Biblioteca Multimediale Marxista
SULLA SIERRA
CON FIDEL
PICCOLA
STORIA POPOLARE DELLA RIVOLUZIONE CUBANA
CUBA AGLI INIZI DEGLI ANNI CINQUANTA
Considerata un paradiso dai ricchi turisti nordamericani in cerca di avventure, celebrata soprattutto per le sue spiagge meravigliose e per le grandi case da gioco, agli inizi degli anni cinquanta Cuba, la "perla delle Antille" , celava dietro un apparenza di relativa prosperità contraddizioni laceranti. Nel 1950 la World Bank descriveva così la realtà contraddittoria dell'isola caraibica:
"L'economia cubana soffre di un alto grado di instabilità. Ogni anno c'è una lunga stagione morta in cui la maggior parte dei lavoratori dello zucchero sono disoccupati e il più grande equipaggiamento di capitale del paese resta inutilizzato... un'economia stagnante ed instabile con un elevato livello di insicurezza...". (1)
L'anno successivo la missione Truslow, inviata dal Dipartimento di Stato USA per analizzare le ragioni dell'arretratezza dell'isola, denunciò in un lungo rapporto le profonde contraddizioni di un sistema economico che, nonostante l'apparente ricchezza, manteneva ancora tutti gli elementi tipici della dipendenza economica: la mancanza di spirito imprenditoriale di una borghesia quasi interamente dedita ad attività speculative, l'insufficienza degli investimenti, la carenza cronica delle infrastrutture sociali ed amministrative. Anche da questa indagine emergeva soprattutto l'elemento della stagnazione, reso drammaticamente evidente dal fatto che, nonostante l'isola a causa dell'andamento favorevole del prezzo dello zucchero sui mercati internazionali stesse in quel momento attraversando un eccezionale periodo di prosperità e le riserve auree fossero le più elevate dell'America Latina, il reddito pro-capite si manteneva di poco superiore a quello del 1920. Per le statistiche poco più di trecento dollari l'anno, cioè meno di un dollaro il giorno in media a persona; nella realtà, considerato il fortissimo divario esistente fra strati ricchi e poveri della popolazione, la stragrande maggioranza dei cubani disponeva di un reddito assai inferiore. E ciò era particolarmente vero per la popolazione delle campagne, dove si concentrava ancora oltre il settanta per cento degli abitanti dell'isola. I contadini, considerati alla stregua di vere e proprie bestie da soma, erano totalmente abbandonati a se stessi e lasciati privi di ogni assistenza. Nessuno si occupava di loro, essi erano i grandi dimenticati della società cubana. Colpisce il fatto che in un paese che si diceva cattolicissimo, dove restava fortissimo il peso politico ed economico di una gerarchia ecclesiastica che dopo la rivoluzione accuserà il poder popular di voler scristianizzare la società, non esistessero quasi chiese nelle campagne. (2) Le malattie infettive infierivano per la scarsissima igiene e per la malnutrizione, colpendo soprattutto i bambini. Il passo che segue, tratto da un libro inchiesta pubblicato negli Stati Uniti alla fine degli anni Cinquanta, basta a far comprendere quali fossero le reali condizioni di vita per milioni di persone nella Cuba prerivoluzionaria :
"I parassiti crescono e si moltiplicano nel corpo dei bambini. alcuni di questi vermi, delle dimensioni di una matita, si raccolgono in grovigli o gomitoli, ostruiscono il sistema intestinale e bloccano la defecazione provocando morti strazianti. questi parassiti s'introducono nel corpo attraverso la pianta dei piedi dei bambini che camminano scalzi sul terreno infestato. Quando un bambino è morto, i vermi possono uscire strisciando dalla sua bocca o dalle sue narici, in cerca di un altro organismo vivente". (3)
La malnutrizione era generalizzata. Le famiglie contadine vivevano di farinacei e legumi. Nelle città per le classi popolari le cose non erano poi tanto migliori. Il 25 % della popolazione era disoccupata, ma nelle campagne la grande maggioranza dei contadini non lavorava più di tre o quattro mesi all'anno, nel periodo della zafra, il raccolto della canna da zucchero. Di contro un piccolo gruppo di latifondisti dominava incontrastato. Meno dello 0,1% del numero totale delle aziende controllava più del 20% delle terre coltivabili; l'8% del totale ne controllava più del 70%. Quanto alla classe operaia, questa era numericamente debole, impiegata in forme di produzione di scarso livello tecnico, inquadrata da sindacati diretti da leaders spesso corrotti, legati alla dittatura o alle organizzazioni gangsteristiche nordamericane che sull'isola gestivano traffici rilevanti connessi alle case da gioco e alla prostituzione. (4) Agli occhi di un osservatore attento Cuba appariva come un paese neocoloniale, caratterizzato da una struttura economica profondamente distorta, con tassi di sviluppo molto bassi, una totale dipendenza dagli Stati Uniti e un debolissimo livello di industrializzazione. Una società arretrata, segnata da vistose ingiustizie, ancora basata su un'agricoltura connotata dallo strapotere del latifondo e dall'estrema povertà delle grandi masse contadine. Proprio quello che con passione nell'ottobre 1953 un giovane avvocato, Fidel Castro, accusato di insurrezione contro i poteri dello Stato, denunciava nella sua autodifesa davanti al Tribunale straordinario di Santiago:
"..L'85% dei piccoli agricoltori cubani paga un affitto e vive sotto la minaccia perenne della cacciata dalle sue parcelle di terra. Più della metà delle migliori terre coltivate è in mano straniere. In Oriente, che è la provincia più estesa, le terre della United Fruit Company e della West Indian Company vanno dalla costa nord alla costa sud. Ci sono duecentomila famiglie contadine che non hanno neanche un metro di terra su cui seminare ortaggi per i loro figli affamati, mentre restano incolte nelle mani di interessi poderosi, quasi trecentomila caballerías (5) di terre produttive. Se Cuba è un paese prevalentemente agricolo, se la sua popolazione è in gran parte contadina, se è stata la campagna a fare l'indipendenza, se la grandezza e la prosperità della nostra nazione dipendono da una popolazione agricola sana e vigorosa che ami e sappia coltivare la terra, da uno Stato che la protegga e la guidi, come è possibile che continui questo stato di cose...?" . (6)
LA DITTATURA DI FULGENZIO BATISTA
La corruzione diffusa e la concezione della politica come mezzo di arricchimento personale, tristi eredità del dominio spagnolo, restavano le caratteristiche più visibili del sistema politico cubano, al di là del variare dei regimi e dei partiti. Dopo la prima dittatura Batista, dal 1944 era al governo il Partito Rivoluzionario Autentico, caratterizzato da un timido e incoerente liberalismo incapace di affrontare i gravi problemi del paese. Nel 1947 Eduardo Chibás fondò il Partito del Popolo Cubano (o Partito Ortodosso) che si richiamava all'eredità di José Martí e adottava un programma nazionalista e moralizzatore non privo di contraddizioni e di incoerenze sul piano della denuncia dello sfruttamento imperialistico da parte delle grandi multinazionali nordamericane. Tuttavia, secondo la testimonianza di Fidel Castro, in quegli anni dirigente della organizzazione studentesca del Partito:
"Molta gente in gamba militava in quel partito. Si batteva soprattutto contro la corruzione, il furto, gli abusi, l'ingiustizia e denunciava continuamente gli abusi della prima dittatura di Batista. (7) Nell'università il partito si rifaceva a tutta una tradizione di lotta, ai martiri della facoltà di medicina, massacrati nel 1871, (8) e alla lotta contro Machado (9) e Batista." (10)
Nel 1952 dovevano svolgersi le elezioni presidenziali e il partito ortodosso sembrava favorito. Ma, pochi giorni prima delle elezioni, il 10 marzo 1952, quando la vittoria degli ortodossi appariva ormai certa, un colpo di stato militare pilotato da Washington, dove si temeva che il cambiamento di regime potesse in qualche modo danneggiare gli interessi americani, riportò al potere il generale Fulgenzio Batista, che godeva del sostegno incondizionato del governo degli Stati Uniti e del Pentagono e nei fatti era l'uomo dei monopoli americani, dei grandi latifondisti e della Chiesa. Proclamatosi dittatore, Batista appena due anni dopo si fece eleggere presidente con elezioni farsa e subito adottò una politica di stampo autoritario: la Costituzione venne sospesa, le relazioni diplomatiche con l'Unione Sovietica interrotte, il Partito Comunista (11) messo fuorilegge. Verso il movimento operaio e la stessa opposizione borghese del Partito Ortodosso il regime sviluppò una azione violentemente repressiva che andò via via assumendo aspetti sempre più apertamente terroristici. Venendo a interrompere bruscamente una fase di ascesa delle lotte popolari, il golpe di Batista segnò la fine di un'epoca e il crollo definitivo delle speranze in una pacifica evoluzione democratica del quadro politico cubano. La nuova situazione venutasi a creare all'Avana, contribuì a fare emergere nuove figure politiche. Tra queste fin da subito la più significativa apparve essere quella di Fidel Castro, già leader studentesco e ora avvocato radicale.
NOTE:
1. H.
Thomas, Storia di Cuba, Torino 1973, pag. 900
2. Vedere il bel libro-intervista del domenicano brasiliano Frei Betto,
Fidel Castro: la mia fede, Milano 1986, pag. 168.
3. R. Brennan, Castro, Cuba and Justice, New York 1959, p. 273, cit.
in: H.L. Matthews, La verità su Cuba, Milano 1961
4. Per un quadro complessivo della situazione economico-sociale nella
Cuba prerivoluzionaria vedere: Umberto Melotti, La rivoluzione cubana, Milano
1967. Per una ricostruzione storica delle vicende cubane sono disponibili in
italiano la monumentale opera dello storico inglese Hugh Thomas (Storia di Cuba,
Torino 1973) e il più agile volumetto di Roberto Massari (Storia di Cuba, Roma
1987) che però ha il difetto di fermarsi all'inizio degli anni Quaranta. Per
una collocazione delle vicende cubane nel contesto più generale del continente
latino-americano si possono vedere gli studi di Tulio Halperin Donghi (Storia
dell'America Latina, Torino 1968) e di Hubert Herring (Storia dell'America Latina,
Milano 1971). Per una prima informazione possono essere utili i quaderni di
Vanna Ianni (L'universo dei Caraibi, Firenze 1991) e di José Luis Luzón Benedicto
(Cuba, Milano 1993). Per uno studio complessivo della rivoluzione cubana, l'unica
opera apparsa in Italia resta l'ormai pressochè introvabile volume di Saverio
Tutino (L'Ottobre cubano, Torino 1968). Per un'analisi della politica cubana
degli ultimi anni sono disponibili lo studio marxista rivoluzionario della francese
Janette Habel (Cuba fra continuità e rottura, Roma 1990) e il libro intervista
di Gianni Minà (Fidel, Roma 1994).
5. La caballería è un'unità di misura di superficie di uso comune a Cuba
che corrisponde a 13,43 ettari.
6. F. Castro, La storia mi assolverà, Roma 1995, pag. 42
7. Fulgenzio Batista, autore d un pronunciamento militare aveva già governato
Cuba in modo dittatoriale dal 1933 al 1944.
8. Il riferimento è a un episodio della lotta di indipendenza contro
la Spagna.
9. Gerardo Machado, presidente nel 1925, alla scadenza del suo mandato,
rifiuterà di dimettersi, instaurando una sanguinosa dittatura.
10. Frei Betto, op.cit., pp.123-124
11. Fondato nel 1925 da Julio Antonio Mella, il Partito Comunista Cubano
nel 1938 si era fuso con altre forze nazionaliste e rivoluzionarie assumendo
il nome di Partito Socialista Popolare che mantenne fino alla fusione nel 1961
con il Movimento 26 Luglio.
IL GIOVANE FIDEL
Figlio di un piantatore di canna da zucchero della provincia di Oriente, laureatosi in legge all'Università della Avana, dove si era messo in mostra come il principale leader della organizzazione degli studenti democratici, sul finire degli anni Quaranta Fidel Castro aveva intrapreso la libera professione, assumendo, spesso gratuitamente, il patrocinio legale di operai, contadini e prigionieri politici. Il coraggio e l'assoluto disinteresse personale dimostrato in un mondo politico caratterizzato dalla più bieca viltà e corruzione, lo avevano in breve tempo imposto all'ammirazione degli elementi più avanzati della gioventù democratica e nazionalista. Attorno a lui si era così venuta creando una rete di compagni e di cellule che, pur non avendo ancora un programma politico ne una forma organizzata, aveva tuttavia assunto le caratteristiche tipiche di un movimento cospirativo. E in effetti Fidel Castro fu il primo a comprendere che l'intero quadro politico era ormai radicalmente cambiato e che nella nuova fase aperta dal colpo di stato militare occorreva far fare al movimento democratico un salto di qualità. Se fino al marzo 1952 si trattava di restaurare pienamente la democrazia parlamentare, ora diveniva necessario rovesciare con le armi la dittatura militare. Sentiamo la sua testimonianza:
" Cominciai a pensare a restaurare la situazione anteriore e a unire tutti per liquidare quella cosa infame e reazionaria che era il golpe di Batista. Cominciai a organizzare personalmente i militanti poveri e battaglieri della gioventù ortodossa ed entrai in contatto con alcuni leaders di quel partito che si dicevano favorevoli alla lotta armata. Ero convinto della necessità di sconfiggere Batista con le armi per poter tornare alla situazione anteriore, al regime costituzionale (...) In poche settimane organizzai i primi combattenti e le prime cellule. Installammo stazioni radio clandestine e diffondemmo un piccolo giornale ciclostilato. Avemmo dei problemi con la polizia, che in seguito ci servirono da esperienza; da allora in poi, infatti, adottammo metodi estremamente cauti nella selezione e nell'organizzazione settoriale dei compagni". (1)
Dopo un anno di intensa attività cospirativa, l'organizzazione di Fidel poteva contare su circa duecento giovani militanti, in prevalenza studenti ed operai, pronti a mettere in gioco la propria vita in un'impresa quasi disperata: la presa della Caserma Moncada, alla periferia di Santiago.
L'ASSALTO ALLA CASERMA MONCADA
La presa del Cuartel Moncada, per importanza strategica la seconda base militare dell'isola, avrebbe dato il segnale d'avvio dell'insurrezione destinata a spazzare via la tirannia di Batista. Il piano, accuratamente predisposto da Fidel, che stava per compiere 27 anni, da suo fratello Raúl di 22, da Abel Santamaría e Jesús Montané Oropesa,(2) prevedeva l'attacco di sorpresa alla caserma, la cattura dei mille uomini della guarnigione, l'occupazione delle stazioni radio e il lancio di un appello al popolo cubano perchè si unisse agli insorti. Mentre il grosso dei ribelli avrebbe attaccato il Moncada, un secondo gruppo di una trentina di uomini sarebbe andato all'assalto del presidio di Bayamo, importante nodo strategico sulla strada che collega Santiago con il resto dell'isola. Nonostante il grande divario di forze, l'impresa poteva avere buone possibilità di riuscita a condizione però di poter contare sul fattore sorpresa. Alle cinque della mattina del 26 luglio 1953 i rivoltosi partirono alla volta degli obiettivi assegnati. Prima ascoltarono un breve discorso di Fidel:
"Fra poco - egli disse - sapremo se saremo vincitori o vinti. Se saremo vincitori, avremo realizzato le aspirazioni di José Martí. (3) Se saremo vinti, la nostra azione servirà da esempio al popolo di Cuba e sarà ripresa da altri. In ogni modo il movimento trionferà". (4)
L'attacco, pur condotto con grande eroismo, si rivelò fin dalle prime battute un disastro. Dei tre gruppi che dovevano impadronirsi della caserma di Bayamo, due furono subito quasi interamente sterminati. Il terzo riuscì a entrare nella caserma, ma fu sopraffatto dalla guarnigione. Anche a Santiago l'effetto sorpresa andò subito perduto. Per difficoltà intercorse nell'attraversamento della città solo la metà dei novantacinque uomini che dovevano impadronirsi della caserma, si trovarono sul posto al momento dell'attacco. Così Fidel ricostruisce l'azione:
"Eravamo circa 120 uomini. Un gruppo occupò alcuni edifici, come quello del Tribunale che dominava un angolo della caserma; altri occuparono le case sul retro della caserma e il nostro gruppo puntò verso l'ingresso principale per fare irruzione sul davanti. Io mi trovavo nella seconda macchina. La sparatoria cominciò al mio fianco, quando incrociammo una pattuglia di ronda (...) Avendo incontrato quella pattuglia, la battaglia si sviluppò fuori della caserma e non dentro, come era stato previsto. I soldati furono messi in guardia, erano oltre mille uomini, e noi perdemmo il fattore sorpresa e il nostro piano fallì". (5)
Fallita la sorpresa, gli insorti, costretti a battersi contro un nemico soverchiante, dovettero ritirarsi. I soldati circondarono l'ospedale, occupato dal gruppo di Abel Santamaría e dopo un aspro combattimento catturarono tutti i 21 combattenti, fra cui due donne. Quasi tutti furono assassinati subito dopo feroci torture. A Abel, prima di ucciderlo, strapparono gli occhi. In tutta l'isola venne scatenata una gigantesca caccia all'uomo per catturare Fidel e gli altri superstiti dell'attacco. Uno dopo l'altro gran parte dei ribelli vennero catturati. Molti di essi furono assassinati sul posto. In tutto i caduti furono settanta. Il 29 luglio venne arrestato Raúl Castro, il 1 agosto fu la volta di Fidel, catturato mentre con alcuni compagni tentava di raggiungere le montagne della Sierra Maestra. La pressione di un'opinione pubblica disgustata dalla brutalità dell'esercito e l'intervento dell'arcivescovo di Santiago valsero a fermare la carneficina. Fidel e i suoi compagni furono sottratti alla ferocia della soldataglia e affidati alle autorità civili. Rinchiuso nel carcere di Boniato, in attesa di processo di fronte al tribunale di Santiago per aver organizzato e diretto l'assalto alla caserma Moncada, Fidel divenne famoso in tutta Cuba e il leader riconosciuto dell'opposizione alla odiata tirannia di Batista. Grande impressione destò nell'opinione pubblica cubana, anche nella componente più moderata, il coraggioso atteggiamento tenuto dal giovane avvocato durante il processo. Nonostante fosse in pericolo di vita, si seppe poi che lo stesso Batista aveva ordinato il suo assassinio in carcere, Fidel Castro trasformò il processo in una tribuna da cui accusare la dittatura per i crimini commessi contro il popolo cubano e i patrioti insorti.
