella della dominanza
del capitale finanziario a dominanza USA e dall’altro quella del massimo
sviluppo di questo sistema produttivo e del Taylorismo nell'organizzazione del
lavoro; tutto ciò è stato la base materiale che ha disegnato il
tipo di concorrenza capitalistica la quale ha determinato gli assetti della
divisione internazionale del lavoro e dei mercati e il grado di interdipendenza
e gerarchizzazione della catena imperialista (4).
I settori principali in cui ha trovato applicazione questo sistema produttivo
sono l'industria pesante in generale, nel siderurgico in particolare, e nei
confronti del meccanico; il taylorismo; organizzazione del lavoro legata a questo
sistema, ha determinato il formarsi di una nuova figura operaia, l’operaio
massa, e la riduzione dell'operaio professionale, che diventerà per lo
più la base dell'aristocrazia operaia.
In Italia è nel corso degli anni '5O che si forma la figura dell’operaio
massa. La rivolta di piazza statuto segna l’ingresso nella sfera politica
di questa nuova figura operaia la quale pone nuovi termini all'autonomia di
classe. L’operaio professionale, figura sindacalizzata e politicizzata,
in quegli anni a seguito della ristrutturazione viene per la maggior parte espulso
dalle fabbriche, quello che resta viene riciclato in tecnico e altro, andando
a formare l’aristocrazia operaia.
Lo sviluppo qualitativo dello Stato nell'economia affianca l‘esaurimento
della meccanizzazione spinta facendosi promotore della domanda aggiuntiva quale
volano specifico di questo ciclo produttivo. Una politica economica che ha anche
la funzione di regolatore ed ammortizzatore del mercato del lavoro e del ciclo
capitalistico nel suo complesso con lo sviluppo dello “stato sociale”
(5).
L’attività dello Stato nell'economia fa sì che si sviluppino
politiche di bilancio le quali, in quel ciclo capitalistico, seguendo le teorie
Keynesiane, si fondano sul disavanzo della spesa pubblica e su un leggero tasso
di inflazione quale stimolo per l’economia. A riprova che lo Stato può
intervenire solo a valle dei meccanismi economici (sfera della circolazione
formazione dei prezzi, etc.) non potendo intervenire nella legge del valore
lavoro, sta il fatto che lo stimolo della leggera inflazione controllata ha
finito per autoalimentarsi, generando uno dei più grossi problemi quando
si è intrecciato con la recessione generalizzata (6).
Altro elemento che entra in termini contraddittori nel ciclo capitalistico è
lo Stato che si fa imprenditore assumendosi da un lato la gestione delle opere
infrastrutturali quale mezzo per immobilizzare a medio e lungo termine quote
di capitale, dall'altro, dei settori produttivi che necessitano di lunghi tempi
d'ammortamento dei capitali investiti, settori che, tra l’altro sono ripartiti
a livello sovranazionale (7).
La collocazione dell'Italia nella divisione internazionale del lavoro e dei
mercati nel dopoguerra è essenzialmente quella di trasformatore di materie
prime, con l'assegnazione di quei cicli meno importanti che la collocano in
una posizione strutturalmente debole. Uno degli aspetti immediati dell'introduzione
delle nuove tecnologie è quello di espellere dalla produzione una gran
quantità di forza lavoro, data l'enorme capacità produttiva messa
in campo (con l'effetto tra l'altro di rendere eccedenti masse di capitali che
non possono operare come tali) e di scompaginare l'organizzazione del lavoro
con la scomparsa di segmenti di ciclo che sono stati la base di figure operaie
anche molto combattive.
Unito a ciò si forma un processo di cosiddetta deindustrializzazione
(8) che, se è un portato obbligato delle nuove tecnologie e dell'incremento
delle attività finanziarie, si presenta sempre più come elemento
di contraddizione perché da un lato comporta la restrizione della base
produttiva, dall'altro le crescenti attività finanziarie rigonfiano il
valore nominale di riferimento, cioè la cedola azionaria non riflette
il valore reale di una data produzione.
A lato di questo processo si sviluppa un'inversione di tendenza nelle politiche
economiche, le quali come controtendenza agli effetti della crisi applicano
politiche di restrizione del mercato interno (compresa la spesa pubblica) a
favore dell'esportazione con segno decisamente deflattivo.
