Biblioteca Multimediale Marxista
Tratto dal settimanale "L'Espresso"
Noi, brigatisti, raccontiamo che...
di MARIO SCIALOJA
Per la prima volta le Br parlano, con simile ampiezza, dei loro propositi. S’intrattengono sul tema dei “pentiti” e sul caso di Aldo Moro. Fanno intravedere cosa vogliono in cambio della liberazione di D’Urso. Parlano della “crisi interna” alle stesse Br, rifiutano qualsiasi proposta di amnistia. E’ un’agghiacciante requisitoria
DOMANDA. Dopo Moro, D’Urso: non è un passo indietro rispetto al “livello strategico”? Come lo spiegate?
RISPOSTA. E perché mai? L’azione Moro era all’interno di una campagna d’attacco allo stato imperialista che cadeva in una fase di scontro diversa da quella attuale. L’azione Moro segnava allora il punto più alto di uno stadio della guerriglia: quello della propaganda armata. Si trattava ancora di radicare nella coscienza proletaria la necessità e la validità strategica della lotta armata. La cattura di D’Urso invece si colloca in una fase di scontro più avanzata in cui la parola d’ordine generale della guerriglia è: conquistare e organizzare le masse sul terreno della lotta armata per il comunismo.
D. Perché dite che la fase di scontro è più
avanzata?
R. La profondità della crisi imperialista ha messo in evidenza la totale
estraneità dell’interesse proletario dalle esigenze capitalistiche.
La ristrutturazione ad ogni livello che sta avvenendo in Italia, spinge interi
strati di classe sul terreno della lotta rivoluzionaria. Questo stato è
in grado di garantire solo disoccupazione, supersfruttamento, miseria e galera.
I bisogni non solo strategici ma anche quelli immediati e materiali delle masse
operaie e proletarie in questo regime vengono inesorabilmente e violentemente
schiacciati e annullati da un sistema di potere che non ha più nulla
da offrire, impegnato solo a conservare se stesso. La lotta che le masse operaie
e proletarie sviluppano per il soddisfacimento dei bisogni immediati, diventa
di ratto scontro di potere. E questo cambia tutto.
D. Ma le vicende Fiat non starebbero a dimostrare il contrario?
R. La lotta Fiat ha espresso a livello spontaneo e di massa contenuti autonomi
e di potere che non segnano affatto la fine di un ciclo e delle sue illusioni;
ma, all’opposto, l’inizio di un nuovo ciclo di lotte, covato in
tutti questi ultimi dieci anni, per quanto lungo possa essere, per quanto difficili
possano apparire all’inizio le sue condizioni di sviluppo. Per la prima
volta nella storia recente della lotta di classe in Italia, l’antagonismo
proletario non si è espresso in un rivendicazionismo che giocava al rialzo
rispetto alle piattaforme sindacali, ma in obiettivi di potere contro un progetto
di annientamento politico, in una difesa del posto di lavoro che esaltava l’unità
di classe, in un’autonomia di classe che si è tradotta in scontro
di massa contro sindacati e revisionisti, anche dove costoro hanno tentato di
cavalcare la tigre per ucciderla meglio. Solo la grande arretratezza che ancora
dobbiamo registrare nelle forze rivoluzionarie non ha permesso che già
da subito si sedimentassero gli strumenti organizzativi che potevano guidare
lo scontro di potere che oppone la classe operaia Fiat al padronato.
D. In poche parole, voi dite che le masse sono pronte a fare la rivoluzione?
R. ‘Non siamo così ingenui. Diciamo che esistono oggi le condizioni
oggettive e soggettive perché si determini un passaggio decisivo verso
la guerra civile per il comunismo. Esistono cioè le condizioni perché
dal movimento di massa, che lotta contro la ristrutturazione, nascano e si consolidino
organismi di massa rivoluzionari che insieme al Partito Comunista Combattente
costituiscono una determinazione fondamentale del potere proletario armato.
E’ questo essenzialmente che costituisce il cambiamento di fase di cui
parlavamo. La nostra linea politica deve quindi svilupparsi in questa direzione
e farsi carico di tutti i problemi che la costruzione del potere proletario
armato pone sul tappeto.
