Biblioteca Multimediale Marxista
L'altra resistenza a Genova
Nell'ambito della marginalizzazione di avvenimenti storici (movimenti, militanti, idee) un posto di tutto rispetto, purtroppo, spetta alla ricostruzione delle vicende dell'antifascismo in generale e della resistenza in particolare che hanno avuto protagonisti militanti e organizzazioni né allora, né oggi inquadrabili nel cosiddetto fronte istituzionale. La lotta antifascista nelle sue varie fasi (l'opposizione al fascismo montante, la clandestinità e l'esilio, la cospirazione, la lotta armata, la fase "insurrezionale") è stata omologata come lotta democratica tout court, tesa alla difesa e poi al ripristino delle libertà civili e politiche, in seguito alla riconquista - in queste direttrici - dell'indipendenza, dell'unità nazionale e della pace. Tutte le deroghe che la storiografia di sinistra si è concessa rispetto a questo canone interpretativo si sono sempre affievolite nello sviluppo temporale degli eventi oggetto d'indagine e si sono progressivamente smorzate negli anni dal dopoguerra ad oggi, confinate o all'ambito accademico o al pressoché inesistente dibattito tra i cultori della lotta di classe primo mobile che oggi popolano, quasi esclusivamente, la sinistra non istituzionale. Quando poi oggi - pubblicamente e con una certa risonanza - si affrontano i temi del fascismo e dell'antifascismo è solo per discettare - in termini di polemica politica attuale, dunque dicendo a Tizio perché Caio intenda - sull'affidabilità democratica della destra odierna e i suoi legami con il fascismo storico o sulla necessaria rimozione collettiva di quegli eventi perché legati ad un contesto ormai definitivamente concluso. L'impressione è comunque che passato il cinquantesimo della liberazione tutti tireranno un bel sospiro di sollievo e gli stessi celebratori riporranno, senza troppi rimpianti, memorie e commemorazioni, lasciando il 25 Aprile all'oblio delle Ricorrenze Perdute (Primo maggio, XX settembre,...) e alla gioia dei cacciatori di week-end.
Prima che questa sorte si compia e che l'antifascismo e la resistenza siano consegnati ai manuali di storia, alle tesi dei laureandi o alle episodiche ma ricorrenti richiamate in servizio in funzione delle contingenze dello scontro politico (ricordiamo, ma per dimenticarlo in fretta, il 25 aprile anti-Berlusconi) mi sembra necessario ripristinare un minimo di obbiettività storica su parte di quegli eventi. Questo per rispetto verso noi stessi, verso le aspettative e gli intendimenti dei loro protagonisti e verso la pluralità delle culture politiche che sono state compresse nella qualifica generica di antifasciste.
L'ottimo saggio di Peregalli (L'altra Resistenza) è, in primo luogo, la classica ma solitaria voce fuori dal coro che ingrigisce ancora di più la piattezza uniforme della storiografia "resistenziale" ufficiale. In secondo luogo è una trattazione pressoché completa delle manifestazioni ed espressioni antifasciste e resistenziali al di fuori dello "spettro visibile" nazional-popolare. Non dedica tuttavia spazio - per una serie di comprensibili ragioni - alle manifestazioni della "dissidenza" (come lui la chiama) antifascista e partigiana in Liguria e a Genova. La comprensibilità delle sue ragioni (l'estrema penuria delle manifestazioni esteriori dell'altra resistenza in un panorama come quello genovese universalmente riconosciuto come il più "unitario", l'assenza pressoché totale di documentazione e di testimonianze inerenti e in ultimo, forse, l'estraneità di Peregalli alla cultura politica anarchica e libertaria che egemonizzò nel genovese queste manifestazioni di non uniformità) tuttavia non lo avrebbe dovuto esimere dallo scavare un poco più a fondo. Sicuramente non esime chi, vivendo a Genova e condividendo in gran parte quella cultura politica, intenda contrastare la "marginalizzazione" di esperienze storiche del proletariato.
Ci troveremo perciò a tentare di ricostruire un pezzo di memoria che è all'intersezione tra la storia "interna" del movimento anarchico genovese, il suo radicamento di classe, la sua crisi e la storia "esterna" della lotta cospirativa e insurrezionale contro il nazi-fascismo e del ruolo che gli anarchici vi hanno giocato.