A favorire l'introduzione e lo sviluppo delle nuove tecnologie nella produzione
lo Stato interviene con politiche fiscali e monetarie tali da agevolare le industrie
in questo processo e, rispetto alla sua attività di capitalista reale
privilegia a sé quei settori che necessitano di tecnologie avanzate,
e questo sia perché può sopportare tempi lunghi d'ammortamento
sia perché lo stesso sviluppo della ricerca è per lo più
sotto la sua competenza per l'alto costo finanziario che comporta.
La ricerca e l'applicazione delle nuove tecnologie quali l'informatica, le biotecnologie,
fibre ottiche, ecc, trova riferimento in un campo specifico che è quello
relativo ai nuovi sistemi d'arma: avionica, missilistica, satelliti, un campo
quindi d'applicazione e ricerca che quasi per la sua totalità riguarda
il bellico. Gli alti costi necessari alla ricerca ed alla realizzazione di questi
progetti comportano una cooperazione sovranazionale, rafforzando ed accelerando
quei processi di internazionalizzazione ed integrazione economica già
esistenti.
Se quest'aspetto è un dato generale che a diversi livelli coinvolge tutti
i partner della catena imperialista, il differente peso sia in termini economici
che politici dello SDI patrocinato dagli Usa nei confronti dei progetti europei
è il riflesso delle diverse dinamiche di sviluppo che esistono tra gli
Usa e il resto della catena. Ossia negli Usa la maggior concentrazione e velocità
della dinamica capitalistica ha determinato una maggiore velocità della
crisi e della recessione economica, così come la necessità di
dargli una soluzione durevole.
E' a partire da questa considerazione che però si può osservare
come negli Usa la politica di riarmo sia il principale stimolo che sostiene
l'economia. E' dall'avvento della presidenza Reagan che, attraverso le politiche
degli alti tassi d'interesse, vengono inglobate grandi masse di capitali le
quali finanziano il bilancio federale che sostiene le spese per il riarmo. Il
disavanzo della bilancia federale è una scelta di politica economica
rigidamente indirizzata a questo scopo anche se ciò comporta la restrizione
di interi settori produttivi che vengono penalizzati dalle importazioni; IN
QUESTO SENSO QUESTA POLITICA SI CONFIGURA COME IL VOLANO DELL'ECONOMIA USA (9).
Detto questo, il grado d'integrazione esistente tra i paesi
della catena fa sì che le linee di tendenza e le scelte di politica economica
del polo dominante si ripercuotano e condizionino a livelli diversi, i paesi
della catena; in questo senso le controtendenze principali alla crisi, tendenzialmente
diventano il perno su cui devono ruotare le scelte economiche dei paesi del
blocco; questo anche se le dinamiche di crisi si presentano con sfasature in
relazione alla posizione che ogni paese ha nella catena, sia che si tratti di
area europea o della fascia sud, sia che si tratti di economie molto dipendenti
dagli USA, come il Giappone. Questo legame di interdipendenza, pur vivendo l’aspetto
contraddittorio dato dalla concorrenza costringe i partner a concertare contromisure
relative agli aspetti generalizzati delle crisi, i quali riguardano principalmente
l’orientamento che devono prendere i flussi di capitali e di merci (accordi
commerciali e delle monete) che, per effetto del peso reale che ogni Stato occupa
nella catena, riflettono in ultima istanza gli interessi del polo dominante;
quest'ultimo tende a configurarsi come il rappresentante degli interessi complessivi
del blocco. La resistenza opposta al vertice di Tokyo da RFT e Giappone ad assumersi
il ruolo di “locomotive” per sostenere il calo “pilotato"
del dollaro ed un allargamento dei mercati interni, sono il sintomo più
evidente della contraddizione interimperialista, ma è anche evidente
come queste, a questo stadio di sviluppo dell’imperialismo, si piegano
all’interesse complessivo della catena per effetto anche delle pressioni
politiche esercitate dagli USA rispetto alle sue impellenti necessità.
