Biblioteca Multimediale Marxista
Da qualche tempo si va sostenendo di aver raggiunto vittorie
significative nella lotta al terrorismo e ciò è anche confortato dal
susseguirsi del “pentiti”. Come mai si è potuto arrivare a tanto, mentre
la guerriglia rivoluzionaria metropolitana si estende in più direzioni?
Ciò che nel movimento rivoluzionario è stato sconfitto, e si avvia
a una ingloriosa morte, non è la proposta strategica della guerriglia metropolitana,
bensì le interpretazioni e le varianti soggettiviste, militariste e organizzativistiche
della lotta armata per il comunismo, ultimo riflesso della crisi mortale che
attanaglia la piccola borghesia. C’è stato un profondo processo di critica
di tali posizioni errate e di rettifica della linea politica che si è proiettato
sin nell’organizzazione. Il processo di chiarimento politico nell’organizzazione
ha avuto il suo punto di arrivo nella definizione delle tesi politiche affermate
nella Risoluzione della Direzione Strategica dell’ottobre 1981. È la chiarezza
sulla linea strategica della costruzione del Partito Comunista Combattente e
degli organi di massa rivoluzionari che ha consentito all’organizzazione di
essere all’offensiva. La D.S. ’80 in questo senso, è stato il punto di
arrivo della critica alle tendenze erronee, ma anche il punto di partenza per
un possente sviluppo del processo rivoluzionario nel nostro Paese. Nel divenire
di questo processo l’organizzazione si colloca ala testa di tutto il proletariato
metropolitano.
Se la D.S. ’80 assume tale importanza per l’analisi degli errori e per nuovi
processi di lotta, qual è il suo reale collegamento con la campagna D’Urso?
Da un lato la campagna D’Urso ha tradotto in prassi la linea strategica della
D.S. ’80; dall’altro ha indicato e sviluppato la sostanza dell’agire da partito
in questa congiuntura. Si può perciò dire che essa ha rappresentato
un punto di non ritorno sul piano strategico-tattico, teorico-pratico, politico-militare.
E ciò per il fatto che ha posto al centro dell’iniziativa guerrigliera
il procedere per campagne. È nel procedere per campagne che si può
trovare un’adeguata soluzione e rapporto partito-masse e, dunque, darsi l’elaborazione,
l’applicazione, la verifica e lo sviluppo di una corretta linea di massa. È
soltanto nel procedere per campagne che può trovare un’adeguata soluzione
il rapporto del partito con l’avanguardia di tutto il proletariato metropolitano
e, dunque, concretizzarsi un profondo e capillare lavoro di massa dell’organizzazione.
Qual è, allora, il modo di disarticolare lo Stato imperialista?
Innanzitutto non vi può essere disarticolazione senza organizzazione delle
masse sul terreno della lotta armata per il comunismo. Non vi può essere
propaganda del programma prima e organizzazione e armamento delle masse dopo;
è nella dialettica linea di massa-lavoro di massa che deve trovare soluzione
e sviluppo la stessa disarticolazione dello Stato imperialista.
Allora, la proposta strategica dell’organizzazione delle Br, come affermata
dalla D.S. ’80, è animata da una doppia dialettica: conquistare le masse
alla lotta armata per il comunismo e colpire al cuore dello Stato.
Questa doppia dialettica deve vivere organicamente in ogni campagna. Diversamente
operando, a loro avviso, si cade nel bieco militarismo e stolido organizzativismo.
Sancendo, da un lato, un’esternalità abissale rispetto alle masse e ai
loro bisogni politici immediati; dall’altro, una sfasatura incolmabile rispetto
al cuore dello Stato. Non si può, dicono, ad esempio ritenere possibile
disarticolare il cuore della ristrutturazione capitalistica del mercato del
lavoro, attaccando il lavoro nero; né si possono costituire e sviluppare
gli organismi di massa rivoluzionari all’interno del proletariato marginale
ed extra legale intorno a una linea semplicemente disarticolante, senza porsi
in dialettica attiva e trasformatrice con i contenuti reali di potere espressi
dalla mobilitazione di massa, per delimitare il terreno di formulazione-fissazione
del programma immediato in rapporto di continuità e trasformazione col
programma generale di transizione al comunismo.