LA STORIA MI ASSOLVERA'
Il 21 settembre 1953 presso la Corte di giustizia di Santiago si aprì il processo contro 122 imputati, accusati di insurrezione contro i poteri dello Stato. Orgogliosamente Fidel, che in quanto avvocato aveva rifiutato il patrocinio legale per difendersi da solo, rivendicò la legittimità dell'attacco, affermando che i ribelli avevano il diritto di tentare di rovesciare Batista proprio in nome della Patria e della Costituzione. Invitato a rivelare i nomi degli ispiratori della rivolta, con estrema dignità dichiarò ai giudici:
"Il solo autore morale di questa rivoluzione è José Martí, l'apostolo della nostra indipendenza". (6)
Di fronte a questo atteggiamento irriducibile che trasformava il dibattimento in un processo alla dittatura e all'imperialismo, il governo cercò in ogni modo di impedirgli di prendere la parola. Fidel, costretto ad un regime di rigido isolamento carcerario, fu fisicamente impedito di partecipare al processo. La sua posizione fu stralciata e il nuovo dibattimento si tenne il 16 ottobre. Il processo si svolse a porte chiuse e fu consentita solo la presenza di alcuni giornalisti che non poterono pubblicare nulla a causa della censura. Fidel Castro fu condannato a quindici anni di carcere. In quell'occasione egli parlò per due ore a sua difesa, pronunciando un discorso destinato a diventare il manifesto della rivoluzione cubana. Pacatamente, quasi a bassa voce, Fidel Castro espose le ragioni politiche e sociali che rendevano storicamente irreversibile la via rivoluzionaria:
"...Caso insolito, quello che si stava verificando, signori magistrati: un regime che aveva paura di presentare un imputato davanti ai tribunali; un regime di terrore e di sangue che si spaventava davanti alla convinzione morale di un uomo indifeso, disarmato, isolato e calunniato. Così, dopo avermi privato di tutto, mi si privava infine del processo nel quale ero il principale imputato...Vi ricordo che le vostre leggi di procedura stabiliscono che il processo è "orale e pubblico"; nonostante questo, si è completamente impedito al popolo di assistere a questa udienza. Si sono lasciati passare solo due legali e sei giornalisti sui cui giornali la censura non permetterà di pubblicare una sola parola. Noto che quale unico pubblico, nelle sale e nei corridoi, ho un centinaio fra soldati e ufficiali. Grazie per la seria e cortese attenzione che mi si sta prestando ! Magari avessi davanti a me tutto l'Esercito ! Io so che un giorno brucerà dal desiderio di lavare la macchia terribile di vergogna e di sangue che hanno gettato sull'uniforme militare le ambizioni di un gruppetto senza coscienza... Da parte del governo si è ripetuto con molta enfasi che il popolo non assecondò il movimento. Non avevo mai sentito un'affermazione così ingenua e, nello stesso tempo, così piena di malafede. Si vuole in questo modo evidenziare la sottomissione e la pusillanimità del popolo; manca poco a che si dica che esso appoggia la dittatura... Non è mai stata nostra intenzione combattere contro i soldati della caserma: contavamo piuttosto, approfittando della sorpresa, di impossessarci del suo controllo e di quello delle armi, di lanciare un appello al popolo, quindi riunire i militari e invitarli ad abbandonare l'odiosa bandiera della tirannia e ad abbracciare quella della libertà; a difendere i grandi interessi della nazione e non i meschini interessi di una cricca di persone; a girare le armi e a sparare contro i nemici del popolo e non contro il popolo in cui si trovano i loro figli e i loro genitori... Le nostre possibilità di successo si fondavano su ragioni di ordine tecnico e militare e di ordine sociale. Si è voluto creare il mito delle armi moderne quale presupposto di qualsiasi impossibilità di lotta aperta e frontale del popolo contro la tirannia... Nessuna arma, nessuna forza è capace di vincere su un popolo che si decida a lottare per i propri diritti...Ho detto che la seconda ragione sulla quale si basava la nostra possibilità di successo era di ordine sociale. Perchè avevamo la sicurezza di poter contare sul popolo ? Quando parliamo di popolo non consideriamo tale quei settori agiati e conservatori della nazione ai quali sta bene qualsiasi regime di oppressione, qualsiasi dittatura, qualsiasi dispotismo, i quali si prostrano davanti al padrone di turno fino a spaccarsi la fronte al suolo. Consideriamo popolo, quando parliamo di lotta, la grande massa irredenta cui tutti promettono e che tutti ingannano e tradiscono, quella che anela a una patria migliore, più degna e più giusta; quella che è mossa da ansie ancestrali di giustizia per aver sofferto l'ingiustizia e lo scherno generazione dopo generazione; quella che aspira a grandi e sagge trasformazioni in ogni ordine e che per riuscirci è disposta, allorquando crede a qualcosa e in qualcuno, soprattutto quando crede in se stessa, a dare fino all'ultima goccia di sangue. La condizione primaria della sincerità e della buona fede in un proposito è di fare, appunto, quello che nessuno fa, vale a dire, di parlare con tutta franchezza e senza paura... I rivoluzionari devono proclamare le loro idee coraggiosamente, definire i loro principi ed esprimere le loro intenzioni perché non si inganni nessuno, né amici né nemici. Noi chiamiamo popolo, quando si parla di lotta, quei seicentomila cubani che sono senza lavoro e che desiderano guadagnarsi il pane onestamente senza dover emigrare dalla propria patria alla ricerca di sostentamento; quei cinquecentomila braccianti che vivono nei miseri bohios (7), che lavorano quattro mesi all'anno e che per il resto soffrono la fame e spartiscono la miseria con i figli, che non hanno neanche un fazzoletto di terra su cui seminare... quei quattrocentomila lavoratori dell'industria e quei manovali le cui pensioni, tutte, vengono defalcate, le cui conquiste vengono strappate, le cui abitazioni sono le stanze infernali delle cuarterias (8), i cui salari passano dalle mani del padrone a quelle dello strozzino e il cui futuro è la riduzione del salario e il licenziamento, la cui vita è il lavoro perenne e il cui riposo è la tomba; quei centomila piccoli agricoltori che vivono e muoiono lavorando una terra che non è loro... che devono pagare i loro appezzamenti, come servi della gleba, con una parte del loro prodotto, che coltivano una terra che non possono amare, né migliorare, né abbellire... perchè non sanno qual'è il giorno in cui verrà l'ufficiale giudiziario con la guardia rurale a dire loro che devono andarsene... Questo è il popolo, quello che patisce tutte le avversità ed è pertanto capace di combattere con estremo coraggio... Il problema della terra, il problema dell'industrializzazione, il problema della casa, il problema della disoccupazione, il problema dell'educazione e il problema della salute del popolo; ecco in concreto i sei punti alla cui soluzione sarebbero stati indirizzati risolutamente i nostri sforzi, unitamente alla conquista delle libertà civili e della democrazia politica... Il futuro della nazione e la soluzione dei suoi problemi non possono continuare a dipendere dall'interesse egoista di una decina di finanzieri, dai freddi calcoli sui profitti che dieci o dodici magnati progettano nei loro uffici con l'aria condizionata... I problemi della repubblica troveranno una soluzione solo se ci dedichiamo a lottare per essa con la stessa energia, rettitudine e patriottismo che le dedicarono i nostri liberatori per crearla... Un governo rivoluzionario con l'appoggio del popolo e la stima della nazione, dopo aver ripulito le istituzioni dai funzionari venali e corrotti, procederebbe immediatamente all'industrializzazione del paese... dopo aver sistemato sulle loro parcelle di terra nella veste di padroni i centomila piccoli agricoltori che oggi pagano i canoni, procederebbe a risolvere definitivamente il problema della terra...Un governo rivoluzionario risolverebbe il problema della casa riducendo drasticamente i canoni del cinquanta per cento, esentando da ogni tributo le case abitate dai loro proprietari, triplicando le imposte sulle case affittate, demolendo le infernali cuarterias per innalzare al loro posto edifici moderni e finanziando la costruzione di abitazioni in tutta l'isola....Infine, un governo rivoluzionario procederebbe alla riforma integrale dell'istruzione... "Un popolo istruito sarà sempre forte e libero"... No, questo non è inconcepibile. Quello che è inconcepibile è che ci siano uomini che vanno a dormire con fame mentre c'è anche un solo metro di terra incolta; quello che è inconcepibile è che il trenta per cento dei nostri contadini non sappia firmare... A coloro che per queste cose mi chiamano sognatore, dico come Martí: "Il vero uomo non guarda da quale parte si vive meglio, ma da quale parte si trova il dovere... ed è questo l'unico uomo pratico il cui sogno di oggi sarà la legge di domani"... Concludo la mia difesa, ma non lo farò come fanno sempre tutti gli avvocati chiedendo la libertà del patrocinato; non posso chiederla quando i miei compagni stanno patendo un'ignominiosa prigionia nell'Isola dei Pini. Mandatemi assieme a loro a condividere la loro sorte; è più concepibile che gli uomini onorati vengano uccisi o fatti prigionieri in una repubblica dove come presidente c'è un ladro criminale... In quanto a me, so che il carcere sarà duro come non lo è mai stato per nessuno, gravido di minacce, di vile e codardo accanimento, ma non lo temo, come con temo la furia del tiranno miserabile che strappò la vita a settanta fratelli miei. Condannatemi, non importa, la storia mi assolverà". (9)
NOTE:
1. Frei
Betto, op. cit. , pag.133
2. Abel Santamaria, studente, comandante in seconda dell'assalto al Moncada.
Catturato dai soldati, fu assassinato dopo feroci torture. Jesús Montané Oropesa,
impiegato, dopo l'assalto al Moncada e la successiva aministia raggiunse Fidel
in Messico. Membro della Direzione nazionale del movimento 26 Luglio, venne
catturato subito dopo lo sbarco e trasferito all'Isola dei Pini dove trascorse
tutto il periodo della guerra rivoluzionaria. Dopo la rivoluzione rivestì la
carica di direttore delle carceri e poi di ministro delle comunicazioni. Membro
del Comitato Centrale del PCC.
3. Scrittore e poeta. Padre dell'indipendenza cubana, caduto in combattimento
contro gli spagnoli nel 1895. In italiano è da poco apparsa la traduzione di:
Vitier-Fernández Retamar, Martí, Roma 1995.
4. S. Tutino, L'Ottobre cubano, Torino 1968, pag. 203.
5. Frei Betto, op. cit., pp.139-140
6. T. Szulc, Fidel, Milano 1989, pag. 212.
7. Tipica abitazione dei contadini poveri, fatta con tavole di palma,
tetto di foglie e pavimento di terra.
8. Le cuarterias erano abitazioni popolari prive di servizi igienici
e in grave stato di degrado, ubicate soprattutto alla periferia delle città.
9. F. Castro, op.cit., pp. 22-80
IL PRIGIONIERO DELL'ISOLA DEI PINI
Per l'assalto al Moncada Fidel fu condannato a quindici anni di reclusione, suo fratello Raúl a tredici, tutti gli altri imputati a pene minori. Tutti furono rinchiusi nel carcere di massima sicurezza dell'Isola dei Pini dove, dopo sette mesi di isolamento, a Fidel fu permesso di organizzare per i suoi compagni dei corsi di formazione politica. Intanto cresceva nel paese anche in conseguenza ai fatti del Moncada una diffusa opposizione al regime batistiano. Il Partito Socialista Popolare, che pure si era dissociato dall'azione di Castro considerata un'avventura priva di prospettive, tentava di incanalare la protesta operaia per il peggioramento delle condizioni di vita organizzando una lunga serie di scioperi e di manifestazioni. Anche l'università, dove la popolarità di Fidel era altissima, era in fermento. La stessa Chiesa cattolica, di fatto favorevole al regime, di fronte agli eccessi della repressione si era sentita in dovere di intervenire raccomandando il ritorno ad un clima di maggiore concordia nazionale. Il 1 novembre 1954 Fulgenzio Batista venne eletto, dopo elezioni farsa senza candidati d'opposizione, presidente della repubblica. Nel febbraio dell'anno successivo il vicepresidente degli Stati Uniti, Richard Nixon, si recò all'Avana a portare le congratulazioni del governo americano, imitato poco dopo dal direttore della CIA, Allen W. Dulles, che aveva appena organizzato il rovesciamento del governo Arbenz in Guatemala. Intanto in carcere Fidel rifletteva sul fallimento dell'azione del Moncada e sulla necessità di garantire un'efficace guida politica al movimento rivoluzionario, giungendo a conclusioni nei fatti pienamente leniniste:
"Credo
fondamentalmente - scrive il 14 agosto 1954 in una lettera ad un amico - che
uno dei principali ostacoli che impediscono la creazione dell'opposizione...sia
l'eccesso di personalismi e di ambizioni dei gruppi
e ... dei caudillos...La situazione...mi ricorda gli sforzi di Martí per unire
tutti i cubani degni nella lotta per l'indipendenza... Devo innanzitutto organizzare
gli uomini del 26 Luglio e unire in un fascio indissolubile tutti i combattenti,
quelli in esilio, quelli in prigione, quelli liberi... L'importanza di un simile
nucleo perfettamente disciplinato darà una forza incalcolabile alla... formazione
di quadri di lotta per l'organizzazione civile o insurrezionale. Da quel momento...
un grande movimento civile politico deve contare sulla forza necessaria per
prendere il potere, con mezzi pacifici o rivoluzionari, oppure correre il rischio
di essere sconfitto due soli mesi prima delle elezioni, come l'ortodossia...
Condizioni indispensabili per la creazione di un vero movimento civile sono:
ideologia, disciplina, comando... Non si può organizzare un movimento in cui
tutti credono di avere il diritto di fare dichiarazioni pubbliche, e non si
può neanche sperare niente da un'organizzazione piena di gente anarchica che
alla prima difficoltà se ne va per la strada che gli sembra migliore... L'apparato
d'organizzazione e di propaganda deve essere così potente da distruggere implacabilmente
chiunque tenti di creare frazioni, camarille, scissioni... Il programma deve
contenere un'esposizione piena, concreta e valida dei problemi sociali ed economici
che il paese deve affrontare, in modo che si possa inviare alle masse un messaggio
veramente nuovo e progressivo... Soprattutto... le nostre energie non devono
essere impiegate senza costrutto...". (1)
All'inizio del 1955 un comitato di madri di detenuti politici lanciò una campagna per un'amnistia generale. Batista, desideroso di migliorare l'immagine del regime, finì per accondiscendere, sperando in tal modo di recuperare parte dell'opposizione. Il governo fece sapere che tutti i prigionieri politici sarebbero stati liberati in cambio della promessa di non tentare nuove azioni armate contro il regime. Immediata e fiera fu la risposta di Fidel: il movimento di liberazione non avrebbe sottoscritto patti con la tirannia. La liberazione dei detenuti politici non poteva che essere incondizionata.
