Il programma politico e strategico della Resistenza irachena*
L’eroica Resistenza irachena guidata e diretta da Partito
Socialista Arabo Baath, ha definito i propri obiettivi strategici come movimento
nazionale di liberazione “per espellere le forze di occupazione, liberare
l’Iraq e salvaguardarlo unito quale patria per tutti gli iracheni”.
Sulla base di questi obiettivi, è stato concepito e messo a punto un
programma politico e strategico per la fase della resistenza e della liberazione.
L’Iraq occupato
È l’Iraq, in senso geografico e politico: “La repubblica dell’Iraq” Stato sovrano, fondatore e membro della Lega Araba, membro delle Nazioni Unite e i cui territori sono occupati dalle forze statunitensi, britanniche, australiane e di altri Paesi, a seguito di un’aggressione in contrasto con il diritto internazionale e i trattati delle Nazioni Unite, repubblica che è stata l’obiettivo di una guerra iniziata il 19 aprile 2003. Queste circostanze hanno condotto alla rimozione del suo governo legittimo e alla nomina di una “Autorità provvisoria di occupazione”. Tutto quanto è o è stato intrapreso dall’occupante al fine di instaurare istituzioni, ministeri, autorità, comitati ecc. per sostituire il governo legittimo della Repubblica dell’Iraq, dopo la data del 9 aprile 2004, deve essere considerato non valido ed illegale, ed essendo parte inseparabile del sistema organizzativo dell’occupante, la Resistenza lo tratta nel medesimo modo in cui tratta l’occupazione stessa.
Le forze di occupazione
Sono le forze militari, i dicasteri, le agenzie e le organizzazioni collegate agli Stati Uniti, alla Gran Bretagna, all’Australia o a qualsiasi altra nazione presente sul territorio dell’Iraq occupato e chiunque sia coinvolto in qualità di appartenente alle forze multinazionali a seguito della Risoluzione n° 1483 deI Consiglio di sicurezza dell’ONU, che ha considerato l’Iraq come un Paese occupato. Tutti gli apparati, le autorità e i comitati istituiti dopo l’occupazione dell’Iraq a seguito della guerra condotta da USA-Gran Bretagna, da altra coalizione straniera o dalle forze multinazionali, saranno considerati e trattati come forze, autorità e comitati occupanti e saranno un obiettivo legittimo per la Resistenza nella guerra di liberazione.
La Resistenza irachena
La Resistenza irachena è la resistenza nazionale armata, guidata e diretta dal Partito Socialista Arabo Baath attraverso i suoi quadri militanti, l’eroico esercito iracheno, la Guardia Nazionale, le valorose Forze speciali, le intrepide Forze di Sicurezza Nazionale, i ,Mujahedeen dell’eroica organizzazione dei Feddahjeen di Saddam, la Resistenza patriottica irachena e i nobili volontari arabi che agiscono sotto vari nomi (di mobilizzazione), sigle e formazioni (e che agiscono conformemente alle necessità delle operazioni di combattimento, confronto e offensiva contro gli occupanti stranieri), comprendendo sia i volontari arabi che si trovano già in Iraq, sia quelli che saranno sul territorio dell’Iraq in futuro, qualunque sia la loro nazionalità, sigla, missione o la durata della loro permanenza. Una delle missioni principali della Resistenza nella guerra di liberazione, mentre combatte le forze di occupazione e qualsiasi forza o chiunque sia connesso con tali forze, è di intervenire militarmente e politicamente per mettere in pericolo l’autorità di occupazione ed impedire ad essa e alle sue emanazioni di portare a compimento i propri programmi politici, economici, sociali e culturali. L’azione della resistenza riguarda tutta la terra immacolata dell’Iraq da un’estremità all’altra, mettendo in primo piano l’unità irachena e difendendo l’identità araba dell’Iraq, sottoposta ad attacco da parte degli occupanti e dei loro alleati.
Introduzione
Nel nostro confronto con gli altri partiti (arabi, regionali
o internazionali) dobbiamo tenere presente che [proprio] il continuo braccio
di ferro sostenuto con gli Stati Uniti a partire dal cessate il fuoco da essi
annunciato nel mese di febbraio del 1991, è stato il pretesto fondamentale
scelto dagli americani, per perseguire i loro obiettivi strategici prima nella
regione e poi nei mondo. L’Iraq da allora non ha provocato alcuna crisi
per quanto riguarda il rispetto delle successive risoluzioni internazionali.
Il conflitto permanente imposto dagli Stati Uniti, ha messo la direzione irachena
in condizione di dover affrontare o controllare una serie di crisi. I mezzi
di informazione ufficiali hanno [invece] presentato l’Iraq come la causa
delle crisi con altri Paesi nella regione e nel mondo.
Il pretesto delle continue ed effettive violazioni irachene riguardo alla risoluzione
statunitense e britannica relativa alle no-fly zones — la serie delle
quali [violazioni] è ora nota come “le successive crisi della Questione
Irachena” — è stata la giustificazione addotta da Washington
per far cambiare direzione, far evolvere, falsare e dare una direzione al confronto
imposto all’Iraq secondo l’interpretazione degli avvenimenti data
dagli USA in conformità con la propria politica generale, o con gli interessi
di entrambe le successive amministrazioni statunitensi, nei confronti del loro
elettorato interno e dei problemi internazionali Questo è risultato chiaro
grazie alle molte successive risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU
che hanno finito con l’andare ben oltre le precise richieste [poste come
condizione] per la fine del conflitto, e ciò dà prova dell’intervento
e delle pressioni statunitensi volte a far emanare più risoluzioni finalizzate
a porre la base per attaccare il sistema politico della Repubblica dell’Iraq.
