Biblioteca Multimediale Marxista
L’influenza degli Stati Uniti sulla rottura della Cgil
unitaria è ampiamente documentata e, a Torino, resa evidente anche dalle
dichiarazioni dell’ambasciatrice americana che, “traducendo forse
in modo un po’ rozzo ma certo non criptico, quelli che ritiene i principi
irrinunciabili in difesa del suo paese, non esita a scambiare commesse contro
drastiche riduzioni dell’influenza comunista in fabbrica”1.
Anche se non vi è dubbio che la scissione della Cgil appartiene alla
storia dell’Italia più che a quella delle relazioni tra Italia
e Stati Uniti, va però sottolineato l’interessamento americano,
così costante e attivo da costituire senza dubbio un fattore di rilievo.
“In primo luogo la promozione del piano Marshall investì direttamente
o indirettamente tutte le forze politiche e sindacali della responsabilità
di una scelta: pro o contro il piano Marshall che, contemporaneamente, includeva
temi economici, politici, strategici tanto che rimaneva praticamente impossibile
scindere le scelte tipicamente sindacali da quelle internazionali. Il richiamo
allo schieramento politico, con gli Stati Uniti o con l’Unione Sovietica,
influenzò in maniera determinante anche il mondo sindacale, non solo
italiano, provocando una netta divaricazione tra le forze filo-americane e filo-sovietiche.
In questo modo si può comprendere l’interesse da parte degli Stati
Uniti nella creazione in Italia di un’organizzazione sindacale non comunista,
non politica, non settaria con l’obiettivo immediato di convincere i socialisti
moderati e i repubblicani a ritirarsi dalla Cgil e ad aderire a tale sindacato
o movimento. E si spiega anche perché la scelta cadde su un sindacato
aconfessionale piuttosto che su uno cattolico; perché quest’ultimo
avrebbe compromesso i progetti americani per la creazione di un’organizzazione
sindacale apolitica di tutti gli anticomunisti”2.
Dunque per gli americani il nuovo sindacato doveva corrispondere al proprio
modello di organizzazione moderna; forte, capace di assumere la guida e il controllo
di fasce importanti di lavoratori e di esprimere un potere pari a quello di
altre istituzioni dello Stato.
La via era quella indicata dagli schieramenti politici che si andavano formando
intorno all’ERP (European-Recovery-Programm), contrastando il ruolo e
i risultati ottenuti sino ad allora dal CIO, il Congress of Industrial Organizations,
il quale auspicava, invece, a consolidare quella cooperazione tra Stato e sindacato
che si era delineata negli anni precedenti, aspirando alla costruzione di uno
Stato neo-corporativo in cui il movimento sindacale sarebbe diventato parte
integrante delle istituzioni politico-statuali.
Governo, imprenditori e sindacato, quindi, che avrebbero “irrobustito
forme di cooperazione e negoziazione neo-corporativa che garantissero relazioni
industriali scorrevoli e ordinate, una riconversione guidata verso il mantenimento
del pieno impiego, alti livelli salariali e possibilmente, una ripresa del riformismo
sociale newdealistico”3. E il presupposto necessario per mantenere queste
condizioni era la crescita dell’economia e degli scambi commerciali che
divenne per il CIO un obiettivo della sua strategia sindacale.
Il CIO, nel clima della nuova unità antifascista tra l’Unione Sovietica
e le forze occidentali alleate, ebbe un ruolo di primo piano nel costruire le
basi per una nuova internazionale sindacale che avrebbe dovuto sostenere la
ripresa economica.
Durante la guerra, Sidney Hillman, uno dei maggiori dirigenti del giovane sindacato
americano, aveva attivato una rete di contatti con i dirigenti dei movimenti
sindacali dei paesi alleati e con le organizzazioni dei lavoratori italiane,
francesi e tedesche che si erano ricostituite all’estero o che operavano
clandestinamente nei loro paesi nelle lotte di liberazione e per la nascita
di ordinamenti democratici.