L'antifascismo degli anarchici
Le dimensioni quantitative della partecipazione anarchica alla lotta partigiana a Genova sono sicuramente superiori a quelle che gli scarsi accenni degli storici della Resistenza ligure più accreditati (Gimelli, Miroglio, ecc.) fanno intendere. E sono probabilmente superiori a quelle ritenute plausibili immediatamente dopo la fine della guerra dagli anarchici stessi. Di per se tuttavia questo non è un dato qualificante se non lo si colloca all'interno della peculiare concezione (rivoluzionaria ed internazionalista) che gli anarchici ebbero della lotta antifascista come di una fase contingente - certo importante, ma non centrale - all'interno di un progetto rivoluzionario, anticapitalista e antistatalista. Questa purezza di ideali, sommata alle note remore ad assumere forme organizzative centralizzate e fondate su vincoli disciplinari, condizionò certamente sia la possibilità di mantenere un minimo di efficiente struttura clandestina durante il ventennio, che quella di mantenere comunque un rapporto organico con la massa dei lavoratori (come tentarono e in parte riuscirono a fare i comunisti con l'entrismo - osteggiato tuttavia da molti militanti di base - nelle organizzazioni di massa fasciste). Come si ricava dalle biografie di tanti anarchici attivi nel biennio rosso e poi di nuovo a partire dal '43 nella lotta partigiana, la scelta per molti fu tra l'esilio e il silenzio come unica difesa della propria dignitosa intransigenza. Non vogliamo certo far torto ai tanti compagni liguri e genovesi che pagarono con lunghe condanne detentive o con il confino la propria aperta opposizione al regime, né a tutti quelli che dall'esilio (o nella guerra di Spagna) continuarono nei fatti a propagandare sia l'avversione al fascismo che la propria fede nella rivoluzione proletaria e internazionale (molti ne incontreremo fra i protagonisti della lotta partigiana), ma sentiamo la necessità di individuare tutti quei motivi storici e politici che possano gettar luce sulla profonda discrepanza tra le migliaia di iscritti anarchici, libertari e sindacalisti rivoluzionari alle Camere del Lavoro del ponente industriale negli anni '20 (la sola C.d.L. di Sestri P. a maggioranza anarcosindacalista contava circa 14.000 aderenti) e la cinquantina di vecchi militanti che a partire dal novembre del '43 riorganizzarono la presenza anarchica nelle manifatture e nei quartieri del ponente e dettero vita alle prime squadre d'azione comuniste libertarie. Certo questo fenomeno riguardò tutti i vecchi partiti e forze di opposizione al fascismo (con la parziale eccezione del partito comunista che mantenne pur tra molte difficoltà una struttura clandestina abbastanza efficiente) che tuttavia riguadagnarono rapidamente consensi ed adesioni in virtù in pari misura divisa della contingenza delle proprie parole d'ordine, delle capacità politiche e manovriere dei propri leader locali e nazionali, delle entrature di questi ultimi presso gli Alleati e infine di programmi politici democratico-borghesi che in larga misura predicavano il ritorno allo status ante e l'obbiettivo della pace sociale. Come e quanto tutto questo possa riguardare i partiti della sinistra (comunisti, socialisti e frange del Partito d'Azione) i cui militanti spesso si richiamavano a posizioni intransigenti e rivoluzionarie, non è ovviamente materia immediata di questa ricerca come non lo è il giudizio sulla natura della svolta togliattiana di Salerno, le sue implicazioni e i suoi effetti, anche se su questo torneremo trattando della politica del CLN provinciale e sui rapporti che gli anarchici genovesi intrattennero con questo.
Quello che ci premeva far rilevare è che le peculiarità (sia in termini di valori che di limiti) di una tradizione politica come quella anarchica e libertaria rendono inadeguate le valutazioni del puro dato quantitativo come quelle di successo o insuccesso di un'ipotesi politica in base all'efficienza delle sue prestazioni nell'agone di potere e rappresentativo democratico-borghese.
Tenteremo allora di misurare questo ipotetico peso alla luce dei seguenti fattori: a) la disarticolazione pressoché totale del vecchio movimento anarchico ante fascismo; b) il residuo radicamento di classe del movimento nelle sue roccaforti; c) il cospicuo afflusso di giovani che poco o nulla potevano conoscere dell'anarchismo nelle squadre d'azione e nei distaccamenti e le brigate libertarie; d) il peso relativo nell'apparato cospirativo e insurrezionale; e) l'incidenza sulla politica dei CLN; f) l'influenza reale acquisita nella classe operaia genovese.
Una storia che manca: perché?
Mi sembra opportuno esporre preliminarmente le difficoltà che si incontrano nel tentare di ricostruire quello che abbiamo definito un pezzo di memoria, l'intersezione di due storie: quella della lotta partigiana e quella del movimento anarchico.
Incominciamo dalla prima. La storia della lotta di liberazione in Liguria è stata oggetto di una gran quantità di pubblicazioni che spaziano dalla memorialistica, ai saggi e agli articoli su aspetti specifici come quello notevole di Gibelli, Genova operaia nella resistenza, alla pubblicazione di carteggi e archivi privati come il Brizzolara per l'archivio Taviani, ad opere di carattere più generale e sistematico (da segnalare Miroglio, Venti anni contro venti mesi e La Liberazione in Liguria e il classico Gimelli con Cronache militari della Resistenza in Liguria). Purtuttavia in nessuna delle opere che ho potuto consultare ci sono notizie certe sulla consistenza della presenza anarchica nella lotta partigiana (anzi spesso queste notizie non ci sono proprio) ma vi si ritrovano qua e là brandelli di informazioni contraddittorie e a volte palesemente inesatte (come per la zona operativa della Brigata SAP libertaria "E.Malatesta" di volta in volta localizzata a Cornigliano, Pegli o S.P.D'Arena). L'unico che si avventura sul terreno dei numeri è Gimelli che tuttavia attribuisce alla presenza anarchica nelle SAP cittadine una dimensione evidentemente inferiore a quella effettiva e una presenza nei vari CLN (cospirativi, aziendali, legali) che (seppur diligentemente percentualizzata con decimali, operazione che come si sa tende ad autocertificare l'esattezza di quanto si afferma) in primo luogo non risponde all'effettiva partecipazione degli anarchici ai CLN e in secondo luogo - anche se rispondesse - sarebbe comunque frutto di operazione metodologicamente sbagliata (come vedremo più avanti) e sicuramente fuorviante rispetto alla consistenza dei nuclei aziendali e locali cospirativi ed insurrezionali anarchici.
