Biblioteca Multimediale Marxista
O.N. 19 marzo 1922
Alla vigilia ormai del congresso nazionale non vorremmo ancora trattare troppo
lungamente della questione della tattica che, connessa a quella dell'opera passata
del partito, il congresso appunto esaminerà a fondo.
Gli articoli dei compagni Presutti e Mersù che rispecchiano l'opinione
di qualche altro compagno nostro, ci inducono a tentare ancora di tracciare
le ragioni del nostro atteggiamento. Più che partire da elocubrazioni
teoriche, a cui se mai proprio i dirigenti del partito non hanno il tempo di
dedicarsi, vogliamo connettere le conclusioni tattiche di ordine generale che
sono riassunte nelle nostre tesi con la nozione del compito del partito comunista
in Italia derivante da quello che è per noi stato il punto concreto di
partenza;la esperienza pratica della crisi del partito socialista e di questo
primo anno di lotte del partito comunista.
Le ben note internazionali esperienze della lotta proletaria nel dopoguerra
condussero a stabilire una tesi vitale, a cui si vorrà perdonare di essere
contenuta nella dottrina: quella che la via per la quale la classe proletaria
giungerà a fare trionfare la propria causa dovrà passare per la
distruzione violenta dell'attuale macchina statale. Che il partito possegga
una tal tesi, non vuol dire si sia pago di considerarne la verità, ma
vuole dire di meglio. Vuol dire che per la vittoria del proletariato è
necessario che anche nei periodi che precedono la fase della lotta suprema in
cui quella necessità diventerà tangibile materialmente, esista
appunto un partito che su di essa fondi il suo programma e la sua organizzazione,
divenendo la principale forza che integrando lo sviluppo degli avvenimenti,
verso quella ultima soluzione sviluppi la preparazione del proletariato alle
esigenze di essa.
Questa affermazione si ripete molte volte nelle tesi come si riflette in molti
atteggiamenti tattici presi dal partito, non perchÈ rappresentanti un
dogma indiscutibile e una categoria sacra, ma perchÈ a nostro modesto
avviso, la esperienza pratica della lotta proletaria la sorregge in ogni momento.
Il fallimento del partito socialista si ricollega alla illusione di una tat-tica
"ad uso universale" nella quale ancora oggi ci pare che da molte parti
si corra serio pericolo di ricadere. Il partito avrebbe potuto comprendere forze
anche non volte all'obbiettivo massimalista e indirizzate su vie opposte, come
la utilizzazione e la conservazione della macchina statale borghese, perchÈ
queste forze facevano capo a parti del proletariato e occorreva tenersi uniti
ad esse per portare tutta la massa sul terreno dell'azione rivoluzionaria, appena
la situazione lo avrebbe permesso. E' notissimo come l'essere inquadrato nello
stesso organismo di dirigenza delle masse con queste forze di destra impedì
alle correnti massimaliste di assolvere il loro compito di preparazione e sviluppo
di condizioni rivoluzionarie, finchÈ non divenne evidentissimo che in
qualunque momento ed anche in situazioni mature verso il loro sbocco rivoluzionario,
ne avrebbe parimenti silurata ogni azione: da qui la scissione.
Se precedentemente la maggioranza del partito non aveva inteso che vi era inconciliabilità
tra i propositi massimalisti e la tolleranza nelle file della organizzazione
del partito di chi era per principio contro la lotta rivoluzionaria e la dittatura,
questo si è dimostrato come sintomo sicuro della impotenza rivoluzionaria
del partito, nelle ulteriori situazioni "pratiche". PerchÈ
tante volte il proletariato italiano è stato fermato sulla via di azioni
rivoluzionarie? Perchè i rivoluzionari non avevano preventivamente stabilita
una piattaforma di azione politica che denunziando apertamente l'antirivoluzionarismo
della destra, avessero ottenuto di sottrarre ad essa il diritto di inquadrare
l'azione parlamentare e sindacale delle masse, o almeno di impostare dei movimenti
di masse in cui la manovra era in mano dei controrivoluzionari, ma questi apparivano
garanti della comune responsabilità dei rivoluzionari negli ordini di
movimento e nei risultati. Si tenga ben chiaro questo gioco pratico delle forze,
e se ne riconsiderino le tristi esperienze.
