Biblioteca Multimediale Marxista
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Nel Congresso di Livorno la maggioranza del Partito Socialista, posta dinanzi
alle tesi di principio e di tattica della Internazionale Comunista, disse di
accettarle. Posta innanzi ai 21 punti delle condizioni d'ammissione, che sono
la pietra di paragone del rispetto alle dichiarazioni generiche d'adesione e
di disciplina, disse altresì di accettarle: ma ne respinse una che avrebbe
dovuto subito e tangibilmente tradurre in atto: la cacciata dei riformisti.
Le condizioni di ammissione sono concepite in questo spirito: se ne dovrebbe
sempre trovare almeno una il cui rifiuto sarà la riprova che l'accettazione
di tutto il resto non era schietta e sicura.
Il deliberato del III Congresso è anzitutto servito a sgombrare il campo
dalle obiezioni capziose, ed ha confermato che quella condizione doveva essere
adempita "seduta stante", e che giustamente essa era formulata dai
comunisti come esclusione di tutta la frazione di concentrazione socialista.
Riproponendo la stessa condizione ad un nuovo Congresso del Partito Socialista
Internazionale cerca probabilmente la riprova che il rifiuto di essa era termine
d'incompatibilità tra la maggioranza livornese e l'Internazionale, perché
persistendo tale incompatibilità il rifiuto non potrà che rinnovarsi
e, questa volta, tagliando corto al pretesto che le condizioni ultimative siano
dettate dall'arbitrio dei comunisti italiani e dei Kabakcief. Questo risponde
ad un criterio di organizzazione che per noi è errato, e non ne facciamo
mistero. Potrebbe darsi per accidente che nello spirito di una destra di quella
unanimità che sulla mozione di Mosca si è affermata, vi sia il
desiderio di ripescare parte del Partito Socialista ed impastarlo col nostro
Partito. In questo caso il dissenso col modesto sottoscritto diverrebbe stridente,
ma ciò non importa, quando dinanzi alla verità e complessità
dei problemi tattici in cui ognuno può errare o esagerare vi sono le
direttive fondamentali e generali del comunismo o della nostra organizzazione
internazionale comunista che parlano chiaramente.
La realtà del problema è in questo: che il Partito Socialista
attuale, che la sua ala sinistra, come fatti eloquentissimi e dichiarazioni
autentiche dimostrano, violano e contraddicono TUTTE le condizioni comuniste;
ed una scissione avvenire potrebbe non avere più quel valore "tipico"
che avrebbe avuto a Livorno, e che invece hanno oggi ben altri fatti.
Potrà dunque ( non è che una ipotesi ) esservi la scissione e
non esservi, anche dopo la delibera di Mosca, il diritto ad entrare nella Internazionale
comunista. E se vi fosse nel seno del Partito Socialista Italiano la possibilità
di organizzare un'ala estrema che possa entrare nell'Internazionale, essa dovrebbe
dimostrare di costituirsi su un terreno "integralmente" comunista,
di programma e di tattica. Invece la attuale frazione di sinistra, e, può
ben dirsi di estrema sinistra, è da ciò molto lontana, e non vi
si avvicinerà pel solo fatto di addivenire ad eventuali espulsioni dal
Partito di taluni elementi della destra. Vediamo brevemente quali fatti e considerazioni
valgano a confermarlo.
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Quando il programma di Genova cedette il posto a quello di Bologna, se ciò
fosse stata una cosa seria, avrebbe dovuto aver luogo quanto fin d'allora proponeva
la mozione dei comunisti astensionisti: la esclusione di tutti coloro che erano
per il vecchio e contro il nuovo programma.
A Livorno si pose chiaramente la questione: accettare a parole un programma
comunistico non basta, occorre adempiere le precise condizioni nelle quali il
II Congresso mondiale a tradotto quel programma, tra cui quella di eliminare
chiunque quel programma non condivida. A Livorno era dunque questione di dividere
che accettava il programma comunista, a fatti e non a parole, da chi si teneva
ancora sul tradizionale terreno socialdemocratico. In che differivano i due
programmi, che cosa distingue Erfurt da Mosca, Bologna da Livorno? Le sostanziali
questioni della negazione della democrazia parlamentare come mezzo di conquista
e di esercizio di potere da parte del proletariato, opponendo ad essa la dittatura
proletaria, e dell'impiego della violenza insurrezionale come indispensabile
mezzo di azione: ecco i termini della differenza.