D. Questo significa forse che intendete in qualche modo strumentalizzare le
tensioni sociali e cavalcare la tigre dei movimenti spontanei?
R. L’esatto contrario. Non si tratta di rincorrere ogni esplosione di
rabbia proletaria, ma di comprendere che queste sono il prodotto di profonde
cause oggettive, che trovano la loro origine nel fatto che il sistema capitalistico
è storicamente superato. Si tratta quindi di cominciare a costruire la
sua alternativa. A partire dalle tensioni fortemente presenti nei vari strati
proletari, dai contenuti delle sue lotte, occorre favorire la definizione dei
“programmi immediati” su cui estendere la mobilitazione, contribuire
all’affermazione ed al consolidamento degli organismi rivoluzionari che
ne sono i promotori.
D. Ma queste non assomigliano alle tesi dell’autonomia che avete finora
condannato?
R. Neanche un po’. Infatti il ruolo del Partito Comunista Combattente
non scompare per dissolversi nella spontaneità; anzi acquista ancora
più valore perché rispetto ai programmi immediati e agli organismi
di massa rivoluzionari, il Partito deve ancor più rappresentare il punto
di riferimento generale. Deve essere portatore del
programma generale di transizione al comunismo, saperlo dialettizzare con i
momenti particolari espressi dalla lotta dei vari strati operai e proletari.
L’iniziativa di partito in questo senso è essenziale per riunificare
politicamente il proletariato. Come si vede non c’è un cambiamento
della nostra linea strategica, ma un suo adeguamento alle nuove formidabili
condizioni che schiudono grandi possibilità di costruzione del potere
proletario armato.
D. Che c’entra tutto questo con il sequestro D’Urso?
R. Che cosa c'entra lo saprebbero spiegare benissimo i proletari prigionieri.
C’è una realtà che la propaganda di regime mistifica o nasconde.
La crisi ha dilatato la fascia proletaria espulsa dal processo produttivo, relegata
ad una condizione di stabile emarginazione, priva di reddito che ha nella extralegalità
l’unica possibilità di sopravvivenza. La scomposizione di classe
operata dalla borghesia sulla pelle di centinaia di migliaia di proletari ha
il suo punto di forza militare nel carcere imperialista. Non solo ma l’attacco
micidiale scatenato da Agnelli ed i suoi accoliti alla classe operaia occupata
dovrebbe passare con l’incarcerazione e la distruzione delle avanguardie
operaie e proletarie. Le cifre parlano chiaro: più di 35.000 sono i proletari
incarcerati e più di 3.000 i compagni nei campi di concentramento.
D. Volete dire che non esiste la figura del criminale comune e del prigioniero
politico?
R. Di criminali in questa società conosciamo solo la banda democristiana
e le belve di regime. I proletari incarcerati fanno parte a pieno titolo del
proletariato metropolitano, e nella loro stragrande maggioranza hanno identificato
nella lotta per il comunismo il loro interesse di classe. Ciò è
dimostrato dal fatto che la criminale politica carceraria non ha avuto successo
grazie proprio alla loro iniziativa di lotta; alla grande mobilitazione che
hanno saputo realizzare sul programma lanciato dai comitati di lotta dentro
le carceri. Il carcere imperialista è sì un punto di forza militare
per la borghesia, ma si anche rivelato un momento di ricomposizione politica
del proletariato e questo ha un enorme valore nel complesso dei rapporti di
forza tra rivoluzione e controrivoluzione.
D. Ancora non avete spiegato cosa c’entra D’Urso.
R. Se in questo momento il carcere è lo strumento fondamentale della
controrivoluzione preventiva, attaccare i vertici del Ministero di Grazia e
Giustizia che lo fanno funzionare è attaccare il “cuore dello stato”.
Aver ‘catturato D’Urso è già un grosso successo politico
che disarticola il progetto nemico. ‘Ma di per sé sarebbe insufficiente
se questa azione di guerriglia non fosse stata in stretta dialettica con il
movimento dei proletari prigionieri e in sintonia con gli obiettivi del programma
immediato dei comitati di lotta.