" Noi non siamo perturbatori di professione, ne ciechi fautori della violenza, se la patria migliore che desideriamo può realizzarsi con le armi della ragione e dell'intelligenza (...) La nazione cubana non ci vedrà mai promotori di una guerra civile che si potrebbe evitare; e allo stesso tempo ripeto che tutte le volte che a Cuba si presenteranno le circostanze ignominiose che seguirono al colpo di stato del 10 marzo, sarà un delitto rinunciare a promuovere l'inevitabile ribellione. Se noi considerassimo che un mutamento di circostanze e un clima di positive garanzie costituzionali esigesse un mutamento di tattica nella lotta, opereremmo questo mutamento per rispetto agli interessi e al desiderio della nazione, mai però in virtù di un compromesso con il governo, che sarebbe vile e vergognoso". (2)
Il 3 maggio, il Congresso approvò il progetto di amnistia che venne tre giorni più tardi controfirmato da Batista. Il 15 maggio Fidel e tutti i suoi compagni vennero scarcerati. L'arrivo di Fidel all'Avana fu trionfale. I principali esponenti dell'opposizione assieme ai dirigenti del Partito Ortodosso, della Federazione Universitaria e del movimento degli studenti vennero alla stazione ad accogliere l'eroe del Moncada. Nonostante dal carcere avesse richiesto lo svolgimento di libere elezioni nel più breve tempo possibile quale condizione fondamentale per il ristabilimento delle più elementari garanzie costituzionali, Fidel non credeva che il regime di Batista fosse riformabile per via parlamentare, tanto meno che il soggetto politico adatto fosse l'ormai compromesso partito ortodosso. Tornato in libertà, egli si dedicò pertanto a organizzare clandestinamente, una nuova forza politica, anche nel nome erede diretta dell'esperienza del Moncada: il Movimento 26 Luglio. Fidel, consapevole della necessità di dover presto lasciare Cuba dove per la repressione che aveva ripreso a infuriare si trovava quotidianamente in pericolo di vita, sapeva bene che, prima di partire per l'esilio, era necessario costruire una salda rete organizzativa che preparasse il terreno per un nuovo tentativo insurrezionale che non ripetesse più gli errori del Moncada. Utilizzando in gran parte veterani del Moncada, ma anche forze nuove venute al movimento dalla classe operaia e dall'università, a tempo di record fu costituito un Direttorio nazionale di undici membri. (3) A questo punto Fidel decise che era il momento di lasciare definitivamente Cuba e il 7 luglio partì per il Messico, dove già dal 24 giugno si era rifugiato suo fratello Raúl. Prima di partire, il leader rivoluzionario affidò alla rivista "Bohemia" un ultimo messaggio al popolo cubano:
"Lascio Cuba perché mi sono state chiuse tutte le porte per una lotta pacifica. Sei settimane dopo essere stato scarcerato mi sono più che mai convinto dell'intenzione del dittatore di restare al potere per vent'anni, a qualsiasi costo, governando come ora attraverso il terrore e il crimine, e ignorando la pazienza del popolo cubano, pazienza che ha i suoi limiti. Come seguace di Martí, credo sia giunta l'ora di appropriarci dei nostri diritti e non più di chiederli, di combattere invece che di implorare. Andrò a vivere da qualche parte nei Caraibi. Da viaggi come questo non si torna o si torna dopo la decapitazione della tirannia". (4)
L'ESILIO MESSICANO
Giunto in Messico, Fidel si mise alacremente all'opera per riorganizzare le fila del Movimento, sia a livello legale, collegando fra di loro i gruppi di esiliati dispersi fra il paese centramericano, gli Stati Uniti, il Costarica con lo scopo di raccogliere fondi, organizzare campagne di solidarietà, diffondere materiale di propaganda, fare opera di proselitismo nell'emigrazione antibatistiana; sia a livello clandestino, raccogliendo armi e munizioni e pianificando l'addestramento militare di un gruppo selezionato di combattenti per il ritorno armato in patria. Il 2 agosto egli inviò a Faustino Pérez (5) con l'ordine di diffonderlo in decine di migliaia di esemplari il "Manifesto n.1 al popolo cubano". Il programma, articolato su quindici punti, riprendeva radicalizzandole le tesi contenute ne "La storia mi assolverà". Il manifesto prevedeva la eliminazione del latifondismo, la distribuzione della terra ai contadini, la partecipazione dei lavoratori agli utili delle imprese, una drastica diminuzione degli affitti, la nazionalizzazione dei servizi pubblici essenziali, la riforma del sistema fiscale, eliminazione di ogni forma di discriminazione "di razza e di sesso", la riorganizzazione del sistema giudiziario, la confisca dei beni dei notabili del regime. In quei giorni Fidel incontrò un altro esule, destinato a diventare il suo più fedele compagno di lotta: il giovane medico argentino Ernesto Guevara, riparato in Messico dopo il fallimento dell'esperienza rivoluzionaria di Arbenz in Guatemala.
"Lo conobbi - ha scritto il Che - in una di quelle fredde notti messicane e ricordo che la nostra prima discussione riguardò problemi di politica internazionale. Dopo poche ore di quella stessa notte, verso il mattino, ero già diventato uno dei membri della futura spedizione". (6)
Nel mese di ottobre, grazie a un visto dell'ambasciata americana in Messico, Castro partì per un giro di conferenze negli Stati Uniti al fine di incontrare altri dirigenti dell'opposizione e di raccogliere fondi per la spedizione che stava preparando. Dopo alcuni discorsi a New York e in Florida, il governo cubano protestò e le autorità del servizio immigrazione statunitense interruppero il soggiorno di Fidel e gli ritirarono il visto per ulteriori viaggi. Prima di tornare in Messico, dalle isole Bahamas Fidel inviò in patria un secondo manifesto al popolo cubano in cui si affermava che la crisi crescente dell'economia cubana, l'infuriare della repressione, i massacri di operai, gli scontri quotidiani tra studenti e polizia, dimostravano all'intero paese che la salvezza della patria non poteva che passare per una rivoluzione non solo politica, ma anche sociale. Coerente con queste premesse, Castro recise ogni rapporto con il vecchio partito ortodosso e con i rappresentanti dell'opposizione moderata, rendendo pubblica la costituzione di un nuovo movimento rivoluzionario, deciso a portare fino alle estreme conseguenze la lotta contro la tirannide.
" Il Movimento 26 Luglio - dichiarò il 19 marzo 1956 - è l'organizzazione rivoluzionaria di tutti gli uomini umili e che agisce in favore degli umili. Se una speranza di riscatto esiste per la classe operaia cubana, cui nulla possono offrire le varie camarille politiche, essa è rappresentata da questo movimento, che è anche una speranza di terra per i contadini che vivono come paria in quella patria che i loro avi hanno liberato, una speranza di ritorno per quegli emigrati che hanno dovuto abbandonare una terra che era la loro, ma che non offriva né lavoro né vita, una speranza di pane per gli affamati e di giustizia per gli oppressi (...) Il Movimento 26 Luglio lancia un invito caloroso a serrare le fila e è pronto a accogliere tutti i sinceri rivoluzionari di Cuba, senza riserva alcuna, da qualunque partito provengano, quali che possano essere state le divergenze passate. Il Movimento 26 Luglio rappresenta l'avvenire migliore e più giusto per la patria e quest'impegno d'onore, solennemente preso di fronte al popolo, sarà mantenuto". (7)
SI PREPARA LA GUERRIGLIA
L'addestramento militare vero e proprio di quello che doveva essere il primo nucleo del futuro esercito ribelle iniziò solo all'inizio del 1956 quando dal Direttorio nazionale del Movimento 26 Luglio arrivarono a Fidel per mezzo di Faustino Pérez e di Pedro Miret i primi finanziamenti. Circa diecimila dollari raccolti a Cuba. All'inizio i futuri guerriglieri, circa una sessantina, vennero alloggiati in sei appartamenti la cui dislocazione era nota solo a Castro e al generale Bayo, un vecchio combattente della repubblica spagnola al quale era stato affidato il compito di curare l'addestramento militare degli esuli. (8) La segretezza era totale, poiché era noto a tutti che in Messico operavano numerose spie e agenti di Batista e che l'ambasciata cubana pagava un considerevole numero di militari e poliziotti messicani da utilizzare contro gli oppositori. Per garantire meglio la sicurezza delle operazioni nella primavera venne affittato il ranch Santa Rosa, vicino alla città di Chalco a una quarantina di chilometri da Città del Messico. Il ranch si estendeva per duecentocinquanta chilometri quadrati di terreno deserto e montagnoso, dove i guerriglieri avrebbero potuto addestrarsi al riparo da occhi indiscreti. Castro puntava molto sulla preparazione fisica dei combattenti che, alloggiati in due campi allestiti sulle montagne attorno al ranch, dovevano addestrarsi al combattimento e alla sopravvivenza in un terreno inospitale con poca acqua e viveri ridotti. Le armi, in gran parte acquistate negli Stati Uniti, consistevano in venti fucili automatici Johnson, parecchie mitragliette Thompson, venti fucili da caccia con mirino telescopico, due fucili anticarro calibro 50, una mitragliatrice leggera Mauser e numerose rivoltelle. Ma la polizia segreta di Batista e il servizio segreto militare ( SIM ) non erano restati con le mani in mano. In Messico operava il capo della sezione investigativa della polizia, colonnello Orlando Piedra, inviato da Batista per organizzare l'assassinio di Fidel. La sera del 20 giugno su richiesta di Piedra, la polizia messicana arrestò Fidel Castro e con lui Universo Sánchez e Ramiro Valdés. (9) Nella notte altri dodici cubani vennero arrestati nelle loro abitazioni. Dai documenti rinvenuti nel corso dell'operazione, la polizia messicana scoprì l'esistenza del ranch Santa Rosa e il pomeriggio del 24 giugno vi fece irruzione catturando Ernesto Che Guevara e altri dodici combattenti. Immediatamente il governo cubano richiese l'estradizione dei prigionieri. Juan Manuel Márquez (10), uno dei principali dirigenti del Movimento 26 Luglio, tornò immediatamente dagli Stati Uniti, dove stava raccogliendo fondi per acquistare armi, e insieme a Raúl Castro riuscì a ingaggiare due dei più importanti avvocati messicani. Venne lanciata una grandiosa campagna di solidarietà con Fidel e i suoi compagni al fine di evitarne l'estradizione. Decisivo fu l'intervento dell'ex presidente Lázaro Cárdenas, eroe della rivoluzione messicana. Il 9 luglio vennero liberati ventun ribelli e altri quattro la settimana seguente. Fidel fu rilasciato il 24 luglio, il Che una settimana più tardi. Come scrisse Guevara, i poliziotti messicani, nonostante fossero pagati dall'ambasciata cubana, avevano "commesso l'errore assurdo di non uccidere Fidel mentre era loro prigioniero". Anche in Messico Castro era ormai agli occhi di molti una figura leggendaria. Racconta una protagonista di quei giorni:
"Alto e ben rasato, i capelli castano corti, vestito sobriamente e correttamente...si distingueva tra tutti gli altri per il suo sguardo ed il suo portamento... Ti dava l'impressione di essere nobile, sicuro, deciso,,, estremamente sereno... La sua voce era pacata, l'espressione grave, i modi calmi, gentili... La sua idea fondamentale, la sua stella polare, era il "popolo"...". (11)
La preparazione militare riprese immediatamente in tre campi di addestramento situati nello Yucatan e sulla costa sud-orientale del Messico. Fidel dal canto suo rimase nella capitale per curare la preparazione dello sbarco. Mentre in Messico la spedizione rischiava di abortire sul nascere, al Cotorro, nei pressi dell'Avana, si era svolta una riunione la direzione nazionale del Movimento 26 Luglio, alla quale aveva preso parte anche Frank País, responsabile per la provincia d'Oriente. (12) Nel corso dell'incontro era emersa la necessità di recuperare altre armi. Dopo questa riunione, nel corso dell'estate Frank País si recò due volte in Messico per coordinare il piano dell'invasione con l'azione clandestina all'interno dell'isola. Il progetto deliberato consisteva prevedeva lo sbarco a Cuba entro l'anno, contemporaneamente in tutta la provincia d'Oriente dovevano scoppiare rivolte armate per tenere impegnate il maggior numero possibile di unità militari. Di ritorno a Cuba, Frank País assieme a Celia Sánchez (13) ispezionò la costa orientale per scegliere il punto più adatto per lo sbarco. Dopo un'accurata ricognizione venne scelta la zona di Niquero, da dove a bordo di alcuni autocarri predisposti dal Movimento, Fidel e gli altri combattenti potevano essere facilmente trasportati sulla Sierra Maestra. (14) Dopo di che fu inviato in Messico Manuel Echevarría perchè servisse da guida alla spedizione. Alla fine di settembre Fidel Castro acquistò per quarantamila dollari da Robert B. Erickson, un americano che viveva a Città del Messico, uno yacht di dodici metri, il Granma, ormeggiato nel porto di Tuxpán. Il motoscafo, un'imbarcazione di una dozzina d'anni in buono stato di manutenzione, poteva trasportare venticinque persone a pieno carico. Era dotato di due motori diesel e di serbatoi della capacità di settemilacinquecento litri di carburante, il minimo indispensabile per compiere la traversata fino a Cuba.
LA SPEDIZIONE DEL GRANMA
Il 19 novembre il capo di Stato Maggiore dell'esercito dichiarava alla stampa de l'Avana che non esistevano le condizioni per un ritorno clandestino degli esuli considerato che "da un punto di vista tecnico, lo sbarco di un gruppo di persone esaltate e indisciplinate, senza esperienza militare, non poteva che rivelarsi un fallimento". Contemporaneamente, però, veniva intensificato il pattugliamento aereo e navale delle coste e poste in allerta le guarnigioni della regione d'Oriente. Ciò rese a tutti evidente che il progetto di spedizione non era più un segreto per il nemico e che occorreva accelerare al massimo i tempi. La sera del 23 novembre ai comandanti dei campi di addestramento giunse l'ordine di raggiungere immediatamente con tutti gli uomini e l'equipaggiamento il porto di Tuxpán. All'1,30 del mattino del 25 novembre 1956 il Granma salpò a luci spente diretto a Cuba con 82 combattenti a bordo. Il tempo era pessimo e la traversata assunse ben presto aspetti drammatici. Salvo quattro o cinque membri della spedizione, il resto delle persone imbarcate soffrì il mal di mare. Le terribili condizioni atmosferiche, aggravate dal forte vento che spirava sul Golfo del Messico, rallentarono il viaggio dell'imbarcazione che navigava già sovraccarica, avendo a bordo ottantadue uomini con armi pesanti ed equipaggiamento da campagna invece dei venticinque per i quali era stata costruita. La rotta scelta prevedeva un gran giro a sud di Cuba, costeggiando la Giamaica e le isole del Gran Caimano, per sbarcare poi vicino alla località di Niquero. A causa del maltempo e degli imprevisti la traversata, che doveva durare cinque giorni, si protrasse per sette giorni e quattro ore. All'alba di venerdì 30 novembre, data convenuta per lo sbarco, il Granma si trovava solo a tre quarti del percorso. Ma Frank País e gli altri responsabili dei gruppi armati del Movimento 26 Luglio, ritenendo che Castro e i suoi avessero già preso terra, lanciarono come convenuto il piano insurrezionale che doveva servire da diversivo e distogliere l'attenzione delle forze repressive batistiane dallo sbarco. Il piano degli insorti era di attaccare a colpi di mortaio la caserma Moncada, contemporaneamente altri due gruppi avrebbero preso d'assalto il comando della polizia marittima e la sede della polizia nazionale, mentre alla radio sarebbe stato letto un proclama alla popolazione. Nonostante l'insurrezione fosse stata accuratamente programmata, le cose si misero subito al peggio. Il gruppo che doveva bombardare il Moncada venne intercettato dalla polizia e catturato senza che potesse sparare un solo colpo. Nonostante non si potesse più fare conto sul fattore sorpresa, alle 7 del mattino come convenuto Frank País al comando di ventotto uomini attaccò il quartier generale della polizia nazionale e della polizia marittima. Per la prima volta gli insorti indossavano la divisa verde olivo con il bracciale rosso-nero del Movimento 26 Luglio. Nella vicina Guantanamo, dove il Movimento aveva operato in profondità tra gli operai, uno sciopero generale paralizzò le fabbriche e il traffico ferroviario. Alle undici della mattina, dopo cinque ore di combattimento, i rivoltosi dovettero disperdersi lasciando sul terreno dodici caduti. Il giorno stesso il governo per avere le mani libere nella repressione, decretò una sospensione di quarantacinque giorni delle garanzie costituzionali e lanciò un'ondata di arresti che decapitò il movimento nelle principali città. Intanto il Granma procedeva con molta lentezza verso la costa. Finalmente alle due del mattino del due dicembre, quando ormai viveri, acqua e riserve di carburante erano esaurite, apparve in lontananza la luce del faro di Capo Cruz. Era ormai giorno fatto quando avvenne lo sbarco sulla spiaggia detta di Las Coloradas. Come commentò in seguito il Che più che di uno sbarco si trattò di un naufragio. Il battello, appesantito dall'eccessivo carico, finì per incagliarsi nel fango a causa della bassa marea. Fu ordinato agli uomini di raggiungere la terraferma portando con se solo le armi individuali. Il resto dell'equipaggiamento, le armi pesanti e le scorte di munizioni andarono irrimediabilmente perdute. Raggiunta la riva, gli uomini si trovarono in una palude di mangrovie, senza punti di riferimento precisi e intralciati nei movimenti dalle armi e dagli zaini. Di quei primi terribili giorni ha scritto il Che:
" Tardammo varie ore a uscire dalla palude, dove ci aveva spinto l'imperizia e l'irresponsabilità di un nostro compagno che si era detto esperto conoscitore del luogo. Proseguimmo in terraferma, alla deriva, inciampando continuamente; eravamo un esercito di ombre, di fantasmi, che camminavano come seguendo l'impulso di un qualche oscuro meccanismo psichico. Ai sette giorni di fame e di mal di mare continuo della traversata, si sommarono altri tre terribili giorni a terra. Al decimo giorno dalla partenza dal Messico, il 5 di dicembre, nelle prime ore del mattino, dopo una marcia notturna interrotta più volte per svenimenti, per crisi di stanchezza e per fare riposare la truppa, raggiungemmo una località nota, paradossalmente, con il nome di Alegría de Pío". (15)
IL COMBATTIMENTO DI ALEGRIA DE PIO
Purtroppo lo sbarco non era passato inosservato. Una imbarcazione di passaggio aveva assistito all'incagliamento del Granma e aveva prontamente segnalato il fatto alle autorità. Da Manzanillo unità della Guardia rurale e un battaglione di fanteria erano stati inviati nella zona di Niquero per intercettare gli invasori. Mercoledì cinque dicembre, dopo appena quattro giorni che Castro e i suoi compagni erano sbarcati a Cuba, la Guardia rurale, messa sulle tracce dei guerriglieri dalla delazione di un contadino, tese un'imboscata e quasi annientò il piccolo esercito rivoluzionario. Fidel e i suoi compagni furono sorpresi in un radura ai bordi di un canneto e mitragliati dagli aerei che sorvolavano i campi a bassa quota. Presi di sorpresa gli uomini si sbandarono, qualcuno propose di arrendersi. In mezzo al crepitare delle pallottole si udì allora la voce di Camilo Cienfuegos (16) gridare: "Qui non si arrende nessuno...cazzo!". Accerchiati dalle guardie batistiane, i guerriglieri si difesero disperatamente, cercando scampo nella boscaglia e nei canneti. Tre partecipanti alla spedizione furono uccisi, i restanti settantanove si divisero in piccoli gruppi e si dispersero per la campagna nel tentativo disperato di raggiungere la Sierra Maestra. L'esercito di Batista scatenò una gigantesca caccia all'uomo; molti combattenti presi prigionieri vennero trucidati sul posto, spesso dopo atroci sevizie. Nel giro di pochi giorni ventidue patrioti vennero uccisi, altri ventitré catturati, mentre di diciannove non si seppe più nulla. Degli ottantadue sbarcati dal Granma solo sedici riuscirono a raggiungere i contrafforti boscosi della Sierra Maestra. Nei momenti più difficili, mentre i ribelli tentavano disperatamente di rompere l'accerchiamento e di sottrarsi alla cattura, Fidel continuò a mostrare grande sicurezza e fiducia nelle possibilità di un'impresa che sembrava ormai definitivamente compromessa. Come ricorda Faustino Pérez:
"Fu una grande lezione di fiducia e di ottimismo - oltre che di realismo - quella che Fidel ci insegnò in quei giorni".