Dopo la scissione del partito socialista ci siamo trovati innanzi a obbiettivi
della situazione alquanto mutati, e nessuno lo contesta. Molto meno facile(almeno
per molti che nel 1919 e 1920 si erano creduti alla vigilia della rivoluzione
italiana)si presentava una grande insurrezione di masse con direzione aggressiva
contro il potere borghese. In un certo senso la impostazione della lotta per
la dittatura si è allontanata.
Noi osserviamo che internazionalmente e nazionalmente, con maggiore evidenza
anzi nel secondo caso, la mutata e peggiorata situazione non è tale da
aprire alle masse altre vie da quella dell'assalto allo Stato, bensì
sottolinea enormemente l'antitesi tra la legale costituzione vigente e gli interessi
proletari: ieri non si potevano inserire istituzioni vigenti le massime conquiste
ma si poteva ottenere da esse la soddisfazione di limitati e parziali interessi
proletari, oggi nemmeno questo è possibile e la sopravvivenza del regime
significa schiacciamento anche economico e sindacale del proletariato. La lezione
che ci dà la realtà è in questo, e giova insistervi molto.
In tale situazione la massa è ancora in gran parte dominata dai partiti
opportunisti poichè non sa che essi non possono mantenere le loro promesse
minimaliste. Che da queste difficoltà non si uscirà colla conquista
teorica, ma solo colla partecipazione all'azione e ai movimenti delle grandi
masse è affermazione che tutti ci ha concordi. Ma mentre noi traduciamo
in una soluzione concreta e pratica, ci pare proprio i nostri critici facciano
di questa asserzione capovolgendone la impostazione, un sofisma. La mentalità
del Presutti e del Mersù, è che la partecipazione a iniziative
di grandi movimenti di masse da qualunque parte vengano contenga una via sicura
per giungere ai fini rivoluzionari. Presutti lo dice chiaramente quando stabilisce
che per garantirsi che lo svolgimento dell'azione delle masse si diriga verso
lo sbocco rivoluzionario basta al partito comunista la condizione di esistere
come partito a sÈ. Mersù pensa analogamente quando afferma che
la opposizione del partito comunista alla costituzione di un governo socialdemocratico
non può concretarsi in una attitudine reale se non dopo che tal governo
sia divenuto un fatto, e che sia buona tattica anche partecipare alla lotta
generale per il governo socialdemocratico, agli effetti della ulteriore preparazione
rivoluzionaria.
Quello che è indubbiamente esatto nel considerare la situazione attuale
è che la grande massa è disposta a muoversi per obbiettivi immediati,
e non sente quegli obbiettivi rivoluzionari più lontani di cui possiede
invece la coscienza il partito comunista. Bisogna utilizzare per i fini rivoluzionari
quella disposizione delle masse, partecipando allo slancio che le porta verso
gli obbiettivi che loro pone la situazione. E' vero questo al di fuori di ogni
limite? No. Quando noi poniamo alla nostra tattica il limite di non smarrire
mai l'attitudine pratica di opposizione al governo borghese e ai partiti legali
del partito comunista, facciamo noi della teoria, o lavoriamo rettamente sulla
esperienza? Ecco il punto.
Per noi la esistenza indipendente del partito comunista è ancora una
formula vaga, se non si precisa il valore di quella indipendenza in base alle
ragioni che ci hanno imposto di costruirla attraverso la scissione, e che la
identificano colla coscienza programmatica e con la disciplina organizzativa
del partito.