In pratica, com’è possibile organizzare la classe operaia per questi fini?
È velleitario ed errato, a loro dire, ritenere possibile organizzare la
classe operaia sul terreno della lotta armata per il comunismo agitando semplicemente
un programma propagandistico che rimanda indefinitivamente la soluzione del
problema cruciale della definizione dei programmi immediati e dell’attivazione
di tutte le determinazioni del sistema del potere proletario armato.
Il procedere per campagne contiene specificità e originalità oppure
è un modello organizzativo indifferenziato?
Non è un modello organizzativo indifferenziatamente e in maniera sempre
uguale applicabile tutti gli strati di classe. La campagna non è lo stereotipo
fossilizzato che mummifica la sostanza dell’agire da partito. Essa articola
la linea strategica entro strati di classe diversi. Ogni volta sviluppa in maniera
originale la linea strategica, saldandola alla specificità di ogni strato
di classe. In questa dialettica vive la traduzione, trasformazione, concretizzazione
e sviluppo del programma generale di transizione al comunismo in programmi immediati
specifici di potere. Intorno e dentro questa dialettica cresce e si rafforza
il partito e nascono e si sviluppano gli organismi di massa rivoluzionari. È
a questi principi e da questi problemi che può porsi e fondarsi una campagna
come atto di fondazione politica, quale si è sviluppato per la campagna
D’Urso; e così per la campagna Cirillo.
Sembra così di comprendere che attorno alla classe operaia ruoti questo
generale procedere per campagne e il processo di costruzione del partito.
Infatti lo sviluppo obbligato di linea strategica della campagna D’Urso è
porre al centro della pratica sociale dell’organizzazione la fondazione politico-militare
di una campagna di intervento all’interno della classe operaia. Si misura qui
la capacità, la possibilità e la necessità dell’organizzazione
di articolare la corretta linea di massa entro le diverse figure che compongono
la classe operaia. Come centralità operaia non vuol dire unidimensionalità
operaia dell’agire da partito, così l’intervento nella classe operaia non
può avere il carattere dell’unicità; così una campagna specifica
all’interno della classe operaia deve tenere in conto la peculiarità strutturale
di questo strato di classe centrale, le differenziazioni tra i diversi comparti
produttivi e le mille originali forme del processo di stratificazione-annientamento
prodotto dalla ristrutturazione in fabbrica.
La D.S. ’80 indica al centro della ristrutturazione imperialista nel nostro
Paese la Fiat.
Non solo le lotte della classe operaia Fiat sono al centro dello scontro di
classe nel Paese. L’autunno scorso è stato l’autunno della classe operaia
Fiat; un’altra e più poderosa stagione di lotte già si preannuncia.
È a partire di là, dunque, che si può e si deve articolare la
corretta linea di massa all’interno della classe operaia. Senza classe operaia
Fiat niente costruzione del Partito comunista combattente. “Senza Patto comunista
combattente niente rivoluzione”.
Quale sarebbe il significato della centralità della classe operaia nel
Sud?
Dalla dialettica sviluppo/sottosviluppo che azionerebbe il modo di produzione
capitalistico, “incuneato nelle aree del sottosviluppo”, risulterebbe modellata
la dinamica del rapporto tra le classi, rotando anche nel Sud attorno a due
poli: la classe operaia metropolitana e la borghesia imperialista. Di qui si
estenderebbe il ruolo di direzione politica del processo rivoluzionario esercitato
dalla classe operaia e si affermerebbe che la stessa deve dirigere tutto. Altra
conseguenza: la “questione meridionale” non esiste perché al Sud sono mature,
secondo loro, le condizioni del radicamento della guerriglia metropolitana e
matura sarebbe la prospettiva della guerra civile antimperialista che ruota
intorno alla classe operaia.