D. Con il sequestro D’Urso che obiettivi vi siete proposti?
R. Essenzialmente due obiettivi. Innanzitutto sferrare un colpo alla strategia
dell’annientamento proletario di cui lo stato imperialista è portatore
e di inchiodare alle sue responsabilità un maiale che dal Ministero di
Grazia e Giustizia impartiva gli ordini agli aguzzini carcerieri. In secondo
luogo — ma ugualmente importante — è un’iniziativa
di partito che vuole aprire nuovi spazi politici al movimento dei proletari
prigionieri e ai suoi organismi; dargli quella voce che si è conquistata
con mille iniziative, contribuire concretamente al perseguimento degli obiettivi
della sua lotta.
D. Come era stato per Moro, avevate studiato la possibilità alternativa
al sequestro di altri personaggi al posto di D’Urso?
R. Di alternative ce ne sono sempre parecchie. Tante quante sono gli uomini
e le strutture di questo regime. Prima o poi il potere proletario armato si
occuperà di tutti. Per la guerriglia si tratta di individuare in una
precisa congiuntura politica dove sta ‘il cuore del progetto controrivoluzionario'
e lì sferrare i suoi colpi. Così è stato fatto per Moro
e così per D’Urso.
D.. In cambio della vita di D’Urso cosa chiedete esattamente?
R. Noi non chiediamo nulla. Non abbiamo niente da chiedere a questo regime.
I nostri obiettivi strategici sono chiari da anni: ‘distruzione' di tutte
le carceri e libertà per tutti i proletari ‘prigionieri‘.
Quanto si riesce a conquistare tatticamente all’interno di questi obiettivi
è determinato solo dai rapporti di forza complessivi che il movimento
rivoluzionario è in grado di stabilire. Mentre noi questi rapporti sappiamo
valutarli correttamente, non ci sembra che questo regime sappia fare altrettanto.
Ma forse questo è un segno della crisi in cui la borghesia si dibatte
e si ostina a non voler capire che la guerra è fatta di battaglie vinte
e battaglie perse, e che questa l’ha persa.
D. Come si sta comportando D’Urso?
R. Ottimamente. Collabora con la giustizia proletaria. Oltre a confermare i
termini con cui hanno progettato l'annientamento carcerario, ci ha indicato
tutti i suoi collaboratori vicini e lontani.
D. Quanto durerà il sequestro D’Urso?
R. Noi siamo contrari ad ogni prigione anche a quelle in cui siamo costretti
a rinchiudere i nemici del popolo. Quindi D’Urso ci resterà solo
il tempo necessario per processarlo, per mettere in chiaro le sue responsabilità,
perché possa essere emesso un giudizio secondo la giustizia proletaria.
D. Il fatto di aver rapito una persona senza scorta significa che avete ‘voluto
evitare i morti o che non eravate in grado di rischiare uno scontro “militare”?
R. Né l’uno né l’altro. I criteri, come abbiamo già
spiegato, con cui la guerriglia attacca sono politici. Il livello militare della
forza da mettere in campo viene di conseguenza, e crediamo che sia ampiamente
dimostrato che non esiste obiettivo, per quanto protetto, scortato e difeso,
che non sia raggiungibile.
D. Secondo voi perché nel giro di pochi mesi, dopo anni di “tenuta”,
militanti come Fioroni, Peci, Viscardi, e, a quanto pare anche vari brigatisti
di Genova, si tono messi a parlare?