Le cose tuttavia non vanno meglio per quanto riguarda la storiografia anarchica, sufficiente per quanto riguarda la Toscana, scarsa per quanto riguarda l'Emilia e la Lombardia essa è praticamente nulla per quanto riguarda la Liguria e Genova. Le uniche fonti del movimento anarchico che riguardino il ruolo degli anarchici nella lotta partigiana genovese mi risultano essere qualche articolo sparso sulle pubblicazioni del movimento o qualche accenno in saggi di argomento più generale che, sistematicamente, fanno riferimento all'elenco dei caduti anarchici (per molti versi lacunoso ed impreciso) pubblicato sul n.4 Anno VII dell'Impulso organo dei Gruppi Anarchici di Azione Proletaria. La memorialistica anarchica è poi, nel caso genovese, inesistente in quanto a pubblicato e comunque esile e sparpagliata in archivi privati e nazionali. Ma su questo torneremo più avanti.
Restano le fonti primarie ufficiali quali l'archivio dell'Istituto Storico della Resistenza, l'Archivio di Stato di Genova attuale gestore del Fondo CLN, l'Archivio di Stato di Roma, L'ANPI. Prescindendo dal fatto che l'ANPI provinciale sembra non possedere non solo l'elenco dei partigiani riconosciuti o quello dei caduti ma persino un elenco attendibile delle varie brigate partigiane e delle loro zone operative, resta da dire che per il resto del materiale esistono obbiettive difficoltà di consultazione e per la sua vastità e per i carenti criteri di catalogazione.
Tutto questo, tuttavia, non giustifica l'assenza di una purchè minima relazione sull'attività degli anarchici genovesi nella lotta antinazifascista. O meglio se è comprensibile che questa non sia venuta dalla ricerca storiografica ufficiale o accademica lo è un po' di meno che nessun tentativo di ricostruzione sia avvenuto da parte degli anarchici stessi. A meno che non si voglia considerare il carattere di stretta necessità e di episodicità che essi hanno attribuito alla loro partecipazione alla resistenza. Un episodio limitato all'interno di un percorso rivoluzionario. Un episodio comunque anche di fronte alla lotta degli anarchici contro il fascismo, iniziata negli anni '20 e combattuta in Spagna ancor prima che in Italia. Un episodio forse anche "imbarazzante" perché caratterizzato in senso patriottico e non certo internazionalista, perché combattuto a fianco dei partiti borghesi o di quel partito comunista allora organicamente stalinista e dunque corresponsabile dell'assassinio di Camillo Berneri in Spagna e complice dello sterminio di tanti comunisti e anarchici nei gulag siberiani. Un'insofferenza verso questo stato di "necessità" nemmeno troppo mascherata mi sembra di ritrovare nelle parole di Emilio Grassini in un intervento dai lui fatto in un convegno clandestino degli anarchici a Sestri P. nel giugno del '42: "Essendo il fascismo il primo caposaldo da demolire e ogni colpo da chiunque tirato sarebbe sempre desiderato, in questa azione ci troveremo sempre gomito a gomito con l'arma in pugno anche con quegli elementi le cui finalità sono in contrasto con le nostre o sono indefinite. Quali saranno in quel momento i nostri amici e quali i nostri nemici? Difficilmente ci sarà possibile distinguerli e tutti ci appariranno compagni di lotta. Ma caduto il primo caposaldo, cioè il fascismo, ogni corrente rivoluzionaria avanzerà le proprie rivendicazioni .... Perciò nostro preciso compito crediamo sia questo: lavorare contro il fascismo, sì, con chiunque: ma esigere da chiunque il diritto all'affermazione dei nostri sacrosanti principi libertari". Un episodio, uno stato di necessità, una costrizione della quale quando è terminata si parla mal volentieri.
Nei prossimi capitoli vedremo, tra l'altro, lo sviluppo di questa convivenza.
L'avvento del fascismo, la clandestinità
Ci fa da filo conduttore la "Relazione del lavoro svolto durante il periodo fascista, insurrezionale e dopo la liberazione"1 stesa da un compagno non identificato nell'immediato dopoguerra: "Dopo le battaglie sostenute contro i fascisti, culminante nell'assalto alla Camera del Lavoro di Sestri Ponente nella quale i fascisti e le guardie regie ebbero la peggio, la situazione s'inasprì sempre più contro gli anarchici".
Nel biennio rosso i militanti e i gruppi anarchici erano una forza ragguardevole, attiva e sempre presente nelle lotte sociali e politiche nel Genovesato. I punti di forza del movimento: la Valpolcevera e i comuni operai del ponente cittadino (Sestri P., Cornigliano, S.P.D'Arena, ecc.). Secondo la polizia alla fine del 1919 il numero dei militanti di questi gruppi era di oltre duecento e vengono citati, tra i più attivi ed influenti, tra gli altri, Gastone Cianchi, Emilio Grassini, Angelo Dettori. In campo sindacale la situazione era ancora più favorevole: consistenti nuclei libertari erano presenti nei vari stabilimenti del gruppo Ansaldo (Fonderia, Cantiere, Proiettificio, Vagonificio) e in varie altre importanti aziende metallurgiche e metalmeccaniche (Ferriere di Sestri P., Ferriera di Trasta, ecc.) dislocate nel ponente e nella Valpolcevera. Le lotte operaie di quegli anni culminate nell'occupazione delle fabbriche avvenuta l'uno e due settembre 1920 vedevano particolarmente attivi anarchici, libertari e sindacalisti rivoluzionari organizzati nell'USI. Tra questi Pietro Caviglia, Angelo Dettori, i fratelli Stanchi, Emilio e Natale Grassini, Piana, Antonio Negro, Pasquale Binazzi, ecc. La storia racconta come si concluse l'occupazione e come svanì l'ultima grande occasione per un attacco rivoluzionario offerta alla classe operaia: le esitazioni della C.G.L., l'accettazione da parte del Partito socialista e della stessa C.G.L. del compromesso giolittiano, lo smantellamento del movimento. A Sestri Ponente la maggioranza degli operai organizzati nella locale Camera del Lavoro respinse quella che fu definita "la beffa atroce del controllo operaio", ma ciò non servì a nulla come a nulla servì il tentativo dell'USI di estendere il movimento alle ferrovie, ai porti, alle navi nel convegno regionale convocato a S.P.D'Arena il 7 settembre. La risoluzione di palazzo Marino cancellò tutto e lasciò i lavoratori disarmati di fronte alle reazione fascista2.