Il contenuto e l'indirizzo programmatico del partito, che nella sua milizia
e in quella più vasta che inquadra sindacalmente e in altri campi non
è una macchina bruta ma appunto è un prodotto e un fattore al
tempo stesso del processo storico, possono essere influenzati sfavorevolmente
da atteggiamenti erronei della tattica. La sicurezza della organizzazione dipende
dalla possibilità di controllare i movimenti delle forze che al partito
fan capo.
L'azione che Mersù propone per facilitare direttamente l'avvento di un
governo socialdemocratico, equivalendosi a quella che svolgerebbe un partito
che abbia riconosciuto di dover sostituire alla lotta per la dittatura un surrogato
conciliabile colla situazione mutata, comprometterebbe la impostazione programmatica
del partito e la sua indipendente esistenza. L'azione che Presutti sostiene
nel seno degli arditi del popolo vorrebbe dire affidar il controllo e la direzione
dei movimenti di forze fra cui vi sarebbero quelle del partito ad una centrale
politica mista: stessa situazione di quella derivante dai movimenti passati
diretti dal partito socialista. Confederazioni e gruppo parlamentare in cui
il disfattismo riformista comprometteva il metodo rivoluzionario in insuccessi
immancabili, demoralizzando la massa. Una coalizione politica crea gli stessi
rapporti che creava, col noto e disastroso effetto, la convivenza nel partito
socialista di opposte tendenze. Certo la unità del partito socialista
permetteva di affermare che si partecipava ad azioni inquadranti grandissima
parte del proletariato italiano, ma ciò non tolse che si finisse nell'opportunismo.
Oggi, si dice, c'è il partito comunista organizzato a parte, e questo
basterebbe a evitare analoghe conseguenze. Come e perchè? Qui proprio
vi è dottrinarismo e meccanicismo, e uso sbilenco di dialettica. Il partito
socialista non era che una coalizione di partiti, un vero partito del lavoro.
Esso immobilizzava la sinistra non per il fatto che fosse comune la organizzazione,
ma per quello che era comune, la direzione dei movimenti. Quel dirigente di
partito che in omaggio all' "andar alle masse" concedesse quanto noi
negammo; cioè che una centrale politica anonima e incontrollabile come
quella degli arditi del popolo diramasse ordini diretti alle sezioni comuniste
senza nemmeno aver proposto un accordo al partito, mostrerebbe di fare di quella
formola una applicazione dogmatica e cieca, e rovinerebbe per sempre la organizzazione
e l'indipendenza del partito: questa non è nulla se non è la norma
di dare le disposizioni di movimento per le vie di una gerarchia unitaria e
accentrata. E trattandosi di una centrale militare più che politica la
cosa si aggrava, se per poco si pensi che diritto di dirigenza militare significa
conoscenza, non diremmo di supreme responsabilità affrontate da tutti
coloro che si pongono a disposizione, ma di mezzi di preparazione e di armamento,
controllo e disposizione su questi.
Perciò noi restiamo fermi su queste basi della tattica del partito, in
cui si riassumono le più utili esperienze del movimento italiano: fare
propri gli obbiettivi immediati delle masse e provocare il movimento di insieme
di queste verso di essi, ma conciliando(e lo si può brillantemente)tutta
la utilizzazione di questo potente slancio proletario con la garanzia che non
venga intaccato quel tanto di preparazione rivoluzionaria già raggiunto
nella organizzazione indipendente del partito e nel suo indipendente controllo
di parte delle masse. Quindi lavoro per l'Alleanza sindacale per la difesa degli
interessi immediati minacciati dall'offensiva borghese non solo di ordine economico
ma anche di ordine politico, bensì unicamente attraverso una pressione
dall'esterno e a mezzo della lotta delle masse sulla borghesia e sullo Stato.
In nessun caso dunque dovrà il partito dichiarare di aver fatto propri
postulati e vie di azione politica che avvalorino la posizione a svolgimenti
contrastanti col contenuto programmatico del partito, come sarebbe se si proponesse
la diretta utilizzazione della macchina borghese da parte del proletariato per
uscire dalla situazione attuale. E neppure esso dovrà accettare la corresponsabilità
di azioni che possano domani essere dirette da altri elementi politici prevalenti
in una coalizione la cui disciplina si sia preventivamente riconosciuta: senza
di che non vi sarebbe coalizione.