Il disegno strategico di Hillman non voleva limitarsi alla nascita di rete di
solidarietà antifascista tra i lavoratori, ma creare le basi per la costituzione
di una nuova alleanza mondiale tra le forze sindacali che nel dopoguerra avrebbero
dovuto coordinare azioni collettive di pressione sui governi e sugli organismi
internazionali per garantire gli interessi dei lavoratori e promuovere politiche
di cooperazione economica e sociale, estendendo a livello mondiale il patto
sociale del New Deal.
Così, attraverso il proprio bollettino, il CIO illustrava bene le linee
generali della politica della nuova internazionale sindacale mondiale:
“L’unità internazionale del lavoro significa una forte base sindacale per la cooperazione di tutte le Nazioni Unite, ora e dopo la guerra […] La cooperazione postbellica delle Nazioni Unite significa stabilità mondiale, e quindi commercio mondiale, che a sua volta significa posti di lavoro e prosperità per i lavoratori, all’estero e qui da noi”.4
Il 3 ottobre del 1945 a Parigi, Hillman, insieme ai rappresentanti dei sindacati inglesi, sovietici, francesi e italiani, fu uno degli “architetti” della nuova unità sindacale mondiale e contribuì alla fondazione della Federazione Sindacale Mondiale, per la quale, abbiamo visto, Lidia Lazzero lavorerà dal ’60 al ’62 per conto della Cgil nazionale.
“Fu una conquista del movimento operaio e sindacale… Fu, senza dubbio, il primo intento serio e stabile per conseguire l’unità e il coordinamento del proletariato a livello mondiale contro il fascismo, il capitale e l’imperialismo. L’autorità ed il dinamismo ella FSM preoccupò fin da subito gli Stati Uniti, l’Inghilterra ed il capitale internazionale che tentarono immediatamente di sovvertirla e distruggerla”5.
E, in effetti, nonostante l’eterogeneità che
contraddistingueva i sindacati aderenti, questi provarono a trovare un denominatore
comune che, però, non bastò a salvare l’unità della
FSM.
L’improvvisa morte di Roosvelt nell’aprile del 1945 e l’insediamento
del nuovo presidente, Harry Truman, fece sperare ai vertici del sindacato e
alle forze progressiste, che sarebbe stato possibile proseguire la spinta riformatrice
del New Deal e la cooperazione con l’URRS attraverso la Nuova Organizzazione
delle Nazioni Unite. Purtroppo lo spostamento a destra della maggioranza del
Congresso e l’inizio della frattura tra l’Unione Sovietica e gli
Stati Uniti, che avrebbero portato allo scoppio della “Guerra fredda”,
obbligarono il CIO a rivedere la propria strategia sindacale e la sua collocazione
rispetto alla Federazione Sindacale Mondiale.
Il successivo isolamento del CIO, anche in conseguenza del fallimento della
lotta sindacale del novembre 1945 alla General Motor, aprì la strada
alle limitazioni degli scioperi e alla legge approvata nel 1946, la “Taft-Hartley”,
che interveniva direttamente nella regolamentazione dei conflitti di lavoro
a favore degli industriali (vietò, ad esempio, gli scioperi di solidarietà,
i boicottaggi e i picchettaggi di massa) e inoltre impedì ai militanti
comunisti di ricoprire cariche sindacali mentre fu imposto ai funzionari sindacali
di prestare giuramento di non appartenere al partito comunista. Di fatto, oltre
a rendere illegali le forme di lotta classiche dei lavoratori, questa legge
diede inizio alla “guerra civile” all’interno del CIO, tra
la destra anticomunista, guidata da Walter Reuther, segretario del potente sindacato
UAWU (United Automobile Worker’s Union), e i sostenitori radical del New
Deal, molti dei quali erano iscritti al partito comunista.