La Camera del Lavoro di Sestri P. a forte maggioranza anarchica e sindacalista rivoluzionaria (venne diretta da sindacalisti e anarchici a partire dal 1905 e nel biennio rosso da Antonio Negro) e che contava quasi quattordicimila iscritti era tuttavia osso duro da rodere e ancora per qualche tempo mantenne intatte le sue capacità d'organizzazione e di lotta. Tuttavia "La sera del 4 luglio 1921 le squadre fasciste provenienti da Genova, dopo essersi abbandonate ad atti di violenza contro singoli lavoratori, mossero all'assalto della sede della Camera del Lavoro, mentre reparti di carabinieri e poliziotti assistevano senza intervenire. Nella C.d.L. si trovava un centinaio di operai ed ebbe inizio così una violenta battaglia che durò tutta la notte e nella quale carabinieri e poliziotti si affiancarono ai fascisti, facendo uso di moschetti e di bombe a mano; all'alba i difensori, esaurita ogni possibilità di resistenza, riuscirono a lasciare l'edificio e a mettersi in salvo mentre la Camera del Lavoro venne devastata dagli assalitori."3 Uno sciopero dei lavoratori sestresi protrattosi dal 5 al 7 luglio non riusciva ad impedire la chiusura e l'occupazione da parte dei carabinieri della sede della CdL. Solo il 31 luglio essa veniva restituita con l'imposizione di un "patto di pacificazione" siglato per gli organizzatori sindacali da Angelo Dettori e Angelo Faggi4.
L'accordo venne ben presto disatteso dai fascisti e la C.d.L. doveva essere chiusa definitivamente nel 1922. L'attacco fascista divenuto generalizzato contribuì a scompaginare definitivamente le vecchie organizzazioni sindacali e politiche - intransigenti o tentennanti che fossero - in tutta la Liguria, come nel Genovesato e nel ponente cittadino. E' tuttavia degno di rilevanza il fatto che l'ultimo Congresso nazionale ufficiale dell'USI si tenesse a Genova il 28 e 29 giugno 1925 e che vi fosse una discreta rappresentanza di delegati per la Liguria e per Genova in particolare a dimostrazione di legami non del tutti scissi con il proletariato delle grandi fabbriche.5
Si chiudeva comunque - per gli anarchici come per gli altri - una fase della storia della lotta di classe e si apriva un nuovo capitolo contrassegnato da attività cospirative, lotte isolate, azioni anche individuali che in qualche modo avrebbero mantenuto una continuità tra il passato e la speranza di un futuro diverso.
I nomi dei compagni che abbiamo citato e di molti altri protagonisti di quelle lotte, li ritroveremo nella lotta clandestina, vittime di persecuzioni politiche, in esilio, militanti in terra di Spagna, al confino, e finalmente nella lotta armata contro il fascismo.
Note
1 - Relazione del lavoro svolto durante il periodo fascista, insurrezionale e dopo la liberazione (nel seguito semplicemente Relazione), dattiloscritto conservato in originale nel Centro di Documentazione Anarchica di Piazza Embriaci (Genova). L'attribuzione più verosimile di questo scritto sembrerebbe quella a Pietro Caviglia perché la prima parte di questo scritto compare - con piccole variazioni - all'interno dell'articolo titolato "La Resistenza anarchica nella grande Genova" apparso sul numero 16 A.XLIV di Umanità Nova del 26 aprile 1964 a firma Caviglia - Marzocchi e dunque, escludendo Marzocchi per motivi stilistici, l'ipotesi subordinata è che la relazione sia stata stesa proprio da Pietro Caviglia.
2 - Gino Bianco, L'attività degli anarchici nel biennio rosso (1919-1920), Il movimento operaio e socialista in Liguria A.VII n.2 Aprile-Giugno 1961
3 - G.Perillo, Il movimento operaio italiano, Roma 1977
4 - ASG, Carte della Prefettura Gabinetto, pacco 21 - Il testo è riportato in G.Faina, Le lotte di classe in Liguria 1919-1921, Genova 1965
5 - Resoconto del Convegno Nazionale dell'Unione Sindacale Italiana, Genova 28 e 29 Giugno 1925. Conservato in originale presso la Biblioteca Max Nettlau di Bergamo e riportato integralmente in Autogestione n.6, Autunno-Inverno 1980 nell'articolo "U.S.I. ultimo atto - Il Convegno Nazionale di Genova 1925" di Maurizio Antonioli.