R. Qui bisogna fare una distinzione perché la controguerriglia psicologica
su questa questione ha pescato a piene mani. Ha creato innanzitutto un personaggio
inesistente: “il terrorista pentito”. Di pentimenti non se ne sono
visti né pochi né tanti. E’ accaduto invece che alcuni individui
che hanno vissuto per anni parassitariamente sul movimento rivoluzionario, hanno
creduto di fare il loro interesse arruolandosi nei Carabinieri. In questo nuovo
ruolo è chiaro che hanno cercato di acquisire dei meriti tra gli sbirri,
col risultato di far ammazzare numerosi compagni e di farne arrestare molti
altri. Questi vermi non hanno fatto altro che “confessare” ciò
che serviva a questo regime per mandare in galera centinaia di compagni. Costoro
sono delle tragiche marionette a cui anche la giustizia proletaria faticherà
a dare un minimo di dignità umana. Sono pochi ma abbastanza perché
il prezzo pagato dal movimento rivoluzionario per non averli saputi riconoscere
per tempo, è molto alto. Una critica in questo senso è già
stata fatta e per quanto ci concerne abbiamo già saputo correggere ed
adeguare al nuovo livello di scontro le discriminanti politiche che selezionano
i nostri militanti. Diverso invece è il caso di altri compagni che sotto
l’interrogatorio, sotto tortura hanno ammesso la loro partecipazione ad
azioni di guerriglia. E’ stato questo un comportamento molto sbagliato,
determinato da poca chiarezza che ha finito per coinvolgere altri compagni.
Neanche qui si tratta di pentimento ma di incapacità di alcuni dl comprendere
le nuove condizioni dello scontro di classe, i livelli di repressione dello
stato imperialista. Anche se ciascuno ha le sue responsabilità, il problema
è essenzialmente di fare chiarezza. L’una cosa e l’altra
spettano al movimento rivoluzionario che ha ‘sempre saputo distinguere
tra le debolezze che fanno parte della sua crescita e i suoi nemici.
D. Ma non si tratta più di alcune crisi individuali:
come fate ad escludere che si tratti del fallimento di una linea politica?
R. Quelle che sono entrate in crisi sono state le linee spontaneiste e militariste
e con esse quelle frange che facevano riferimento alla lotta armata, che non
hanno saputo comprendere le mutate condizioni dello scontro. Infatti chi aveva
considerato la lotta armata come una forma di lotta più radicale di altre,
anziché una strategia di lungo periodo, di fronte alla virulenza della
controffensiva del regime si è trovato politicamente disarmato ed ha
finito così per confondere la propria sconfitta con quella del movimento
rivoluzionario. E questo proprio quando la lotta armata ha esteso la sua influenza
su ampi strati di proletariato e si apre storicamente la possibilità
di un nuovo grande salto in avanti dell’organizzazione del potere proletario.
E’ necessario però che la guerriglia si misuri con i problemi che
comporta l’organizzazione delle masse sul terreno della lotta armata.
Il Partito Comunista Combattente dimostrerà di essere tale principalmente
nella capacità che avrà di assolvere a questo compito. Oggi solo
chi non sa vedere questa necessità è in crisi profonda.
D. Negate che vi sia una crisi delle Brigate Rosse?
R. Le Br già nella Direzione strategica del ‘78 avevano colto le
novità che contraddistinguono la fase attuale. Nonostante ciò
abbiamo avuto un certo ritardo nello spingere a fondo la critica e nell’assumere
pienamente i compiti che il movimento di classe ci poneva. Ad esempio, con un
certo ritardo, dopo la campagna di primavera, abbiamo capito che superare la
fase della propaganda armata pura e semplice, voleva dire assumere il difficile
compito di agire nei diversi strati di classe per dare concretezza di programma
alle spinte rivoluzionarie in esse presenti e su questo programma determinare
il salto di qualità dell’organizzazione delle masse. Un grande
dibattito che si è svolto negli ultimi mesi, dentro e fuori l’Organizzazione,
ha portato oggi ad una grande chiarezza ed ha consentito di fissare nella Direzione
Strategica dell’ottobre ‘80 le linee fondamentali della evoluzione
politica che era necessaria.
D. Come mai è stato reso pubblico il contrasto tra la vostra Direzione
Strategica e la colonna Walter Alasia? Il contrasto dura ancora? La Walter Alasia
ha partecipato al sequestro D’Urso?