Lo slogan “sfondare la barriera del Sud” come si collega alla teoria della centralità
della classe operaia al Sud?
L’agire da partito, che nel Sud, parte dalla classe operaia che è figura
strategica su cui si fonda l’azione di sfondamento, ma non la esaurisce. Ciò
è tanto più vero nel caso del polo metropolitano napoletano, dove
una molteplicità e ricchezza di tensioni politiche sono costantemente in
ebollizione nel rigoglioso fluire delle contraddizioni di classe. Nel polo,
la doppia dialettica accumulazione-produzione/accumulazione-sovrapopolazione
relativa impone al partito una linea complessiva e un agire da definire con
estremo rigore per confrontarsi con la dinamica delle contraddizioni di classe
nel suo divenire storico e politico. Per cui tra prospettiva strategica e congiuntura
politica non esisterebbe un aspetto di unità immediato ma di relazione
dialettica di unità e opposizione. Spetta al partito individuare le posizioni
dominanti di strati di classe, aprendo una dialettica con le masse allo scopo
di interpretare e trasformare, al più alto livello di maturazione, la massima
collisione. La soluzione è nell’opera di mediazione tattica di congiuntura:
nel senso che al più alto livello di collisione e nella specificità
del polo metropolitano l’iniziativa guerrigliera si confronta e si riferisce
ai bisogni politici immediati. Pertanto, pur riconfermando che la classe operaia
è il fulcro del processo rivoluzionario, esisterebbero altre potenti leve
che si possono e debbono azionare per la costruzione del sistema del potere
proletario.
Forse siamo giunti al famoso salto di qualità della lotta armata. Quindi
saremmo in presenza di nuovi contenuti e nuovi metodi di lotta?
Affermo che nel variare delle congiunture e a seconda della specificità
di ogni polo metropolitano, ‘agire da partito si arricchisce costantemente,
radicandosi in estensione e profondità in sempre nuovi strati di classe.
Ecco perché, in questa congiuntura, ella specificità delle contraddizioni
di classe che attraverso il polo metropolitano napoletano, abbiamo messo al
centro del nostro intervento i bisogni politici del proletariato marginale ed
extralegale. Questi bisogni erano già centrali nella dialettica rivoluzione/controrivoluzione;
intorno a essi era possibile e necessario conquistare il programma immediato
di questo strato di classe e costruire gli organismi di massa rivoluzionari,
in dialettica col programma generale di transizione al comunismo. In tale modo
la prospettiva strategica del progetto rivoluzionario cresce e può vivere
già dentro tutta la congiuntura storica e politica.
La campagna Cirillo ha una sua originalità e specificità?
L’originalità della campagna Cirillo sarebbe data dal fatto che essa si
pone il compito di articolare la linea strategica dell’organizzazione e i contenuti
del programma generale di transizione al comunismo nel corpo del proletariato
marginale ed extralegale. La sua specificità sarebbe data dal fatto che
deve trasformare, ricomporre e organizzare i bisogni immediati del proletariato
marginale ed extralegale incanalandoli entro la costruzione del potere proletario
armato. La campagna Cirillo intenderebbe da un lato articolare i contenuti del
programma strategico in maniera originale; dall’altro recuperare le specifiche
tensioni di un ben delimitato strato di classe alle ragioni sociali della dittatura
proletaria per il comunismo. Il cartello Cirillo indica tutto ciò con estrema
chiarezza.
A proposito di cartello, potremmo individuarne i contenuti precisi?
È possibile fare una rilettura dei tre famosi punti richiamati nei documenti
finora pervenuti delle Br.