Tra i delegati di Genova sicuramente Antonio Negro e Attilio Caggero. Riportiamo alcune parti del resoconto: "Dopo il decreto di morte governativo del 7 gennaio [si fa cenno al decreto di scioglimento dell'USI del pretore di Milano del 7 gennaio 1925], i sindacalisti rivoluzionari d'Italia si sono riuniti nella capitale della Liguria ed hanno emanato un decreto di vita per la gloriosa ed eroica Unione Sindacale Italiana. Il Convegno tenutosi in secreto è riuscito imponente contrariamente ad ogni aspettativa. Erano rappresentate la Lombardia con 10 rappresentanti fra cui le città di Milano, Bergamo, ecc.; il Piemonte con 2 rappresentanti; la Liguria con 5 rappresentanti, fra cui principalmente la nostra Sestri Ponente, La Spezia, ecc.." e più avanti, specificamente sulla situazione genovese: "Attilio Caggero di Sestri Ponente porta il saluto del proletariato ligure. Dice che il morale delle maestranze operaie metallurgiche è quanto mai alto; alcune agitazioni come quelle delle maestranze delle Ferriere Bagnara si son chiuse con risultati soddisfacenti. Si nota un risveglio in tutta la Liguria. L'oratore porta a sostegno della sua affermazione dei dati precisi con risultati ottenuti dai sopralluoghi della Spezia, Novi Ligure, Savona, S.P.D'Arena..."
Clandestinità, esilio e repressione
"Con l'accusa del fascismo al potere molti compagni dovettero riparare all'estero. Coloro che non vollero varcare le frontiere furono quasi tutti bastonati, carcerati e inviati al confino"1. In effetti sono molti i compagni che già dal 1921 subiscono duramente i colpi della reazione montante. Almeno tre sono gli assassinati: Primo Palmini a Pegli, Rossi a Sestri Ponente e Pierino Pesce a Coronata;2 molti anche i feriti dalle squadre fasciste. Altri come Adelmo Sardini, Lorenzo Gamba, Augusto Boccone, Costantino Sansebastiano, Francesco Rangone, Emilio Grassini - solo per citare alcuni nomi che ritroveremo nell'arco di tutta la lotta di opposizione al fascismo - sono arrestati, ammoniti, iscritti nelle liste di proscrizione già a partire dai primi anni '20. Lo stesso Gamba, Pietro Caviglia, Bruno Raspi, Renato Gori debbono riparare in Francia insieme a molti altri. All'entrata in vigore delle leggi eccezionali e del tribunale speciale altri militanti anarchici sono colpiti: Carlo Benati è arrestato nel '25, Paquale Binazzi e Vincenzo Toccafondo nel '26, Virgilio Mazzoni e Umberto Seidenari inviati al confino nel '26, Gastone Cianchi ammonito e sottoposto a stretta vigilanza, Armando Bugatti arrestato nel '28. Il movimento anarchico e sindacalista genovese (così come nel resto d'Italia) è duramente colpito dalla repressione e forse più d'altri, almeno agli inizi, patisce le proprie forme organizzative federative particolarmente vulnerabili alla perdita dei contatti.
"Un minuscolo gruppo rimase nella Liguria ammonito o negletto, il quale, sia pure sotto la vigilante osservanza dei poliziotti e delle spie fasciste, riuscì a passare ventitre anni nella cloaca fascista senza rinunzie pur pagando regolarmente regolari corsi di carcere preventivo, qual delizie del nuovo regime"3. Gli anni bui del regime non intimidiscono più di tanto i compagni rimasti a Genova e scampati alla galera o al confino. Anzi è proprio a partire dagli anni '30 che si ristabiliscono i contatti, dapprima tra i militanti genovesi, a piccoli gruppi, e poi tra questi e quelli delle altre località (infaticabile è stata in questo senso l'opera di Pasquale Binazzi che negli anni non passati tra galera e confino tessé instancabile una rete di collegamenti clandestini), infine con i compagni in esilio in Francia. Si passa cioè dalla ribellione e dalla resistenza individuale o dalla cospirazione armata di singoli o piccoli gruppi che progettano il "gesto esemplare" o il "tirannicidio" - come nel caso del gruppo di Faustino Sandi, Guido Marzocchi e Pietro Meloni condannati a 30 anni di carcere per aver in concorso tra loro e con altri costituito "associazione tendente a provocare strage e preparato attentato al duce" con sentenza del Tribunale Speciale del 15/6/19324 - alla ricostruzione di una rete organizzativa di lotta antifascista e di propaganda anarchica.
"Si deve appunto a questo piccolo gruppo sparpagliato nei vari paesi del genovesato se la fiaccola dell'anarchismo continuò ad ardere luminosa in mezzo alle tenebre fasciste."5. Chi fossero i compagni che hanno tenuta accesa la fiaccola in mezzo a mille difficoltà lo possiamo solamente supporre: sicuramente Emilio Grassini, testimone in seguito lucido e attento di quegli anni, certamente i fratelli Stanchi, probabilmente Toccafondo, Mazzoni, Sardini e gli altri rimasti, nei brevi periodi liberi tra arresti, carcere e confino.
"Dobbiamo aggiungere che a differenza di quanto avvenne in altri partiti, i superstiti dell'anarchismo ligure non ebbero bisogno di coprirsi con l'orpello ributtante del "doppio gioco", di indossare cioè i simboli contrari all'anarchia."6. L'intransigenza e il rigore dei principi, la "fede" cocciutamente rivendicata, la "refrattarietà" al conformarsi sono certo sempre state caratteristiche precipue degli anarchici (a volte così caparbiamente esibite da rischiare più che l'estraneità, l'antagonismo nei confronti dei duttili tatticismi sacrificati alla politica "rivoluzionaria" di classe), non c'é dunque motivo di dubitare che tra le fila dei nostri compagni le defezioni siano state pochissime.
Pochissime quelle dovute a calcoli di opportunità personale, alcune dovute ad una sorta di "grande sonno" che per molti finirà il 25 aprile del '43, sicuramente nessuna dovuta ad un doppio gioco programmato, all'entrismo cioè nelle organizzazioni di massa del fascismo - che ad esempio i quadri comunisti spesso attuarono per mantenere comunque aperto un rapporto con le masse lavoratrici. Un limite o una coerenza totale? Probabilmente tutte due le cose insieme.