Sul terreno delle nuove tecnologie, e più precisamente quelle legate
al riarmo, si giocano i termini della concorrenza, i quali configureranno il
futuro assetto della divisione internazionale del lavoro e dei mercati. Ossia
chi riesce a garantirsi le produzioni più avanzate occuperà domani
le posizioni più vantaggiose e di preminenza. Va precisato che la ridefinizione
della divisione internazionale del lavoro e dei mercati non può avvenire
per effetto della concorrenza all’interno della catena imperialista, e
ciò sostanzialmente perché, riferendosi ad un quadro storico—politico
dato, può avvenire solo a scapito del blocco avverso. In altri termini,
la necessità di imporre su scala allargata l’attuale approfondimento
tecnologico razionale dei rapporti di produzione capitalistici, determinando
su questa base un nuovo mercato mondiale, una nuova divisione internazionale
del lavoro per riavviare una nuova era di sviluppo capace di valorizzare i capitali
impiegati, sta spingendo il capitale ad impattare in questo contesto internazionale,
in particolare con quello del blocco contrapposto; tale linea di direzione che
si sviluppa in un quadro di crisi tendente a polarizzare contraddizioni d'interessi
avvicina la possibilità di un eventuale sbocco ad un terzo conflitto
mondiale. Guerra imperialista che nelle intenzioni degli USA serve a ridefinire
a favore dell’imperialismo occidentale la divisione delle aree d'influenza
sancite con la II guerra mondiale, riportando infine l’ordine in quei
paesi che più recentemente si sono sottratti all’influenza del
capitale multinazionale, imponendo ai paesi dipendenti le nuove linee dell'imperialismo.
La maturazione delle contraddizioni fra i blocchi è resa evidente dalle
forzature politico—militari attuate in primo luogo dagli USA. Queste forzature
da una parte promuovono la coesione e l’attivizzazione dell’alleanza,
dall’altra sono tese a raggiungere rapporti di forza favorevoli tali da
poter permettere lo scatenamento del conflitto da posizioni di forza. Il massimo
punto di crisi su cui convergono queste forzature è la nostra area geopolitica,
manifestando come le crisi regionali siano fortemente informate dalla contraddizione
est—ovest.
E' all'interno di questo quadro di riferimento che vanno collocati i mutamenti
avvenuti nel nostro paese. La BI nostrana ha attivizzato la sua riqualificazione
sia in termini di programma che di strategia politica, in ciò ha operato
le forzature necessarie a ridefinire il rapporto con la classe per una maggiore
solidità del quadro politico—istituzionale. Gli accordi centralizzati
avviati nell’83 si collocano in un “clima" politico in cui
la classe operaia ha già subito i primi arretramenti con l’attacco
frontale iniziato nel ‘79. In altri termini il patto neocorporativo, trova
il suo esordio proprio nel contesto di questi rapporti di forza favorevoli alla
borghesia e quindi può effettuare la prima forzatura sul piano ”politico-formale"
con la modifica delle relazioni industriali attraverso l’avocazione al
vertice della contrattazione. Vengono sanciti in ciò i termini verso
i quali dovranno conformarsi le cosiddette “parti sociali". I sindacati
per essere parte attiva di questo modello, portano a fondo la ristrutturazione
del proprio apparato atta a svincolarsi dagli orpelli di democrazia sindacale
per aspirare all'ambito ruolo di "soggetto politico". La reazione
della classe operaia a questi attacchi che tra l'altro pongono fine alle conquiste
del PCI, pur essendo di pura resistenza, si riflette sulla trattativa con la
posizione di principio espressa dalla CGIL.
Quest'ultima è impossibilitata alla piena adesione per le contraddizioni
che si aprono con la base operaia. L'opposizione della classe, malgrado individui
il governo come controparte, non può incidere su un terreno sostanzialmente
imposto dalla borghesia; lo scontro si colloca più direttamente sul piano
politico del rapporto con lo Stato, poiché è in gioco l'imposizione
del patto neocorporativo che implica nella sostanza un modello di "rappresentanza
istituzionale" sganciata dagli interessi della classe, in questo la sua
natura reazionaria, il suo carattere preminentemente politico.
Nel misurarsi a questo piano dello scontro il movimento di classe dimostra tutti
i suoi limiti, e ciò non tanto perché non ne comprendesse il suo
carattere politico, ma perché ci si è rapportato con strumenti
politico-organizzativi inadeguati (democrazia consiliare) alla fase generale
di scontro che si veniva a delineare. Rapportarsi a questo dato comportava e
comporta un adeguamento politico organizzativo che non può sorgere linearmente
da un movimento spontaneo, ma esso può svilupparsi dalla dialettica che
riesce ad instaurare l'avanguardia rivoluzionaria.