La decisione degli USA di prendere di mira il sistema politico dell’Iraq,
ciò che ha condotto poi all’occupazione, è cosa nota ed
analizzata fino dai 1972. È una scelta basata sugli interessi (imperialistici)
degli Stati Uniti, condizionati, a quell’epoca, dagli equilibri imposti
dalla Guerra Fredda, dalle ultime conseguenze dell’aggressione del 1967,
dal ritiro militare britannico dal Canale di Suez, dalla situazione nel Golfo
Arabo, oltre che dalle politiche e dalle crisi energetiche verificatesi durante
il secolo scorso, negli anni ‘70 e negli anni ‘80.
Oggi il confronto armato, il cui vero inizio data da quando i 30 Paesi hanno
partecipato all’aggressione nei 1991, ha dato avvio alla Resistenza armata
nazionale dopo l’occupazione. Si potrebbero aggiungere altri elementi
che hanno determinato l’evolversi di questo conflitto, e nessuno di essi
è estraneo agli interessi degli Stati Uniti nella regione e nel mondo.
Questi fattori sono:
1 - la ben nota conclusione della Guerra Fredda e la riforma politica ed economica
dell’ Europa;
2 - la precisa esigenza da parte degli Stati Uniti di agire unilateralmente
ed usare la propria forza preponderante;
3 - l’oscura ascesa della destra conservatrice alla direzione degli affari
politici negli Stati Uniti;
4 - l’influenza degli attentati dell’11 settembre sulla evoluzione
ed elaborazione della politica estera statunitense diretta dalla (mentalmente
ottusa) amministrazione di Bush jr. e la pianificazione della reazione [da parte
degli Stati Uniti esplicitata dal programma politico dell’amministrazione
in ambito economico, della difesa e della sicurezza;
5 - l’abuso della “guerra al terrore” per stabilire e tentare
di imporre nuove alleanze ad altri Paesi, società e culture;
6 - il continuo rallentamento e l’ingresso in una fase critica dell’economia
degli Stati Uniti;
7 - il fallimento della politica energetica statunitense quale era stata pro-spettata
durante la campagna elettorale;
8 - il delinearsi di un diverso ruolo “israeliano” in funzione di
una politica di sicurezza che potesse aiutare gli Stati Uniti nei loro affari
riguardo alle risorse petrolifere dal Mediterraneo orientale sino alle più
lontane regioni centro-asiatiche, ed in particolare nella regione del Golfo
Arabo. Questo ulteriore importante elemento ha una correlazione dialettica coni
mezzi e le modalità [da impiegare] per trovare una soluzione pacifica
al conflitto Arabo-Sionista.
Gli obiettivi annunciati e quelli reali nascosti
1- L’attacco al regime politico iracheno è cosa
di cui tutti sono consapevoli fino dal 1972. Questo obiettivo è stato
indicato e perseguito dai pianificatori della strategia politica statunitense
e principalmente da Henry Kissinger (repubblicano), all’epoca consigliere
per la Sicurezza nazionale. Le forme di attuazione di questa politica sono state
determinate/limitate da:
- l’equilibrio imposto dalla Guerra Fredda;
- le varie alleanze regionali, le connessioni e i rapporti reciproci tra i Paesi
della regione;
- le conseguenze delle guerre del giugno del 1967 e dell’ottobre 1973;
- l’aspirazione di alcuni regimi arabi a svolgere un ruolo regionale,
tollerato dagli Stati Uniti, a seguito delle guerre citate.
In proposito è importante analizzare la natura dei ruoli assegnati a
e svolti (all’epoca) da regimi politici quali quello di Siria, Giordania,
Egitto e perfino dall’Iran. Secondo le analisi sopra esposte, l’obiettivo
di questi Stati [di svolgere un ruolo di rilievo nella regione, ndt] era difficilmente
raggiungibile e rendeva necessario un accordo tra gli Stati dell’area.
La difficoltà a raggiungere un’intesa trovava fondamento nelle
eredità o nelle crisi verificatesi in epoche precedenti, crisi di cui
l’Iraq aveva fatto larga esperienza. E necessario notare che la scelta
dell’Iraq come bersaglio non trovava all’epoca giustificazioni diverse
da quelle che vengono avanzate oggi: sicurezza e motivi economici (superiorità
militare “israeliana”, dominio sopra la regione e interessi petroliferi).
2 - In tutti i piani statunitensi per la regione, comprese le aree dall’Africa
del nord all’ Asia centrale – quelle cioè delle “fonti
e delle rotte del petrolio” – !’Iraq risultava essere uno
degli obiettivi principali, in quanto unità geopolitica ed economica,
a causa della sua situazione geografica, dell’entità delle sue
riserve petrolifere, della distribuzione della popolazione e della natura del
suo sistema politico. Si aggiunga a questo da un Iato il ruolo già giocato
dall’Iraq – o che l’Iraq avrebbe potuto giocare in futuro
– e il raggio d’azione della sua influenza sui regimi arabi ufficiali
e sull’Organizzazione dei Paesi Produttori di Petrolio (OPEC) e, dall’altro
la possibile reazione di massa a livello panarabo.
3 - Gli Stati Uniti, fin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, hanno considerato
[i problemi] della stabilità nell’arco geografico che va dall’Oceano
Pacifico all’Oceano Indiano congiuntamente a quelli nell’area del
Mare Arabo, e gli USA sono stati per parecchi motivi l’unico giocatore
nell’arena delle missioni politiche e di sicurezza, senza che vi fosse
alcun reale intervento o la compartecipazione di altri Paesi occidentali o della
NATO. Ciò spiega l’impegno militare degli Stati Uniti, per più
di una volta e con piena consapevolezza, particolarmente in Corea e nel Vietnam.