Dopo il combattimento di Alegría de Pío, Batista e i suoi generali erano ormai certi che Castro fosse morto e il suo movimento annientato. Il 13 dicembre le operazioni militari nella zona di Naquero vennero definitivamente sospese e le unità da combattimento ritirate, mentre veniva revocata l'attività di ricognizione aerea. Un comunicato ufficiale dell'alto comando dell'esercito dichiarava che il movimento insurrezionale era terminato e che erano stati identificati i corpi dei ribelli uccisi fra i quali Fidel Castro e suo fratello Raúl. Divisi in piccoli gruppi, senza sapere nulla gli uni degli altri, i superstiti raggiunsero tra peripezie di ogni genere la Sierra Maestra, accolti con simpatia dai contadini che vennero in loro aiuto, ospitandoli nelle loro povere capanne. Tra il 13 e il 16 dicembre i combattenti dispersi andarono via via raggruppandosi. Impresa che sarebbe stata impossibile senza il disinteressato aiuto dei contadini, alcuni dei quali addirittura batterono per giorni i sentieri della Sierra alla ricerca di qualche altro superstite. Con il loro istintivo senso di classe i contadini della Sierra avevano compreso che Fidel e i suoi compagni, per quanto pochi e scarsamente armati, rappresentavano l'unica loro reale speranza di riscatto. Argeo Gonzáles, all'epoca un povero venditore ambulante della Sierra e fra i primi a unirsi ai ribelli, spiega che la
"ragione per cui tutti i contadini li aiutavano era perché avevano compreso la lotta contro la tirannia...I proprietari terrieri non permettevano che altri lavorassero la terra, era tutta loro...I contadini non avevano nessuna possibilità senza la rivoluzione".
Fidel aveva saputo guadagnarsi la loro fiducia, difendendoli con le armi e rispettandoli sempre a differenza delle truppe di Batista. Quando un soldato entrava in una casa, ricorda Argeo,
"si prendeva il pane e mangiava il pollo se c'era, si portava via una ragazza se ne trovava una...ma i ribelli erano diversi; rispettavano tutto e era così che si guadagnavano la fiducia".
Il 18 settembre Raul Castro, Ciro Redondo, Efigenio Amejeiras, Armando Rodriguez e René Rodriguez, si riunirono con il gruppo composto da Fidel Castro, Faustino Perez e Universo Sanchez e con un terzo gruppo composto da Ernesto Guevara, Juan Almeida, Camilo Cienfuegos e Ramiro Valdés. In tutto dodici uomini a cui nei giorni successivi si aggiunsero Calixto Garcia, Julio Diaz, Luis Crespo, Pancho Gonzales, Gustavo Aguilera e pochi altri. Il 20 dicembre Fidel inviò Mongo Perez, un piccolo proprietario terriero membro del Movimento 26 luglio, a Manzanillo e a Santiago per informare i capi del Movimento che era ancora vivo e in grado di combattere. In risposta dalla città arrivarono otto fucili, un mitragliatore Thompson, nove candelotti di dinamite e trecento proiettili. Alcuni giorni dopo Faustino Perez fu incaricato di stabilire contatti regolari con Frank País e Armando Hart (17), rispettivamente responsabili dell'organizzazione di Santiago e dell'Avana. Mentre il piccolo esercito ribelle si consolidava sulle montagne, in pianura la repressione si faceva sempre più feroce. Il giorno di Natale ventisei giovani operai, quasi tutti iscritti al Partito comunista, sospettati di simpatizzare per la guerriglia, venivano strappati dalle loro case e brutalmente assassinati.
NOTE:
1. In:
H. Thomas, Storia di Cuba, Torino 1973, p. 647-48
2. Da una lettera del 18/3/1955 in S.Tutino, cit., pp.218-219
3. Fidel Castro, Pedro Miret, Jesús Montané, Melba Hernández, Haydée
Santamaría, José Suárez Blanco, Pedro Celestino Aguilera, Nico López, Armando
Hart, Faustino Pérez e Luis Bonito.
4. T. Szulc, op.cit., pag. 224
5. Medico. Uno dei principali organizzatori del Movimento 26 Luglio.
Dirigente di primo piano della lotta nelle città. Nel primo governo rivoluzionario
ministro per il recupero dei beni dei gerarchi della dittatura. Membro del CC
del PCC.
6. E. Guevara, Scritti, discorsi e diari di guerriglia, Torino 1969,
p.8
7. U. Melotti, op.cit., pag. 108
8. Cubano di nascita, ma di padre spagnolo, Negli anni Venti ufficiale
dell'esercito spagnolo. Durante la guerra civile combattè valorosamente dalla
parte della repubblica. Membro del Partito comunista spagnolo. Dopo il 1939
in esilio prima a Cuba e poi in Messico. Morto a Cuba nel 1967. Autore del manuale,
pubblicato anche in Italia nel 1968 : "Teoria e pratica della guerra di
guerriglia".
9. Universo Sanchéz, contadino della provincia di Matanzas. Dopo la rivoluzione
comandante delle Forze Armate Ribelli (FAR) . Ramiro Valdés Menéndez, partecipante
all'assalto del Moncada. Comandante di colonna. Dopo la rivoluzione ministro
degli Interni e capo dei servizi segreti cubani. Membro dell'Ufficio Politico
del Comitato Centrale del Partito Comunista Cubano.
10. Juan Manuel Márquez, capo di Stato Maggiore in seconda della spedizione.
Catturato dopo lo scontro di Alegría de Pio fu assassinato dalle guardie batistiane.
11. H.Thomas, Storia di Cuba, cit., p. 667
12. Frank País, uno dei più fulgidi eroi della Rivoluzione, entrò nel
1955 nel Movimento 26 Luglio con la sua organizzazione studentesca "Accion
Revolucionaria Nacional". Fiduciario di Castro per l'intera provincia d'Oriente,
organizzò un'efficace rete clandestina a Santiago e negli altri centri della
provincia. Il suo assassinio nel luglio 1957 scatenò una massiccia protesta
popolare.
13. Celia Sanchez, figlia di un medico, rivestì un ruolo importantissimo
sia nella lotta clandestina in pianura che nella Sierra, dove divenne segretaria
personale di Castro. Ruolo mantenuto fino al momento della morte nel 1980.
14. Cfr. Carlos Franqui, Il libro dei dodici, Milano 1968, pp. 93-95
15. E. Guevara, cit., p.15
16. Camilo Cienfuegos, figlio di anarchici spagnoli emigrati a Cuba,
partecipa alle lotte studentesche del 1955. Costretto a emigrare, raggiunge
il Messico dove si unisce a Castro. Comandante della colonna n.2, attraversa
tutta l'isola da Oriente a Occidente, sbaragliando le truppe di Batista. Scomparso
il 28 ottobre 1959 mentre era in volo da Camagüey all'Avana. Di lui Che Guevara
ha lasciato uno splendido ritratto nella prefazione a "Guerra di guerriglia".
17. Armando Hart, di famiglia piccolo borghese, partecipò attivamente
alle lotte studentesche. Uno dei principali dirigenti della lotta nelle città.
Responsabile del settore propaganda e organizzazione del Movimento 26 Luglio.
Dopo la vittoria ministro dell'Istruzione. Membro dell'UP del PCC.
SULLA SIERRA MAESTRA
Installatosi sulla Sierra per prima cosa Fidel riannodò i legami con l'apparato clandestino del Movimento 26 Luglio; poi, per dimostrare che il movimento guerrigliero non era stato annientato, ma che godeva di buona salute e era disposto a lottare fino alla vittoria, decise di attaccare una piccola caserma che si trovava all'imbocco del Río de la Plata, dove la Sierra Maestra toccava il mare. In quel momento la guerriglia disponeva di una trentina di combattenti, ma di solo ventitré armi efficienti: nove fucili col mirino telescopico, cinque semiautomatici, quattro automatici, due mitragliatori Thompson, due pistole automatiche e un fucile calibro 16. Dopo una marcia di avvicinamento durata tre giorni, all'alba del 16 gennaio la caserma di La Plata veniva attaccata di sorpresa e, dopo un breve ma furioso combattimento, conquistata. Dei quindici soldati della guarnigione due vennero uccisi, cinque feriti e altri tre presi prigionieri. Gli altri riuscirono a darsi alla fuga. Dalla parte dei guerriglieri non ci furono perdite. Nonostante l'esercito avesse dimostrato nelle settimane precedenti di non voler fare prigionieri, Fidel ordinò che i soldati catturati fossero liberati e che venissero consegnate loro le poche medicine disponibili in modo che i feriti potessero essere curati. Questo, nonostante il parere contrario di Guevara che, come medico della spedizione, aveva sostenuto la necessità di mantenere una riserva di farmaci per la colonna. In questa occasione venne catturato anche un civile, un certo Chico Osorio, sovrintendente della famiglia Laviti, proprietaria di un enorme latifondo nella regione. A differenza dei soldati, considerati uno strumento inconsapevole nelle mani della dittatura, Osorio, noto per le violenze sistematiche esercitate nei confronti dei contadini, venne giustiziato affinché fosse a tutti chiaro che l'epoca del potere incontrastato dei latifondisti e dei loro tirapiedi stava per finire e che per i traditori e gli sfruttatori del popolo non ci sarebbe stata pietà.. Incendiata la caserma e le baracche dei soldati, il piccolo esercito guerrigliero si ritirò in tutta fretta dal luogo dello scontro per rifugiarsi nel cuore dell'impervia Sierra Maestra. I guerriglieri risalirono il corso de l' Arroyo del Infierno, un modesto corso d'acqua che si addentrava nell'interno, fino a giungere a un piccolo spiazzo nella boscaglia invisibile per la ricognizione aerea. Sei giorni più tardi, all'alba del 22 gennaio, l'accampamento fu bruscamente risvegliato dall'eco di una sparatoria proveniente dalla pianura. Era il segnale che le guardie batistiane erano in arrivo. Fidel decise di tendere un'imboscata ai soldati per rallentarne l'avanzata, poi la colonna si sarebbe divisa in tanti piccoli nuclei, composti da uno o due guerriglieri, per sfuggire all'accerchiamento. Appena le guardie rurali apparvero sul sentiero che portava al campo, Fidel diede il segnale di aprire il fuoco. Lo scontro fu breve, ma cruentissimo e si trasformò in un selvaggio corpo a corpo. Bloccata l'avanguardia nemica, Fidel e i suoi compagni si diedero ad una precipitosa fuga, ciascuno in una direzione diversa, con l'obiettivo di ritrovarsi appena terminato il rastrellamento. I guerriglieri avevano misurato le loro forze con l'esercito e avevano superato la prova. Ora, mentre a tappe forzate risalivano la Sierra, sapevano che la dittatura non era invincibile.
"Pochi giorni prima - annotò il Che nel suo diario - avevamo sconfitto un gruppo inferiore di numero, trincerato in una caserma; adesso avevamo sconfitto una colonna in marcia superiore per numero alle nostre forze e avevamo potuto sperimentare l'importanza che ha in questo tipo di guerra la liquidazione delle avanguardie, poichè un esercito non può muoversi senza avanguardie". (1)
Il combattimento di La Plata rappresentò un punto di svolta decisivo. Per Alvares Tabío, autore di una storia della guerriglia sulla Sierra Maestra, quel piccolo fatto di armi
" dimostrò per la prima volta l'assioma che Fidel avrebbe applicato durante tutta la guerra: l'esercito guerrigliero doveva vivere delle armi e dei rifornimenti catturati al nemico...quella sarebbe stata la situazione per tutta la guerra".
LA GUERRIGLIA SI CONSOLIDA
Due settimane più tardi, la colonna guerrigliera sfuggì a stento ad un'incursione aerea Solo dopo tre giorni i combattenti riuscirono a raggrupparsi di nuovo. Come si seppe più tardi, gli aerei erano stati guidati sul bersaglio da un traditore, un contadino di nome Eutimio Guerra che, arruolatosi fra i ribelli come guida, aveva saputo conquistarsi la fiducia di Fidel. Durante una delle sue missioni in cerca di rifornimenti, Eutimio era stato catturato dai soldati e, per non essere fucilato, aveva accettato di lavorare come spia. Il traditore aveva anche acconsentito, in cambio della promessa di una grossa somma di denaro e della nomina a capitano, di assassinare Fidel. Scoperto e arrestato, Eutimio Guerra, fu condannato a morte e passato per le armi. Prima dell'esecuzione Fidel gli promise che, nonostante tutto, la rivoluzione vittoriosa si sarebbe fatta carico dei suoi figli. In un articolo scritto anni più tardi per "Verde Olivo", l'organo delle Forze Armate Rivoluzionarie di Cuba, il Che rivelò che la rivoluzione aveva adempiuto al suo impegno verso i figli del traditore:
"Essi oggi frequentano sotto altro nome una delle tante scuole e ricevono il trattamento di tutti i figli del popolo, preparandosi per una vita migliore...".
Nei primi giorni di febbraio, per sfuggire ai raid sempre più insistenti dell'aviazione di Batista, il piccolo esercito guerrigliero abbandonò la regione di El Lomón dove aveva trovato rifugio per dirigersi verso zone considerate più sicure. Come nuova sede del campo fu scelta una località vicino al villaggio di La Montería, nella proprietà di un simpatizzante del movimento, Epifanio Díaz, i cui figli militavano fra i partigiani. Il 16 febbraio giunsero sulla Sierra Celia Sánchez, Frank País e gli altri membri del direttorio nazionale del Movimento 26 Luglio, per discutere con Fidel la riorganizzazione dell'intero sistema di supporto logistico alla guerriglia e per stabilire contatti più regolari tra montagna e rete cospirativa operante nelle città . Figlia di un medico di Manzanillo, Celia, aveva collaborato con Armando Hart all'organizzazione della spedizione del Granma, costruendo una rete di collegamento fra i contadini della provincia di Oriente e della Sierra che si era rivelata preziosa dopo l'infausta giornata di Alegría de Pío.Conquistato dalle grandi doti di coraggio e dalle capacità organizzative di Celia, che fino a quel momento conosceva solo col nome in codice di "Norma", Fidel le affidò il difficile e rischioso compito di organizzare il rifornimento di armi e il reclutamento di combattenti per la Sierra. Da tutta l'isola le armi e gli uomini sarebbero giunte alla città di Manzanillo e da lì sarebbero state inviate sulle montagne a Los Chorros, la fattoria di Epifanio Díaz. La riunione del direttorio nazionale risultò accesissima. Fidel sostenne con grande energia l'assoluta preminenza del fronte guerrigliero sulle montagne rispetto al movimento nelle città. Per la prima volta veniva sottolineata una differenza di priorità fra Sierra e Llano, fra montagna e pianura. Ogni sacrificio andava fatto per rafforzare la guerriglia. Il movimento nella pianura non doveva aspirare ad un ruolo di direzione politico-militare della lotta. Il comando andava potenziato e unificato proprio a partire dalla montagna. In base a queste motivazioni Fidel si scontrò aspramente con Faustino Pérez che aveva proposto l'apertura di un secondo fronte sulla Sierra dell'Escambray, nella provincia di Las Villas, allo scopo di ridurre la pressione dell'esercito sulla Sierra Maestra. Secondo Pérez, considerata la maggiore vicinanza dell'Escambray dall'Avana, sarebbe stato più agevole rifornire questo secondo fronte guerrigliero di armi e di uomini provenienti dalla capitale. Fidel si oppose fermamente alla proposta perchè riteneva, e ben presto i fatti gli avrebbero dato ragione, che la guerriglia era ancora troppo debole per poter sopportare una frammentazione come quella proposta dai dirigenti della pianura. Al termine dei lavori del Direttorio fu redatto un "Appello al popolo cubano" a firma di Fidel nel quale si invitava il popolo a sollevarsi e a organizzare azioni violente in tutta l'isola a supporto della guerriglia. Orgogliosamente si affermava la disponibilità dei combattenti a restare sulla Sierra anche "per dieci anni" se ciò si fosse rivelato necessario per il trionfo della rivoluzione. Nel programma in sei punti che chiudeva l'appello Castro invitava il popolo a intensificare gli incendi delle piantagioni di canna da zucchero "per privare la tirannia delle entrate con cui paga i soldati che manda a morire e compra gli aerei e le bombe con le quali assassina dozzine di famiglie contadine della Sierra Maestra", il sabotaggio generale di tutti i servizi pubblici, l'esecuzione sommaria e diretta "dei criminali che torturano e assassinano i rivoluzionari...e di tutti coloro che ostacolano il Movimento rivoluzionario", l'organizzazione di una resistenza civica di massa e di uno sciopero generale "quale punto culminante e finale della lotta".