L'azione Tarantelli, attaccando la contraddizione politica dominante pur in
una situazione di rapporti di forza sfavorevoli, IMPOSTA L'UNICA POSSIBILITA'
DI COSTRUIRE QUESTA DIALETTICA NECESSARIA, da un lato per non far arretrare
ulteriormente le posizioni politiche della classe, dall'altro per rilanciare
lo scontro nella prospettiva di rilanciarlo a favore del proletariato. Il governo
con quest'atto politico d'autorità nei confronti della classe, delinea
un momento di stabilità che, riflettendosi nell'equilibrio della coalizione,
apre lo spazio ai primi elementi d'esecutivizzazione.
Non a caso, DAL CALDERONE DELLA COMMISSIONE BOZZI SULLE RIFORME ISTITUZIONALI,
si ratificano più poteri alla Presidenza del Consiglio, attraverso l'istituzione
del supergabinetto e l'agevolazione della decretazione d'urgenza: l'istituzione
del supergabinetto diventerà il perno su cui si andrà ad assestare
la coalizione a cinque e, indubbiamente, l'entourage che fa capo alla Presidenza
del Consiglio. L'istituzione del supergabinetto è una modifica reale
della dialettica istituzionale, in quanto tale rappresenta un passaggio importante
nella razionalizzazione del processo d'esecutivizzazione.
Nell'85 sono mature le condizioni politiche che rendono operante il patto sociale,
il decisivo ridimensionamento del peso politico della classe viene sancito dal
referendum e dalle successive elezioni, il reazionario patto sociale neocorporativo,
proprio perché segna un cambiamento di clima sociale che tocca tutti
gli aspetti delle relazioni tra le classi, ha comportato anche il rivoluzionamento
delle "rappresentanze istituzionali" della classe. Sulla base di un
reale avvitamento del quadro politico sociale del paese a favore della borghesia,
si apre una nuova fase nella quale la frazione dominante della BI cercherà
di praticare il programma che si è data. In questo contesto vengono definiti
tutti i termini relativi al costo del lavoro (piano Tarantelli De Michelis)
in una rinnovata concordia resa possibile proprio dai rapporti di forza favorevoli.
La "normalizzazione" delle relazioni industriali all'altezza degli
standard dei paesi industrializzati permette l'avviarsi del "risanamento
economico" con il varo di politiche industriali di sostegno agli investimenti
e di riequilibrio della bilancia statale. Se i primi elementi di esecutivizzazione
hanno trovato assestamento nello scontro con la classe per imporre il patto
sociale neocorporativo, l'ulteriore passaggio avviene sostanzialmente sul terreno
delle questioni internazionali e di politica estera, terreno che si impone data
l'accelerazione delle dinamiche di crisi e delle forzature USA in quest'area
geopolitica; anzi è uno dei motivi per cui si rende necessario il quadro
di stabilità.
I processi di riqualificazione che portano avanti i partiti, in primo luogo
la DC, dovendo far riferimento al maggior peso che assume l'interesse generale
della frazione dominante di BI, li obbligano a funzionalizzare l'apparato di
partito a questo dato; in termini concreti ciò comporta il sacrificio
di fasce di elettorato tradizionale con la subordinazione della rappresentanza
di frazioni di borghesia. Questo processo produce delle contraddizioni che,
riflettendosi sul quadro politico, si traducono in una "perenne conflittualità"
la quale, lontana dall’essere dirompente, ne fa un elemento connaturato
alle forze politiche. Sebbene ci sia un elemento di rottura nell’adeguamento
dei partiti alla situazione attuale, la continuità del loro vecchio modo
di essere rimane come elemento di contraddizione e di freno che produce inevitabilmente,
come suo opposto, un processo di razionalizzazione teso a superare i 1imiti
che queste contraddizioni mettono in luce (questione del voto segreto, contingentamento
dei tempi, etc..).