Gli obiettivi strategici degli Stati Uniti erano, inter alia, stringere il controllo,
seppur in gradi differenti, sul Golfo Arabo in modo da avere il coltello dalla
parte del manico sugli sbocchi al mare del Golfo, e, per motivi geografici e
relativi alle comunicazioni, l’Iraq era il bersaglio designato in modo
specifico, Negli ultimi venti anni, l’Iraq si è orientato verso
il Mediterraneo orientale e il Mar Rosso per sottrarsi parzialmente [alle mire
della strategia statunitense neI Golfo, ndt]; è stato un tentativo indotto
dall’influenza o dalle alleanze strette dagli Stati Uniti con i Paesi
limitrofi all’Iraq e con quelli costeggianti i suddetti sbocchi commerciali.
4 - Gli Stati Uniti, eredi del colonialismo britannico, agivano in modo imperialistico
e in funzione del mantenimento degli equilibri della Guerra Fredda (equilibri
che gli USA avevano imposto) e consideravano sempre con sospetto e con preoccupazione
gli sviluppi in corso nel subcontinente indiano. Tanto è vero che la
loro storica alleanza con il Pakistan era essenzialmente finalizzata a tramare
contro l’India, che a quel tempo intratteneva alcuni stretti rapporti
con alcuni Paesi arabi (in modo particolare con l’Iraq), e che si confrontava
contro le manovre statunitensi tese a legare gli interessi politici, di sicurezza
ed economici pachistani a quelli dei regimi collaborazionisti del Golfo Arabo
e dell’Arabia Saudita, in opposizione alla politica indipendente dell’Iraq
e al suo ruolo decisivo nel movimento dei Paesi Non Allineati.
5 - ll periodo tra il settembre 1980 e il settembre 2001 ha visto delinearsi
importanti scenari e situazioni che non sono affatto estranee all’obiettivo
[statunitense] di attaccare il sistema politico iracheno. E inutile in questa
sede parlare della funzione strumentale e del genere delle alleanze, oltre che
del ruolo giocato dagli altri Paesi implicati, per molteplici interessi, nel
conflitto diretto o indiretto. In tutti i casi questi Paesi non sono mai andati
oltre i limiti posti dalle necessità strategiche degli Stati Uniti nella
regione e relativi alla sicurezza di “Israele”. Dobbiamo in proposito
notare che ci furono due guerre che in quel periodo hanno avuto l’Iraq
come bersaglio. Entrambe hanno palesemente preso di mira il sistema politico
iracheno con diverse giustificazioni, entrambe si basavano sulla valutazione
che l’ideologia e la prassi del sistema politico iracheno erano inaccettabili,
entrambe avevano come bersaglio il panarabismo e l’identità araba
tanto per motivi legati alla religione [da parte dell’Iran, ndt] che per
interessi imperialistici. Con entrambe le guerre (così come con quella
in corso) si era sistematicamente pianificato lo smembramento dell’Iraq
e la distruzione della sua identità araba. L’esperienza ha mostrato
che, in entrambe queste guerre, i Paesi confinanti con l’Iraq sono stati
alleati con gli aggressori dell’Iraq e deI suo sistema politico, tanto
a causa di una loro collaborazione storica con l’Occidente quanto nella
speranza di ottenere un ruolo regionale che permettesse loro di mantenere e
perpetuare i regimi esistenti, in accodo con i piani internazionali per l’area.
La descrizione degli avvenimenti storici esposta qui sopra si rendeva necessaria
al fine di poter chiarire che gli obiettivi statunitensi pubblicamente annunciati
e quelli reali nascosti relativi al suo conflitto con l’Iraq non avevano
alcun legame con il rispetto da parte irachena della risoluzione ONU seguita
al cessate il fuoco dei 1991. Questi obiettivi reali sono i medesimi, ben noti
e perseguiti da tempo, grazie ai quali il sistema politico iracheno è
stato individuato come bersaglio fino dal 1972. Questi obiettivi sono strettamente
connessi e coerenti con i disegni degli Stati Uniti riguardo alla regione in
primo luogo e, in secondo luogo, come strategia globale.
Nella regione, l’identità, i programmi e la prassi del sistema
politico in Iraq si contrappongono e ostacolano gli interessi degli Stati Uniti
finalizzati a garantire e ad assicurare il mantenimento della sicurezza e della
superiorità di “Israele”. L’Iraq rappresenta anche
un ostacolo per la strategia globale degli USA perché ne rifiuta l’egemonia
e ha conferito al petrolio iracheno una valenza politica e un ruolo nello sviluppo
del Paese. Inoltre, le ben note posizioni dell’Iraq all’interno
dell’ OPEC, la politica estera indipendente dello Stato iracheno, il ritardo
nei ristabilire le relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti (rotte dal 1967),
l’orientamento a raggiungere un equilibrio tecnologico e militare con
“Israele” e con i Paesi limitrofi non arabi (che cercano un’occasione
per depredare l’Iraq o che sono alleati con gli Stati Uniti), l’aiuto
economico concesso a Paesi arabi e non arabi, e l’interesse [dell’Iraq]
a stabilire rapporti equilibrati con autorevoli Paesi europei sono tutti fattori
che hanno generato situazioni in contrasto con la strategia globale degli Stati
Uniti.