Chi afferma di volere tutto questo, ma non ne conchiude che ciò comporta
la rottura con i fautori del vecchio e superato programma socialdemocratico
e socialpacifista, è in realtà, malgrado le sue verbali affermazioni,
tuttora un socialdemocratico e un socialpacifista. Ecco la tesi brillantemente
e dialetticamente marxista che ha ispirato le condizioni di ammissione, e che
dal Congresso di Livorno a tratto una interessante conferma. In realtà
tutti quelli che sono rimasti nel Partito Socialista Italiano sono fuori dal
comunismo, dal massimalismo, dal programma di Bologna.
Prova: il contegno del Partito Socialista, le dichiarazioni programmatiche dei
suoi uomini dirigenti e della sua stessa frazione di sinistra. Non si parla
più di dittatura proletaria, ma si valorizza il parlamentarismo borghese
rimaneggiando l'"antiparlamentarismo in seno al Parlamento" di Bologna.
Nelle elezioni si addita la scheda al proletariato come il mezzo unico della
sua emancipazione pacifica; si rinnega quindi non solo la violenza come offensiva
rivoluzionaria ma perfino come mezzo difensivo del proletariato dinanzi alle
provocazioni del fascismo, addivenendo con questo a un'intesa. Lungi dal mirare
all'abbattimento violento del potere borghese, si pone la base del "patto
di pacificazione" il rinvio allo Stato delle funzioni di arbitro dei conflitti
( ed in ciò, invero, è l'enormità peggiore, tanto che lo
stesso programma di Erfurt e di Genova, da parte di tutto ul Partito Socialista,
viene rinnegato abiurando la definizione marxista della funzione dello Stato
e la prassi che ne discende).
La frazione di sinistra del Partito Socialista non si pone affatto contro tali
atteggiamenti del Partito, non scrive una parola di critica ad essi, nè
formula un programma di diversa ed opposta azione avvenire. Dunque essa non
si sogna di ristabilire i valori del programma e della tattica comunista.
Il contratto dottrinale combacia con quello pratico. Leggete un po' il testo
delle condizioni di ammissione e vedrete che ciascuna di esse detta una norma
di azione che dal Partito Socialista attuale è non solo omessa, ma contrastata
nettamente. Dalla organizzazione del Partito al regime della stampa, dal lavoro
illegale all'orientamento nella questione agraria, coloniale, ecc., dall'atteggiamento
nei sindacati e verso la Internazionale di Amsterdam ai criteri del lavoro parlamentare
del Partito. Altrettanto tutto questo è negato dai programmi esposti
dai Serrati e dai Baratono, per la frazione di sinistra.
Dunque il rifiuto della esclusione dei destri celava - a Livorno - l'opposizione
inconciliabile a tutto il contenuto programmatico e tattico del comunismo, al
pensiero e all'azione, in tutti i campi, della III Internazionale.
Ma ecco delinearsi una possibilità che - se non vegliasse il Partito
Comunista d'Italia - potrebbe condurre a tradire il valore della mozione ultima
di Mosca, facendo di essa un'arma per logorare le fondamenta essenziali del
pensiero e dei metodi della Internazionale comunista.
La possibilità è quella di una scissione, che non è più
la scissione termometrica, ci si passi l'espressione, di Livorno; che non significa
più eliminazione di chi è contro i capisaldi del comunismo, e
perché è contro i capisaldi del comunismo: che non si presenta
più come garanzia di osservanza di tutte le condizioni organizzative
della Terza Internazionale; bensì potrebbe avvenire e restare concomitante
ad una incompatibilità della stessa ala sinistra col il metodo comunista.
Ciò avviene perché il dibattito che oggi si apre nel Partito Socialista
e che darebbe luogo alla scissione - tuttora problematica - non è più
il dibattito di Bologna e di Livorno, ma quello, se si vuole, di Reggio Emilia.
Tra la gente che ha dimostrato di non essere nè per la dittatura proletaria
nè per l'uso della violenza , ne per la disciplina della organizzazione
internazionale comunista, si discute oggi di collaborazione o di intransigenza,
e dalla corrente di sinistra si afferma che la tattica intransigente è
patrimonio inviolabile del Partito, che partecipazionismo ministeriale condurrebbe
chi lo sostiene ad essere sfrattato, come lo furono dieci anni fa i bissolatiani.
Non si tratterebbe più di dichiarare incompatibile chi è contro
la tesi del comunismo, ma solo chi nega l'intransigenza che fin dal 1912 avevamo
stabilita come caposaldo del Partito, e che oggi, malgrado la onesta continuità
che questa tesi presenta nel pensiero del vecchio e leale Lazzari, non serve
più a niente, se non ad un diversivo insidiosissimo dell'opportunismo
centrista.