Nel 1950, in occasione del Congresso del CIO, il segretario Philip Murray annunciò
che ormai non esistevano più comunisti nel sindacato, dopo aver condotto
l’epurazione di undici sindacati che rappresentavano un totale di 760.000
iscritti, accusati tutti di essere controllati dai comunisti6.
Infine, l’annuncio della proposta del segretario di stato George Marshall
il 5 giugno del 1947 di lanciare un piano di aiuti economici per aiutare la
ripresa economica dei paesi europei diede il colpo di grazia alla politica estera
del CIO all’interno della FSM, nel mediare tra i sindacati sovietici e
il sindacato inglese, il TUC (Trade Union Congres), che non aveva mai accettato
fino in fondo di collaborare con i comunisti.
Senza voler esaminare le diverse interpretazioni storiografiche sull’origine
e la funzione del piano Marshall, questa proposta del governo Truman rispondeva
ad un complesso intreccio di interessi economici, commerciali e geopoltici:
da una parte accelerare la ripresa economica in Europa, che era già in
atto, e dall’altra contenere l’influenza dell’URSS e consolidare
la stabilizzazione anticomunista nei paesi occidentali.
Questa strategia provocò così uno scontro istituzionale tra i
sindacati aderenti alla FSM e a sua volta questo scontro si riflettè
nei diversi movimenti sindacali nazionali, provocando la rottura dell’unità
sindacale in Francia e in Italia, dove Pastore della “Libera Cgil”
fu tra i più convinti sostenitori del piano Marshall giudicando antinazionale
l’opposizione del partito comunista.
E proprio sull’atteggiamento anti ERP assunto dal segretario generale,
il comunista Saillant, a nome dell’organizzazione sindacale mondiale,
che si consuma la rottura.
“L’esecutivo della Federazione Sindacale Mondiale, la sera del 21
gennaio 1949, a chiusura della sessione iniziata il 17 gennaio, rivolgendosi
ai lavoratori di tutto il mondo proclamava:
lavoratori, lavoratrici, l’unità sindacale mondiale è in pericolo. I rappresentanti dei sindacati britannici (TUC) e dei sindacati americani (CIO) hanno posto il Bureau Esecutivo davanti al dilemma: o sospendere l’attività della FSM o sciogliere l’organizzazione dichiarando esplicitamente che, se la richiesta non fosse stata accolta, avrebbero abbandonato la FSM… Con tale atteggiamento essi avrebbero voluto imporre alle 67 Centrali Nazionali che raccolgono i lavoratori organizzati nel mondo intero, la volontà del TUC e del CIO. La maggioranza dei membri dell’Esecutivo ha proposto la ricerca di alcuni punti d’accordo sulle attività della FSM, ma i rappresentanti inglesi e americani sono rimasti intransigenti e non hanno accettato alcuna discussione, intendendo imporre in modo esclusivo il loro punto di vista. Un tale ultimatum non poteva logicamente essere accettato e la maggioranza ha vivamente protestato contro la pretesa di far adottare dall’esecutivo una decisione su una questione che mette in discussione la vita stessa della Federazione e l’unità sindacale internazionale”7.
Nei mesi che seguirono le dichiarazioni dei sindacalisti Cgil
furono tutt’altro che distensive. Di Vittorio spiegava così i motivi
della rottura: “[…] La verità è una sola. L’esistenza
di una grande organizzazione internazionale dei lavoratori come la FSM costituisce
un grande ostacolo ai piani di guerra dell’imperialismo anglo-americano
contro l’URSS e contro i paesi di nuova democrazia popolare”. E
quindi lanciava il proclama: “La FSM vivrà e sarà all’altezza
dei grandi compiti che l’attendono nella lotta per l’elevazione
del tenore di vita delle masse lavoratrici, per la conquista e la salvaguardia
dell’indipendenza nazionale di tutti i popoli, per la conquista e lo sviluppo
delle libertà democratiche, per la difesa vittoriosa della pace contro
i fautori della guerra”8.