Il conflitto degli Stati Uniti con l’Iraq, causato dalla volontà
statunitense di realizzare i suoi obiettivi strategici regionali e globali come
si è spiegato sopra, è sempre stato ed è tuttora connesso
a tali fattori. Essi hanno reciproche relazioni dialettiche, che portano in
primo piano il conflitto di cui parliamo e lo innescano quando entrano direttamente
o indirettamente in gioco, a causa dell’Iraq o di altri, gli interessi
politici, economici e militari degli Stati Uniti. Tali relazioni si sono evidenziate
in modo concreto quando l’azione irachena nel “Call day” deI
1990 [invasione del Kuwait, 2 agosto 1990, ndt] è stata considerata una
minaccia agli interessi coloniali ereditati dall’accordo Sykes-Picot,
accordo che ha condizionato e tuttora condiziona (con le sue disposizioni e
il suo spirito) la realtà del Levante arabo. Per chiarire quanto detto
vorremmo far presenti alcuni fatti.
La risoluzione relativa alla nazionalizzazione [del petrolio] come espressione
di una linea politica patriottica panaraba è stata considerata come una
minaccia alla strategia degli Stati Uniti a livello regionale e globale e l’inattesa
e non preventivata partecipazione dell’Iraq alla guerra dell’ottobre
1973 è stata valutata in considerazione delle sue conseguenze future.
Allo stesso modo sono state considerate minacce temibili le iniziative patriottiche
per trovare soluzioni politiche e democratiche alla questione curda, la posizione
irachena e i suoi indirizzi di azione politica panaraba nei confronti degli
accordi di Camp David, le azioni difensive e gli sviluppi delle azioni militari
in Al Qadissiyah [durante la guerra contro l’Iran, ndt), le iniziative
dell’Iraq per lanciare un’azione multilaterale araba e la creazione
del Consiglio Arabo di Cooperazione.
Per gli stessi motivi, e quando la sicurezza nazionale degli Stati Uniti è
stata colpita, non certo da parte irachena, dagli attentati contro New York
e Washington l’11 settembre, l’attacco al sistema politico iracheno
è stato messo in atto dai massimi decision makers statunitensi e ci si
è concentrati su di esso. Così la loro “guerra contro il
terrore” nei suoi sviluppi politico e militare ha incluso è si
è addirittura polarizzata sul sistema politico dell’Iraq, che è
diventato il principale obiettivo di tale guerra.
Inoltre dalle primissime settimane dopo gli attacchi contro Washington e New
York e nel mezzo del caos che ne è seguito, l’amministrazione degli
Stati Uniti ha immediatamente minacciato la leadership irachena, il che conferma
le analisi esposte sopra, come pure ciò che abbiamo spiegato riguardo
alla situazione dell’Iraq e alla sua leadership politica in relazione
alla strategia degli Stati Uniti sia a livello regionale che globale: per considerazioni
legate all’egemonia militare “israeliana” sul piano regionale,
e al petrolio su quello globale.
Sottolineiamo inoltre, vista l’insistenza sulla questione delle armi di
distruzione di massa. pretesto addotto per scatenare la guerra contro l’Iraq
e la sua leadership politica, il differente comportamento tenuto, all’epoca,
dagli Stati Uniti nei confronti della sfida nord-coreana riguardo agli armamenti
nucleari e balistici (nonostante oggi la Corea dei Nord sia stata inclusa “nell’asse
del male” insieme con l’iraq e l’Iran) quando la minaccia
nord-coreana, a causa della posizione geografica del Paese e della sua potenzialità
militare, rappresentava un pericolo reale per la sicurezza americana, delle
città della costa est degli Stati Uniti, delle forze USA presenti nella
Corea del Sud e degli alleati in Asia orientale.
La risposta statunitense al problema non sembra essere all’altezza della
congiuntura. Così, dal confronto fra la situazione di conflitto con l’Iraq
e quella con la Corea del Nord, possiamo paradossalmente dedurre che, come prima
cosa la sicurezza di “Israele” è più importante per
gli Stati Uniti della sicurezza sud-coreana, e che l’Iraq arabo “sotto
assedio” e con le sue risorse petrolifere all’epoca bloccate [dall’embargo,
ndt] è più pericoloso per la sicurezza degli Stati Uniti e dei
suoi alleati di quanto io sia stata la Corea del Nord che non ha petrolio ma
che possiede reali capacità nucleari e balistiche.
I Paesi limitrofi all’Iraq sono stati sollecitati e costretti a coadiuvare
l’aggressione militare degli Stati Uniti, ma i Paesi limitrofi alla Corea
hanno operato in difesa dei propri interessi regionali trovando una soluzione
pacifica con la Corea del Nord.
Questa logica paradossale era coerente con la strategia statunitense, necessaria
alla difesa dei suoi interessi a livello politico, economico e militare e utile
a giustificare la guerra dal punto di vista culturale, geografico, nazionale
e di civilizzazione.
È necessario sottolineare che la direzione e la leadership della Resistenza,
finalizzata a espellere l’occupante e liberare l’Iraq, non fa altro
che proseguire nel dirigere la guerra per la difesa della nazione al livello
attuale dello scontro.
La situazione, vista nella sua ampiezza e nelle sue dimensioni reali, configura
necessariamente uno scontro storico di lunga durata.