L'AMERICA SCOPRE CASTRO
In quello stesso giorno Castro incontrò un inviato del "New York Times", Herbert L. Matthews, specializzato in questioni latinoamericane. Il servizio che Matthews inviò al suo giornale e che fece scoprire alla distratta opinione pubblica americana l'esistenza di una rivoluzione alle porte di casa, fece più danni al regime di Batista di cento battaglie perse. Nell'articolo la guerriglia veniva descritta in termini romantici, come l'eroica lotta di un pugno di giovani Robin Hood contro una spietata tirannia. In chiusura Matthews affermava con grande sicurezza:
"Da come la situazione si presenta, il generale Batista non può sperare di soffocare la rivolta di Castro; la sua sola speranza è che un reparto dell'esercito possa sorprendere il giovane capo ribelle e i suoi immediati collaboratori ed annientarli. Ma è piuttosto improbabile una eventualità del genere ed è tanto meno probabile che possa verificarsi entro il primo marzo, data in cui dovrebbe scadere l'attuale periodo di sospensione delle garanzie costituzionali". (2)
Quello che Matthews, nonostante tutto il suo acume giornalistico, non era riuscito a scoprire era il fatto che in quel preciso momento la guerriglia non contava più di diciotto combattenti. Fidel aveva fatto in modo che, prima di giungere da lui, il giornalista fosse condotto in giro per la Sierra in modo da dargli l'impressione che il movimento disponesse di svariati accampamenti e del controllo militare delle montagne. Il servizio apparve con grande rilievo sul "New York Times" del 24, 25 e 26 dello stesso mese, suscitando una vasta eco negli Stati Uniti. Il governo di Batista negò l'autenticità dell'intervista. Le autorità militari dichiararono che a causa dell'accerchiamento militare a cui era sottoposta la Sierra nessuno, tantomeno un giornalista straniero, avrebbe potuto raggiungere le montagne. Dal canto suo il Ministro della Difesa, Santiago Verdeja Neyra, dichiarò: "Herbert Matthews ha rilasciato la patente democratica a un feroce strumento della guerra rossa in America... Soltanto un giornalista ammalato di sensazionalismo poteva inventarsi la fandonia della Sierra Maestra. L'intervista è immaginaria...". Pochi giorni più tardi il New York Times replicava, pubblicando una fotografia di Matthews e di Fidel Castro ritratti insieme durante l'intervista sullo sfondo dell'inconfondibile scenario naturale della Sierra.
DIFFICOLTA' DELLA GUERRA POPOLARE
Nonostante gli innegabili successi ottenuti contro le forze di Batista, la situazione restava difficile. La colonna, ancora priva di un adeguato spirito combattivo e senza una chiara coscienza politica, non riusciva a consolidarsi. La condizione dei combattenti era ancora molto fluida. Molti non reggevano e se ne andavano. Altri chiedevano di svolgere funzioni in città, a volte in condizioni molto più rischiose, ma tutto andava bene pur di sfuggire alle dure condizioni di vita della montagna.. Pesava su tutti soprattutto l'isolamento e la durissima disciplina. Di conseguenza l'esercito ribelle cresceva lentamente. Nuovi elementi si incorporavano nella guerriglia, ma molti altri se ne andavano. Come ha scritto il Che:
"le condizioni fisiche della lotta erano durissime, ma le condizioni morali lo erano molto di più e si viveva sotto l'impressione di essere continuamente assediati".
Tuttavia, anche
se con estrema lentezza e in modo non privo di contraddizioni, il focolaio guerrigliero
andava via via allargandosi. Il giorno 13 marzo la radio nazionale trasmise
la notizia che era stato commesso un attentato alla vita del dittatore. Nonostante
la censura il popolo cubano venne così a conoscenza di un tentativo di sommossa
nel cuore stesso della capitale e di come il regime avesse approfittato della
situazione per assassinare molti dissidenti, alcuni addirittura già detenuti,
i cui corpi erano stati abbandonati per le strade dell'Avana al fine di incutere
terrore nella popolazione. L'azione era stata compiuta dal Direttorio studentesco,
un'organizzazione rivoluzionaria da tempo operante clandestinamente nell'Università.
Alcune squadre di giovani armati, comandate dal Presidente della FEU (Federazione
Studenti Universitari), José Antonio Echeverría, erano riuscite a penetrare
all'interno del palazzo presidenziale e a giungere fino all'ufficio di Batista
con l'obiettivo di uccidere il tiranno. Ma il dittatore in quel momento si trovava
in un'altra parte del palazzo. Molti assalitori, tra cui lo stesso Echeverría,
caddero sotto il fuoco delle guardie, altri furono catturati.
Il tragico evento mostrò che non esistevano scorciatoie alla strategia della
guerra di popolo di Castro e che la politica degli atti esemplari serviva solo
alla dittatura alla quale forniva un prezioso alibi per la repressione. Il fallimento
dell'assalto al palazzo presidenziale dell'Avana servì da pretesto al Partito
Socialista Popolare per prendere le distanze da Castro e rilanciare la proposta
di libere elezioni democratiche quale soluzione della crisi cubana.
"La nostra posizione nei confronti del movimento del 26 luglio - scrisse in quell'occasione uno dei dirigenti del PSP - è basata su questi criteri. Noi pensiamo che questo gruppo si proponga dei nobili scopi, ma che, in generale, esso stia seguendo tattiche sbagliate. Pertanto noi non approviamo le sue azioni, ma facciamo appello tuttavia a tutti i partiti e a tutti i settori della popolazione affinché lo difendano dai colpi della tirannide, non dimenticando che i membri di questo Movimento combattono contro un governo odiato dall'intero popolo cubano". (3)
!l 16 marzo all'alba giunsero sulla Sierra i primi rinforzi inviati dal responsabile di Santiago Frank País. Si trattava di un gruppo di una cinquantina di uomini, di cui soltanto trenta armati, ma che portavano in dote due fucili mitragliatori e ventotto fucili. Dopo una vivace discussione con Guevara, che proponeva di provare subito in combattimento i nuovi arrivati attaccando qualche casermetta isolata, Fidel decise più conveniente sottoporre la nuova truppa ad un addestramento intensivo, facendola marciare a tappe forzate sulla montagna al fine di abituarla ai rigori della vita alla macchia. Fu così che si decise di abbandonare l'accampamento e di dirigersi verso est per tenere una elementare scuola di guerriglia. I mesi di marzo e aprile furono dedicati alla ristrutturazione dell'Esercito Ribelle, ormai composto da un'ottantina di uomini suddivisi tra un'avanguardia con compiti di esplorazione del terreno, comandata da Camilo Cienfuegos, tre plotoni al comando rispettivamente di Raúl Castro, Juan Almeida (4) e Jorge Sotus, uno Stato Maggiore e da una retroguardia agli ordini di Efigenio Ameijeras (5) con funzioni di copertura. Fu anche avviata la costruzione di una funzionale rete logistica, con depositi di munizioni e di generi alimentari e accampamenti permanenti da utilizzarsi durante gli spostamenti. Fu organizzato un efficiente servizio di staffette e il primo abbozzo di un apparato di sicurezza al fine di scoprire e neutralizzare delatori e spie. Determinante si andò rivelando ogni giorno di più l'appoggio della popolazione contadina. Colonne di muli, cariche di rifornimenti per i partigiani, risalivano la Sierra, mentre centinaia di occhi attenti vigilavano sullo spostamento delle unità militari. Ogni movimento delle truppe batistiane veniva segnalato a Fidel in tempi rapidissimi, vanificando ogni effetto sorpresa. Ormai i guerriglieri si muovevano tra i contadini come pesci nel mare, in quello che orgogliosamente avevano iniziato a chiamare "Territorio libero". In ogni paese dove arrivavano i guerriglieri distribuivano viveri e medicinali e si prendevano cura dei malati. Toccava a Ernesto Che Guevara, in quanto medico, prendersi cura dei contadini, generalmente bambini affetti da parassitismo, rachitismo, avitaminosi, le malattie della miseria. A contatto quotidiano con le sofferenze dei contadini cresceva così fra i combattenti la consapevolezza che la lotta non poteva fermarsi solo alla conquista delle libertà politiche, ma che occorreva andare oltre per aggredire alle radici le cause strutturali del sottosviluppo e che tutto ciò aveva un nome: imperialismo. E' ancora il Che a ricordare:
"Lì, facendo queste cose, cominciava a prendere corpo in noi la coscienza della necessità di un cambiamento definitivo nella vita del popolo. L'idea della riforma agraria divenne chiara e la comunione col popolo cessò di essere teoria per diventare parte integrante del nostro essere. La guerriglia e i contadini si andavano fondendo in una sola massa, senza che nessuno possa dire in quale momento del lungo cammino si verificò questa fusione; in quale momento divennero intimamente vere le nostre affermazioni e in quale momento diventammo parte della gente delle campagne (...) quei sofferenti e leali abitanti della Sierra Maestra non hanno mai sospettato il ruolo da essi giocato nella formazione della nostra ideologia rivoluzionaria". (6)
Da quel momento non vi furono più tentennamenti. Con pazienza Fidel andava forgiando il nuovo Esercito Ribelle, trasformando in combattenti determinati e coscienti, giovani operai e studenti provenienti da tutta l'isola. Non senza qualche atteggiamento di superiorità da vecchio combattente i veterani del Granma insegnavano alle nuove reclute i segreti della cucina di bivacco, l'arte di fare lo zaino selezionando solo lo stretto indispensabile per la sopravvivenza, il modo di marciare tra le forre e i dirupi della Sierra. A metà del mese di aprile 1957 i guerriglieri tornarono nella zona di Palma Mocha, nelle vicinanze del Monte Turquino che con i suoi 1974 metri rappresenta il più alto monte dell'isola. Nel frattempo pattuglie contadine al comando di Guillermo García (7) e Ciro Frías percorrevano l'intera Sierra Maestra per raccogliere rifornimenti e informazioni in vista di una nuova grande offensiva contro i militari. Il 23 aprile raggiunsero i partigiani altri due giornalisti nordamericani, l'inviato Bob Taber e un operatore cinematografico, insieme a loro c'erano Celia Sánchez e Haydée Santamaria (8)e gli inviati del Movimento in pianura, Carlos Iglesias e Marcelo Fernández. In quel momento militavano nei ranghi dell' Esercito Ribelle tre ragazzi statunitensi, figli di militari americani della base di Guantanamo, per spirito d'avventura fuggiti da casa e incorporatisi nella guerriglia. Fidel li consegnò solennemente a Bob Taber, perché li riaccompagnasse negli Stati Uniti. Inutile dire che il fatto suscitò grande scalpore e contribuì a creare un genuino movimento di simpatia attorno a Castro e ai suoi "barbudos". A dare maggiore solennità all'evento la consegna avvenne sulla sommità del Pico Turquino che tutta la colonna aveva scalato e lassù Bob Taber terminò il suo servizio sulla guerriglia, girando un film che fu trasmesso integralmente dalla televisione americana. Grazie all'arrivo di altri rinforzi dall'Avana la forza guerrigliera era intanto salita a centoventisette uomini, il che permetteva a Castro di ordinare rapide incursioni sui villaggi dell'interno, dove si stabiliva una specie di potere rivoluzionario, nominando dei fiduciari incaricati di amministrare la giustizia in nome del "Poder Popular" e di informare la guerriglia degli spostamenti delle guardie rurali batistiane. Ma questo avveniva solo di notte, di giorno i partigiani restavano sempre al riparo della boscaglia al sicuro dalle incursioni aeree. Secondo il Che:
"si era prodotto un cambiamento qualitativo: c'era tutta una zona in cui l'esercito nemico cercava di non capitare per non scontrarsi con noi, anche se è indubbio che neanche noi dimostravamo molto interesse ad andare a sbattere contro di loro". (9)
Il 18 maggio giunse sulla Sierra il primo importante rifornimento di armi organizzato dai compagni del fronte della pianura: tre mitragliatrici pesanti, tre mitragliatori Madzen, nove carabine M-1, dieci fucili automatici Johnson e seimila proiettili andarono a rimpolpare le magre riserve della guerriglia. Il 25 maggio la radio diffuse la notizia che a Mayarí, nel nord della provincia di Oriente, un gruppo di esuli, appartenenti al Partido autentico e comandati da Calixto Sánchez aveva tentato uno sbarco, ma era stato facilmente sopraffatto e annientato dalle truppe. Il gruppo, partito dalla Florida a bordo del panfilo "Corynthia", intendeva aprire un fronte guerrigliero sulla Sierra Cristal, un massiccio montagnoso della regione di Oriente. Lo sbarco era effettivamente avvenuto il 23 maggio, ma i guerriglieri, probabilmente traditi prima della partenza, avevano trovato l'esercito ad attenderli e in cinque giorni di combattimenti erano stati quasi tutti massacrati. Nonostante non riponesse alcuna fiducia nel Partito autentico e nel suo capo, lo screditato Prío Socarrás (10), Fidel decise di attaccare le forze nemiche per creare un diversivo e fare in modo che i superstiti della spedizione potessero trovare scampo sui monti. Fu così che venne deciso l'attacco alla caserma di Uvero, una delle più importanti postazioni sulla costa della Guardia rurale. L'attacco, minuziosamente pianificato, durò tre ore, al termine delle quali la postazione venne conquistata e data alle fiamme. Dei cinquantatré soldati del presidio, quattordici erano stati uccisi, diciannove feriti e altri quattordici catturati. I guerriglieri contarono sei morti e nove feriti. L'azione di Uvero segnò una svolta importante nell'andamento della guerriglia. Lo Stato Maggiore batistiano, impressionato dalla potenza di fuoco e dalle capacità operative mostrate dai partigiani, decise infatti di smantellare tutte le piccole guarnigioni isolate e di concentrare le truppe in località più sicure. Il che significava praticamente abbandonare alla guerriglia il controllo dell'intera Sierra dal Pico Caracas al Pico Turquino.
IL MANIFESTO DELLA SIERRA MAESTRA
Le vittorie della guerriglia, unite all'interesse per Fidel Castro e i suoi barbudos che i servizi di Matthews e di Taber avevano suscitato nell'opinione pubblica degli Stati Uniti, convinsero l'opposizione borghese a Batista a schierarsi anche se con molte titubanze a fianco della lotta armata. A giugno il presidente della compagnia Bacardi, José Bosch, il presidente della Camera di commercio di Santiago, Daniel Bacardi, il capo del Movimento della gioventù cattolica, padre Chabebe, assieme a Fernando Ojeda, uno dei maggiori esportatori di caffè dell'isola, e ai presidenti del Rotary e del Lyon's Club di Santiago avevano dichiarato al giornalista americano Jules Dubois, ben noto per i suoi rapporti con il Dipartimento di Stato e la CIA, che Castro era impegnato in "una storica missione" per il riscatto di Cuba e il ripristino della democrazia. Ai primi di luglio salirono sulla Sierra l'ex presidente della Banca Nazionale, Felipe Pazos e il presidente del partito ortodosso, Raúl Chibás con lo scopo di proporre al leader guerrigliero la stipula di un patto di azione comune contro la dittatura. Nonostante l'opposizione aperta di una parte dei combattenti, timorosi che il peso politico che la guerriglia aveva saputo conquistarsi sul campo venisse ora utilizzato per squallide lotte di potere tra l'Avana e Washington, Fidel Castro decise di cogliere l'opportunità e di evitare ogni rottura con la borghesia. Quello che sfuggiva ai più era che l'appoggio dei gruppi borghesi più avanzati era prezioso per la stessa lotta armata, alla quale forniva piena legittimazione internazionale. Il 12 luglio 1957, al termine dei colloqui, Castro, Pazos e Chibás siglarono insieme un manifesto destinato a essere conosciuto come "Manifesto della Sierra Maestra". Il Manifesto insisteva soprattutto sulla costituzione di "un grande fronte civico rivoluzionario che comprendesse tutti i partiti politici d'opposizione, tutte le civiche istituzioni e tutte le forze rivoluzionarie". Il fronte non avrebbe tollerato l'ingerenza di potenze straniere negli affari interni cubani, nemmeno sotto forma di mediazione di pace. Scopo del fronte era l'abbattimento della tirannia di Batista, il ripristino delle libertà democratiche e l'indizione entro un anno di libere elezioni. Nel manifesto si lanciava un velato avvertimento al Dipartimento di Stato: il fronte non avrebbe mai accettato un mero cambiamento di facciata sotto forma di un governo provvisorio o di una giunta militare. Il programma enunciava poi una serie di richieste democratiche quali la liberazione immediata di tutti i detenuti politici, la garanzia assoluta della libertà di informazione per la stampa e la radiotelevisione, il ripristino di tutti i diritti garantiti dalla Costituzione, la nomina di sindaci provvisori in tutti i comuni, la democratizzazione della politica sindacale mediante libere consultazioni da tenersi in tutti i sindacati e in tutte le federazioni dell'industria. Primo compito del governo provvisorio sarebbe stata la modernizzazione del Paese da attuare attraverso un programma di riforme, tra cui l'inizio immediato di una campagna contro l'analfabetismo, l'accelerazione del processo di industrializzazione e una riforma agraria "tendente a distribuire le terre incolte...previo indennizzo dei precedenti proprietari". Il Manifesto parlava, poi, della guerriglia sulla Sierra, in termini elogiativi:
"Nessuno si lasci ingannare dalla propaganda governativa circa la situazione della Sierra. La Sierra Maestra è ormai un baluardo indistruttibile della libertà che è fiorita nel cuore dei nostri compatrioti, e qui noi sapremo fare onore alla fede e alla fiducia del nostro popolo".