Seguiamo ancora la Relazione: "[gli anarchici] Pagarono di persona rimanendo coerenti ai nostri ideali. Gli schedari polizieschi sono lì a confermare la nostra asserzione: "L'anarchico schedato (vi si legge) mantiene le sue idee, continua su di lui la sorveglianza", oppure "seguendo gli ordini ecc. abbiamo arrestato l'anarchico schedato X il giorno .... e lo abbiamo rilasciato il giorno .... Continua la sorveglianza". Di questi rapporti i dossier dei nostri compagni sono pieni e non ne troverete uno in cui vi sia una parola che faccia dire allo sbirro: l'anarchico X si ricrede, si pente ecc."7.
Le schede della polizia che abbiamo potuto consultare8 recano la stampigliatura "Anarchico" sovente seguita da "pericoloso" e dalle azioni da intraprendere: vigilare, mantenere sotto stretta sorveglianza oppure per i fuoriusciti iscritti nelle liste di frontiera: segnalare, perquisire, arrestare. Più della metà del campione di schede che è stato possibile visionare si riferisce a militanti espatriati all'avvento del fascismo o negli anni immediatamente successivi. In una prima approssimazione è anche possibile stabilire quali furono i paesi meta dell'emigrazione: la Francia innanzitutto (almeno il 20% vi si stabilirono), poi la Spagna, gli USA e l'Argentina in maniera consistente, e poi ancora il Belgio, Tunisi, Londra, ecc. Dalle stesse schede siamo poi in grado di indurre le condizioni professionali prevalenti: operai dell'industria in maggioranza, poi braccianti, muratori e artigiani; questo spaccato sostanzialmente coincide con quello che è possibile ricavare dalle schede dei condannati dal Tribunale Speciale e - come vedremo - dalle biografie dei compagni che abbiamo ricostruito: tanti lavoratori del braccio (provenienti infatti in prevalenza dalle zone ad altra concentrazione operaia del Genovesato), pochissimi intellettuali di professione ma moltissimi generosi ed entusiasti autodidatti.
Note
1 - Relazione citata
2 - Dall'articolo di E.Grassini "Per la storia del nostro movimento in Liguria (parte I)" pubblicato su L'Amico del Popolo, A.II n.4 del 6/4/1947 traiamo la seguente testimonianza: "Negli scontri con le forze reazionarie monarchico- fasciste caddero: a Pegli il compagno Palmini Primo di La Spezia, a Sestri il sindacalista Rossi colpito a tradimento dai sicari della borghesia; e molti compagni feriti in azione più o meno gravemente, mentre a Coronata cadeva il ribelle Pierino Pesce, elemento insofferente di ogni disciplina e molto vicino a noi... "incamerato" poi, come il Palmini, fra i caduti del PCI allora appena nato." Su Pierino Pesce anche: AA.VV., Campi e SIAC protagonisti della resistenza antifascista contro il nazismo invasore in difesa di libertà e democrazia, Genova 1985.
Al di là dell'appartenenza politica di Palmini e Pesce - peraltro per quanto riguarda Pierino Pesce timidamente confermata dal libro curato dall'ANPI di Cornigliano Quarantesimo anniversario della Repubblica, Genova 1986 - c'è da rilevare che l'oscuramento del ruolo degli anarchici nell'antifascismo e nella Resistenza (da parte principalmente dei comunisti) è dovuto ad almeno due fattori: il primo è la pura e semplice mistificazione storica per ragion di partito (come probabilmente è in questi due casi); il secondo, ben più preoccupante, è la vera e propria rimozione collettiva che ad esempio porta alcuni anziani membri dell'ANPI di Cornigliano ad affermare che nella delegazione non v'erano anarchici attivi durante la lotta di liberazione e cancellando così di colpo l'opera di compagni come Ogno e Quintili nel CLN o quella di Grassini nella cospirazione antifascista o dell'intera Brigata Pisacane e dei suoi membri. Che questa rimozione sia poi il risultato di processi orwelliani di riscrittura della storia proletaria in epoca stalinista o abbia altre cause poco importa: se la memoria è così facile da cancellare abbiamo a temere soprattutto per il futuro.
3 - Relazione citata
4 - Da Biga-Conti-Paoletti, I precursori della lotta per la libertà nella Liguria contemporanea - Dizionario biografico, Genova 1994
5 - Relazione citata
6 - Relazione citata
7 - Relazione citata
8 - ASG Fondo P.D.A., B.538,539 - Si tratta purtroppo solo di una parte limitata dello schedario che comunque rende bene l'idea dell'entità e della tipologia delle segnalazioni.