Non si tratta più chi viola le tavole di Bologna ma semplicemente chi
vorrebbe spezzare quelle di Reggio Emilia. ossia, in fondo, di Genova.
Il pericolo è che questa scissione - se avverrà - sia scambiata
dalla Internazionale comunista per quella che si attendeva a Livorno. Mentre
essa, oggi, nelle dette condizioni, non darebbe più affatto l'impegno
a porsi sul terreno della integrale azione comunista. La testa di Filippo Turati
era nel 1919 e nel 1920 la posta del passaggio al comunismo, e ben noi l'intendemmo,
oggi non più. Oggi si potrebbe apparentemente adempiere il "punto
settimo" delle condizioni di Mosca, ieri fieramente rifiutato, fregandosene
al tempo stesso degli altri venti, e del comunismo, in una parola.
Non per nulla Serrati propone che il Congresso non discuta pregiudizialmente
dell'ultimatum di Mosca, ma affronta senz'altro la sua questione "interna":
se andare o meno al potere in un Ministero borghese. Dopo, pensa Serrati, si
potrebbe verificare una certa scissione della destra, e siccome questa grande
discussione avrebbe assorbito il Congresso e non ci sarebbe tempo di ulteriori
chiacchiere e di più precisa presa in posizione, gli intransigenti socialdemocratici
firmatari del patto ignobile colla guardia bianca, gli apologisti dell'azione
parlamentaristica e della sovranità dello Stato borghese, comunicherebbero
a Mosca di essere a posto coll'ultimatum del III Congresso e di essere disposti
ad essere "unificati" col Partito Comunista.
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E' qui che li vogliamo.
La proposta Serrati messa in rapporto alla situazione italiana fornisce a noi
un altro dato di esperienza tattica. Il socialdemocratismo di sinistra, che
parla molto di rivoluzione e si paluda, oltre che delle famosissime gloriose
tradizioni, del facile lusso della intransigenza negativa e passiva, non fa
opposizione alla Internazionale comunista, se non in sordina, e cerca di insinuarsi
di contrabbando nelle sue file per fare il giuoco confusionistico e addormentatore.
Ma vi è, per evitare questo, lo spirito che anima tutta la dottrina e
l'esperienza del comunismo. Vi sono le condizioni, le tesi e gli statuti della
Internazionale, inseparabili dall'ultimatum che il III Congresso ha formulato
sulla questione italiana.
E vi è di tutto questo un solo presidio. Deriso talvolta a denti stretti,
ma temuto. Risoluto a far rispettare le chiare direttive dell'azione comunista
in Italia, che esso costituisce nel suo studio, nel suo lavoro, nella sua battaglia
. E' il nostro Partito.
I signori della socialdemocrazia lo sanno benissimo . Si scindano o no, l'abbiamo
detto, è cosa che riguarda loro.
i sinceri lavoratori che sono ancora nel PSI? Ecco, noi abbiamo anche per essi
una chiara parola. Essi non hanno speranza alcuna, allo stato delle cose, di
costruire nel loro Partito una frazione comunista che si affermi al prossimo
Congresso. Essi devono capire che la bandiera della frazione sedicente massimalista
e, speriamolo, genuinamente "unitaria", non è quella del comunismo.
Escano dunque dal loro Partito prima ancora del Congresso che si prepara. Che
importa se questo sabota la maggioranza, già dubbia, della sinistra intransigente,
e se la abbandona alla mercé dei collaborazionisti dichiarati? Come nella
lotta di classe tra l'autentico proletario e il grande capitalismo le classi
medie sono uno spiacevole ingombro, così è utile che le due scuole
socialiste si dividano nettamente, profondamente: verso l'alleanza borghese
o verso la lotta rivoluzionaria; è il dilemma che è scritto sulla
bandiera della III Internazionale.
Sarà più agevole la lotta contro la socialdemocrazia ministeriale
che contro la socialdemocrazia centrista camuffata di intransigenza rivoluzionaria.
Operai rivoluzionari del Partito socialista: il vostro posto è nel Partito
Comunista (Sezione Italiana della Terza Internazionale).
Oggi meglio di domani. Oggi, troverete la leale fraternità, domani presentandovi
al seguito dei capi centristi, nemici della causa rivoluzionaria, sareste vittime
della invincibile diffidenza con cui noi, nella forza della nostra convinzione
e del nostro diritto, ci guarderemo da loro.
21 Agosto 1921