R. Il dibattito politico delle Br non è mai stato segreto; è stato
pubblico ed ha coinvolto, oltre che, ovviamente, le strutture della nostra Organizzazione,
l’intero movimento rivoluzionario. Il peggior nemico con cui abbiamo dovuto
fare i conti in questo periodo è stato una tendenza opportunista che
ha percorso tutto il movimento della lotta armata e che aveva trovato qualche
seguace anche nella nostra Organizzazione. Sconfiggere questo nemico era indispensabile
per raggiungere una nuova e forte unità. Averlo fatto con chiarezza è
stato necessario per dare un nuovo impulso all’intero movimento, Nella
colonna Walter Alasia — che per storia e tradizione di lotta è
tra le più valorose della nostra Organizzazione —qualche compagno
ha voluto insistere su pratiche militariste e su una concezione sbagliata della
lotta armata. E quindi se n’è andato per la sua strada. Questi
compagni non hanno più niente a che fare con la nostra Organizzazione
né con la colonna Walter Alasia, anche se la loro confusione li porta
sovente ad atteggiamenti scioccamente provocatori. La colonna Walter Alasia
saprà fare chiarezza anche su questo, senza tolleranze nei confronti
delle linee sbagliate e con la massima apertura verso i sinceri rivoluzionari.
D. In alcuni vostri documenti avete denunciato il fatto che
dei “militanti rivoluzionari” catturati sono stati sottoposti a
tortura: avete delle prove precise e degli episodi da raccontare?
R. Non si tratta più di episodi, ma di metodo diffuso adottato dagli
sbirri di questo regime. Praticamente ogni compagno catturato viene portato
incappucciato in un luogo segreto e sottoposto a sevizie di ogni genere. Non
c’è da stupirsi poiché le leggi speciali di Cossiga sancivano
proprio questo: la libertà dei Carabinieri e della DIGOS di avere i militanti
rivoluzionari catturati alla loro mercé per almeno quattro giorni. E’
equivalso alla legalizzazione della tortura. Un caso per tutti, l’ultimo
in ordine di tempo: il compagno Maurizio Iannelli subito dopo la cattura è
stato portato incappucciato in un appartamento segreto e seviziato per due giorni.
Solo per il suo comportamento coraggioso è stato possibile denunciare
immediatamente questo fatto che per altro la stampa di regime si è affrettata
a mascherare secondo le veline governative.
D. Col senno di poi, la decisione di “giustiziare”
Moro si è rivelata per voi un errore?
R. Il fatto stesso che ci venga posta questa domanda a quasi tre anni da quella
battaglia, dà già la risposta. Se dopo quasi tre anni le lacerazioni
apertesi nel gruppo di potere imperialista non si sono ancora ricomposte, non
vediamo quale altra azione di guerriglia avrebbe potuto ottenere un successo
maggiore.
D. Perché non avete detto niente sull’accusa mossa ad alcuni arrestati
del “7 aprile” di essere membri della vostra Direzione Strategica?
R. Ci sono stati gli arrestati del 7 aprile, dell’8 aprile, del 9 aprile...
Ogni giorno gli sbirri dei corpi speciali arrestano decine di compagni. Perché
questa è l’essenza della strategia dello stato imperialista: annientare
l’intero movimento rivoluzionario. E’ questa linea che le Br sono
mobilitate a sconfiggere creando l’alternativa del potere proletario armato.
Mettersi a discutere con qualche giudice imbecille e forcaiolo non è
proprio la nostra linea politica. Per capire il rapporto che ci lega alla magistratura
basta ricordare i nomi dei giudici che abbiamo giustiziato.
D. Come giudicate i “terroristi pentiti” e come mai su questo problema
non sembra abbiate dedicato molta attenzione?
R. Non è vero che non gli abbiamo dedicato molta attenzione. Abbiamo
già detto che “il terrorista pentito” non esiste, è
un’invenzione della propaganda di regime. Per quanto riguarda le spie
ed i venduti l’attenzione che gli abbiamo dedicato è quella destinata
solitamente ai pidocchi: quando li si scova li si schiaccia. La sorte che ad
essi tocca è già stata indicata, senza equivoci nel carcere di
Nuoro, alle Nuove... D’altronde, d’ora in avanti. costoro avranno
paura persino della loro ombra, perché è fuori di dubbio che sono
solo dei cadaveri ambulanti.
D. E’ vero che in seguito alle sconfitte di Prima linea e di altre formazioni
minori molti militanti sono confluiti nelle Br?
