Biblioteca Multimediale Marxista
O.N.12 Settembre 1921
La discussione sui compromessi è il perno del dibattito, sciatto, confuso,
detestabile, a cui ci fa assistere la preparazione del Congresso del Partito
Socialista. Gli interlocutori portano, a parte quelli che vi aggiungono la malafede,
tutto il peso spaventevole della loro incompetenza e della disintegrazione di
coscienza che è propria del loro Partito.
Abbiamo, nell'Avanti!, vista una polemichetta Lazzari-Genosse. Lazzari ha creduto
che l'articolo del secondo sul "Serrati russo", che metteva in rilievo
il famoso "opportunismo" di Lenin, fosse una risposta al discorso
col quale, nella sezione milanese, egli aveva difesa la sua vecchia linea intransigente,
contro la collaborazione di classe e i compromessi del socialismo con la borghesia.
In realtà se anche l'articolo del Genosse aveva altri scopi, è
divenuto comunissimo l'uso di certi precedenti e di certe formule tattiche indicate
da Lenin per combattere, da una parte l'opposizione di certi social-democratici
italiani all'indirizzo collaborazionista, dall'altra le rampogne comuniste,
nostra e dell'Internazionale, alle magagne della socialdemocrazia italica patteggiatrice
coi fascisti e responsabile di tutta una politica che nella terminologia delle
discussioni socialiste non si chiama ancora "collaborazione" - nella
nostra si chiama da tempo disfattismo e tradimento.
Genosse e Lazzari non intendono, nel polemizzare, una distinzione marxisticamente
elementare indispensabile per orientarsi nella questione. Vogliamo provare ad
aiutarli. Vogliamo cioè spiegare il valore teorico e tattico del punto
di vista di Lenin nel modo più semplice, a prescindere dal più
alto didattico tattico, che noi, con la sinistra dell'Internazionale, fa dissentire
anche da lui.
Lazzari azzarda la distinzione che i "compromessi" che Lenin cita,
giustifica e propone sono compromessi non con partiti borghesi, ma con partiti
semiproletari e piccolo borghesi, infine che essi si svolgono nel periodo "esecutivo"
della rivoluzione proletaria, nel quale è necessaria una tattica diversa
da quella del periodo preparatorio. E Genosse risponde trionfante: mai no! Lenin
ammette di aver appoggiato i liberali borghesi in Russia fin dal 1901 e 1902
e così dopo il 1905,delineando la complessa tattica di sostenere i contadini
contro la borghesia liberale, e, al tempo stesso, questa contro il regime zarista.
E allora? Lenin è per la collaborazione colla borghesia? Il programma
comunista non esclude i compromessi, Serrati ha diritto di sostenere con questa
asserzione le sue posizioni contro Lenin e Turati le sue posizioni contro Serrati?
Adagio signori.
Vi è alla base di tutto quanto Lenin stabilisce e gli altri citano un
criterio, che anche nel maximum di elasticità con cui crede si possa
manovrare il grande compagno nostro, resta fermissimo caposaldo di principio.
Si tratta di vedere se i compromessi e gli accordi che si intraprendono sono
con il potere costituito dello Stato ed i partiti che direttamente lo gestiscono,
o con partiti che, sia pure con programma non comunista, sono per il rovesciamento
violento, illegale, rivoluzionario del regime vigente dello Stato.
La distinzione dei due periodi che Lazzari fa è indubbiamente accettabile.
Ma va completata con il concetto che il compromesso nel periodo di attuazione
rivoluzionaria si effettui sul terreno e coll'obbiettivo di muovere con la violenza
contro gli argomenti costituiti. Se altri partiti, se pure con assai diversa
finalità, minore chiarezza e decisione del partito comunista, sono per
dare uno scrollo al regime costituito, il partito comunista può vedere
se sia il caso di una alleanza per spingere gli eventi verso le sue soluzioni.
Il partito della borghesia liberale in Russia prima della rivoluzione, come
in ogni paese sotto gli antichi regimi assolutisti, era un partito che tendeva
al rovesciamento dello Stato costituito, e non poteva tendervi che con mezzi
illegali e violenti non essendo ancora la bella invenzione della sovranità
popolare. Si concepiva quindi un'alleanza con questo: non altra alleanza ammette
Marx nel capitolo del Manifesto dei Comunisti, ricordato da Lazzari e nelle
note circolari tattiche della I Internazionale, Lenin e Marx presuppongono che
appena l'appoggio del proletariato alla borghesia abbia determinato il crollo
del vecchio regime, si inizi la lotta contro il nuovo regime statale democratico-borghese,
che tende a giungere agli stessi mezzi di azione illegale e violenti per dar
luogo alla dittatura proletaria.
Accordi quindi con l'obbiettivo d'accelerare il momento dell'attacco rivoluzionario
allo Stato costituito, ecco ciò che Lenin ammette.
Nel regime normale e consolidato della democrazia parlamentare borghese, nel
periodo di preparazione ideologica, quando non sono prevedibili a breve scadenza
spostamenti radicali dell'asse del potere costituito, Lenin non può che
essere con la tattica sostenuta da tanti anni da noi e da Lazzari: intransigenza
assoluta.