LA STABILITA' NON E' IL PRODOTTO DELLA MEDIAZIONE DELLE CONTRADDIZIONI INTERBORGHESI
E TRA I PARTITI, MA IL RIFLESSO DEI CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI RELATIVI AL QUADRO
DEI RAPPORTI DI FORZA GENERALI TRA LE CLASSI; CAMBIAMENTI ISTITUZIONALI CHE
SONO IL PIANO GIURIDICO-FORMALE DI TALI RAPPORTI DI FORZA, QUELLO A CUI ASSISTIAMO
OGGI E' UN PROCESSO DI RAZIONALIZZAZIONE NELL'ESECUTIVO CHE VEDE SELEZIONARSI
UN PERSONALE POLITICO CHE PUR FACENDO RIFERIMENTO AI PARTITI VA OLTRE L’INTERESSE
PARTICOLARE DI PARTITO. Questo personale politico, LUNGI DAL RAPPRESENTARE LA
NEGAZIONE DEI PARTITI, COSTITUISCE LA PUNTA PIÙ AVANZATA DEL “RINNOVAMENTO”
IN QUANTO CIÒ CHE LO SELEZIONA E’ LA CAPACITA' TUTTA POLITICA DI
SAPER OPERARE FORZATURE O MEDIAZIONI NEL PROCESSO DI CONSOLIDAMENTO DELLE LINEE
DI PROGRAMMA.
L’ESECUTIVO NELL’INTENTO D'AVANZARE NELLE LINEE DI PROGRAMMA, HA
GIA’ IN CANTIERE LA RIFORMA DELLA FARNESINA, DELLA DIPLOMAZIA, E HA GIA’
VARATO QUELLA DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO. QUESTI PROCESSI D'ESECUTIVIZZAZIONE,
CHE HANNO COME NODO CENTRALE L‘ACCENTRAMENTO DEI POTERI NEL GOVERNO, SONO
TESI ALLA PIU’ GENERALE RIFUNZIONALIZZAZIONE DELLO STATO. Sono questi
i passaggi reali a livello della mediazione politico—istituzionale che
caratterizzano la fase attuale e che stabiliscono quale sia il rapporto borghesia/proletariato,
Stato/classe.
La politica economica relativa al costo del lavoro ha in questo contesto una
collocazione secondaria, in quanto è ormai dato l’assestamento
del patto neocorporativo, ovvero lo scontro in termini dominanti su questa questione
è già avvenuto, oggi la contraddizione dominante che oppone il
proletariato alla borghesia riguarda principalmente il riassetto del quadro
politico istituzionale funzionale a far procedere le linee di risanamento economico
(10) che fanno stare al passo la frazione di BI nell'ambito dei paesi industrializzati
sostenendo la concorrenza nell’ambito dei mercati internazionali e il
crescente impegno nell’Alleanza rispetto al ruolo nel Mediterraneo.
A sostenere le linee di programma presiedono e si formano congiunturalmente
equilibri politici funzionali a tali procedure, difatti il procedere senza ostacoli
delle relazioni industriali è esplicativo del terreno assestatosi con
le rotture dei rapporti di forza avviate nell’83. La ripresa della contrattazione
aziendale non è in contrasto con il ”modello“ neocorporativo,
come qualcuno demagogicamente cerca di affermare, ma questo avviene sostanzialmente
nell’interesse della Confindustria grazie agli attuali rapporti di forza.
Esemplificativo di ciò e l’accordo FIAT sul rientro dei cassaintegrati
(tra l‘altro subordinato al finanziamento statale sulle nuove tecnologie)
e la sostanza degli ultimi contratti i quali ricalcano spudoratamente le linee
di programma governativo; infatti alle parti sociali è demandata la contrattazione
possibile dentro i limiti stabiliti dalla bozza di programma (dichiarazione
d’intenti) preparata dagli esperti economici di Palazzo Chigi. Dal canto
suo il sindacato ha proceduto a quelle modifiche della democrazia interna che
gli permettono di “gestire” la sua rappresentatività istituzionale,
vedi la ormai assestata pratica di referendum in sostituzione del voto diretto
in assemblea.
Per quanto riguarda il PCI, "decurtatosi” il carattere di classe
che lo spingeva nel ruolo di “oppositore istituzionale”, ha dato
il via ad un processo teso a svincolarsi dagli ultimi legami storico ideologici,
in modo da rendersi accettabile nell'area di governo. In questo processo diventa
più realista del re. Per il momento il ruolo “attivo” che
gli viene demandato è quello di favoreggiamento alle possibili riforme
della costituzione. Questo a riprova che anche revisionisti e sindacati ricercano
il loro spazio di manovra intorno all'equilibrio politico dominante della BI.
Questo spazio lo ricerca anche attraverso un uso demagogico ed interclassista
delle manifestazioni di massa possibili, in ciò si inserisce a pieno
titolo nel clima ideologico, lealista e reazionario promosso dalla borghesia
imperialista. Elemento ideologico che vuol fare da catalizzatore del consenso,
come dato che contribuisce allo sbandieramento della stabilità.