R. L’esperienza del movimento rivoluzionario in questi anni si è
concretizzata in molteplici forme organizzate che hanno espresso in modo parziale
aspirazioni, bisogni ed esigenze che provengono dalle diverse componenti del
proletariato metropolitano. Per fare un esempio ricordiamo ciò che è
stata l’esperienza dei NAP e cosa ha rappresentato per il proletariato
prigioniero. Chi lavora per costruire il Partito deve saper ricondurre i momenti
parziali in un grande disegno unitario. E’ questo quello che le Br hanno
sempre fatto.
D. Cosa pensate degli appelli alla diserzione che arrivano anche dall’interno
del partito armato?
R. Alcuni giovani rampolli della borghesia, in tempi recenti, si sono presi
una vacanza ed hanno creduto di poter giocare con la guerra di classe. Oggi
che lo scontro tra la borghesia e il proletariato si pone in tutta la sua durezza,
proprio perché esistono le condizioni di una grande avanzata rivoluzionaria,
la borghesia si ripiglia i suoi figli. Noi vorremmo disertare dalla catena di
montaggio, dai lavori nocivi e spesso mortali, dalla disoccupazione, dall’emarginazione
dei quartieri-ghetto, dalla ferocia dell’alienazione di questa società.
Ma non ci è possibile farlo piagnucolando con i nostri papà. Per
liberarci da questa miseria dobbiamo combattere, liquidare questo regime, costruire
una società comunista. Disertare dunque? Non scherziamo, abbiamo appena
cominciato.
D. C’è chi ha avanzato delle proposte di amnistia: secondo voi
un’amnistia potrebbe servire ad arginare la spirale della violenza e a
rendere meno “barbaro” lo scontro?
R. L’imperialismo punta allo sterminio, ai campi di concentramento, per
avere una qualche possibilità di sopravvivenza. E’ questo regime
che è barbaro e violento; è la banda democristiana e i suoi lacchè
che è sanguinaria. Ci riesce impossibile immaginare una società
pacificata finché costoro esisteranno sulla faccia della terra.
D. Come facevate a conoscere l’itinerario che Moro avrebbe seguito uscendo
da casa il 16 marzo? C’è chi è convinto che abbiate avuto
un basista (volontario o involontario) presso la sua famiglia (o gli amici):
potete dirne qualcosa?
R. Dopo dieci anni che esistono le Br non avete ancora capito che l’intelligenza
proletaria e l’organizzazione della guerriglia può arrivare dove
vuole. E’ solo una questione di volontà politica e di avere una
concezione dell’organizzazione adeguata ai tempi della rivoluzione proletaria
nelle metropoli imperialiste. Per preparare, eseguire l’azione Moro ci
siamo serviti, come sempre, solamente di queste armi.
D. Pensavate davvero di poter liberare Moro vivo? Alla fine dei 55 giorni, in
cambio di che cosa ciò sarebbe potuto avvenire?
R. Siete così abituati a costruire verità di regime che ormai
siete prigionieri delle vostre stesse mistificazioni. Ci sono ben 9 comunicati
di quel periodo, semplici e chiari che ponevano la questione dei prigionieri
comunisti chiedendo la liberazione di alcuni di essi. Una risposta positiva
che avesse dato la libertà ad alcuni compagni, dicevamo che avrebbe senza
dubbio liberato il nostro prigioniero.
D. Come mai Moro, nelle sue lettere, non ha mai nominato gli uomini della sua
scorta uccisi?
R. Perché, evidentemente, non gliene fregava niente.
D. E’ vero che i brigatisti che avevano in mano Moro hanno ritardato di
48 ore l’esecuzione?
R. No.
D. E’ stato comunicato a Moro che sarebbe stato ucciso? Come ha reagito?
R. Sì, gli è stato comunicato. La sua reazione la potete leggere nei suoi memoriali che abbiamo reso pubblici. Proprio perché democristiano conosceva bene i suoi “amici” di partito e non aveva dubbi a chi attribuire la responsabilità effettiva del fatto che noi non avremmo sospeso la sentenza.
D. E’ vero che per sospendere la condanna a morte di Moro sarebbe bastata una dichiarazione di Fanfani sulla disponibilità della DC ad aprire le trattative?