Quindi, per fare una analisi dello scenario futuro e dare una spiegazione organica
dei fattori che lo determinano, e per confermare quanto abbiamo già esposto,
dobbiamo dire che:
1 - L’origine delle crisi, nella loro natura descritta già dall’agosto
1990, è da far risalire all’eredità del colonialismo britannico
in Iraq e a quanto esso aveva prodotto a partire dall’accordo Sykes-Picot
del 1917. Era il periodo che ha visto i colonialisti opporsi al patriottismo
iracheno con lo scopo di cancellare ed insidiare la sovranità regionale
dell’Iraq. Questa strategia, inoltre, delineava obiettivi di lunga durata
contro gli interessi nazionali arabi e la sicurezza in tutto il Levante arabo.
2 - Da quanto detto sopra consegue necessariamente che gli Stati Uniti hanno
legato storicamente il generarsi di questa crisi, la sua evoluzione e il suo
futuro inasprimento, alla costituzione ed al mantenimento dell’esistenza
dell’Entità Sionista sul territorio della Palestina.
3 - Questa crisi potrebbe risultare allentata o aggravarsi con l’indebolirsi
o viceversa con il rafforzarsi del patriottismo iracheno, cosa che necessariamente
produrrebbe effetti e interagirebbe con il retroterra panarabo dell’Iraq.
4 - Infine, vIsta nella sua dimensione imperialistica e colonialistica, questa
crisi è uno strumento cui si è fatto ricorso, e che e stato utilizzato
e fatto divampare in funzione degli interessi e delle esigenze del programma
strategico statunitense per la regione e in prospettiva per il mondo. Può
anche essere manovrata perfino per servire i ristretti scopi dell’amministrazione
statunitense in politica interna o per finalità elettorati.
Dunque il conflitto ha un passato, e questo passato può spiegare come
si evolverà oggi o nel futuro. Considerato nella sua dimensione storica,
è uno scontro di lunga durata che produce i suoi effetti nello scenario
iracheno.
Lo scontro, in modo particolare [a partire] dall’agosto 1990 ma anche
dai venti anni precedenti, procedeva senza che vi fossero risultati ben chiari.
È accaduto che la concezione della guerra dei tempi moderni imposta dall’imperialismo
statunitense (sia attraverso la pianificazione dell’escalation, sia a
causa dell’ostinazione delle amministrazioni USA fino dal 1990 a mantenere
inalterate le proprie posizioni) ha costretto, con le minacce o con la corruzione,
altri Paesi del mondo e della regione a perseguire una politica subordinata
alle scelte e agli interessi americani in un conflitto diretto e manovrato dagli
stessi Stati Uniti.
Le linee di condotta imposte all’epoca dagli americani ai loro alleati
erano in genere in contrasto con gli con interessi di questi ultimi.
Tenendo conto della sua conduzione, delle sue implicazioni e dei suoi obiettivi,
si tratta in effetti di un conflitto mondiale, che ha avuto ed ha bisogno di
un’alleanza contro l’Iraq imposta dagli Stati Uniti sia col terrore
che con promesse ingannevoli e intrighi.
La guerra di aggressione continua degli Stati Uniti è portata avanti
a nome di una sola parte della regione, l’Entità Sionista. Questa
crisi è stata storicamente legata al potenziamento prodotto dall’esterno
– con qualsiasi mezzo – del suo predomino sull’intera nazione
Arabaa. Gli Stati Uniti, nel loro profondo coinvolgimento e nella direzione
del conflitto, si preoccupano soltanto della sicurezza e della stabilità
dell’Entità Sionista. Rendendo così il conflitto una vera
battaglia panaraba.
Il conflitto ininterrotto e la continuazione della resistenza
È stato chiarito che l’obiettivo strategIco statunitense,
cioè la rimozione del sistema politico della Repubblica dell’Iraq,
non poteva essere raggiunto se non:
1 - con la continuazione, intensificazione e incentivazione dello scontro politico;
2 - contrastando qualsiasi tentavo da parte della leadership politica irachena
di allentare l’embargo;
3 – ostacolando le iniziative politiche ed economiche irachene nei confronti
dei Paesi della regione e del mondo;
4 - inducendo “se possibile” il riallineamento degli Stati arabi
con il piano statunitense finalizzato a rimuovere il sistema politico iracheno
operazione che e riusata, con l’accordo di moltii regimi arabi, senza
che questi osassero prendere in considerazione le conseguenze di questo programma
per l’Iraq, per i detti regimi o per la regione;
5 - tentando di mettere in relazione la scelta strategica della guerra con la
legittimità dei pretesti addotti dagli Stati Uniti per scatenare l’aggressione
militare, garantendo la leadership statunitense, determinando l’intensità
dello scontro armato in relazione alla supremazia militare statunitense, e imponendo
le conseguenze politiche [cambio di regime, ndt] che saranno “teoricamente”
favorevoli, con l’occupazione dell’Iraq, al conseguimento di un
primo obiettivo necessario a realizzare la strategia regionale e globale degli
USA.
La leadership politica irachena aveva esaminato a suo tempo, prima dell’aggressione,
le seguenti circostanze e prospettive:
1 - il conflitto con gli Stati Uniti non sarebbe rimasto suI piano puramente
politico, a causa dei successi ottenuti dall’Iraq nel provocare un’oggettiva
contrapposizione tra i punti di vista di Stati Uniti e Gran Bretagna (ad essi
asservita) da un Iato e quelli degli altri membri permanenti del Consiglio di
Sicurezza dall’altro. Questa analisi risulta confermata daI fatto che
l’attacco al sistema politico dell’Iraq è “un dichiarato
obiettivo principale” e figura nei programmi strategici politici degli
Stati Uniti nella regione non da ora ma da molto tempo, e che gli sviluppi della
guerra in atto non potranno essere sotto controllo dell’Iraq, il quale
sta cercando di evitare l’escalation del conflitto.