“Lavorare tutti, lavorare meno” - significherebbe fissare l’orizzonte strategico
in cui si muove il programma di potere: abolizione del lavoro salariato. Ciò
crea una dialettica organica e permanente, sul lungo periodo quanto sul breve,
col programma generale di transizione al comunismo; organizza e concentra, fin
da subito, la mobilitazione di massa contro i rapporti sociali dominanti. Far
vivere già oggi il rovesciamento di tali rapporti nelle forme necessarie
e possibili è una esigenza imprescindibile. In questa congiuntura la forma
di tale rovesciamento è data dall’emancipazione politica del sistema di
dominio imperialista, intorno ai contenuti del programma generale di transizione
al comunismo. Le conquiste del proletariato marginale ed extralegale debbono
essere parte integrante di tale emancipazione. Soltanto così esse possono
configurarsi come occupazione stabile e allargata di spazi di potere. Fuori
di questo orizzonte non restano che pii desideri e pratiche errate.
“Contro la ristrutturazione del mercato del lavoro sostenere le lotte del proletariato
marginale ed extralegale e costruire gli organismi di massa rivoluzionari” -
significherebbe articolare il contenuto del programma strategico nella specificità
del proletariato marginale ed extralegale. Tale articolazione stabilisce un
punto di sutura politica tra la disarticolazione dello stato imperialista e
l’organizzazione delle masse sul terreno della lotta armata per il comunismo.
E, di fatto, contro il controllo e la gestione capitalistica del mercato del
lavoro, le lotte offensive del proletariato marginale ed extralegale hanno affermato
nel polo metropolitano napoletano i massimi livelli di antagonismo e di esercizio
del potere proletario. In un inesauribile e poderoso ciclo di lotte, il proletariato
marginale ed extralegale ha fecondato e fatto crescere nel polo livelli di organizzazione
autonoma intorno a un programma di potere inconciliabile e irriducibile al dominio
dello stato imperialista tutto concentrato sui propri bisogni politici imperiali.
È patrimonio storico di queste lotte che l’organizzazione nel polo ha memorizzato
per svilupparlo. Innestandosi sulla ricchezza di questo patrimonio, il salto
agli organismi di massa rivoluzionari non è un salto nel vuoto.
“Contro la deportazione requisire le case sfitte dei padroni” - significherebbe
individuare quale, nella congiuntura attuale, è il bisogno politico immediato
fondamentale, affermato dalla mobilitazione di massa, e saldare la soddisfazione
di tale bisogno con il programma di potere. Significherebbe pure individuare
le forme specifiche attraverso cui si articola il progetto di stratificazione
e annientamento del proletariato marginale ed extralegale nel polo metropolitano
napoletano. Il progetto imperialista rovescia contro tale strato di classe la
strategia differenziata dell’annientamento, trasferendo il carcere sul territorio.
In una parola, contro il proletariato marginale ed extralegale viene applicata
la strategia della deportazione di massa. Impedire, bloccare, far saltare in
aria tale strategia criminale diventa un obiettivo irrinunciabile del movimento
rivoluzionario. La requisizione delle case sfitte articola tatticamente tale
obiettivo di potere essa non è semplicemente un obiettivo assolutamente
irrinunciabile, ma anche assolutamente perseguibile dato il rapporto di forza
pendente a favore della rivoluzione. Non solo; essa impedendo di fatto la deportazione
salda i bisogni immediati con la costruzione del sistema del potere proletario
armato, facendo ulteriormente progredire il processo rivoluzionario nel nostro
Paese.
È possibile dal materiale pubblicato dedurre qualche riferimento alla questione
dei pentiti?
Purtroppo sì! Il radicarsi e crescere della prospettiva di guerra civile
antimperialista ha scosso tutto l’edificio del sistema di potere dominante.
Tutte le strategie e le tattiche del cosiddetto progetto controrivoluzionario
sarebbero state costrette a perfezionarsi; così le strutture di potere
a rinnovarsi; così le manipolazione ideologiche a raffinarsi. Ciò
sarebbe risultato vano perché lo stato imperialista non è riuscito
a spegnere le guerriglia metropolitana. Di qui prenderebbe corpo la più
grande utopia che il capitale potesse partorire: sconfiggere la guerriglia metropolitana
dal suo interno. Secondo loro, desolidarizzazione non bastava più, occorreva
far dissociare attivamente. Occorreva dimostrare scientificamente che la lotta
armata era il comunismo era scientificamente immotivata, strategicamente perdente,
tatticamente una follia.
