Biblioteca Multimediale Marxista


Il Partito Comunista Internazionalista (1942-1945)


La crisi del regime fascista, conseguenza diretta dell’andamento sfavorevole della guerra, apre nuove possibilità di azione politica per i comunisti, fino ad allora costretti ad una rigidissima clandestinità. Nel corso del 1942 a partire dalla Lombardia e dal Piemonte e poi via via in Liguria,  Veneto,  Emilia e Toscana, piccoli nuclei di comunisti internazionalisti, rimasti fedeli alla linea coerentemente marxista rivoluzionaria del PCd’I del 1921-1926, iniziano a riorganizzare una prima embrionale forma di partito. In pochi mesi i gruppi di Torino, Milano, Casale Monferrato, Asti riescono a radicarsi nelle fabbriche approfittando soprattutto della ripresa di combattività operaia espressa dalla prima grande ondata di scioperi spontanei del marzo 1943.

Alla caduta del fascismo nel luglio 1943 gli internazionalisti sono dunque in condizione di intervenire attivamente nel moto spontaneo di formazione delle commissioni interne che agita le grandi fabbriche del nord. I piccoli gruppi comunisti rivoluzionari chiamano la classe operaia a mobilitarsi contro la continuazione della guerra e contro il tentativo della borghesia di sostituire all’ormai screditato regime fascista un nuovo regime “democratico” di coalizione dei partiti antifascisti. Le parole d’ordine sono quelle leniniste del 1917: trasformare la guerra imperialista in rivoluzione, autonomia di classe contro tutte le frazioni borghesi comunque collocate sul fronte militare.

Alla fine del 1943 questo sforzo politico ed organizzativo porta alla formazione del  Partito Comunista Internazionalista che si dota di un breve documento programmatico in cui sono fissate le linee di intervento.  Il partito si estende rapidamente a tutto il nord con consistenti gruppi a Torino, milano, Asti, Casale Monferrato, Sesto San Giovanni, Parma e Firenze. Il primo novembre esce il primo numero di “Prometeo”, rivista teorica mensile. Guida politica e animatore instancabile del PC Internazionalista è Onorato Damen, già dirigente di primo piano del PCd’I fino al congresso di Lione. Chi si cura, invece, di mantenere i collegamenti fra i vari gruppi locali è Bruno Maffi, proveniente da posizioni azioniste, ma approdato ad una coerente e rigorosa scelta di campo marxista negli anni Trenta durante la detenzione nelle galere fasciste.

Contro la continuazione della guerra il partito lancia nel dicembre un appello per la creazione di un fronte unico proletario dal basso che unisca gli operai nei luoghi di lavoro indipendentemente dai partiti. A differenza dei gruppi comunisti di sinistra, come Stella Rossa o “Il Lavoratore”, gli internazionalisti non si  fanno alcuna illusione sulla natura di classe dell’URSS e dello stalinismo. L’URSS non può più in alcun modo essere considerata un paese socialista. Lo stalinismo è la forma assunta in Russia dalla controrivoluzione. In quello che è stato il paese dei soviet i comunisti sono in galera o nella clandestinità. La fine della guerrà porterà una nuova gigantesca ondata di lotte proletarie a livello internazionale che segneranno la ricomposizione del proletariato d’occidente e d’oriente in un unico, compatto, movimento che di nuovo innalzerà le bandiere del bolscevismo e dell’internazionalismo.

La reazione degli staliniani è durissima. Il PC Internazionale – affermano - è solo un “covo di spie” e di “provocatori trotzkisti”, agenti del fascismo e della Gestapo. I dirigenti del PCI, Togliatti in testa, temono soprattutto la nascita alla loro sinistra  di un partito autenticamente comunista capace, a differenza dei piccoli gruppi dei dissidenti degli anni Trenta, di organizzare una parte consistente della classe operaia soprattutto al nord. Echi di questi timori, fortissimi nella dirigenza stalinista, emergono con estrema chiarezza da una lettera di Scoccimarro del dicembre 1943:

 

“C’è del dissidentismo a Napoli …, c’è del dissidentismo a Roma, c’è a Milano…. – si legge nella lettera- Queste varie e diverse correnti possono a un certo momento tendere a coalizzarsi e trovare una base nell’immaturità politica delle masse operaie italiane, specie tra i giovani. La nostra politica attuale può offrire loro pretesti di apparente giustificazione…. specie se dovremo assumere responsabilità di governo. Dobbiamo, ad ogni costo, evitare che, mentre tendiamo all’unità col PSI, ci sorga a fianco uno pseudo partito comunista capace di rappresentare un nuovo elemento di scissione della classe operaia.”