Ma Lazzari, per essere sullo stesso terreno di Lenin, e non chiudersi nelle
spire di una contraddizione che gli toglie il modo di confutare gli opportunisti
del centrismo italiano dovrebbe fare un passo...che quelli gli rinfacciano di
aver fatto prima di lui e senza di lui.
La tattica della intransigenza marxista nel periodo della propaganda a quale
tattica da luogo nel periodo dell'azione? Rincula essa sulla ammissione dei
compromessi, così senz'altro? Lenin non è pazzo, e ciò
non ha mai detto. Ma questa tattica - secondo lui - vede sotto nuova luce la
eventualità di certi accordi, solo perché si è portata
con grande passo innanzi su un nuovo terreno di manovra delle forze proletarie:
quello dell'attacco, appunto, rivoluzionario, violento, illegale, al potere
borghese costituito. Allora il partito rivoluzionario di classe si guarda attorno,
e se trova un altro partito che è contro la legalità, tratta con
lui. Di qui il compromesso... alla Lenin. Per conto nostro pensiamo che nella
situazione ben delineata dei nostri paesi a regime parlamentare questo sguardo
circolare non può che constatare l'assenza di ogni possibile alleato.
Coerente a tutto ciò, Lenin dice: Nessun compromesso coi socialdemocratici,
che sono un partito legale e che negano la conquista rivoluzionaria del potere.
Nel periodo risolutivo costoro sono alleati della borghesia.
Ma Lazzari vuole in questo periodo conservarla la classica intransigenza, senza
altro, ed ha ragione da vendere quando dimostra assurdo fare compromessi elettorali
e ministeriali con la borghesia, coi poteri costituiti. Ma si perde nelle nebbie
più spesse perché rifiuta quella conclusione rivoluzionaria che
è alla base del pensiero della Terza Internazionale. Questo intendemmo
noi tutti quando a Bologna si dichiarò "un vecchio democratico",
ossia incapace di accettare un regime proletario basato sulla negazione della
democrazia, raggiunto per vie illegali.
Lazzari vorrebbe, immobile nella sua intransigenza, attendere che senza urti
violenti, la classica azione del partito proletario, "indipendente da tutti
gli altri partiti", gli recasse maturo il frutto della presa del potere.
Egli non vede che in questa sua immobilità non è contenuta alcuna
formula risolutiva della crisi che tormenta il movimento proletario: non è
più l'epoca della predicazione, ma quella del moto, dell'azione, della
lotta - in un certo senso Lenin ha pure ragione, muovendosi si hanno dei contatti,
con amici, nemici, neutri, ed a ogni momento cambia lo schieramento dei primi,
dei secondi, dei terzi. Guai a lasciarsi chiudere nel fatale errore di non fare
il passo decisivo, e non dire: è l'ora della lotta contro il potere legale,
per la dittatura proletaria! Allora la formula di Lenin: il moto, anche se attraverso
"compromessi", verso la realizzazione rivoluzionaria, si baratra fatalmente
nel compromesso senza obiettivo rivoluzionario, ossia nel compromesso coll'ordine
costituito, con la borghesia.
L'immobile intransigenza del buon Lazzari è collaborazione. Forse peggiore
dell'aperta collaborazione turatiana. Per uscire dalla polemica col Genosse
egli dovrebbe porsi sul terreno dei principi comunisti: uso della violenza,
dittatura rivoluzionaria del proletariato. Altrimenti la sua figura, come a
Mosca, servirà a coprire il gioco dei Serrati.... italiani.
***
La stessa confutazione vale per uno dei soliti insidiosi scampoli, che paragona
il patto di pacificazione coi fascisti alle proposte che Radek faceva al momento
dei moti spartachiani del 1919. Radek dice: Io sarei stato per la cessazione
dell'azione limitandosi ad una protesta contro la destituzione di Eichorn, ed
entrare in trattative col Governo allo scopo di cessare la lotta.
Nella settimana rossa del 1919 il Governo costituito da pochi giorni in Germania
era il prodotto della rivoluzione, ne facevano parte socialdemocratici e indipendenti,
fino al giorno prima compagni di partito degli spartachiani; la rottura tra
questi ed il Governo "rivoluzionario" scoppiò appunto per la
destituzione del comunista Eichorn, nominato da quel Governo questore di Berlino.
Si era in periodo di piena instabilità statale: Fino a ieri si era collaborato
coi repubblicani-socialisti a rovesciare il Kaiserismo. Radek opina che si giudicò
erroneamente venuto il momento di romperla col neo regime per passare alla lotta
aperta per la dittatura. Opinione di Radek. Ma anch'essa chiaramente imposta
sul comune terreno dei principi comunisti, in modo che è ridicolissimo
invocarla per il caso in cui, con un governo stabilmente costituito da tempo,
con i suoi lanzichenecchi, esponenti della sua difesa contro rivoluzionaria,
un partito che si dice rivoluzionario, stipula l'accordo di non combattere,
non solo, ma di riconosce quel Governo come l'unico gerente del "mantenimento
dell'ordine" contro chiunque lo turbi!
Andare verso i Governo dei ministri del re d'Italia, per una feluca o per l'accordo
coi fascisti poco monta, sta al di fuori di ogni valutazione tattica, delle
opere di Lenin o dei dibattiti comunisti: è competenza del tribunale
rivoluzionario; solo l'istituzione di questo potrà troncare un dibattito
così ipocritamente vile.
12 Settembre 1921