Il grado di stabilità raggiunto dall’esecutivo permette di confrontarsi
con i problemi aperti dalle forzature USA indirizzate ad aprire focolai di guerra.
Il carattere di queste forzature può essere riassunto nell‘uso
del terrorismo di Stato come metodo politico al fine di destabilizzare un’area
cruciale come il Mediterraneo e per il rinsaldamento dei vincoli dell’Alleanza
rispetto all'interesse complessivo della catena imperialista.
L’opera di destabilizzazione si presenta subito come agente in grado di
spostare l’asse della mediazione politica riducendo i margini della possibile
risoluzione diplomatica dei conflitti verso il dato militare. La politica dei
fatti compiuti da parte degli USA ha lo scopo di far convergere le iniziative
degli alleati verso i tempi e i modi dell'impellenza guerrafondaia USA, convergenza
che peraltro trova delle risposte attive tali da prefigurare il mutamento dei
termini delle crisi regionali, i quali vengono sempre più informati dalla
polarizzazione della contraddizione EST/OVEST.
Il programma di destabilizzazione preparato dai servizi segreti ha sperimentato
un livello di concertazione con gli alleati europei i quali, a diversi gradi,
hanno aderito a questo modo di fare la politica estera. Questa concertazione
ha un riflesso diretto contro i paesi dell'area Mediorientale e Mediterranea
che hanno una politica non gradita agli occidentali e sulle Forze Rivoluzionarie
dell'area, ha altresì un riflesso indiretto sulla guerriglia europea,
poiché può preparare il terreno adatto ad ulteriori modificazioni
politico istituzionali nei singoli Stati, relative al rapporto classe/Stato.
Note prima parte
(1) — Rispetto alla relazione tra struttura e sovrastruttura
possiamo fare quest'enunciato generale: le crisi, essendo un dato fisiologico
del MPC, rappresentano il massimo punto di debolezza e al tempo stesso il massimo
punto di sviluppo, tanto più se il carattere della crisi è generale,
cioè investe il meccanismo stesso dell'accumulazione. Quando una crisi
si presenta in termini generali sono già maturi gli elementi per un suo
superamento, e questo non come un processo puramente meccanico, oggettivo e
risolutivo, bensì come processo che mette in moto controtendenze come
portato oggettivo, sia come vere e proprie politiche economiche, politiche la
cui complessità è relativa al grado di sviluppo del MPC. E’
lo Stato, in quanto garante della riproduzione della società capitalistica,
che in massima parte si assume il carico di indirizzare politiche economiche
di supporto INTERVENENDO NELLA SFERA DELLA CIRCOLAZIONE allo scopo, da una parte,
di tamponare gli effetti della crisi, dall'altra, di regolarizzarne flussi e
cicli, e questo come portato dell'esperienza accumulata dal capitale sulle crisi.
Difatti gli economisti borghesi, sulla base di questa conoscenza, sono in grado
in termini relativi di prevedere la caduta di un ciclo e quindi di elaborare
gli interventi più adatti per attutirne gli effetti, tenendo presente
che queste controtendenze creano a loro volta degli scompensi dato che NON SONO
IN GRADO DI INTERVENIRE LADDOVE SI FORMANO LE CONTRADDIZIONI INSITE NEL CAPITALE.
Va detto che lo sviluppo ulteriore del MPC ha modificato la velocità
e la formazione dei cicli della crisi, come esempio basti ricordare che il ciclo
espansivo ottenuto con l'ultima guerra negli USA si è inceppato già
nel ‘48. Possiamo dire che via via che le politiche economiche assumono
carattere complessivo nell'attività dello Stato, la sua stessa funzione
viene a complessificarsi, con ciò lo Stato non perde la sua natura, non
diventa soltanto il comitato di affari della frazione dominante della BI, né
tanto meno il solo e semplice mediatore del conflitto di classe; questa duplice
natura viene invece esaltata nel ruolo e nella funzione politica dello Stato
sia come organo delle forme mature della dittatura borghese, che come portato
storico cosciente della stessa nel suo rapporto conflittuale con il proletariato.