 

In effetti tra la fine del 1943 e l’inizio del 1944 esistono in Italia tutte le condizioni per la costruzione di un partito rivoluzionario con una presenza significativa nella classe operaia. Condizioni che gli internazionalisti, al pari degli altri gruppi comunisti di sinistra, non sapranno cogliere, vuoi per insufficiente capacità di analisi (Stella Rossa, Bandiera Rossa, ecc.), vuoi per l’incapacità manifesta di offrire praticabili sbocchi politici ad una classe operaia impegnata in un gigantesco  sforzo di mobilitazione che spontaneamente tende a coniugare la resistenza al regime poliziesco instaurato e sorretto dalle forze armate tedesche con l’embrionale, ma significativo dispiegarsi di obiettivi di classe. Proprio l'incapacità di saper dialetticamente legare i vari aspetti della fase in un coerente e praticabile programma transitorio riduce l’azione degli internazionalisti ad un lavoro di mera propaganda, vanificando le premesse che il buon lavoro svolto fra il 1942 e il 1943 aveva posto. Proprio quando la situazione politica subisce una brusca accelerazione in senso rivoluzionario, sulla base di un’analisi delle prospettive che meccanicamente ipotizza la ripetizione degli avvenimenti del primo dopoguerra dando per certo l’apertura dopo la fine delle ostilità  di una situazione simile al biennio rosso, il PC Internazionalista  si dedica esclusivamente ad un lavoro di propaganda nelle fabbriche, mirando prima di tutto a preservare le forze già raccolte e a delimitarsi con la massima nettezza dagli stalinisti. Per preparasi al meglio al domani, si rinuncia alle concrete possibilità dell’oggi. Il risultato sarà l’isolamento ed un sostanziale attesismo che di fatto taglia fuori gli internazionalisti dal grosso delle forze vive della classe operaia.

Partendo da un’analisi assolutamente non dialettica del movimento partigiano che non sa coglierne i forti connotati di classe, ma schematicamente lo vede come mero strumento “della guerra inglese”, gli internazionalisti invitano apertamente gli operai a non raggiungere le bande e nel caso che lo abbiano già fatto ad abbandonarle. Mentre la classe operaia pur tra mille difficoltà tende spontaneamente ad armarsi e a darsi un’organizzazione militare, Prometeo,  parla genericamente di “autodifesa operaia”e nei fatti rifiuta di inserirsi a pieno titolo nella lotta armata per riorientarla su posizioni classiste come i bolscevichi avevano saputo fare nel luglio 1917  contro il golpe kornilovista. In un momento di forte accelerazione dello scontro di classe, mentre il proletariato spinge in avanti e costringe lo stesso PCI ad indurire in modo massimalistico le proprie posizioni, restringere il campo d’azione all’autodifesa non può che offrire argomenti preziosi alla  propaganda

staliniana che ha buon gioco a presentare gli internazionalisti come agenti del nemico.

Analoghi elementi di debolezza politica presenta l’azione nelle fabbriche che  il PC Internazionalista considera l’unico vero terreno di azione per il partito. Anche qui gli internazionalisti si rivelano incapaci di tradurre le loro analisi in concrete parole d’ordine che offrano sbocchi all’azione della classe. Significativamente il partito, che pure è composto quasi esclusivamente di operai, non sentirà mai la necessità di dotarsi di un giornale sindacale o di fogli di fabbrica. La contrapposizione al PCI staliniano resta astratta, incapace di far leva sulle contraddizioni che pure la politica togliattiana manifesta. Militanti coraggiosi, estremamente devoti alla causa proletaria, gli internazionalisti non sanno parlare agli operai a causa di un’insufficiente assimilazione dei fondamenti del bolscevismo sul terreno della tattica, già evidente nel 1921-1926. Il PC Internazionalista lascia di fatto sul terreno dell’azione campo libero agli stalinisti e non sarà sufficiente la tardiva ed estemporanea partecipazione con proprie squadre armate all’insurrezione di Torino e Milano per recuperare il tempo perduto.