R. Il problema che avevamo sollevato era quello dei prigionieri. Era un problema politico che i caporioni di questo regime, terrorizzati non hanno voluto affrontare. Hanno creduto di poter cancellare un problema semplicemente negando che esistesse. Se si tiene conto che le forze rivoluzionarie ritengono centrale questa questione — e la cattura di D’Urso lo dimostra — si vede come l’immobilismo, la “non lirica” suggerita dagli specialisti americani agli ottusi democristiani, non ha certo favorito soluzioni diverse da quelle che abbiamo adottato.
D. Si dice che, su indicazione di Moro, qualche suo collaboratore vi abbia consegnato dei documenti presi dal suo archivio e che comprovavano delle notizie che lui aveva fornito: è ‘vero? ‘Di quali documenti si tratta?
R. Non abbiamo avuto rapporti di alcun genere con chicchessia. In quanto ai documenti, ci bastavano quelli che avevamo preso al momento della sua cattura.
D. Ci sono state lettere che Moro ha scritto, o voleva scrivere e’ che voi non avete approvato o avete distrutto?
R. No. Tutto quanto ha scritto è stato reso pubblico. E ci sembra sia abbastanza.
D. Come è andata veramente la storia dell’appartamento
di via Gradoli?
R. E’ stato un banale incidente, uno scarico era marcio e c‘è
stata una perdita d’acqua. Perché mai ci si vuole vedere chissà
quale retroscena, come se non si sapesse di che cosa sono capaci i palazzinari
romani.
D. Molti (da Zaccagnini a Berlinguer, a Pecchioli...) affermano che le Br sono “dirette”, o comunque aiutate, da qualche servizio segreto straniero: che potete rispondere?
R. Questi egregi signori non dovrebbero far altro che dire
esattamente di che si tratta, e dimostrare che non è solo frutto della
loro fantasia bacata. A noi risulta che i servizi segreti e gli sgherri di ogni
tipo sono il loro strumento privilegiato da usare contro i proletari. Pur di
negare una realtà che non li fa dormire, hanno costruito la favoletta
del complotto straniero, e delle oscure manovre. Ma a crederci ormai sono rimasti
soltanto loro e qualche pennivendolo di regime. La guerra proletaria cresce
e non si preoccupa molto delle loro stupidaggini.
D. E’ vero che parecchie armi ve le forniscono i palestinesi dell'OLP?
In cambio di cosa?
R. Noi crediamo che nell’epoca della guerra proletaria antimperialista
debba rinascere un nuovo internazionalismo proletario; un internazionalismo
fatto di solidarietà concreta, di aiuto militante, di sostegno politico
tra le forze che, nella lotta di liberazione dei popoli contro l’oppressione
imperialista, combattono per il comunismo. La retorica revisionista sa concepire
soltanto rapporti di pura convenienza e di squallida e vile strumentalizzazione
dei movimenti antimperialisti. Non è così per noi. La nostra solidarietà
al fianco del popolo palestinese in lotta contro l’imperialismo sionista
è piena e incondizionata. Non saranno certo le calunnie di chi questa
lotta l’ha solo strumentalizzata che ci faranno cambiare idea.
D. Avete rapporti, o contatti, con dei quadri di base del PCI che non condividono
la linea del partito?
R. Il PCI sta percorrendo ormai le ultime tappe di un irreversibile processo
di identificazione con gli interessi della borghesia. Ad esso la borghesia ha
assegnato il ruolo di essere lo Stato dentro la classe operaia. In questo ruolo
i berlingueriani ci si trovano completamente a loro agio. E’ evidente
che questa funzione controrivoluzionaria produce contraddizioni al suo interno,
ma la falsa coscienza di quei proletari che ancora hanno in tasca la tessera
del partito di Berlinguer, non può che trasformarsi nella consapevolezza
che devono uscirne. La nostra strategia è di conquistare ogni proletario,
ogni operaio, alla linea rivoluzionaria della lotta armata per il comunismo
e di organizzarlo negli organismi che costituiscono il sistema del potere proletario
armato. In questo lungo processo anche le frange più arretrate del movimento
operaio sapranno prima o poi riconoscere i loro interessi di classe.