Il Manifesto della Sierra segnò un punto importante per Fidel: alcuni tra i rappresentanti più in vista della borghesia cubana si erano recati sulla Sierra, avevano firmato una dichiarazione insieme al capo della guerriglia e ora partivano per Miami per ottenere un appoggio internazionale alla lotta contro la dittatura di Batista. Certo, il documento risultava tanto magniloquente nelle affermazioni di principio quanto moderato nei suoi contenuti concreti. E ciò nonostante Fidel avesse tentato di fare in modo che la parte relativa al programma agrario fosse più esplicita. Tuttavia, seppure con diverse argomentazioni, tutti i leader guerriglieri erano consapevoli che in quel momento dalle montagne della Sierra non era realisticamente possibile strappare di più.. certo, si trattava di un programma minimo, di un compromesso non del tutto soddisfacente, ma comunque si girasse la questione, era un passo necessario, un progresso per la guerriglia che si vedeva definitivamente promossa a soggetto politico degno di considerazione. Guevara commentò così l'episodio:
"Quel compromesso non ci soddisfaceva in pieno, ma era stato necessario, poiché in quel momento si trattava di un documento già progressista. Sapevamo che non poteva andare oltre il momento in cui avrebbe significato un freno allo sviluppo rivoluzionario, ma eravamo disposti a rispettarlo... Noi sapevamo, insomma, che si trattava di un programma di minima, un programma limitativo dei nostri sforzi, ma sapevamo altresì che non era possibile imporre la nostra volontà dall'alto della Sierra Maestra e che, per un lungo periodo di tempo, avremmo dovuto fare i conti con tutta una serie di "amici" che speravano di poter sfruttare la nostra forza militare e la grande fiducia che il popolo nutriva in Fidel Castro, per i loro macabri maneggi e, soprattutto, per conservare a Cuba, attraverso la borghesia importadora, strettamente vincolata ai padroni del nord, il dominio dell'imperialismo... Per noi questa dichiarazione non era che una piccola sosta durante la marcia, poiché si doveva assolvere urgentemente il compito fondamentale, che era la disfatta dell'esercito oppressore sul campo di battaglia". (11)
L'ASSASSINIO DI FRANK PAIS
In quegli stessi giorni l'Esercito Ribelle, che poteva ormai contare su circa duecento combattenti, si divise in due. Venne costituita ufficialmente una seconda colonna al comando del Che, destinata ad operare nella parte di Sierra a Est del Pico Turquino.. La colonna, che prese il numero quattro per disorientare il nemico sulla reale consistenza numerica della guerriglia, era costituita da settantacinque uomini quasi tutti di origine contadina, inquadrati su tre plotoni. Per celebrare l'anniversario del 26 Luglio, la colonna numero uno con alla testa Guillermo Garcia attaccò Estrada Palma, un grosso centro abitato al limitare della Sierra e lo occupò. La colonna numero quattro attaccò invece Buyecito. Nello stesso periodo, tuttavia, la guerriglia dovette subire due pesanti colpi. Le armi destinate ad aprire il secondo fronte nella pianura caddero nelle mani della polizia che arrestò anche molti dirigenti della rete clandestina. lo stesso Faustino Perez sfuggì a stento alla cattura. Fidel, che come si è visto, non aveva mai condiviso l'idea di Perez di aprire un nuovo fronte guerrigliero in pianura, riuscì a far passare la sua linea della necessità di dedicare ogni risorsa disponibile al rafforzamento della Sierra Maestra come primo passo indispensabile per l'espansione dell'esercito guerrigliero. A confermare la giustezza di questa linea il 30 luglio giunse la notizia dell'assassinio a Santiago di Frank País. Tradito da un delatore, Frank País era stato individuato dalla polizia segreta batistiana e era stato ucciso a freddo dai poliziotti che avevano fatto irruzione nella sua abitazione. L'assassinio di Frank País suscitò una grandissima impressione nella popolazione di Santiago. I suoi funerali si trasformarono in una vera e propria manifestazione di massa contro il regime. La polizia, intervenuta in forze, aprì il fuoco sulla folla inerme, uccidendo alcune donne. La risposta popolare fu immediata. Per tre giorni uno sciopero generale spontaneo paralizzò l'intera città. Lo sciopero fu l'occasione per la nascita del Frente Obrero Nacional (FON), l'organizzazione sindacale clandestina del Movimento 26 Luglio. La caduta del responsabile del Movimento per la provincia di Oriente dimostrò, se ce ne fosse stato ancora bisogno, la fragilità dell'azione cospirativa nelle città. D'altro canto era stato proprio lo stesso País, insieme con Armando Hart, a inviare ai primi di giugno una lunga lettera a Fidel per informarlo della confusione regnante nel Movimento che andava, così si sosteneva, "integralmente" riorganizzato.
LA RIVOLTA DI CIENFUEGOS
Un'ulteriore conferma che la "linea della Sierra", da sempre sostenuta da Fidel contro ogni tentazione di tipo terroristico o putschista era quella giusta, venne dal tragico fallimento del tentativo di golpe compiuto da un pugno di giovani ufficiali di marina nel mese di settembre. Nel corso dell'estate il Movimento 26 Luglio era riuscito a costruire una sua cellula all'interno della base navale di Cienfuegos, la più importante dell'isola. Capeggiati dal tenente Dionisio San Román, i cospiratori puntavano a prendere il controllo della base e dell'incrociatore "Cuba", la più potente unità della marina cubana e da lì scatenare un'insurrezione generale contro il regime. Il 5 settembre il piano scattò e in poche ore i rivoltosi presero il controllo della base navale e della città di Cienfuegos, poi si fermarono ad attendere che la rivolta dilagasse in tutta l'isola. Invitati a raggiungere la vicina Sierra Escambray per aprire un nuovo fronte guerrigliero, i capi della rivolta rifiutarono decisamente considerando la proposta poco meno che una fuga e dunque non in sintonia con il loro onore di ufficiali. La scelta dello scontro in campo aperto si rivelò loro fatale. Bombardieri B 26, forniti dagli Stati Uniti nell'ambito del programma di collaborazione militare cubano-americano, mitragliarono e bombardarono la città che venne attaccata dalle truppe corazzate. Gli insorti, a cui si erano uniti numerosi civili, resistettero eroicamente per tutta la giornata e la notte successiva, poi dovettero arrendersi. La repressione fu selvaggia. I prigionieri furono immediatamente passati per le armi. Il tenente San Román, individuato come capo della rivolta, fu torturato per mesi e infine assassinato senza processo. L'intera città fu rastrellata casa per casa e tutti i sospettati di aver partecipato alla sommossa fucilati sul posto. I morti si contarono a centinaia. I fatti di Cienfuegos scavarono un solco definitivo tra il popolo di Cuba e gli Stati Uniti. Il fatto che i generali batistiani avessero usato armi pesanti, aerei e mezzi corazzati, che secondo il trattato cubano-americano potevano essere utilizzati solo per la difesa dell'isola da un attacco esterno, senza che il governo americano avanzasse la minima protesta aprì gli occhi anche a chi non voleva vedere. Così come era risaputo che le truppe di elite usate per la riconquista di Cienfuegos erano addestrate e inquadrate da consiglieri appartenenti alla missione militare statunitense operante presso l'alto comando delle forze armate cubane. Ma un'ondata di indignazione scosse l'isola alla notizia nel mese di novembre che il governo degli Stati Uniti aveva decorato con la prestigiosa Legione al Merito uno dei più feroci boia della dittatura, il generale Tabernilla, l'ufficiale che aveva diretto la repressione del moto di Cienfuegos. In questa occasione si rivelò tutta la cecità dei governanti americani, incapaci di comprendere cosa realmente stesse accadendo sull'isola. Convinto che tutto fosse riconducibile allo schema tanto caro alla destra americana del complotto comunista diretto da Mosca, l'ambasciatore Earl Smith raccomandò al capo della CIA, Allen Dulles, di infiltrare degli agenti sulla Sierra per "scoprire la portata del controllo dei comunisti" sul Movimento 26 Luglio e in caso affermativo assassinare Castro. Atteggiamento condiviso dall'amministrazione Eisenhower, come dimostra la risposta che il responsabile della sezione caraibica del Dipartimento di Stato, William Wieland, diede a chi sosteneva che il governo americano non poteva più fingere di ignorare le atrocità della dittatura di Batista:
"So bene che molti considerano Batista un figlio di puttana... ma gli interessi americani vengono prima di tutto... per lo meno Batista è il nostro figlio di puttana e non tresca con i comunisti... Dall'altra parte Castro è attorniato da rossi. Non so se lui personalmente è comunista... ma sono certo che è soggetto all'influenza comunista". (12)
IL PATTO DI MIAMI
Se anche appoggiavano apertamente Batista, gli americani tuttavia non trascuravano di flirtare con l'opposizione, tentando di isolare Fidel e di riportare il movimento guerrigliero sotto il controllo politico degli esponenti della borghesia liberale. Il 1 novembre, su pressione di ambienti politici americani vicini al Dipartimento di Stato e alla CIA, si tenne a Miami un congresso generale di sette gruppi d'opposizione. Fu costituita una Giunta di Liberazione Nazionale allo scopo di portare a compimento la lotta per la restaurazione della democrazia a Cuba. Si chiedeva l'aiuto degli Stati Uniti, garantendo l'esclusione dei comunisti e si riduceva l'intero programma sociale del futuro governo democratico alla vaga promessa di creare "nuove fonti di occupazione, così come più elevati standard di vita". Al Congresso partecipò anche Felipe Pazos, uno dei firmatari del Manifesto della Sierra Maestra, che portò l'adesione del Movimento 26 Luglio. La notizia del patto di Miami giunse a Castro attraverso il "New York Times" che definì l'accaduto come uno scandaloso tentativo politico di riciclare alcuni screditati esponenti dell'opposizione liberale. In una lettera in data 14 dicembre Castro denunciò vigorosamente la mancanza nel patto di ogni dichiarazione contro l'intervento straniero e il servilismo verso gli Stati Uniti,"chiara riprova di uno scarso patriottismo e di una vigliaccheria che si denunciano da soli". Veniva inoltre sconfessato l'operato di Pazos, che a nessun titolo poteva rappresentare la guerriglia, e si rifiutava ogni rapporto con la Giunta, del tutto priva di seguito a Cuba.
"Non ho autorizzato o designato alcuna delegazione per discutere queste dichiarazioni - dichiarò Fidel - mentre i dirigenti delle altre organizzazioni che sottoscrivono il patto stanno in esilio facendo una rivoluzione immaginaria, i dirigenti del Movimento 26 Luglio stanno a Cuba facendo una rivoluzione reale".
La mossa era rischiosa, il movimento castrista rischiava di perdere il consenso accumulato in un anno di lotta presso l'opinione pubblica moderata e di giustificare le accuse di estremismo avanzate dagli americani e dall'opposizione borghese. Con un'abile mossa tattica Fidel rovesciò la situazione, neutralizzando l'insidioso tentativo del Dipartimento di stato di isolarlo e screditarlo. Nella lettera si dichiarava che presidente provvisorio della nuova Cuba democratica sarebbe stato il giudice Urrutia, il magistrato costretto a dimettersi per aver assolto i compagni di Fidel arrestati dopo lo sbarco del Granma. La decisione si rivelò azzeccata. Urrutia era noto per le sue idee moderate e ciò bloccò sul nascere il tentativo americano di presentare Castro come un sanguinario avventuriero contrario per principio ad una soluzione politica del conflitto. Il 23 dicembre Urrutia giunse a Miami in rappresentanza di un governo cubano in esilio espressione del Movimento 26 Luglio. Liberale e anticomunista, il giudice Urrutia era l'uomo adatto a trattare con il governo americano per convincere Washington a sospendere le forniture d'armi a Batista. Il 14 marzo 1958 l'amministrazione Eisenhower annunziò ufficialmente la sospensione dell'invio di armi alle forze armate cubane.
NOTE:
1. E. Guevara,op. cit., p.39
2. H.L. Matthews, La verità su Cuba, Milano 1961, p.21
3. H.L. Matthews,op. cit.,p.45
4. Operaio edile. Partecipa all'attacco del Moncada. Nel 1959 comandante
in capo delle FAR.
5. Autista. Dopo la rivoluzione primo capo della polizia. Viceministro
delle Forze armate.
6. E. Guevara,op. cit., p.87
7. Primo contadino a giungere al grado di comandante. Dopo la rivoluzione
prima comandante dell'Esercito di Occidente e poi Segretario del PCC per la
Provincia di Oriente.
8. Sorella di Abel Santamaría. Partecipò all' assalto al Moncada. Catturata,
le vennero mostrati gli occhi appena strappati al fratello. Organizzatrice dei
primi nuclei del Movimento 26 Luglio. Dopo la rivoluzione presidente della casa
editrice e della rivista "Casa de las Americas".
9. E. Guevara, Opere, vol I, Milano 68, p.58
10. Ex presidente della Repubblica e leader del Partido autentico. Dopo
il golpe di Batista in esilio negli Stati Uniti, dove mantenne un atteggiamento
ambiguo, oscillando fra l'appoggio ai ribelli e le aperture alla dittatura.
Il Che defìnì il personaggio "pappagallo della pseudo-opposizione".
11. E. Guevara, op. cit., pp. 98-99
12. H. Thomas, op. cit., p.748
VERSO LA VITTORIA
All'inizio del 1958 la guerriglia aveva ormai assunto il pieno controllo della Sierra, un territorio di quasi tremila chilometri quadrati all'interno del quale si era di fatto costituito un vero e proprio apparato logistico molto sofisticato. Nascoste alla ricognizione aerea dalla rigogliosa vegetazione tropicale funzionavano a pieno ritmo una officina per la riparazione delle armi, una calzoleria, una fabbrica di bombe e munizioni, una macelleria e perfino una piccola manifattura di sigari ! I feriti e gli ammalati venivano curati in una serie di piccoli ospedali da campo che fungevano anche da ambulatori per la popolazione civile. Dovunque si aprivano scuole. Per Fidel e il Che l'analfabetismo e la miseria erano nemici che andavano combattuti fin da subito con lo stesso accanimento con cui si lottava contro le truppe di Batista. Il 10 ottobre, intanto, Fidel aveva promulgato sulla Sierra la legge di riforma agraria. Nel territorio liberato i guerriglieri procedevano ad assegnare la terra ai contadini. Il sogno di José Martí si stava avverando. Sotto gli occhi impotenti dell'imperialismo yanqui nasceva una nuova Cuba. Come riconobbe il giornalista americano Matthews, che ne fu conquistato :
"Ciò che io vidi per primo... era che i migliori elementi della società cubana e tutti i giovani si stavano finalmente unendo insieme per creare una nuova, onesta e democratica Cuba". (1)
La guerriglia disponeva inoltre di un suo giornale "El Cubano Libre", stampato con un vecchio ciclostile datato 1903 e di una stazione radio che il 24 febbraio iniziò le sue trasmissioni dalla Sierra con lo storico annuncio:
"Aquí Radio Rebelde ! Aquí Radio Rebelde que transmite desde la Sierra Maestra en el Territorio Libre de Cuba !".
"El Cubano libre" riprendeva la testata dell'organo della lotta di liberazione contro la Spagna. Il Che nell'editoriale del primo numero spiegava le ragioni della continuità della guerriglia sulla Sierra con la lotta di liberazione nazionale: la lotta per l'indipendenza nazionale non era terminata, al dominio spagnolo si era sostituito l'imperialismo yanqui. Lotta per la democrazia e impegno antimperialista non potevano essere disgiunte nella difficile battaglia per l'affermazione di una società più giusta e libera.
