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Vogliamo tutto è innanzitutto un documento politico.
il suo merito principale è anzi proprio questo: non essere uno sfogo
esistenziale, un'analisi sociologica, un approccio individuale a un'esperienza
estranea, ma la cronaca di una lotta scritta da un militante di una organizzazione
politica, "Potere Operaio". I limiti e i pregi di Vogliamo tutto sono
quelli di "Potere Operaio", il merito di Balestrini di averli resi
evidenti e veri. Ma non solo. Balestrini, che ha fatto tutta l'esperienza politico-culturale
della avanguardia, dal "Gruppo 63" a "Quindici", non è
tornato al neorealismo, come ha scritto qualche critico letterario. li suo prodotto,
discutibile politicamente e culturalmente, è, con molta probabilità,
il primo libro vero, pubblicato in Italia, sugli operai. Alcuni dicono che si
tratta di un saggio politico e non di un romanzo, ma questi tardi cultori della
teoria dei generi spesso sono solo letterati della politica.
Il dato reso fino al paradosso è questo: lo scontro del giovane meridionale
che fino a ieri ha piantato le canne nei campi di pomodoro della piana del Sele
e che si trova improvvisamente immesso alla catena di montaggio della grande
fabbrica automobilistica. E che a questa nuova condizione si ribella senza sapere,
senza voler sapere, cosa hanno fatto e pensato quelli che nella fabbrica sono
entrati prima di lui. La chiave del libro è tutta in una frase: quella
in cui Alfonso dice di se stesso, paragonandosi al vecchio operaio piemontese:
"quelli erano tutti pane e lavoro, comunisti; io, almeno, ero qualunquista."
E una frase che esprime un dato vero: proprio la estraneità a una formazione
politica che ha portato all'impotenza, consente la rivolta, permette di infrangere
le barriere di un comportamento che ha abituato alla subordinazione, che ha
insegnato a ritagliarsi uno spazio angusto di diritti limitati, ma ha spento
la voglia, e la fiducia, di bruciare tutto, di volere tutto.
Ma cogliere la parzialità di un dato e assumerla come emblematica di
un processo storico generale, in questo caso di un processo rivoluzionario,
implica che quella parzialità sia davvero capace di divenire determinante.
E per Balestrini, infatti, l'operaio-massa, la sua rivolta-negazione, è
il punto di partenza, la forza vera della rivoluzione. li resto, il prima e
il poi, è solo intralcio, quando non nemico. Si finisce così per
smarrire tutta l'ambiguità di questa condizione, la drammaticità
del dilemma proposto da un protagonista che sente più di ogni altro il
bisogno di rivolta, ma che allo stesso tempo è più di ogni altro
incapace di progetto alternativo.
Luciana Castellina