D. Come potete definire l’estrazione politico-sociale dei vostri militanti di recente acquisizione?
R. Quella di sempre. Le nostre radici sono nel proletariato metropolitano ed i nostri quadri provengono dalla sua avanguardia. Il problema della centralità operaia non è sociologico ma politico. Vuol dire che è intorno all’interesse della classe operaia che si organizzano tutti gli altri strati del proletariato. Ma non è neanche un problema metafisico o idealistico e pertanto i compagni delle Br sono prevalentemente operai.
D. Avete avuto dei contatti politici (o altro) con l’Albania?
R. No.
D. Cosa pensate del comunismo in URSS ed in Cina? Per la futura società per la quale dite di battervi avete in mente un modello già realizzato, o descritto?
R. Le questioni dell’edificazione di una società comunista non sono questioni da poco e sulle quali è lecito pontificare come se si trattasse di esperimenti di laboratorio e non di un movimento che riguarda miliardi di uomini in tutto il mondo. I nostri riferimenti sono e rimangono il marxismo-leninismo e la rivoluzione culturale cinese. Siamo abituati a considerare il comunismo non come un modello, ma come un lungo processo di dimensioni planetarie, che non consente sogni immaginifici ma richiede risposte storicamente valide. Ciò non toglie che siamo fermamente convinti che chi fa una politica espansionista e di oppressione della libertà dei popoli, qualunque sia il nome che si dà, appartiene alla schiera degli imperialisti.
D. A questo punto credete ancora di poter suscitare un movimento insurrezionale in Italia attraverso la violenza politica?
R. Non abbiamo mai pensato ad una esplosione insurrezionalista.
Crediamo invece nella possibilità storica di costruire un sistema di
potere proletario armato attraverso un processo di lunga durata. L’accumulo
della forza proletaria attraverso 1’ organizzazione politico-militare
delle due determinazioni fondamentali, il Partito Comunista Combattente e gli
organismi di massa rivoluzionari, attraverserà un’intera fase storica.
Non c’è dubbio che questo non avviene linearmente, ma per salti
dialettici e che in definitiva il pieno dispiegamento della guerra rivoluzionaria
distruggerà lo stato borghese e costruirà la società comunista.
Questa per noi non è solo una speranza, ma una certezza che si alimenta
delle ragioni e delle aspirazioni del proletariato.
D. Il vostro ex capo colonna Riccardo Dura, secondo la testimonianza di alcuni
“pentiti” genovesi, adoperava con i suoi uomini dei metodi estremamente
duri e ricattatori: quello che si è detto è vero? Che ne pensate?
R. Questa è la più schifosa e vigliacca delle invenzioni della controguerriglia psicologica. Roberto è Stato un grande dirigente della nostra Organizzazione, amato e stimato come pochi altri. Con la sua umanità, con la sua capacità di vivere da comunista insieme agli altri, con la sua solidarietà verso i compagni nei momenti più difficili ci ha dato più di quanto i pennivendoli di regime riusciranno mai a capire. Siamo orgogliosi di averlo avuto accanto in questi anni così come sentiamo nostri fratelli tutti i compagni caduti per il comunismo.
D. L’uccisione di proletari, semplici uomini al di fuori dei giochi di potere, non vi crea problemi di coscienza o, forse, di coerenza ideologica?
R. Quando mai le Br hanno colpito dei proletari innocenti? Questo non è accaduto mai, neanche per sbaglio. Se poi ci si riferisce ai mercenari in divisa che hanno venduto la loro identità di classe alla borghesia ed ai suoi interessi, tradendo così le loro origini, e si sono trasformati in feroci assassini del proletariato, crediamo che nei loro confronti non bisogna avere nessuna pietà. A loro abbiamo già detto che devono cambiare mestiere. Non abbiamo che da ripetere questo consiglio.
D, Il “soldato” Dalla Chiesa vi sembra un rivale
abile e pericoloso: insomma un nemico degno di stima?
R. No, è solo uno sbirro al quale hanno dato? il massimo del potere.
MARIO SCIALOJA