2 - Le possibilità di compromesso con gli Stati Uniti in generale, indipendentemente
dalla natura dell’amministrazione della Casa Bianca, erano quasi nulle
essendo vincolate al cambiamento della mappa geopolitica della regione. Una
mappa che è stata disegnata nel 1917 e che ha condotto il Levante arabo
all’attuale situazione geografica e politica prodotta dall’imposizione
della creazione dell’Entità Sionista. Quest’ultima ha determinato,
in funzione deI proprio interesse, il ruolo politico-sociale, politico-economico
e relativo alla stabilità [nell’area] assegnato ad ogni unità
geopolitica con la quale entra in relazione. Gli Stati Uniti (imperialisti)
hanno ereditato dalla Gran Bretagna (colonialista), sviluppato e imposto il
proprio “diritto” a far valere le proprie ragioni sopra a quelle
degli altri componenti geopolitici della regione, ed hanno esercitato tale “diritto
con strumenti diversi al fine di realizzare i propri obiettivi strategici nella
regione e nel mondo, in modo da assicurare la sicurezza e la supremazia di “Israele”
e la sua egemonia relativa, conseguire il controllo de! petrolio e perseguire
le proprie politiche energetiche.
3 - L’impotenza dei regimi arabi nel migliore dei casi, la loro sottomissione
e il !oro cospirare nel peggiore, non hanno favorito e non favoriranno la possibilità
di portare io scontro con gli USA sul piano politico costringendoli a raggiungere
un compromesso. Soprattutto è stata l’acquiescenza dei deboli regimi
arabi riguardo all’implementazione selettiva della legittimità
internazionale [cioè alla pratica che noi chiamiamo “due pesi e
due misure, ndt] arappresentare una via per fermare o impedire il compromesso
politico con gli Stati Uniti.
4 - Infine, un ruolo importante è stato svolto dai Paesi arabi, sia dopo
l’aggressione all’Iraq dei 1991 che dopo l’11 settembre e
in seguito all’occupazione militare, nell’indebolimento del Golfo.
Così come bisogna tenere conto dei ruolo affidato all’Iran a causa
della sua particolare confessione islamica, ruolo che si accorda con la funzione
che i mullah iraniani potranno svolgere in futuro, a detrimento dell’Arabia
Saudita che ha ormai esaurito sia il suo ruolo politico che quello svolto in
quanto alleato islamico degli USA dopo il crollo deI comunismo e la fine della
strumentalizzazione dell’islam “sottomesso e collaborativo”.
Quest’ultimo ha condotto alla nascita dal suo stesso grembo dell’islam
“pronto alla sfida e resistente”, in contraddizione con l’esistenza
stessa e gli orientamenti del regime saudita. L’Iran gioca e giocherà
in avvenire un ruolo conseguente alla sua “posizione attuale” di
rifiuto dell’islam pronto alla sfida e resistente (nato come conseguenza
delle guerre di aggressione degli Stati Uniti all’Iraq e all’Afghanistan,
Paesi confinanti con lo stesso Iran).
5 - Gli Stati Uniti hanno condotto alcuni piccoli Paesi arabi del Golfo, e i
Paesi del mondo arabo tradizionale anche di altre regioni, a dover assolvere
una funzione subordinata agli USA di obbedienza automatica, condizione necessaria
al fine di assicurare la continuità del regime, la sua conferma o la
sua caduta, la permanenza al potere o la possibilità di trasmetterlo
in eredità anche nei casi di regimi non monarchici. I regimi dei piccoli
Stati potevano così esercitare una influenza maggiore a danno dei regimi
di grandi Stati arabi. Ciò era reso possibile grazie alla “normalizzazione”
delle loro relazioni con il nemico Sionista e all’a] lineamento della
loro politica, alle concessioni fatte e all’appoggio fornito agli Stati
Uniti nella guerra ed occupazione dell’Iraq, cosa che ha successivamente
costretto i maggiori Paesi arabi ad accettare le disposizioni e i risultati
dell’occupazione illegale.
6 - Da molto tempo, fino dal ristabilimento di normali relazioni diplomatiche
con l’Egitto alla metà degli anni ‘80, la leadership irachena
ha anche esaminato la profondità delle crisi che il regime egiziano attuale
ha ereditato dall’era Sadat, l’incapacità e mancanza di volontà
di superarle del suo governo ed il suo stato di paralisi di fronte alle conseguenze;
una situazione che ha condotto a neutralizzare le possibilità dell’Egitto
e le sue connotazioni quale importante Stato arabo e potenza regionale. Ciò
è risultato evidente, all’epoca, dall’esitazione, timore
e handicap politico con cui il regime egiziano ha avanzato proposte nel Consiglio
Arabo di Cooperazione, dalla sua suscettibilità e dal timore dimostrato
nei confronti del regime saudita, oltre che dalla sua diffidenza verso le posizioni
degli altri Paesi arabi, sia come singoli Stati che come coalizioni, nonostante
la posizione demograficamente politicamente culturalmente e militarmente preminente
dell’Egitto nel sistema arabo.