E questi saranno i compiti affidati a Lidia Lazzero da Agostino Novella che
subentrò a Di Vittorio nella carica che occupava come Presidente della
FSM dal giugno 1949 fino alla sua morte. Un riconoscimento del contributo che
Di Vittorio aveva dato all’organizzazione dei sindacati a livello mondiale
e, allo stesso tempo, del peso e dell’importanza della Cgil. Fino all’ultimo
Di Vittorio si era battuto per evitare la spaccatura in seno alla FSM, ma la
logica dei blocchi contrapposti, il punto discriminante dell’adesione
o meno al piano Marshall, non potevano lasciare indenne la Federazione Mondiale
dei Sindacati, dalla quale la Cgil, nel 1978, si dimetterà da tutte le
responsabilità direttive, conservando solo il titolo di membro associato
e non lesinando critiche rispetto alla sostanziale sterilità della Federazione
FSM nell’elaborazione di una esauriente analisi della crisi economica
dell’occidente, che vada oltre i desueti slogan propagandistici.9
La Cgil, infatti, già dal 1974 aderisce alla Confederazione Europea dei
Sindacati (CES) nata nel 1973 dalla fusione dei sindacati iscritti alla CISL
(Confederazione internazionale dei sindacti liberi, nata a dicembre del 1949
a Londra dopo la rottura con la FSM) dell’area CEE che creano la CESL
(Confederazione Europea dei Sindacati Liberi) e i sindacati cristiani la CMT
(Confederazione Mondiale del Lavoro)
Con la caduta del muro di Berlino entreranno nella CES le CCoo spagnole nel
1991, la Cgtp portoghese nel 1993 e della CGT francese nel 2000.
La CES attuale, costituita da confederazioni sindacali libere, indipendenti
e democratiche e di federazioni sindacali europee, unitaria e pluralista, rappresentativa
sul piano europeo di tutto l’insieme del mondo del lavoro, riunisce 81
organizzazioni sindacali di 36 paesi europei e dodici federazioni di categoria
europee, per un totale di sessanta milioni di iscritti. È riconosciuta
dall’Unione Europea, dal Consiglio dell’Europa e dall’Aele
(Associazione europea per il libero scambio) come unica organizzazione sindacale
interprofessionale rappresentativa a livello europeo.10
La Cgil, infine, aderisce nel 1992 alla ICFTU, sigla inglese della CISL (Confederazione
Internazionale dei Sindacati Liberi), “dopo aver fatto parte della FSM
– si legge sul sito dell’ISPESL – espressione del sindacalismo
socialcomunista scioltosi nel 1989, e aver trascorso alcuni anni di indipendenza
rispetto alle organizzazioni mondiali esistenti”11.
Aderisce, quindi, con il Congresso di Vienna, svoltosi dal 1 al 3 novembre 2006,
alla nascita del nuovo sindacato internazionale, la CSI – Confederazione
Sindacale Internazionale, frutto dell’unione dei precedenti organismi
sindacali mondiale: la ICFTU e la CMT, sigla francese della Confederazione Mondiale
del Lavoro12.
“Si apre un nuovo capitolo nella storia del movimento sindacale internazionale.
La più grande assemblea di organizzazioni sindacali di cui si abbia memoria
– più di trecento confederazioni nazionali con quasi duecento milioni
di iscritti in centosettanta paesi e territori di tutti i continenti.