Dinanzi al problema del governo socialdemocratico, l'abitudine di mostrare che
esso non può contenere una soluzione dei problemi proletari è
necessaria anche prima che esso si costituisca, per evitare che il proletariato
non sia tutto aggiogato al fallimento di tale esperienza. Che tanto non ritardi
il reale sviluppo che a questa esperienza conduce, è detto anche nelle
tesi, quando afferma che questo sviluppo è accelerato dalla pressione
rivoluzionaria delle masse. Il partito comunista non fa che divenire il protagonista,
nelle sue attitudini e nella sua opera e nella sua lotta, di questa pressione
dalla parte più rivoluzionaria delle masse, rifiutando di schierarsi
tra le forze che invocano il governo socialdemocratico. Ecco come l'antitesi
diviene non solo teorica ma anche pratica, contraddicendo la dialettica di Mersù
che corrisponderebbe alla mutevolezza di atteggiamento. La dialettica dirittamente
intesa spiega invece proprio come la opposizione comunista all'esperimento socialdemocratico,
prima e dopo, sia un coefficiente del precipitare degli sviluppi tra cui quell'esperimento
è compreso.
Questa stessa contraddittoria ammissione contiene il germe della risposta ad
un'altra obiezione che noi ci permettiamo di trovare quanto mai vaga ed astratta:
quella che costruisce sul vuoto il dilemma: o agire col movimento che tende
al governo socialdemocratico, o restare inattivi e fermi alla critica, intento
che anche l'amico Presutti ci attribuisce, immaginandoci dediti unicamente alla
travagliosa emissione di teorici pensamenti.
Nella stessa opera del nostro partito è la risposta. Si tratta di tenersi
sul terreno di attori e fattori della pressione rivoluzionaria delle masse,
volgendo in questa le lotte per gli obiettivi immediati. La attitudine e il
lavoro intenso del nostro partito di fronte alla offensiva padronale, ci hanno
consentito e ci consentono senza bisogno di impegnarci in movimenti che contengono
la negazione del nostro programma e gravi insidie per il proletariato, di edificare
e esplicare un formidabile piano di azione delle masse in cui tutti i problemi
anche concreti che interessano si vengano ad inquadrare.
Quando si dimostrerà che anche l'esperienza di un governo di sinistra
della macchina statale borghese non fa fare un passo alla soluzione di quei
problemi vitali per i lavoratori, allora l'azione di grandi masse sulla rete
di lavoro e di organizzazione da noi tracciata, si svolgerà efficacemente
sulle vie rivoluzionarie, trovando un punto di appoggio che altrimenti le mancherebbe
affatto come le mancò in tutte le classiche occasioni che posero in evidenza
la impotenza del vecchio partito socialista, perchÈ allora si potrà
trasformare in un concreto rapporto di fatti quello che è ora solo una
cosciente previsione dei comunisti, ossia la parte controrivoluzionaria che
rappresentano i propagandisti odierni delle vie legali e democratiche di emancipazione
proletaria.
Sono limiti tattici che non traccia la teoria ma la realtà, e questo
e tanto vero che, senza fare gli uccelli del malaugurio, noi prevediamo che
si continuerà ad esagerare in questo metodo delle illimitate oscillazioni
tattiche e delle coincidenze contingenti tra le opposte parti politiche si demolirà
a poco a poco il risultato di sanguinose esperienze della lotta di classe, per
arrivare non a geniali successi, ma allo svuotamento delle energie rivoluzionarie
del proletariato, correndo il rischio che ancora una volta l'opportunismo celebri
i suoi saturnali sulla sconfitta della rivoluzione, le cui forze esso dipinge
come incerte e esitanti e avviate sulla via di Damasco.
19 marzo 1922