Ciò significa che il carattere stesso della mediazione politica fra le
classi viene modificato: essa (la mediazione) adegua le forme politico istituzionali
delle relazioni tra le classi all'evolversi delle condizioni strutturali. In
sintesi ciò è il risultato sia dei livelli di sviluppo economico
e di crisi conseguente, sia dei rapporti di forza che s'instaurano tra le classi
in interazione reciproca. Infatti la forma politico istituzionale del dominio
della borghesia riflette in ultima istanza, da un lato il grado di sviluppo
del capitale e, dall'altro, il livello di controrivoluzione nei confronti della
lotta di classe.
(2) - Le connessioni mafiose ed "illegali" con il potere non sono
un'escrescenza di un passato più o meno cessato, ma sono connaturate
alla classe dominante.
(3) - Una caratteristica fondamentale del regime di monopolio è il controllo
della formazione dei prezzi, ciò permette di controllare l’oscillazione
dei prezzi, dovuta non solo alla legge della domanda e dell’offerta, ma
anche alla concorrenza. I nuovi settori (microelettronica), per la rapidità
con cui avviene l’approfondimento tecnologico, sono soggetti ad una riduzione
del valore delle merci, la quale si riflette sui prezzi, abbassandoli verticalmente.
La concorrenza non può non tenere conto del continuo abbassamento dei
tempi di produzione, ed innesca un processo di monopolio relativo a questo tipo
di concorrenza. La vasta introduzione delle nuove tecnologie in tutti gli altri
settori fa in modo che i settori sviluppati con il sistema della meccanizzazione
spinta, per mantenere quote di mercato, sono costretti ad una continua razionalizzazione
di tutti i fattori della produzione, specialmente quelli relativi al costo del
lavoro, dato che i mercati di questi settori sono saturi e richiedono una concorrenza
che si misuri al continuo abbassamento del costo di produzione (continua…)
(4) — La gerarchizzazione della catena imperialista vede gli USA come
potenza dominante per diversi motivi: prima e durante la guerra l’Europa
è il principale terreno di penetrazione del capitale finanziario USA
effettuato sia attraverso la presenza di società, sia attraverso i prestiti
di guerra. L’enorme potenziale produttivo che gli USA avevano sviluppato
durante il conflitto e che principalmente coinvolge l'industria pesante legata
alle commesse militari, se non si fosse tradotta in esportazione ed investimenti
esteri, si sarebbe risolta in una grave recessione economica. Si comprende così
come la rimozione delle barriere protezionistiche e doganali contenute negli
accordi GATT definitisi allora, rispondeva alla necessità d'impostare
una politica di penetrazione massiccia sia d'investimenti che esportazioni.
La politica dei crediti per la ricostruzione è tutta imperniata su tale
necessità e sulla necessità ovviamente che le aree d'influenza
fossero politicamente "stabili". Il piano Marshall risponde ad un
duplice scopo, da una parte al rafforzamento del capitale finanziario USA attraverso
la penetrazione economica, dall’altra, alle necessità politiche
di coesione dell'alleanza, coesione fondata soprattutto sulla rinascita della
Germania come polo forte dell’area europea; infatti la ricostruzione postbellica
viaggia di pari passo alla costruzione della NATO: questa organizzazione politico
militare si presenta come baluardo al blocco sovietico ottemperando nel contempo
alla funzione di stabilizzazione interna. Gli accordi commerciali e politici
postbellici sono un salto di qualità nella concertazione a livello internazionale.
La creazione della BM, del FMI, e gli accordi di Bretton Wood sono gli strumenti
che regolarizzano i flussi di capitali finanziari dal dopoguerra in poi. Questi
grandi accordi sul piano internazionale sanciscono il reale rapporto di forza
che le economie più forti imprimono nella dislocazione della divisione
internazionale del lavoro e dei mercati.
(5) — La relativa strutturazione in termini istituzionali che ha caratterizzato
lo Stato sociale è l'aspetto che ha maggiormente interagito con il campo
proletario, in quanto, rispetto all’antagonismo espresso, ha cercato di
smussare ed annientare gli aspetti più incompatibili della lotta di classe.
E’ proprio lo sviluppo di questo processo che delinea le caratteristiche
delle democrazie mature della catena imperialista, tenendo presente che questo
grado di maturazione è relativo al peso della lotta di classe e al peso
complessivo del blocco.