Una prima ripresa
"Mentre la polizia e fascismo sorvegliavano l'anarchismo per "salvare l'Italia" i nostri compagni superstiti mantenevano i contatti di paese in paese e persino con l'estero. Fu appunto verso il 1930-32 che in un Primo Maggio riuscirono ad avere dalla Francia una infinità di giornali e, in parte a diffonderli"1. L'attività di diffusione organizzata di stampa e opuscoli clandestini deve essere iniziata in forma organizzata un po' prima di quanto ricordasse l'estensore della Relazione. Questa è almeno l'impressione che si ha scorrendo gli elenchi e le imputazioni dei rinviati al Tribunale Speciale. I contatti con l'emigrazione anarchica all'estero dei compagni genovesi sembrano risalire almeno al 1927. Infatti all'inizio di quell'anno viene arrestato a Genova Luigi Galleani perché trovato in possesso di giornali anarchici stampati a New York. Possiamo dunque supporre che già dal '27 fosse in via ricostruzione una rete clandestina di distribuzione di stampa anarchica proveniente dall'estero (USA, Francia). La supposizione viene poi confermata dall'arresto e dall'invio al confino di altri militanti anarchici genovesi accusati di aver diffuso stampa anarchica negli anni immediatamente successivi (Armando Bugatti incarcerato nel '28, Giovanni Battista Repetto inviato al confino nello stesso anno, Delfino Podestà confinato nel '29, Romeo Gandino di Sestri L. diffidato e iscritto nell'elenco delle persone da arrestare a scopo preventivo). L'episodio specifico a cui si riferisce Grassini è probabilmente la diffusione clandestina di una gran quantità di giornali e manifesti, arrivati dalla Francia, nel maggio-giugno del '31 e in seguito al quale un gran numero di compagni - particolarmente a Sestri P. - furono indagati, arrestati, ammoniti o confinati. Nel giugno del 1931 un rapporto della capitaneria di Porto di Genova segnalava che nascosti nella nave "Teresa Schiaffino" erano stato rinvenuti almeno 500 manifesti anarchici. La polizia riteneva che fossero stati caricati a Marsiglia con la complicità di qualche scaricatore anarchico2. Evidentemente non tutto il materiale fu individuato o altro ne giunse o prima o dopo. Tra i compagni che furono colpiti qualche mese dopo ricordiamo Lorenzo Biselli (condannato al confino), Pietro Caviglia (arrestato e poi rilasciato), Giovanni Cortese (ammonito), Antonio Grasso (arrestato e poi prosciolto), Augusto Guarducci (condannato al confino), Gaetano Mosti (condannato al confino), Giuseppe Pastorino (condannato al confino), Oreste Picco (condannato al confino), Beniamino Restori (condannato al confino), Giacomo Testani (condannato al confino) e infine i fratelli Stanchi, Attilio e Carlo, anch'essi inviati al confino e che probabilmente furono tra i principali organizzatori dell'attività clandestina insieme allo stesso Grassini. Ce ne fornisce conferma Grassini stesso: " ...una gran parte dei compagni hanno dovuto rifugiarsi all'estero ed i pochi che sono rimasti hanno dovuto lavorare piano e con cautela, dopo lunghi sforzi hanno ottenuto un collegamento con i compagni all'estero quando nel 1931 una spia in seno al movimento aggrava la situazione in modo che dopo pochi giorni questa essendo a conoscenza che a casa di un compagno vi è della stampa, provoca dopo poche ore l'intervento della polizia nella sopraddetta casa, ma nulla riuscirono a trovare di ciò che cercavano causando perciò l'arresto dei fratelli Stanchi Carlo e Attilio, di conseguenza malgrado che la polizia non avesse avuto prove condannò i sopraddetti fratelli a 5 anni di confino. Perciò i compagni hanno dovuto lavorare ancora con più cautela per infiltrarsi nelle masse con qualche scritto."3 Nel novembre del 1932, probabilmente a repressione preventiva di una temuta ripresa anarchica, un rapporto della regia prefettura denunciava un'attività anarchica in Valpolcevera dove era nato un gruppo denominato "Alleanza anarchica" e per questo finivano incarcerati Silvio Battistini, i fratelli Giacomo e Giovanni Gaggero, Giovanni Rolando e Attilia Pizzorno, quest'ultima sospettata in quanto "anarchica schedata" e "pericolosa" di essere a capo del gruppo. Giovanni Rolando e Attilia Pizzorno erano stati negli anni '20 rispettivamente direttore e collaboratrice del giornale anarchico "Gli Scamiciati" allora stampato a Pegli4.
Ci siamo dilungati su questi episodi non tanto per la loro importanza specifica quanto perché in primo luogo, segnano la rinascita di una rete organizzativa ancora fragile ma abbastanza ramificata, con collegamenti anche internazionali; in secondo luogo, perché l'epicentro di questa struttura è Sestri P., ricca in passato di tradizioni libertarie e di presenza anarchica e sindacalista preponderante; in terzo luogo, perché gli arrestati e gli inquisiti sono quasi tutti operai della grande industria genovese e ciò rimarca la natura di classe dell'anarchismo genovese.
Riprendiamo la Relazione: "Purtroppo un lurida spia crediamo di oltre frontiera, informò la sbirraglia e molte case furono perquisite. Vi furono molti arrestati ma nulla cadde solo unghie poliziesche di modo che il tribunale speciale non lavorò. Lavorò invece per alcuni in confino e le nostre file si assottigliarono sempre più. La sorveglianza polifascista non dava tregua e bisognava [tenere] sempre più tutto il contrabbando delle nostre idee nel nostro cervello. Era sufficiente un indirizzo, un saluto, per provocare l'arresto o l'ammonizione, di modo che si può dire che fu una ben grande cosa se riuscirono a rimanere in collegamento in un ben ristretto numero di compagni"5.