I GIOVANI CONTRO LA DITTATURA
Trascinata dall'esempio della Sierra, anche nelle città si intensificava la lotta contro la dittatura. Agli inizi dell'anno i presidenti delle tre grandi federazioni studentesche dell'Avana, di Santiago e di Las Villas dichiararono uno sciopero generale a tempo indeterminato dell'università. Nessun studente avrebbe più seguito le lezioni finchè non fossero state ristabilite le garanzie democratiche previste dalla costituzione del 1940. Il sabotaggio delle vie di comunicazione raggiunse livelli tali da costringere le autorità a mantenere segreto l'orario ferroviario nella provincia d'Oriente e a far scortare i convogli da reparti dell'esercito. Il 23 febbraio il campione del mondo di automobilismo Manuel Fangio venne rapito all'Avana mentre si accingeva a disputare il Gran Premio e rilasciato dopo che la notizia ebbe fatto il giro del mondo. Messa in allarme dal rapido radicalizzarsi della situazione anche la Chiesa cattolica decise alla fine di febbraio di intervenire nella situazione politica cubana. Rompendo con l' atteggiamento di grande prudenza tenuto fino ad allora, il 10 marzo i vescovi cubani invitarono le parti alla formazione di un governo di unità nazionale e ad una politica di riconciliazione. Ma la base era andata già oltre. Molti giovani cattolici fra cui numerosi sacerdoti militavano nel Movimento 26 Luglio. Dello Stato Maggiore guerrigliero della Sierra Maestra faceva parte con il grado di comandante un giovane sacerdote, padre Sardiñas, di cui ha scritto Castro:
" Il lavoro che svolgeva tra i contadini non era di tipo politico ma religioso. Poichè da quelle parti non veniva mai un prete, la sua presenza e il fatto che svolgesse la sua attività sacerdotale, battezzando molti bambini, era un modo per legare ancor più quelle famiglie alla Rivoluzione, alla guerriglia, rafforzando i vincoli tra la popolazione e il comando guerrigliero. Direi che egli svolgeva la sua predicazione e il suo lavoro politico in modo indiretto... Da noi non esisteva la figura vera e propria del cappellano, ma gli fu riconosciuto il titolo di comandante, in riconoscimento del suo grado e dei suoi meriti". (2)
Nuovi focolai guerriglieri si andavano intanto accendendo sulle montagne, soprattutto nella selvaggia regione dell'Escambray.(3) Alcuni facevano riferimento all'opposizione borghese che tentava in questo modo di inserirsi nella guerriglia e di contrastare la leadership castrista del movimento di liberazione nazionale. Altri dipendevano dal Partito comunista che, dopo lunghi tentennamenti, nel febbraio del 1958 era giunto infine alla decisione di appoggiare apertamente la lotta armata, invitando i membri del partito ad unirsi a Castro o, come nel caso della colonna Máximo Gómez, a costruire proprie unità guerrigliere. Altri infine non rappresentavano nulla di più di bande di avventurieri e sbandati, dediti più al brigantaggio che alla lotta rivoluzionaria. I contadini li chiamavano "comevacas" (mangiavacche), perchè l'unica loro attività era la requisizione del bestiame e il taglieggiamento sistematico della popolazione civile. La banda più nota di comevacas era comandata da un americano, William A. Morgan, ex ufficiale dei paracadutisti, fucilato dopo la vittoria della rivoluzione in quanto riconosciuto colpevole di aver operato come agente provocatore al soldo della CIA per allontanare i contadini dal movimento guerrigliero. La situazione si caratterizzava sempre più come prerivoluzionaria con un governo incapace di riprendere il controllo del paese ed un movimento rivoluzionario non ancora in grado di lanciare la spallata finale. Di conseguenza Fidel Castro decise che era giunto il momento di allargare il raggio d'azione della lotta armata. Il 10 marzo 1958 Raúl Castro alla testa di sessantacinque uomini lasciò la Sierra Maestra per andare ad aprire un nuovo fronte guerrigliero sulla Sierra Cristal, lungo la costa settentrionale della provincia di Oriente. Denominata "Frank Pais" la nuova colonna n.6 a bordo di jeeps e camion con un'audace spedizione durata venti ore raggiunse la zona di operazioni prescelta nonostante gli incessanti attacchi del nemico. Contemporaneamente Juan Almeida (4) venne inviato con un'altra colonna ad aprire un "Terzo Fronte" nella parte più orientale della Sierra Maestra, immediatamente a ridosso della città di Santiago. Il mese successivo Camilo Cienfuegos si spostò a nord, nella zona di Bayamo, mentre il Che con la colonna n.4 continuava ad operare sulla Sierra Maestra centrale.
IL FALLIMENTO DELLO SCIOPERO GENERALE
Nonostante i successi della guerriglia, i dirigenti del fronte cittadino manifestavano una crescente insofferenza nei confronti di una tattica che secondo loro sottovalutava il ruolo delle città per puntare tutto sulla guerra rivoluzionaria sulle montagne. Alcuni addirittura tacciavano di "militarismo" i capi dei fronti guerriglieri e non risparmiavano neppure lo stesso Fidel, accusato a mezza bocca di "caudillismo". A febbraio la tendenza del "Llano" ritornò prepotentemente alla carica, tentando di imporre la propria direzione strategica al Movimento. Esponenti del Direttorato nazionale de l'Avana, attaccarono Fidel, accusandolo di non conoscere la reale situazione dei rapporti di forza nelle città e proponendo con estrema determinazione l'organizzazione in tempi brevi di un grande sciopero generale insurrezionale destinato ad assestare la spallata decisiva al regime, considerato ormai agonizzante. Nonostante non concordasse con tali analisi e ritenesse il momento ancora prematuro per l'insurrezione, Castro si ritrovò in minoranza, costretto a cedere al fine di evitare una pericolosa frattura fra il Comando generale della Sierra e il Direttorio nazionale del movimento. Nella veste di delegato del Direttorio Faustino Perez si recò ai primi di marzo sulla Sierra e, dopo varie discussioni con Castro e gli altri comandanti militari, firmò assieme a Fidel un nuovo manifesto intitolato "Guerra totale contro la tirannia". Il manifesto, articolato su ventidue punti, asseriva trionfalmente che "la lotta contro Batista è entrata nella sua fase finale" e che "per sferrare il colpo finale è basilare uno sciopero generale, appoggiato da azioni militari". Secondo le direttive impartite alle organizzazioni rivoluzionarie nel corso del mese di marzo i comitati d'azione che operavano clandestinamente nelle città dovevano scatenare una vera e propria guerra totale. In ogni luogo di lavoro di una qualche dimensione andava costituito un "fronte unito dei lavoratori" che riunisse gli operai indipendentemente dall'appartenenza politica intorno alla parole d'ordine dello sciopero insurrezionale. Se la parte militare dell'azione fu svolta con indubbia perizia, nella sola capitale nel mese di marzo si verificarono centinaia di atti di sabotaggio e di attentati contro le installazioni nemiche, l'azione politica, segnò il passo. Nonostante le indicazioni di Fidel di aprirsi a tutti i gruppi di opposizione presenti nelle fabbriche con particolare attenzione ai comunisti, emersero nei dirigenti del fronte sindacale atteggiamenti di grande settarismo. Così, nonostante l'apparato clandestino del Partito Socialista Popolare avesse espresso l'intenzione di aderire allo sciopero, i comitati d'azione rifiutarono di aprirsi ai comunisti. L'organizzazione dello sciopero fu assunta in pieno dal Movimento 26 Luglio, privo di reale radicamento nelle organizzazioni dei lavoratori. Emblematico il caso de l'Avana dove il comitato d'azione era diretto da un gruppo di intellettuali, in gran parte espressione della borghesia radicale, del tutto sconosciuti ai lavoratori. (5) A complicare ulteriormente le cose giunsero le dichiarazioni di Faustino Pérez, improntate ad un moderatismo che non poteva di certo riscuotere grandi consensi nella classe operaia:
"L'attuale movimento rivoluzionario è ben lontano dall'essere comunista...il nostro leader Castro non farà parte del governo provvisorio... creeremo un clima di fiducia e di sicurezza per l'investimento del capitale nazionale e straniero necessario per il nostro sviluppo industriale". (6)
Anche il Frente Obrero Nacional, l'organizzazione sindacale del Movimento 26 Luglio, (7) diretto da David Salvador (8) prese un atteggiamento di estrema chiusura nei confronti dei lavoratori comunisti, sottovalutando del tutto il problema della costruzione delle alleanze nel movimento di classe. Male organizzato e diretto in modo settario, lo sciopero generale si risolse in un fallimento. Le masse operaie risposero in modo limitato al proclama del Movimento 26 Luglio e l'esercito e la polizia di Batista non ebbero difficoltà a reprimere i pochi focolai di lotta. Il 9 aprile, giorno dello sciopero, in tutta l'isola oltre cento militanti operai furono assassinati e diverse altre centinaia arrestati. Il prestigio del movimento rivoluzionario ne uscì a pezzi. Batista trasse la conclusione che la situazione stesse cambiando a favore del regime e che, dopo il clamoroso fallimento dello sciopero, fosse possibile porre all'ordine del giorno la liquidazione dello stesso movimento guerrigliero, organizzando una massiccia operazione militare contro la Sierra Maestra. Opinione condivisa dall'intera stampa internazionale che dava ormai per finita la guerriglia castrista. Significativamente il New York Times, il giornale che fino ad allora più si era espresso a favore di Castro, titolava un articolo del 16 aprile dedicato alla situazione di Cuba: "Fidel Castro ha ormai i giorni contati". Come annotò il Che nei suoi ricordi:
"A partire da febbraio l'insurrezione aveva continuato a gonfiarsi, fino a minacciare di trasformarsi in una valanga incontenibile. Il popolo si levava contro la dittatura in tutto il paese, soprattutto nell'Oriente. Dopo il fallimento dello sciopero generale decretato dal Movimento, l'ondata decrebbe fino a raggiungere il suo minimo in giugno...". (9)
Il morale fra i rivoluzionari era talmente basso che l'esercito lanciò una massiccia campagna propagandistica, invitando gli insorti alla resa. A migliaia di copie un volantino dello Stato Maggiore fu distribuito nelle zone di guerra. Nel testo si prometteva l'incolumità e l'amnistia per chi avesse abbandonato la guerriglia e consegnato le armi.
"Compatriota:
Se per il fatto di esserti trovato coinvolto in complotti insurrezionali ti
trovi ancora in campagna o in montagna, hai ora l'occasione di rimediare e di
tornare in seno alla tua famiglia. il Governo ha ordinato che si rispetti la
tua vita e che tu sia inviato al tuo focolare se deporrai le armi e tornerai
al rispetto della Legge... presentati al posto militare, di Marina o di Polizia
più vicino... Se ti trovi in una zona disabitata, porta con te la tua arma appesa
a una spalla e presentati con le mani in alto. Se ti presenti in zona urbana,
lascia il tuo armamento nascosto in luogo sicuro, per comunicarne poi l'ubicazione
in modo che sia recuperato immediatamente. Non perdere tempo, perchè le operazioni
per la pacificazione totale continueranno con maggiore intensità nella zona
dove tu ti trovi". (10)
LA RETTIFICA DELLA LINEA
Il 3 maggio
1958 si tenne sulla Sierra , in un luogo chiamato Los Altos de Monpié, una riunione
straordinaria della Direzione nazionale del Movimento 26 Luglio, per analizzare
il perchè del fallimento dello sciopero e definire una volta per tutte i rapporti
tra montagna e pianura. Alla riunione, che si rivelò di "un'importanza
eccezionale" (11) per la prosecuzione della strategia rivoluzionaria, fu
invitato anche il Che, il quale, pur non facendo parte della direzione politica
del Movimento, era ormai unanimemente considerato il capo militare più rappresentativo
dopo Castro. (12) La discussione fu aspra a causa dell'atteggiamento rigidamente
settario di David Salvador e dei rappresentanti del FON che difendevano a spada
tratta il loro netto rifiuto di qualunque collaborazione con le organizzazioni
del partito comunista. Alla fine si impose l'autorità morale di Fidel, il suo
indiscutibile prestigio e la consapevolezza nella maggioranza dei presenti che
si erano compiuti gravi errori di valutazione nell'analisi della situazione
da parte dei dirigenti della pianura.
Lo sciopero era servito a mostrare nei fatti l'inaffidabilità dell'ala liberale
e moderata del Movimento. Dopo un giorno e una notte di acceso dibattito, la
Direzione deliberò un documento in cui si definivano le posizioni di Salvador
"impregnate di soggettivismo e di putschismo", si criticava severamente
l'avventurismo e il settarismo dei dirigenti della pianura e si riorganizzava
radicalmente lo Stato Maggiore del Movimento. Fidel Castro fu nominato segretario
generale del movimento e comandante in capo di tutte le forze, comprese le unità
della milizia urbana che fino a quel momento erano state sotto il comando dei
dirigenti delle città. Faustino Pérez e David Salvador vennero rimossi dai loro
incarichi. Come ha scritto il Che nei suoi ricordi:
" Ci dividevano differenze di visione strategica. La Sierra era ormai sicura di poter portare avanti la lotta di guerriglia: e cioè di estenderla ad altre zone e accerchiare così dalle campagne le città della tirannia, per arrivare poi a far esplodere tutto l'apparato del regime mediante una tattica di strangolamento e di logoramento. Il Llano aveva una posizione apparentemente più rivoluzionaria, e cioè quella della lotta armata in tutte le città che avrebbe dovuto convergere in uno sciopero generale che avrebbe fatto cadere Batista e avrebbe reso possibile la presa del potere in un tempo abbastanza ravvicinato. Questa posizione era solo apparentemente più rivoluzionaria perchè a quell'epoca l'evoluzione politica dei compagni della pianura era molto incompleta... la loro origine politica, che non era stata gran che influenzata dal processo di maturazione rivoluzionaria, li faceva inclinare piuttosto a una azione "civile" e a una certa opposizione contro il caudillo che si temeva in Fidel e alla frazione "militarista" che rappresentavamo noi della Sierra". (13)
Per ovviare ai metodi settari seguiti dai dirigenti del FON e ricucire lo strappo con il Partito Socialista Popolare, la Direzione nazionale del 26 Luglio redasse anche una circolare sul lavoro nelle fabbriche:
"Continuiamo a considerare - si legge nel documento - lo sciopero generale come strategia finale corretta, ma intendiamo incrementare l'azione armata che ci consentirà di innalzare il morale rivoluzionario. Già la provincia di Oriente è in nostro potere. Il FON è stato creato come un organismo che unificasse tutti i settori. In realtà siamo stati troppo rigidi quando si è trattato di farvi entrare altri gruppi, il che ha creato certe riserve in altre forze sindacali. Ribadiamo quanto ha detto Fidel il 26 marzo: tutti gli operai hanno diritto di far parte dei comitati di sciopero. La direzione nazionale è disposta a parlare a Cuba con qualsiasi organizzazione dell'opposizione per coordinare piani specifici e compiere azioni concrete che tendano ad abbattere la tirannia". (14)
Un segnale chiaro di disgelo tra il Movimento guerrigliero e i comunisti del Partito Socialista Popolare venne dall'incontro l'11 aprile tra il dirigente contadino Pepe Ramirez e Raúl Castro. Raúl era stato inviato ad aprire un secondo fronte di lotta in una regione dove tradizionalmente il partito comunista godeva di forte influenza tra i contadini. In un primo momento il fratello di Fidel si dedicò a riportare ordine nella regione, dove bande armate operavano al di fuori di ogni controllo politico. In poche settimane, usando se necessario metodi durissimi, Raúl sradicò il fenomeno dello spontaneismo armato, unificando sotto il suo comando le bande attive sulla Sierra Cristal e liquidando senza pietà ogni forma di banditismo. Ristabilito un minimo di ordine rivoluzionario nella zona, Raúl affrontò con decisione il problema dei rapporti con il PSP. Dall'incontro con Ramirez la guerriglia ottenne l'assicurazione che i quadri del PC si sarebbero messi a disposizione della lotta armata e questo senza porre particolari condizioni politiche. Immediatamente Ramirez e i suoi compagni iniziarono un'intensa attività di chiarificazione politica, radunando i contadini e spiegando loro la necessità di fornire un concreto aiuto alla guerriglia. Sempre più i guerriglieri avvicinavano il loro raggio d'azione alla base aeronavale degli Stati uniti sulla baia di Guantánamo, da dove, nonostante le dichiarazioni formali del governo americano, continuavano a giungere rifornimenti militari per Batista. In particolare a Guantánamo si rifornivano gli aerei che andavano poi a bombardare la popolazione civile della zona del secondo fronte nella Sierra Cristal, dove Raúl Castro aveva creato un vero e proprio territorio liberato. Per far cessare i bombardamenti alla fine di giugno Raúl ordinò un'audace colpo di mano nell'area di Guantánamo, sequestrando una cinquantina di militari e tecnici statunitensi. In cambio della liberazione degli ostaggi il console americano a Santiago fu costretto a negoziare la cessazione effettiva degli aiuti militari all'aviazione cubana.
L'OFFENSIVA DI BATISTA
Il 24 maggio l'esercito di Batista sferrò una massiccia offensiva contro la Sierra Maestra allo scopo di accerchiare e distruggere il movimento guerrigliero. Nella zona vennero concentrate le unità d'elite dell'esercito, diciassette battaglioni, ciascuno appoggiato da una compagnia corazzata, con una massiccia copertura aerea. L'offensiva, denominata "Operacíon Verano" puntava a tagliare le linee di rifornimento di Castro, rioccupare gran parte della Sierra e chiudere i guerriglieri in una sacca da ripulire, poi, sistematicamente con l'ausilio della Guardia Rurale. Dodicimila uomini, un terzo dell'intero esercito cubano, accerchiarono la Sierra, poi lentamente, partendo dalla pianura, iniziarono le operazioni di rastrellamento. Ai primi di giugno, di fronte ad un'offensiva che per le sue dimensioni appariva decisiva, Fidel impartì a tutti i comandi partigiani l'ordine di resistere in modo elastico, senza incaponirsi a difendere a tutti i costi le posizioni. Occorreva soprattutto rallentare l'avanzata del nemico, riducendo al minimo le perdite in uomini e materiali e poi ripiegare verso punti strategici di più agevole difesa.