Cosa chiederebbe lo stato imperialista? Che la guerriglia metropolitana disarmasse
le masse e dichiarasse pubblicamente la propria sconfitta?
A loro giudizio lo stato imperialista simulerebbe la più grande delle forse
proprio nel dichiarare la sua impotenza, e nell’avvertire l’impossibilità
di bloccare la crescita del processo rivoluzionario cercherebbe di dissimulare
il proprio destino storico e la carenza di legittimazione sociale.
Come verrebbero considerati i pentiti e che sarebbero?
Rappresenterebbero la proiezioni di ossessioni e di impotenze della borghesia
imperialista che, loro tramite, tenterebbe di esorcizzare la lotta armata del
comunismo. Sarebbe quella faccia dello stato imperialista, più repellente
e bavosa secondo loro, perché costretta a vomitare impotenza. Sicché
i Fioroni, i Peci, i Sandalo, i Barbone, i Viscardi non sarebbero altro che
la duplicazione più deteriore dello stato imperialista e i pentiti in genere
rappresenterebbero lo specchio fedele ed evidente dell’impotenza dello stato
imperialista che li divora tutti, quanto più si sposta avanti l’asse della
guerra di classe.
Indicano un rapporto tra i pentiti e la guerriglia metropolitana? E di Peci,
in particolare, qual è il loro giudizio ultimo?
Loro indicano, ad esempio, che Peci non sarebbe figlio delle Br per quanto è
andato dichiarando nei processi, ma bensì la riproduzione in miniatura
dei Caselli e Dalla Chiesa e delle loro nevrosi per il rigoglioso attecchire
della guerriglia metropolitana. Mentre i veri e autentici “pentiti” sarebbero
i migliori figli della borghesia come Sossi, Moro, D’Urso, Cirillo, Taliercio,
e Sandrucci. In definitiva, tra movimento rivoluzionario e “pentiti” sembrerebbe
stabilirsi una contraddizione antagonista, cioè tra rivoluzione e controrivoluzione
e non all’interno del movimento rivoluzionario.
Come giudicherebbe le affermazioni delle Br secondo cui non esisterebbe il pentimento
ma la delazione?
Non è un giudizio che posso esprimere, ma nel riferimento agli atti le
Br affermano che i delatori sono nemici di classe e come tali vanno trattati;
anzi, affermano che la lotta armata per il comunismo nonostante i pentiti stia
conoscendo un grandioso slancio in tutto il paese: dopo che a Torino i compagni
non hanno consentito che con la guerriglia si processassero dieci anni di lotta
armata per il potere processando loro lo stato imperialista e delle multinazionali
e schiacciando politicamente il Peci; dopo che Roberto Peci, da loro definito
il più squallido dei rappresentanti della schiera degli infami, si trova
nelle mani delle forze rivoluzionarie, che cosa resta della borghesia imperialista
e della controguerriglia psicologica?
Si possono individuare basi oggettive che favoriscono la penetrazione degli
infiltrati nel Partito comunista combattente in costruzione?
Sosterrebbero che la crisi irreversibile del modo di produzione capitalistico
procede in uno con l’affermazione dispotica del dominio reale e totale del capitalismo;
non solo su scala planetaria, ma in tutte le regione della formazione economico-sociale.
Da un lato sempre più larghe fascie della borghesia vengono sfracellate
dalla crisi; dall’altro, sempre più si interiorizza la penetrazione della
ideologia borghese e piccolo-borghese in tutte le pieghe dei rapporti di classe
e delle relazioni sociali. Il tutto sarebbe il riflesso dell’oggettivo innalzarsi
dello scontro di classe nella prospettiva della guerra civile antimperialista.