La seconda metà degli anni '30 è il periodo del fascismo trionfante, dell'impero, dei successi coloniali e dell'illusione del benessere per tutti. La classe operaia per la verità non beneficia granché di questo presunto stato di cose, sottoposta più che mai alla pressione padronale e all'immiserimento delle proprie condizioni di vita. Ma la "pubblica opinione", come sempre accade, da voce prevalentemente a quegli strati sociali che sono, relativamente, privilegiati dal regime per naturale consustanzialità oppure a quelli irretiti dalla propaganda fascista della "nazione proletaria". Anche gli strati giovanili e studenteschi più vivaci intellettualmente, come ben racconta Zangrandi6 sono sostanzialmente conquistati dal mito della "terza ondata", della riscoperta delle radici rivoluzionarie e anticapitaliste del fascismo e a questo piegano l'entusiasmo per le imprese coloniali o per la prossima guerra di Spagna. Anche dal punto di vista culturale le "aperture" di alcuni dirigenti fascisti7 che fanno mostra di tiepida fronda all'establishment, attraggono intellettuali antifascisti e comunisti ad una sorta di "entrismo culturale" in cui non è chiaro chi fa il gioco di chi. Per la classe operaia e la masse lavoratrici tutto è molto più chiaro, non c'è un solo aspetto del fascismo che non sia organicamente connesso al dominio di classe del grande capitale e ciò si palesa in esperienza diretta di licenziamenti, perdita di potere d'acquisto, aumento dei ritmi di lavoro e peggioramento delle condizioni in cui esso si svolge. La resistenza sindacale è ardua ormai quasi come quella politica, neppure il tentativo di militanti comunisti di infiltrarsi nelle organizzazioni sindacali fasciste produce dal primo punto di vista effetti di sorta, forse è più pagante, alla lunga, sul secondo terreno in quanto prelude alla ricostituzione di una rete di quadri operai e di un reticolo di rapporti all'interno delle fabbriche. Per gli anarchici questi problemi neppure si pongono, l'integrità rigida e la coerenza interna estrema del loro quadro teorico e strategico non permette derive sul piano tattico né oscillazioni sul piano delle alleanze: la lotta al fascismo è la lotta allo Stato e al Capitale e in questa lotta ci si accompagna a chi ne riconosce l'unitarietà. La prospettiva è dunque quella di serrare le fila sotto i colpi della repressione, contarsi, riprendere con cautela i contatti con altri compagni, cercare canali sicuri per la diffusione della propria stampa, fare propaganda ad un tempo per l'idea e contro il regime imperante. Le prospettive sono buie, ma questo è ciò che c'è da fare. Mentre Pasquale Binazzi si prodiga in quest'opera di paziente tessitura a livello di Norditalia, a Genova chi fa da punto di riferimento per i pochi compagni (concentrati a massima parte nel ponente cittadino ed in particolare a Sestri P.) è sicuramente Emilio Grassini, la sua officina di Cornigliano, nonostante la stretta sorveglianza a cui egli è sottoposto, è un po' il centro ideale della rete che si va costituendo.
Eppure nonostante questi siano gli anni più bui è proprio nel '36 che si apre uno spiraglio che incrina l'immagine del fascismo trionfante ed imbattibile: la guerra civile e poi rivoluzione spagnola, l'accorrere di volontari da ogni parte del mondo, la difesa vittoriosa di Madrid, dimostrano che il fascismo e il nazismo non sono invincibili se i militanti rivoluzionari e le masse lavoratrici si riappropriano dell'internazionalismo e dell'iniziativa di classe. Gli anarchici affluiscono a Barcellona e Madrid da tutta Europa. Gli anarchici italiani sono in prima fila e dalla Francia o espatriando clandestinamente dall'Italia accorrono in Spagna. Lo stesso vale per gli anarchici liguri e genovesi:
Carlo Baccigalupo (varie missioni in Spagna nel '37), Virgilio Bertola (colonna Durruti, Madrid, fronte aragonese, ferito a Huesca), Antonio Casella (Divisione Ascaso, colonna Rosselli), Natale Cicuta (colonna Rosselli), Pompeo Crespi (Colonna Rosselli, ferito ad Almudevar), Aldo Fiamberti (Colonna Rosselli), Adelmo Godani (combattente), Giacomo Repetti (Brigata Garibaldi, più volte ferito), Mario Traverso (Colonna Rosselli, caduto in Estremadura), Adamo Agnoletto (Colonna Ascaso), Umberto Marzocchi (Colonna Rosselli, Commissario politico), Nicola Turcinovich (Colonna Ascaso), Marcello Bianconi (Colonna Ascaso), Guglielmo Bertini (combattente), Renato Gori (combattente), Giuseppe Nardi (combattente) sono solo alcuni di coloro che da Genova, dalla Liguria o dall'esilio accorrono in Spagna per difendere la libertà del popolo spagnolo. Insieme a molti altri che da Genova e dall'Italia avevano organizzato il sostegno alle brigate rivoluzionarie (ricordiamo tra gli altri Wanda Lizzari e Giuseppe Lapi condannati al confino per l'aiuto alle brigate "rosse" spagnole), quelli che tornano, dopo l'internamento in Francia e spesso il confino in Italia, si preparano a combattere la stessa lotta contro gli stessi nemici.
Note
1 - Relazione citata
2 - ACS, Sez.Prima busta 24, AA.GG. 1930/31 - citato in Pietro Bianconi, Gli anarchici italiani nella lotta contro il fascismo, Ed.Archivio Famiglia Berneri, Pistoia 1988
3 - Intervento di Emilio Grassini al Congresso regionale della F.C.L.L. del 30/12/1945 tenutosi a Sestri P. - Documento originale dattiloscritto conservato nel Centro di Documentazione Anarchica di Piazza Embriaci (Genova)
4 - ACS, Sez.Prima busta 25, Genova - in P.Bianconi, op. cit.
5 - Relazione citata
6 - R.Zangrandi, Il lungo viaggio attraverso il fascismo, Ed. Feltrinelli, Milano 1962
7 - cfr. Bottai e la sua rivista Primato