(6) — Il capitale per mantenere il saggio di profitto in presenza di aumenti
salariali (dati, per esempio, dalla maggior forza contrattuale) ha due modi
di rispondere: con la disoccupazione e/o l'inflazione, scaricando sui prezzi,
ovviamente in presenza di moneta cartacea.
(7) — La contraddittorietà sta nel fatto che si mette in competizione
con il settore privato.
(8) — L’enfasi che la BI mette nel concetto di "deindustrializzazione"
e, più in generale, in quello di “post—industriale"
maschera la necessità di avvalorare da un punto di vista oggettivo la
messa in crisi e la marginalità della produzione mistificando e spostando
l’attenzione verso il "mitico terziario”, ossia nella sfera
della circolazione; ma poiché la centralità della classe operaia
non è data dal suo numero nella produzione, ma dal fatto che produce
plusvalore, chiarisce l'impatto politico, il quale risponde alla necessità
di distruggere la base su cui poggia la centralità della classe operaia.
A questa operazione ideologica, oltre ai teorici borghesi, partecipano anche
i teorici sindacali per avvalorare le loro scelte forcaiole. Ma, al di là
della demagogia, la dimostrazione che è la produzione, la creazione di
plusvalore, il motore del MPC, sta nel fatto che le forme superiori dell’imperialismo
non fanno altro che acuire la contraddizione insita nel capitale.
(9) — Se è vero che negli USA la spesa per il bilancio della difesa
ha avuto un peso rilevante dalla guerra di Corea, non per questo ha assunto
una precisa collocazione di politica economica, e ciò perché in
termini generali il bellico si configura come volano solo in certe condizioni
storiche ben precise: una situazione economica di recessione generalizzata,
unita ad interventi che stimolano artificiosamente la ripresa e che hanno un
respiro sul medio periodo; il legame che lo sviluppo della tecnologia trova
storicamente con i settori ad alta composizione organica legati al bellico;
la situazione dei mercati che richiede una ridefinizione complessiva degli stessi.
PER QUESTO LA PRODUZIONE DI ARMI DI PER SÉ NON E’ UN VOLANO, LA
MERCE ARMA NON HA NULLA DI DIVERSO RISPETTO ALLE ALTRE MERCI RISPETTO ALLA SFERA
DELLA PRODUZIONE, DI PER SÉ NON HA UN VALORE INTRINSECO IN PIÙ.
PERCIO’ SAREBBE FARSI INGANNARE DALL’ASPETTO FENOMENICO CHE LA PRODUZIONE
HA QUANDO SI LEGA ALL’INTERVENTO STATALE.
(10) — Le controtendenze alla crisi costituite dalle politiche deflattive
e dalla restrizione dei mercati interni, pur avendo raggiunto l'obiettivo di
recuperare i margini di profitto necessari alla competitività sui mercati
internazionali, hanno prodotto degli effetti collaterali che, se prolungati
nel tempo, vanificherebbero le possibilità di reinvestire in termini
positivi i profitti, determinando un’inflazione degli stessi. Gli effetti
collaterali costituiti dalla restrizione della base produttiva e dall’eccesso
di capacità produttiva sono il problema su cui tutti gli economisti borghesi
cercano di dare una risposta nel medio periodo. E’ lo Stato che per primo
può farsi carico di misure idonee a tamponarli, delineando programmi
di politica economica generali tendenti ad assorbire la quota di disoccupazione
in eccesso e favorire un possibile allargamento della base produttiva attraverso
incentivi fiscali e finanziamenti agevolati alle industrie ma queste linee di
programma non possono esulare dai livelli di concertazione sul piano internazionale
(sempre relativi alle monete, alla circolazione di merci e di capitali) con
un piano comunitario che riguarda le similitudini della dinamica della crisi
in Europa, un piano complessivo del blocco occidentale che riguarda i livelli
d'interdipendenza dell’economia capitalistica, e questo con tutte le contraddizioni
che ne possono scaturire (protezionismo USA, impossibilità ad allargare
nei termini dovuti la base produttiva). Queste tendenze di politica economica,
nella loro estensione innescano un’ulteriore contraddizione costituita
dal rigonfiamento artificiale dell’economia. Questo passaggio è
quello che in termini generali favorisce il ricorso allo specifico stimolo del
riarmo, tale stimolo per le sue caratteristiche economiche racchiude in sé
tutte le condizioni di una bancarotta finanziaria che, per le sue proporzioni,
coinvolge gli Stati che vi hanno fatto ricorso.