Uno scontro mortale, senza esclusioni di colpi, comincia a contrapporre due
sistemi di potere antagonisti: per l’insieme di queste ragioni, una organizzazione
rivoluzionaria risulta più esposta alla penetrazione della ideologia borghese
e piccolo-borghese. Saldi e compatti allora devono essere la base teorico-pratica,
l’orientamento generale e la linea politica dell’organizzazione. Debolezza,
indecisione e sottovalutazione intorno ai termini reali del problema, favorendo
la infiltrazione di ideologie controrivoluzionarie, facilitano infiltrazioni
politiche nel Partito comunista combattente in costruzione. Esiste una unità
dialettica tra ideologia controrivoluzionaria e pratica controrivoluzionaria;
in ognuna si cela, nascosta, l’altra. La penetrazione delle ideologie controrivoluzionarie
in seno all’organizzazione costituisce la base oggettiva su cui le pratiche
di potere controrivoluzionarie, le tecniche della manipolazione ideologica,
le dissociazioni del legame teoria-prassi, i procedimenti della simulazione
fanno attecchire la produzione e la riproduzione della mistificata figura del
pentito. Smontare alla base l’utopia tardo-imperialista di attaccare dall’interno
la guerriglia metropolitana significa preservare tutta l’organizzazione dalla
contaminazione della ideologia borghese e piccolo-borghese, attraverso una lotta
incessante e inflessibile contro le deviazioni e le oscillazioni. Si eviterà
così che l’organizzazione e il movimento rivoluzionario in generale paghino
sull’altare della rivoluzione un tributo più alto di quello necessario.
Cosa si potrebbe aggiungere sul progetto di costruzione del partito?
La battaglia politica sarebbe uno status fisiologico della vita del partito
che ne fa lievitare la crescita. È questo un patrimonio incancellabile
della lotta di classe e della storia delle organizzazioni rivoluzionarie. Viene
affermato che lo sviluppo della lotta di classe ha storicamente affinato e perfezionato
la teoria-prassi e la metodologia politico-organizzativa di costruzione di quel
partito. Questa teoria-prassi e questa metodologia si sono conquistate, con
quella che definiscono la grande rivoluziona culturale proletaria, un caposaldo
da cui secondo loro non è possibile prescindere. Si riferiscono ai principi
strategici unità-crisi-unità e lotta-critica-trasformazione. La battaglia
politica chiarirebbe in termini di unità-crisi-unità e di lotta-critica-trasformazione
la linea corretta e quella sbagliata. Isola la linea errata e la sconfigge e
dunque recupera, riunifica e assesta tutta l’organizzazione sulla linea corretta.
La battaglia politica serve a determinare nuove unità a un livello superiore,
dentro sintesi generali che rideterminano, congiuntura dopo congiuntura, il
programma strategico dell’Organizzazione.
Supposto, secondo la logica delle Br, il valore del processo di unità-crisi-unità
e di lotta-critica-trasformazione, sarebbe questo il dato di fondo del corretto
divenire, l’unità del partito?
Mi sembrerebbe coerente con il discorso di prima quanto da loro affermato circa
il recupero alla linea corretta di tutte le contraddizioni non antagonistiche
presenti ne partito. E ciò per loro sarebbe possibile col metodo della
discussione politica e del confronto; in caso contrario, per effetto di contraddizioni
secondarie trasformate in antagonismo, deriverebbero gravi conseguenze al partito.
A questo punto la filosofia delle Br come si evince, ricordiamo, dal loro proclama
“unità nella chiarezza”, vuol dire costruire il partito intorno alla linea
della D.S. ’80 e ai contenuti strategici della campagna D’Urso e della campagna
Cirillo.
Avviandoci alla conclusione, condivide il fatto che si è aperta una nuova
fase storica, quella della cosiddetta guerra civile antimperialista dopo il
compimento della precedente campagna armata?
È il loro tanto proclamato salto al partito, nel senso della recente teorizzazione
sullo sviluppo della guerriglia. Una fase storica, quella della propaganda armata,
si avvia al compimento. Una fase nuova, quella della guerra antimperialista,
sempre più prepotentemente si afferma, fa valere i suoi diritti e presenta
i suoi conti. Lo sviluppo della guerriglia metropolitana svilupperebbe le basi
della condotta della guerra per una nuova sintesi tra guerra di lunga durata
e politica rivoluzionaria e sarebbe compito di tutta l’organizzazione affrontarlo
e risolverlo. La guerriglia metropolitana intenderebbe affermare in maniera
compiuta questo principio strategico: il corso della guerra si svolge nello
stesso tempo e nello stesso spazio nel corso dell’azione politica: la dialettica
è unica.
