Biblioteca Multimediale Marxista
Io non sono veramente libero che quando tutti gli esseri viventi che mi
circondano, uomini e donne, sono ugualmente liberi. La libertà, lungi
dall’essere un limite o la negazione della mia libertà, ne è
al contrario la condizione necessaria e la conferma. Io non divento libero
veramente che per mezzo della libertà degli altri, di modo che più
numerosi sono gli uomini liberi che mi circondano e più profonda e
più ampia diventa la mia libertà. Al contrario è la schiavitù
degli uomini che pone una barriera alla mia libertà, o ciò che
è lo stesso, è la loro bestialità che è una negazione
della mia umanità; perché, ripeto, non posso dirmi libero veramente
che quando la mia libertà, o ciò che significa la stessa cosa,
quando la mia dignità d’uomo, il mio diritto umano(che consiste
nel non obbedire a nessun altro uomo e nel non determinare i miei atti se
non conformemente alle mie proprie convinzioni), riflessi dalla mia coscienza
egualmente libera di tutti, mi ritornano confermati dall’assenso di
tutti. La mia libertà personale così confermata dalla libertà
di tutti si estende all’infinito.
Si vede come la libertà, qual è concepita dai materialisti,
è una cosa molto positiva, molto complessa e soprattutto eminentemente
sociale, perché non può essere realizzata che tramite la società
e soltanto nella più stretta uguaglianza e solidarietà di ognuno
con tutti. Vi si possono distinguere vari momenti di sviluppo, o elementi,
di cui il primo è eminentemente positivo e sociale; è il pieno
sviluppo e il pieno godimento di tutte le facoltà e potenzialità
umane per ciascuno attraverso l’educazione, l’istituzione scientifica
e la prosperità materiale, tutte cose che non possono essere date da
ciascuno se non con il lavoro collettivo, materiale ed intellettuale, muscolare
e nervoso della società tutta intera.
Il secondo elemento o momento della libertà è negativo. E’
quello della rivolta dell’individuo umano contro ogni autorità
divina e umana, collettiva e individuale.
Prima di tutto è la ribellione contro il fantasma supremo della teologia,
contro Dio. E’ evidente che fintanto avremo un padrone nel cielo, noi
saremo schiavi sulla terra. La nostra ragione e la nostra volontà saranno
ugualmente annullate. Finchè crederemo di dovergli un obbedienza assoluta,
e di fronte a un Dio non è possibile altra obbedienza, dovremo necessariamente
sottometterci passivamente e senza la minima critica alla santa autorità
dei suoi intermediari e dei suoi eletti(messia, profeti, legislatori ispirati
da Dio, imperatori, re e tutti i loro funzionari e ministri), rappresentanti
e servitori consacrati delle due grandi istituzioni che si impongono a noi
come predisposte da Dio stesso per guidare gli uomini: la Chiesa e lo Stato.
Ogni autorità temporale o umana discende direttamente dall’autorità
spirituale o divina. Dio, o piuttosto la finzione di Dio, è dunque
la consacrazione e la causa intellettuale e morale di ogni schiavitù
sulla terra; e la libertà degli uomini non sarà compiuta fino
a che non avrà completamente annientato la finzione nefasta di un padrone
celeste.
Il secondo elemento è, di conseguenza, la rivolta di ognuno contro
la tirannia degli uomini, contro l’autorità sia individuale che
sociale rappresentata e legalizzata dallo Stato. Qui bisogna tuttavia intendersi
bene, e per intendersi bisogna cominciare con lo stabilire una distinzione
ben precisa fra l’autorità ufficiale e di conseguenza tirannica
della società organizzata in Stato, e l’influenza e l’azione
naturale della società non ufficiale, ma naturale, su ciascuno dei
suoi membri.
La rivolta contro l’influenza naturale della società è
molto più difficile per l’individuo che non sia la rivolta contro
la società ufficialmente organizzata, contro lo Stato, sebbene spesso
sia altrettanto inevitabile quanto quest’ultima. La tirannia sociale,
spesso schiacciante e funesta, non presenta, però questo carattere
di impetosa violenza, di dispotismo legalizzato e formale che contraddistingue
l’autorità dello Stato. Essa non si impone come una legge alla
quale ogni individuo è obbligato a sottomettersi a meno di incorrere
in una punizione giuridica. La sua azione è più dolce, più
insinuante, più impercettibile, ma molto più potente di quella
dell’autorità dello Stato. Essa domina gli uomini con i costumi
e le usanze, con la massiccia pressione dei sentimenti, dei pregiudizi e delle
abitudini sia della vita materiale che dello spirito e del cuore e che costituiscono
ciò che chiamiamo opinione pubblica. Essa avvolge l’uomo fin
dalla sua nascita, lo attraversa, lo penetra, e forma la base stessa della
sua esistenza individuale, in modo, che ognuno ne è in qualche modo,
più o meno, il complice contro se stesso, e il più delle volte
senza nemmeno sospettarlo. Ne risulta che, per ribellarsi contro questa influenza
che la società esercita naturalmente su di lui, l’uomo deve,
almeno in parte, ribellarsi contro se stesso, poiché con tutte le sue
tendenze e aspirazioni materiali, intellettuali e morali, egli stesso non
è altro che il prodotto della società. (da M.Bakunin, in Arvon
B)