Le ragioni dell’unità prendono così il sopravvento su quelle
della divisione, e anche della contrapposizione, che hanno caratterizzato la
vita del sindacalismo tradizionale per tutto il Novecento, fatta salva –
scrive Emilio Gabaglio, ex Segretario del CES – l’effimera e controversa
unità dell’immediato secondo dopoguerra nel quadro della Federazione
Sindacale Mondiale […] All’origine di questa vera e propria rifondazione
del sindacalismo internazionale ci sono sia la presa d’atto che le motivazioni
delle divisioni passate sono oggi largamente superate così come la consapevolezza
che di fronte alle sfide della globalizzazione l’unità delle forze
sindacali è la premessa indispensabile per rendere più efficace
ed incisiva l’azione sindacale a livello transnazionale (esattamente quello
che sosteneva Giuseppe Di Vittorio nel 1949, N.d.C.)”13. “Quanto
al primo aspetto è evidente che la caduta del muro di Berlino ha creato
anche sul piano sindacale una situazione completamente nuova. La FSM è
praticamente uscita di scena, ridotta ad entità residuale senza più
affiliati in Europa, salvo che a Cipro, e una presenza negli altri continenti
sostanzialmente limitata con qualche significativa eccezione, come l’India,
alle organizzazioni dei paesi ancora a regime comunista, con l’eccezione
però della Cina, i cui sindacati mantengono una posizione indipendente
[…] La nascita del CIS – conclude Gabaglio riassumendone i passaggi
che hanno portato alla sua costituzione - non risolve, né poteva essere
altrimenti, tutte le questioni aperte di carattere strategico ed organizzativo
(l’unificazione a livello continentale seguirà entro un anno) per
realizzare un nuovo e più efficace internazionalismo sindacale. Essa
non è che l’inizio, ma in una stagione non facile per il sindacato
si tratta pur sempre di un buon avvio”14.
A gennaio del 2006 si è svolto all’Avana il 15° Congresso della
FSM all’interno del quale si sono svolti “due work-shop tematici:
il primo sul ruolo dei sindacati nei confronti della globalizzazione neoliberista
e il secondo sulla lotta per la pace e contro l’imperialismo [con] appassionati
appelli alla resistenza classista affinché globalizzazione non sia sinonimo
di imperialismo, come – sostengono gli aderenti alla FSM – è
il caso attualmente. Durante il work-shop – si legge sul sito della sezione
ticinese del PsdL – è intervenuto anche Pierpaolo Leonardi della
CUB, il quarto sindacato nazionale italiano, che è un sindacato di base.
Il suo discorso è stato fondamentale per evitare che i compagni asiatici
e africani coltivino false speranze: non è vero che l’Europa è
la faccia buona della globalizzazione rispetto agli USA, in realtà è
un tutt’uno fatto di sfruttamento delle risorse dei paesi più poveri
e di attacco ai diritti sociali dei lavoratori occidentali”15.
“Non bisogna mai dimenticare – conclude il documento – che
ogni popolo ha la sua cultura e le sue tradizioni (che si ripercuotono anche
nel modo di lavorare in un partito o in un sindacato) che non si possono cambiare
imponendo il nostro metodo (quello occidentale, presumo, NdC); […] in
paesi dove vige un sistema socialista il ruolo del sindacato è profondamente
diverso rispetto a quello che si concepisce in una società ad economia
di mercato in un regime di cosiddetta democrazia liberale. Ma se c’è
– da parte degli aderenti, e qui il documenti si rivolge al SISA ticinese
- la volontà di lavorare nella FSM è anche perché i documenti
congressuali hanno dimostrato che la volontà di ‘aprire’
la federazione ai movimenti e alle associazioni plurali esiste.
A piccoli passi forse, ma un processo rivoluzionario (ma davvero ben fatto e
serio) è sempre molto concreto, pragmatico”16.
Credo, in conclusione di un lavoro che richiederebbe una trattazione articolata,
che la posizione della FSM, sicuramente ridimensionata rispetto alla sua nascita,
di prospettiva rivoluzionaria, offra anche spunti alla Confederazione Internazionale
dei Sindacati per una collaborazione che vada oltre gli steccati e limiti ideologici
che la CIS afferma di aver superato.