7 – Quando la direzione politica in Iraq ha lanciato il principio del
panarabismo, inevitabilmente correlato al conflitto arabo-sionista, con i! solo
sostegno della lotta del popolo palestinese contro l’occupazione sionista
unito a quello della lotta del popolo iracheno per rompere l’embargo,
gli Stati Uniti stavano promuovendo una soluzione “autorizzata”
per la causa palestinese attraverso un’intesa con i regimi arabi. L’intesa
prevedeva come condizione necessaria per la soluzione dei problema palestinese
la rimozione del sistema politico iracheno, e questo con il pretesto [del ristabilimento]
della legittimità internazionale con l’applicazione delle risoluzioni
del Consiglio di Sicurezza. Queste risoluzioni hanno imposto lo smantellamento
delle armi di distruzione di massa irachene in base al principio dichiarato
che si sarebbe trattato di un primo passo per ripulire il Medio Oriente delle
stesse armi. Alla fine l’Iraq aveva ragione e non vi erano [in Iraq] armi
di distruzione di massa. Ed ora chi chiederà ai regimi arabi di applicare
il paragrafo 14 della Risoluzione 768?
L’analisi sopra esposta delle circostanze e delle prospettive era necessaria
al fine di spiegare la visione strategica della leadership politica irachena
per quanto riguarda:
1 - il perpetuarsi del conflitto;
2 - l’inevitabilità dell’aggressione, illegale e internazionalmente
rifiutata;
3 - la complicità dei regimi arabi;
4 - la superiorità militare nemica;
5 - la connivenza e la posizione opportunistica di alcuni Paesi stranieri della
regione;
6 - il ruolo conferito all’Entità Sionista in ambito militare,
decisionale e politico alla base dell’aggressione ed alla conseguente
occupazione;
7 - le minacce e la strumentalizzazione di noti regimi arabi;
8 - la minaccia di smembramento e l’incentivazione degli elementi di divisione
in Iraq;
9 - l’evidente convergenza delle posizioni politiche dei fantocci dell’opposizione
irachena con i piani dell’occupante e con interessi ristretti, settari,
etnici, fanatici ed egoistici;
10 - la [necessità di una] tempestiva preparazione e dell’adozione
della linea di resistenza armata che si evolva in una guerra nazionale di liberazione,
sulla base di uno specifico programma politico e strategico a livello nazionale
iracheno e a livello panarabo.
Sulla base di questi elementi, l’obiettivo della Resistenza armata irachena,
condotta e guidata da! Partito Socialista Arabo Baath, come movimento di liberazione
è quello di espellere le forze di occupazione e di conseguire la liberazione
dell’Iraq, di salvaguardare il Paese e preservarlo unito quale patria
per tutti gli iracheni.
Le scelte della Resistenza
La Resistenza irachena adotta e porta avanti le sue scelte
fondate su:
1 - la sua responsabilità nazionale e l’identità dell’Iraq,
cui appartiene la culla della civiltà umana;
2 - la sua identità nazionale panaraba;
3 - le sue radici nella civiltà islamica;
4 – l’esperienza accumulata e la pratica della jihad.
5 - la sua conoscenza della natura del conflitto di lunga durata e delle sue
esigenze;
6 - il suo compito rivoluzionario adempiuto per mezzo di quotidiane azioni militanti;
7 - la sua ispirazione dal pensiero del Baath e dal suo progetto;
8 - le sue analisi, esami e valutazioni della fase e delle battaglie della Resistenza
in vista del conseguimento del successo contro l’ occupazione;
9 - l’analisi dei ruoli dei servi dell’occupante e dei collaborazionisti;
10 - l’analisi e la comprensione del ruolo dei regimi arabi sia prima
che dopo l’occupazione;
11 - la diffusione dell’informazione in merito alla cooperazione dei Paesi
limitrofi stranieri e i loro accordi di collaborazione con l’occupante,
accordi stipulati per il proprio interesse nazionale a discapito dell’Iraq
e della sua unità nazionale;
12 - la denuncia dell’opportunismo di parti non coinvolte nel conflitto
che perseguono propri interessi economici sotto l’occupazione;
13 - l’evidenziazione del ruolo conferito all’Entità Sionista
e dell’evoluzione di tale ruolo durante l’occupazione, della collaborazione
dei regimi arabi, e/o dell’interconnessione di questi con gli interessi
di altre potenze regionali.
Sulla base di quanto detto, la Resistenza irachena come movimento nazionale
di liberazione crede:
1 - nel proseguimento della Resistenza, condotta con qualunque mezzo e in qualunque
parte dell’Iraq, indipendentemente dalle risoluzioni internazionali prese
dopo l’occupazione e fino a che questa durerà;
2 - nella legittimità della Resistenza e nel suo diritto a intraprendere
azioni militari o di qualunque altro genere, a lottare e a combattere contro
i funzionari, le strutture, gli assembramenti, le basi, gli accampamenti militari,
i quartieri generali, i reparti delle forze occupanti, le loro strutture direttive
e di amministrazione, i loro servizi di sostentamento, uffici ed organizzazioni,
edifici occupati e centri di sostegno, della polizia, ecc.;
3 - nella legittimità e neI dovere di combattere i collaborazionisti
e i lacché, come individui o come partiti, sotto qualsiasi forma di organizzazione
o nome si presentino;
4 - nella necessità di impedire e bloccare i tentativi da parte degli
occupanti di rubare, sfruttare e di trarre vantaggio, in qualsiasi forma, dalla
ricchezza dell’Iraq, dalle proprietà e servizi Iracheni, tanto
con mezzi militari, che attraverso operazioni imprenditoriali o servendosi di
conoscenze tecnologiche;
5 - nella espansione nella crescita della Resistenza armata, fino a coinvolgere
tutto il territorio dell’Iraq e tutti gli iracheni sottolineando sia il
dovere che il diritto a resistere e liberare l’Iraq, operando sotto qualsiasi
nome o sigla;
6 - nell’impegno per formare l’esercito di liberazione iracheno
come evoluzione ulteriore dell’azione della Resistenza per la liberazione
dell’Iraq;
7 - nell’impossibilità di ottenere un qualsiasi aiuto da parte
dei regimi arabi, impossibilità dovuta a cause legate tanto alla natura
del sistema arabo ufficiale come insieme quanto alla natura e al ruolo di alcuni
regimi arabi, e particolarmente di quei paesi fantoccio che circondano l’Iraq,
che hanno esaurito il loro antico ruolo o che sono disposti a giocarne uno nuovo
determinato dall’accordo degli USA con l’Entità Sionista
ed in conformità con la visione strategica regionale degli Stati Uniti;
8 - nel dovere e nel diritto delle masse arabe a unirsi alla Resistenza armata
irachena, dovere e diritto fondati sulla responsabilità e sul diritto
nazionali, che non contraddicono la responsabilità e il diritto basati
sul patriottismo iracheno.