"Dopo il fallimento di questa offensiva - diceva l'ordine di Castro - Batista sarà irrimediabilmente perduto ed egli lo sa e per questo compirà il suo massimo sforzo. Questa è la battaglia decisiva... Stiamo dirigendo le cose in modo da trasformare questa offensiva in un disastro per la dittatura". (15)
Per alcune settimane l'esercito avanzò nella Sierra senza incontrare grande resistenza. I ribelli sembravano svaniti nel nulla. Due battaglioni al comando del colonnello Sánchez Mosquera, uno dei più feroci ufficiali batistiani, raggiunsero il 19 giugno la zona di Santo Domingo nel cuore delle montagne. E proprio lì, in una delle più aspre e impervie regioni della Sierra Maestra scattò la controffensiva dei guerriglieri. Un diluvio di fuoco si scatenò su truppe esauste, non abituate al clima umido della foresta, annichilite dalla fatica e dal caldo. In tre giorni di feroce combattimento le truppe di Mosquera furono annientate, molti furono presi prigionieri, pochissimi riuscirono a fare ritorno alle basi di partenza. Lo stesso Mosquera, fu ferito e a stento riuscì a mettersi in salvo. Nelle mani dei partigiani caddero ingenti quantitativi di armi e munizioni, oltre ad un'intera stazione radio con tanto di codici cifrati. La vittoria di Santo Domingo si rivelò subito decisiva. l'esercito ribelle passò alla controffensiva ovunque, mentre migliaia di contadini insorti attaccavano pattuglie isolate, facevano saltare ponti, minavano strade e sentieri alle spalle delle truppe. Accerchiati, isolati in una regione sconosciuta e ostile, senza più rifornimenti, i battaglioni batistiani iniziarono a sbandarsi. Le diserzioni si contarono a centinaia, reparti interi passarono, dopo aver fucilato i comandanti, dalla parte dei ribelli. Alla fine di luglio non si contava più un solo soldato regolare sulla Sierra. L'esercito aveva perso tra morti e feriti oltre mille uomini, 443 erano i prigionieri. In mano ai ribelli erano caduti due carri armati, 2 mortai da 81 mm., 2 bazooka, 12 mitragliatrici pesanti, centinaia di armi leggere, 100 mila pallottole e tonnellate di munizioni e di rifornimenti. Dal canto loro i partigiani avevano avuto ventisette morti e una cinquantina di feriti. Le dimensioni della vittoria erano veramente straordinarie. Poco meno di trecento uomini male armati avevano fermato e messo in fuga oltre dodicimila soldati, il fior fiore dell'esercito di Batista. Dalla Sierra Maestra Fidel lanciò la parola d'ordine dell'insurrezione generale. Occorreva dare il colpo decisivo alla dittatura, prima che con l'aiuto nordamericano potesse riorganizzare le sue forze. Tutta Cuba diventava terreno di battaglia, tutto il popolo doveva insorgere. Nessuna tregua, nessuna pietà per il nemico. Ai soldati della dittatura veniva lasciata una sola possibilità: o arrendersi o morire.
"Le colonne ribelli - annunciava Fidel da Radio Rebelde - avanzeranno in tutte le direzioni verso il resto del territorio nazionale senza che nulla e nessuno possa fermarle. Se un comandante cade, un altro occuperà il suo posto. Il popolo di Cuba deve prepararsi ad aiutare i nostri combattenti. Ogni villaggio... può diventare campo di battaglia. La popolazione civile deve essere avvertita perchè possa sopportare valorosamente le privazioni della guerra... ". (16)
LA BATTAGLIA FINALE
Alla fine dell'estate, rafforzato dalla straordinaria vittoria ottenuta contro le truppe batistiane mandate all'attacco della Sierra Maestra, Fidel Castro poteva contare su circa ottocento combattenti, per la prima volta ben forniti di armi e munizioni. Tre colonne, al comando di Almeida, dovevano completare l'accerchiamento della capitale della provincia di Oriente, Santiago. Un'altra, agli ordini di Camilo Cienfuegos doveva portarsi all'altro capo dell'isola, nell'estrema provincia occidentale di Pinar del Río, mentre il Che, alla testa della colonna n. 8, doveva impadronirsi della provincia di Las Villas, secondo un foglio di ordini che riportiamo integralmente:
"Si affida al comandante Ernesto Guevara la missione di condurre dalla Sierra Maestra fino alla provincia di Las Villas una colonna ribelle e di operare in detto territorio d'accordo con il piano strategico dell'Esercito Ribelle. La colonna 8 destinata a tale obiettivo, porterà il nome di Ciro Redondo (17) e partirà da Las Mercedes tra il 24 e il 30 agosto. Si nomina il comandante Ernesto Guevara capo di tutte le unità ribelli del Movimento 26 Luglio che operino nella provincia di Las Villas, tanto nelle zone rurali come nelle zone urbane e gli si concede facoltà di raccogliere e di disporre per le spese di guerra i contributi fissati dai nostri provvedimenti militari, di applicare il codice penale e le leggi agrarie dell'Esercito Ribelle nel territorio in cui opereranno le sue forze, di coordinare operazioni, piani, provvedimenti di carattere amministrativo e organizzativo militare con altre forze armate che operino nella provincia e che dovrebbero essere invitate a integrarsi in un solo esercito per strutturare e unificare lo sforzo militare della rivoluzione; inoltre di organizzare unità locali di combattimento e di nominare ufficiali dell'Esercito Ribelle fino al grado di comandante di colonna. La colonna 8 avrà come obiettivo strategico quello di battere incessantemente il nemico nel territorio centrale di Cuba e di intercettare, fino a paralizzarli totalmente, i movimenti di truppe nemiche via terra da occidente a oriente, più altri che gli verranno opportunamente ordinati.
F.to Il comandante in capo, Fidel Castro Ruz, Sierra Maestra, 21 agosto 1958, ore 9 p.m.". (18)
La guerriglia, rotto l'accerchiamento della Sierra Maestra, si trasforma da questo momento in vera e propria guerra di movimento. Il rapporto di forze volge ormai decisamente a favore della rivoluzione. Le colonne di Camilo e del Che, forti di appena ottanta e centoquaranta combattenti, in un mese e mezzo di marce forzate attraversano la provincia centrale di Camagüey e, nonostante la pressione di migliaia di soldati nemici, iniziano a realizzare l'obiettivo di tagliare in due l'isola per impedire ogni collegamento fra l'Avana e la provincia di Oriente, ormai quasi totalmente in mano all'Esercito Ribelle. A posteriori sembra incredibile che due colonne così piccole, senza comunicazioni con il grosso delle forze ribelli, abbiano potuto impiantarsi in un territorio controllato dal nemico e in pochi mesi ribaltare il rapporto di forze e vincere. La risposta ancora una volta si trova negli scritti del Che:
"Il soldato nemico... è il socio minore del dittatore, l'uomo che riceve l'ultima delle briciole lasciategli dal penultimo dei profittatori, di una lunga catena che ha inizio in Wall Street e finisce con lui. E' disposto a difendere i suoi privilegi, ma nella misura in cui sono importanti. Il suo stipendio e le sue prebende valgono qualche sofferenza e qualche pericolo, ma non valgono mai la sua vita: se è al prezzo di essa che può conservarli, preferisce lasciar perdere, cioè ritirarsi di fronte al pericolo guerrigliero...(I guerriglieri, invece) ... sotto la bandiera della riforma agraria, la cui realizzazione incomincia nella Sierra Maestra... arrivano a scontrarsi con l'imperialismo; sanno che la riforma agraria è la base sulla quale edificare la nuova Cuba; sanno anche che la riforma agraria darà la terra a tutti gli espropriati, ma esproprierà coloro che la possiedono ingiustamente...; hanno imparato a superare le difficoltà con coraggio, con audacia e, soprattutto, con l'appoggio del popolo e hanno ormai visto il futuro di liberazione che li aspetta oltre le sofferenze". (19)
Il 7 novembre Fidel lasciò il suo quartier generale sulle montagne e alla testa di trecento uomini iniziò la marcia verso la capitale della provincia d'Oriente, Santiago di Cuba. Dalla Sierra Cristal anche Raúl Castro iniziò l'avvicinamento a Santiago. Uno dopo l'altro i centri abitati della pianura cadevano nelle mani dei ribelli. Impotente ad arrestare l'avanzata dei partigiani, Batista scatenò le sue ultime forze contro la popolazione civile. L'aviazione prese a bombardare selvaggiamente le zone liberate, causando migliaia di vittime innocenti fra la popolazione civile. Erano bombe americane quelle che seminavano la morte fra i cubani. Era il segnale chiaro per tutti che dopo la vittoria la rivoluzione non sarebbe stata indolore, che una guerra ben più aspra sarebbe iniziata contro l'imperialismo. In un biglietto a Celia Sánchez, Fidel confessava con rabbia:
"Celia, vedendo le bombe-razzo che hanno lanciato contro la casa di Mario ho giurato a me stesso che gli americani pagheranno ben caro quello che stanno facendo. Quando questa guerra finirà, ne comincerà un'altra, per me, molto più lunga e grande: sarà la guerra che farò contro di loro. Mi rendo conto che questo sarà il mio vero destino". (20)
LO SCIOPERO GENERALE INSURREZIONALE
A dicembre le principali basi dell'esercito erano ormai circondate, mentre Santiago era sul punto di cadere nelle mani dei ribelli. La demoralizzazione regnava ormai fra i generali. Lo stesso generale Tabernilla dovette comunicare a Batista che fantasticava di nuove offensive che " I soldati sono stanchi e gli ufficiali non vogliono combattere. Non c'è più nulla da fare". (21) Le sorti della guerra si decisero fra Natale e Capodanno. Il 31 dicembre, dopo un lungo assedio, Camilo Cienfuegos occupò l'importante piazzaforte di Yagujay. Il 29 dicembre la colonna del Che attaccò la città di Santa Clara, capitale della provincia di Las Villas e punto nodale per l'avanzata verso l'Avana. Dopo quattro giorni di intensi combattimenti, il pomeriggio del 1° gennaio Santa Clara cadeva nelle mani del Che. Intanto il 28 dicembre il comandante della guarnigione di Santiago, generale Eulogio Cantillo, aveva incontrato segretamente Castro per negoziare il cessate il fuoco. Cantillo ottenne di poter lasciare in aereo Santiago per raggiungere l'Avana e convincere gli altri generali a deporre Batista e a cedere le armi ai ribelli. In realtà il generale si mise a disposizione degli americani che sul punto di scaricare l'ormai bruciato Batista intendevano impedire ad ogni costo la vittoria della guerriglia. In una concitata riunione con l'ambasciatore americano Smith, i generali decisero la formazione di una giunta militare che sarebbe stata immediatamente riconosciuta da Washington e dall'opposizione cubana di Miami come governo di transizione verso la democrazia. Alle due e dieci del mattino del 1° gennaio, mentre all'Avana, la gente festeggiava il Capodanno, Fulgenzio Batista abbandonava precipitosamente Cuba con destinazione Santo Domingo. Informato dell'accaduto, Fidel Castro dai microfoni di Radio Rebelde lanciava un appello al popolo cubano perchè insorgesse in armi contro i generali:
" Una Giunta Militare in complicità col tiranno ha assunto il potere per garantire la sua fuga e quella dei principali assassini e per cercare di frenare la spinta rivoluzionaria, privandoci della vittoria. L'Esercito Ribelle continuerà la sua irrefrenabile campagna e accetterà solo la resa incondizionata delle guarnigioni militari. Il popolo di Cuba e i lavoratori devono immediatamente prepararsi per iniziare il 2 gennaio in tutto il paese uno sciopero generale che appoggi le armi rivoluzionarie, garantendo in tal modo la vittoria totale della rivoluzione. Sette anni di eroica lotta, migliaia di martiri che hanno versato il loro sangue in ogni luogo di Cuba, non verranno messi al servizio di coloro che fino a ieri furono complici e responsabili della tirannia e dei suoi crimini, perchè continuino a comandare a Cuba. I lavoratori, seguendo le direttive del FON del Movimento 26 Luglio, devono, oggi stesso, occupare tutti i sindacati mujalisti e organizzarsi nelle fabbriche e nei centri di lavoro per iniziare all'alba di domani la paralizzazione completa del paese. Batista e Mujal (22) sono fuggiti, ma i loro complici sono rimasti al comando dell'esercito e dei sindacati. Colpo di stato per tradire il popolo: NO ! Equivarrebbe a prolungare la guerra. Fin quando Columbia (23) non si sarà arresa, la guerra non potrà terminare. Questa volta niente e nessuno potrà impedire il trionfo della rivoluzione. Lavoratori, questo è il momento in cui tocca a voi assicurare il trionfo della rivoluzione. Sciopero generale rivoluzionario in tutti i territori liberati!". (24)
Il 2 gennaio l'intera isola era paralizzata dallo sciopero, mentre nelle principali città squadre di operai armati, organizzate dal PSP e dal FON, prendevano il controllo degli edifici pubblici. Di fronte al precipitare della situazione, una parte dell'esercito si schierò con Fidel. I prigionieri politici vennero liberati, mentre i soldati distribuivano le armi agli insorti. Da Santiago Fidel ordinò a Camilo Cienfuegos e al Che di raggiungere alla testa delle loro truppe l'Avana, che fu occupata senza colpo ferire. L'8 gennaio, mentre lo sciopero generale durava ancora, Fidel raggiunse la capitale accolto da una popolazione festante. La guerra di liberazione era terminata. Dopo quasi un secolo di lotte, Cuba era finalmente libera. Iniziava ora la parte più difficile della rivoluzione, la costruzione di una nuova Cuba, democratica e socialista. Una lotta che si sarebbe rivelata ben più dura e ingrata della guerra sulle montagne.
NOTE:
1. H.L.
Matthews, op. cit., pag. 53
2. Frei Betto, op. cit., pag. 153
3. Massiccio montuoso con cime alte fino a 1200 metri, situato nella
regione meridionale della provincia di Las Villas.
4. Operaio edile, partecipò all'assalto al Moncada. Condannato a dieci
anni di carcere, dopo l'amnistia seguì Fidel in Messico. Uno dei principali
capi militari della guerriglia. Dopo la rivoluzione comandante delle Forze Aeree
cubane e viceministro della Difesa. Membro dell'Ufficio politico del Comitato
Centrale del Partito Comunista di Cuba. Poeta e autore di canzoni di successo.
5. Faustino Perez, Manuel Ray (un ingegnere), David Salvador (responsabile
del lavoro sindacale del Movimento 26 Luglio), Fernández Ceballos ( esponente
della chiesa evangelica), Carlos Lechuga (giornalista vicino al partito "ortodosso")
e Eladio Blanco (un medico molto noto nei quartieri "alti" della capitale).
6. H.Thomas, op. cit., pag 756
7. Il Fronte Operaio nazionale (FON) era stato costituito all'indomani
dell'assassinio di Frank País allo scopo di operare nei luoghi di lavoro per
portare la classe operaia cubana sulle posizioni del Movimento 26 Luglio. Diretto
con metodi settari, non riuscì a radicarsi se non superficialmente fra i lavoratori.
8. Operaio zuccheriero, ex dirigente della gioventù comunista. Animato
da forti risentimenti verso il PSP entrò nel Movimento 26 luglio nel 1956, dal
1957 creatore e responsabile del Frente Obrero Nacional (FON) a cui impresse
un marcato carattere settario ed anticomunista. Principale responsabile del
fallimento dello sciopero del 9 aprile. Dopo la rivoluzione membro dell'esecutivo
della Central trabajadores de Cuba revolucionaria. Esponente della corrente
del Movimento 26 Luglio contraria alla fusione con i comunisti, costituì un'organizzazione
clandestina controrivoluzionaria. Scoperto e arrestato, fu condannato per tradimento.
9. E. Guevara, op. cit., pag. 161
10. E. Guevara, op. cit., pp. 161-162
11. E. Guevara, Scritti, discorsi e diari di guerriglia, Torino 1969,
pag. 211
12. Alla riunione, oltre al Che e a Fidel Castro, presero parte Faustino
Pérez, René Ramos Latour, Vilma Espín, Nico Torres, Luis Busch, Celia Sánchez,
Marcelo Fernández, Haydée Santamaría, David Salvador, Enso Infante.
13. E. Guevara, op. cit., pp. 236-238
14. E. Guevara, op. cit., pag. 215
15. S. Tutino, op. cit., pag. 276
16. S. Tutino, op. cit., pag.279
17. Ciro Redondo, membro della spedizione del Granma. Caduto eroicamente
in combattimento nel novembre 1957. Promosso "Comandante alla memoria".
18. E. Guevara, op. cit., pag. 239
19. E. Guevara, op. cit., pp. 485-486
20. S. Tutino, op. cit., pag. 285
21. H. Thomas, op. cit., pag. 779
22. Eugenio Mujal, ex comunista, capo dei sindacati cubani, legato alla
CIA e alle organizzazioni gangsteristiche nordamericane. Fuggì da Cuba assieme
a Batista.
23. Principale base militare della capitale. Sede del comando delle Forze
armate.
24. E. Guevara, op. cit., p. 259
Savona, Estate 1995