La FSM sarà pure residuale ma un sindacalismo internazionale che voglia
affrontare seriamente i problemi legati alla globalizzazione della disoccupazione
di massa e agli attacchi globali ai diritti dei lavoratori e alla loro dignità
di persone, deve farsene carico anche con il contributo dei movimenti e delle
associazioni plurali a cui fa riferimento la FSM.
Anche perché, “i processi di globalizzazione”, come scrive
Gabaglio, “nelle condizioni in cui si stanno realizzando, rimettono in
discussione le basi stesse della forza contrattuale del sindacato. Della sua
rappresentanza e della sua capacità d’influenza sociale. C’è
un effetto di spiazzamento a cui occorre reagire dando all’azione sindacale
una dimensione transnazionale che, malgrado alcuni positivi ma sporadici risultati,
fa ancora pericolosamente difetto a livello mondiale”17.
1 Claudio Dellavalle, La rifondazione e i duri anni cinquanta, in A. Ballone-C.
Della valle-M. Grandinetti, Il tempo della lotta e dell’organizzazione
– Linee di storia della Camera del Lavoro di Torino, Feltrinelli, Milano,
Aprle 1992, p. 130
2 S. Colarizi, La seconda guerra mondiale e la Repubblica , in Storia d’Italia diretta da Galasso, Torino, Utet, 1984, p. 57. Citato in Roberta Cortonesi, Dalla libera Cgil alla Cisl – 1948/1950, Tesi di Laurea in Scienze Politiche conseguita presso l’Università degli Studi di Siena, A.A. ‘92/’93, relatore prof. Antonio Cardini, p. 7
3 Cfr. Federico Romero, Gli Stati Uniti e il sindacalismo europeo 1944-1951, Edizioni Lavoro, Firenze, 1989, p. 24
4 New World Labour Setup to guarantee Unity, Postwar Jobs, in “Cio News”, VII, 50, 11 decembere 1944, citato in Federico Romero, Gli Stati Uniti e il sindacalismo europeo, op. cit. pp. 35-36
5 Cfr. Plataforma, documento ufficiale della Federaciòn Sindical Mundial, liberamente tradotto da B. Maurizio, p. 1
6 Judith Stepan-Norris, Maurice Zeitlin, Left Out. Reds and America’s Industrial Union, Cambridge University Press, 2003, Steve Rosswurm, The CIO’s left-led unions, New Jersey, 1992, Rutger Univeristy Press.
7 Cfr. Notiziario Cgil 30 gennaio 1949, riportato in Roberta Cortonesi, tesi di laurea cit., p. 8
8 Cfr. I teorici della scissione, in Vie Nuove del 6 febbraio 1949, riportato in Roberta Cortonesi, tesi di laurea cit., p. 8.
9 Rassegna Online CES/Com’è organizzata e i suoi compiti, su http://www.rassegna.it/2007/sindacati/articoli/ces3.htm
10 Cfr. Mauro Bruscagin, Le posizioni degli eurocomunismi sulla crisi dell’economia occidentale e sulla CEE- III parte. “l’impegno”, a. XVII, n. 3, dicembre 1977. Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli, p. 7, su http://www.storia900bivc.it/pagine/editoria/bruscagin397.html
11 Cfr. http://www.ispesl.it/cis/exr/shownews.asp?news=253
12 Ibidem
13 Cfr. Emilio Gabaglio, contributo del 8 novembre 2006, pubblicato dalla fondazione Di Vittorio (FDV), su http://www.fondazionedivittorio.it/news_view.php?id=2154 p. 1
14 Ivi, pp.1-2
15 Niko Bilusic & Massimiliano Ay – Gennaio 2006 – 15° Congresso della FSM all’Avana, su http://www.partitocomunista.ch/index2.php?option=com_content&task=view&id=26&po...
16 Ibidem
17 Cfr. Emilio Gabaglio, contributo del 8 novembre 2006, pubblicato
dalla fondazione Di Vittorio (FDV), su http://www.fondazionedivittorio.it/news_view.php?id=2154
p. 2 .