Nella fase attuale della lotta di resistenza della jihad irachena, e considerato
quanto potrebbe più tardi accadere alla luce dello sviluppo del conflitto
nelle sue diverse fasi, l’azione della Resistenza andrà avanti
fino al raggiungimento dell’obiettivo finale, tenendo conto del conseguimento
di adeguati obiettivi tattici e dell’impasse politica ed etica in cui
sono venuti a trovarsi l’amministrazione statunitense e il suo alleato
britannico a causa dello scandaloso crollo dei pretesti avanzati per le loro
guerre illegali e per l’occupazione dell’Iraq. Gli obiettivi tattici
della Resistenza sono orientati verso l’obiettivo strategico, che è
quello di espellere le forze di occupazione, liberare l’Iraq e conservarlo
unito come patria per tutti gli iracheni.
La Resistenza, attraverso azioni di combattimento, svolge un ruolo importante
nell’acuire l’impasse politica che si verifica prima delle elezioni
presidenziali statunitensi e generali britanniche, svelando le menzogne degli
USA e compromettendo il programma politico avviato da Londra e da Washington,
e portando a conoscenza degli elettori negli Stati Uniti e nel Regno Unito e
dell’opinione pubblica internazionale la falsità dei pretesti avanzati
per scatenare la guerra, l’illegittimità dell’uso di tali
pretesti per attaccare e rimuovere il regime politico dell’Iraq e occupare
il Paese, l’impossibilità per gli anglo-americani di realizzare
i progetti politici, economici e relativi alla stabilità ed ogni altro
progetto prefissato dall’occupante sul territorio iracheno, e la conseguente
impossibilità di estendere tale progetto nella regione e nel mondo. Questo
progetto sarà considerato nient’altro che una mera aggressione
di natura imperialistica, saranno mostrate le macchinazioni contro l’Iraq
e contro la nazione araba, macchinazioni che hanno consentito – grazie
allo squilibrio globale – un uso unilaterale della forza tirannica. L’aggressione
e l’occupazione saranno considerate come un modello legato soltanto all’uso
unilaterale della forza da parte degli USA.
La Resistenza si propone inoltre di demolire il ruolo che potrebbe essere sostenuto
da alcuni regimi arabi cospiratori che hanno necessità [per rimanere
al potere, ndt] di trattare con l’occupante e uniformarsi ai suoi programmi,
si propone di compromettere e screditare questi regimi procurando che gli interventi
da essi pianificati nel contesto iracheno tornino a loro danno causando quotidiane
crisi politiche, economiche e della sicurezza. La Resistenza si pone anche l’obiettivo
di aggravare le crisi di questi regimi nella regione, di impedire qualunque
esito positivo per gli interessi dei Paesi limitrofi [che vada] a detrimento
dell’Iraq e della sua unità nazionale, e di aumentare considerevolmente,
[per questi regimi] asserviti all’occupante e dipendenti dalla sua esistenza,
il costo del loro appoggio all’aggressione e della loro connivenza con
i piani e i programmi degli occupanti in Iraq, [atti di complicità] che
mirano a smembrare l’unità nazionale irachena sulla base di interessi
etnici, settari, egoistici e stranieri.
Sulla base del programma politico e strategico, l’eroica Resistenza continua,
si rafforza, si espande e sostiene battaglie all’interno del conflitto
di lunga durata [con gli Stati Uniti e i loro alleati]. La Resistenza passa
attraverso le fasi della guerra nazionale di liberazione e dà un esempio
trionfale, come hanno fatto precedentemente altri popoli, in diverse epoche
della storia dell’umanità, nella loro lotta contro le forze del
male, dell’aggressione e contro l’occupazione.
Lunga vita all’Iraq libero, e sia sconfitta
l’occupazione.
Lunga vita all’eroica Resistenza irachena.
Lunga vita ai militanti Baath e lunga vita al Segretario Generale Saddam Hussein.
Iddio è il più grande.
Partito Socialista Arabo Baath
Iraq, 9 settembre 2003
* Traduzione a cura dei Comitati contro la Guerra di Milano.
Il testo in arabo e in inglese è reperibile sul sito www.al-moharer.it
Abbiamo ritenuto opportuno pubblicare l’unico documento diffuso in Occidente
dopo il 18 marzo 2003, documento che inquadra la strategia della Resistenza
irachena entro l’analisi deI contesto storico e non solamente nella attuale
fase congiunturale avviata con l’aggressione e l’occupazione dei
Paese. Abbiamo motivo di ritenere autentico questo documento sia per la sua
coerenza con la visione politica e con le dichiarazioni precedentemente rese
pubbliche dal Partito Baath, sia perché redatto e divulgato antecedentemente
alla cattura di Saddam Hussein.