Da un lato la strategia nel senso più propriamente politico e militare
imporrebbe alla nazione politica i suoi criteri e le sue forme; dall’altro,
è la politica rivoluzionaria che determina il campo delle decisioni strategiche.
Non solo la guerra è la continuazione della politica con mezzi violenti;
ma la politica è la continuazione della guerra con mezzi rivoluzionari.
In questo senso acquista una nuova dimensioni il principio maoista secondo cui
“la guerra è il centro di gravitazione del lavoro del partito”. Nel particolare
della congiuntura di transizione la guerriglia trasforma le leggi di condotta
della guerra e diventa il vettore del salto al partito. Conseguentemente il
salto al partito, salto al sistema di potere proletario armato, significano
salto alla guerra.
Affermano quindi un triplice salto nella guerriglia metropolitana?
Sembra di sì. Dichiarano tre livelli di lotta: per la produzione diventa
abbattimento dell’orizzonte angusto dei rapporti capitalistici di produzione;
di classe diventa guerra di classe per il comunismo; per il rinnovamento scientifico
e culturale diventa rivoluzione culturale nelle metropoli. Inoltre queste tre
forme farebbero maturare il salto in seno alle masse attraverso la ricomposizione
del sapere col potere, del lavoro intellettuale col lavoro manuale, del politico
col militare e percorrerebbe ora, a partire dal partito, tutto il corpo scomposto
del proletariato metropolitano. Le pratiche di potere che ora la guerriglia
metropolitana si prefiggerebbe si pongono come emancipazione complessiva della
classe a tutti i livelli: politico, militare, ideologico, culturale, scientifico,
ecc. il sapere secondo loro è la coscienza di classe e la consapevolezza
degli scopi e pertanto si coniuga immediatamente col potere. Il potere, finalizzato
e animato dalla definizione consapevole degli scopi, riunifica e ridetermina
tutte le pratiche sociali. E tutto questo ora avviene nel cuore del proletariato
metropolitano.
Cosa altro farebbero intendere di questo salto in seno alle masse?
Salto in seno alle masse per la guerriglia metropolitana vorrebbe dire estensione
quantitativa del modello e della pratica della lotta armata per il comunismo,
perché consentirebbe di affondare la progettualità del programma e
delle pratiche del potere proletario armato nel cuore pulsante della classe.
L’arma della critica e la critica dell’arma non sono solo i termini essenziali
di una pratica sociale unitaria ma sono, dal partito, riunificate in tutte le
determinazioni del sistema del potere proletario armato. Il partito irradia
la consapevolezza, la conformità degli scopi,la progettualità del
programma lungo tutto l’arco delle contraddizioni di classe all’interno di tutte
le figure della composizione di classe e in tutte le determinazioni del potere
proletario.
Il tutto in maniera pedagogica, ma dirigendo sempre più estese e profonde
pratiche di potere e trasformazione sociale che la classe si renderebbe sempre
più consapevole della sua missione storica e della immane opera di rivoluzione
globale cui deve attendere.
Infine, salto in seno alle masse significherebbe dar corso, attuazione e sviluppo
a questa immane opera di rivoluzione globale nel divenire delle contraddizioni
di classe; col dischiudersi di così luminosi orizzonti, il soggettivismo,
il militarismo e l’organizzativismo sarebbero definitivamente spiazzati. Concludendo,
è possibile aggiungere che le cosiddette organizzazioni combattenti comuniste
hanno anche la preoccupazione di far richiamo alla vigilanza e alla lotta contro
quelle che definiscono le penetrazioni dell’ideologia borghese e piccolo-borghese
in seno al partito in costruzione.